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             MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 20


   

      

Siamo sicuri che, se avete letto qualche storia di Novgorod, vi sarete senz’altro accorti che nelle relazioni estere e nelle spedizioni militari entra sempre di più direttamente, con le proprie forze e con i propri uomini e scavalcando a volte il namestnik, proprio l’Arcivescovo. Avrete anche notato che il prelato s’intrufola specialmente nelle relazioni internazionali, salvo a fare una distinzione: Le missioni con gli stati cristiano-latini di solito è il polo laico novgorodese a condurle, mentre con gli altri stati russi e nei casi particolarmente difficili, viene mandato l’Arcivescovo a negoziare.

Questa evoluzione della politica estera novgorodese è logica in sé, come conseguenza della pochissima autorità, se non ricattatoria, che qualsiasi altra città o dinastia Rjurikide della Bassa può esercitare sul nord, ma quel che salta subito agli occhi è: Come mai Novgorod ricca e capace di autogovernarsi e di gestire le proprie relazioni, ha tanto bisogno di tenersi tanto strettamente legata alla Bassa e di usare il suo massimo prelato per assicurarsi questo legame?

è solo il bisogno di approvvigionarsi delle derrate alimentari oppure ci sono altre ragioni? Né possiamo fidarci molto di come le Cronache ci raccontano gli avvenimenti.

Sappiamo già che il monaco amanuense che compila gli Annali, in qualsiasi monastero, o scrive quanto gli viene dettato dal principe che glieli commissiona oppure non sempre è un fine politico e non sempre conosce o intuisce tutte le oscure ragioni che spingono un personaggio pubblico a compiere certi atti invece che altri. Il monaco di solito è portato ad interpretare gli avvenimenti come voluti e guidati dalla mano divina nel solco della storia universale fissata da Dio ed è sicuro che essi rispondano ai disegni del Signore talvolta imperscrutabili e perciò inutili da indagare. Dobbiamo quindi leggere fra le righe!

In realtà noi finora abbiamo tenuto da parte l’importantissima figura dell’Arcivescovo novgorodese perché volevamo parlarne meglio in questo capitolo a sé. Questo personaggio, a dispetto della sua veste “spirituale”, non è soltanto un “uomo di chiesa”, ma è anche uno dei più grandi latifondisti della città, è il banchiere dei bojari, è il giudice supremo ed è un possibile aspirante capo politico della città.

Per tutte queste sue prerogative ed aspirazioni, l’Arcivescovo comincerà a poco a poco a creare intorno alla propria carica sempre più consenso politico oltre che religioso e, mentre il potere bojaro decade, quello di Monsignore si esalta e si afferma sempre più e quando i bojari esprimeranno una personalità di spicco, capace di tener testa al “santo uomo”, purtroppo sarà troppo tardi perché sarà ormai Monsignore a prevalere. 

Ma cominciamo dal principio.

Sappiamo dalle Cronache che alla fine del X secolo lo zio di Vladimiro, Dobrynja, il generale Putjata e il vescovo greco Gioacchino per mezzo della forza armata e del fuoco avevano imposto il Cristianesimo a Novgorod e dintorni. 

Certamente non dobbiamo pensare che la nuova religione si ambientasse automaticamente fra la gente perché la resistenza ad accettare le nuove regole di vita e le nuove cerimonie (sottolineiamo l’importanza dei rituali perché a quei tempi contavano moltissimo!) fra persone di diversa lingua ed etnia durò molto a lungo e la difficoltà della propagazione della nuova ideologia su grandi spazi come quelli dei Quinti novgorodesi ritardò la cristianizzazione delle Terre del Nord almeno fino al XVI secolo! Gli stessi Svedesi ebbero simili difficoltà quando cominciarono la colonizzazione della Finlandia, a partire dal Vescovado di Åbo!

Vari episodi in cui appaiono i sacerdoti delle vecchie religioni finniche, chiamati in russo generalmente vòlhvy o kolduný, ci suggeriscono che le vecchie credenze erano ancora vive fra la gente e non solo contadina! Persino nella Vece e fra i bojari si sfruttavano comportamenti e argomenti paganeggianti per aizzare un gruppo politico contro un altro

Raccontiamo allora qualche episodio collegato con questo esecrato paganesimo.

Nelle Cronache al tempo di Gleb figlio di Svjatoslav, luogotenente a Novgorod del principe di Kiev, si registra che nella Piazza del Mercato, era comparso in città un volhv che diceva di essere stato mandato da Dio e con le sue parole e i suoi discorsi aveva raccolto molta gente intorno a sé e quasi tutta la Riva del Commercio accorreva ad ascoltarlo. Costui raccontava tutto il male possibile del Cristianesimo diffuso da Santa Sofia e affermava che, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe camminato anche lui sulle acque del fiume Volhov come aveva fatto Gesù Cristo sulle acque del lago di Tiberiade a dimostrazione dei suoi poteri soprannaturali. 

Molti gli credettero e addirittura, fra le tante discussioni che si facevano in piazza, si espresse l’idea di salire a Santa Sofia e di uccidere il vescovo. La voce giunse immediatamente fino al prelato il quale, indossati i sacri paramenti e mandato a chiamare Gleb con i suoi, attraversò il Ponte Vecchio con la croce in mano e, rivolgendosi alla folla raccolta, coraggiosamente gridò: «Chi crede in questo falso prete, che si schieri pure dalla sua parte, ma chi crede in Cristo invece venga qui, intorno alla croce». La gente, chi esitando e chi con decisione, a quella sfida cominciò a raccogliersi in due gruppi mentre, proprio in quel momento, arrivava Gleb con i suoi druzhinniki. Naturalmente fu subito chiaro che la gente ricca si trovava già dalla parte del vescovo e che il popolino, la maggioranza, stava invece dalla parte del volhv

Gleb, da esperto militare, senza dar tempo di riflettere a nessuno e cercando di evitare il peggio, con fare sornione e senza farsi notare troppo, sfodera l’ascia da lancio e si avvicina al volhv. Lo guarda negli occhi e gli chiede: «Allora, tu che tutto sai, sai forse prevedere quello che accadrà domani mattina o domani sera?». Risponde il falso prete: «Certamente. Io so tutto!». E Gleb: «Sai allora anche quello che ti accadrà fra poco». E nel dire ciò, lasciò andare un tal colpo d’ascia sul viso del volhv che questi morì sul colpo. Ci fu un momento di sgomento, ma poi la gente vista la piega che la questione aveva preso, per paura di dover subire la stessa sorte del volhv, si ritirò rapidamente lasciando il cadavere insanguinato nella Piazza del Mercato ai necrofori perché lo gettassero nella acque del fiume. 

Dunque questa era la situazione tipica del nord e tuttavia, benché si mascherassero e si cambiassero i nomi degli spiriti protettori pagani con quelli dei santi cristiani, gli episodi con i volhvy protagonisti si ripeterono spesso tanto da far acquistare ai novgorodesi la fama di cristiani “all’acqua di rose”! Malgrado tutto questo, almeno in città, a poco a poco ci si abituò all’esteriorità della nuova religione e si lasciarono le vecchie credenze libere di circolare nella campagna o fra i finni, tanto che, quando comparvero nel 1227 ancora dei volhvy nel mercato cittadino, fu quasi un obbligo per gli stessi popolani metterli al rogo.

Di chi la colpa? Logicamente di Monsignore che non lavorava abbastanza…

Sappiamo che Jaroslav, il padre di Alessandro Nevskii, mentre era namestnik, scortò il vescovo novgorodese fra i Careli per battezzarli perché a Novgorod era diventato ormai un neo dover aver a che fare con questi finni pagani e le Cronache riportano che ne furono battezzati tantissimi (!) in quell’anno«perché costretti con le armi»! Ricordiamo che, successivamente, gli stessi Careli passarono al Cristianesimo latino degli Svedesi, sempre sotto la minaccia di altre armi!

Sebbene con la fondazione di monasteri e cenobi nei posti più sperduti si tentasse di cambiare la situazione anche nel Grande Nord, la resistenza alla religione cristiana fu ancora per anni un’accusa frequente presso i tribunali ecclesiastici di Novgorod fino al XV secolo contro «coloro che pregavano sotto i covoni o presso i boschetti sacri o presso le acque sacre».

Dunque il vescovo di Novgorod aveva un bel gran da fare per rafforzare il proprio ruolo “cristiano”.

Al principio questo prelato era stato nominato direttamente dal Metropolita di Kiev e di solito era un greco di nascita che aveva ricevuto il suo abito dal Patriarca di Costantinopoli. Oltre alle difficoltà delle comunicazioni e della lentezza dei trasferimenti, quando doveva essere sostituito un monsignore defunto, man mano che la diocesi del nord diventò sempre più importante politicamente ed economicamente, la presenza di uno straniero sulla cattedra di Santa Sofia cominciò a dar fastidio e a non essere più opportuna. Nella Vece si cominciò a dire che, come tutti pretendevano di scegliere il namestnik, lo stesso doveva accadere col loro Monsignore. 

Nel 1156 perciò viene scelto il monaco russo Arcadio e mandato dal Metropolita di Kiev affinché gli “imponga le mani” e lo insedi a Novgorod. Ciò avviene e s’inaugura così la tradizione di lasciare che il Vescovo novgorodese prima sia scelto direttamente “dal popolo” e, addirittura, lo stesso Arcadio designerà già il suo successore davanti alla Vece!

Proprio in quegli anni a Kiev si stava concludendo una sorda lotta contro i Metropoliti non russi e i prelati alti del clero imposti da Costantinopoli e già era stato tentato con varie alternanze l’imposizione dell’autorità del sinodo dei vescovi e degli arcivescovi della Rus di Kiev nell’eleggersi un capo russo per la Chiesa. Leggiamo nelle Cronache Suzdalesi che a Vladimir il principe Rjurikide Andrea Bogoljubskii aveva addirittura tentato di farsi nominare un Metropolita soltanto per la sua regione di Vladimir e Suzdal, saltando l’autorità del Arcivescovo eparca di Rostov…

Comunque tutto era finito nel nulla poiché Costantinopoli era riuscita ad imporre il costume tradizionale e il Metropolita continuò a provenire direttamente dalla Grecia, sebbene in subordine all’approvazione del Gran Principe di Kiev, mentre i vescovi e gli arcivescovi nella maggioranza dei casi furono russi, salvo l’approvazione del principe Rjurikide locale! Sulla base di questo nuovo assetto anche per la Vece di Novgorod, quale organo supremo di potere della  città, venne ribadita l’esigenza e il diritto di continuare ad agire come si era agito nel 1156.

Notiamo di sfuggita che da un certo tempo (il XII sec.) in poi il Vescovo di Novgorod diventa Arcivescovo sebbene la data della nuova nomina non sia esattamente nota.

A parte ciò l’esigenza di avere un prelato novgorodese fissò persino un’ulteriore evoluzione nella cerimonia e nel metodo di scelta del vladyka, come si chiamava Monsignore in russo.

Nelle prime elezioni si erano seguite le tradizioni costantinopolitane e cioè: dopo la morte del vladyka, si riunivano a Santa Sofia il namestnik, i superiori dei diversi monasteri, gli uomini di Santa Sofia ossia i bojari che facevano capo alla Chiesa per vari motivi, i prelati bianchi (i preti, cioè). Questi sceglievano tre candidati monaci (di solito un igumeno o un priore di convento) e li sottoponevano al Metropolita che aveva la facoltà di sceglierne uno che poi veniva acclamato e benedetto.

Ora la procedura fu cambiata. Su proposta del clero locale venivano presentati alla Vece tre candidati e se a maggioranza uno di essi andava bene, questo veniva eletto, altrimenti, se non c’era accordo palese, si estraeva a sorte (ossia ci si affidava al giudizio di Dio, come si credeva a quei tempi) uno dei tre nomi.

Rileggiamo nelle Cronache come Martirio di Russa fu eletto nel nuovo modo.

«Defunse Gabriele, arcivescovo di Novgorod. I novgorodesi col principe Jaroslav, con gli igumeni, con i notabili e con i preti si misero a discutere su chi avrebbe dovuto occupare il posto del defunto. Alcuni volevano metterci Metrofane, altri Martirio e altri ancora un greco. Cominciarono i disaccordi. Per chiudere le discussioni si posero sulla cattedra vescovile tre nomi e si fece venire dalla Vece riunita un cieco che tirasse fuori dai tre nomi quello che doveva esser scelto. Si estrasse il nome di Martirio. Subito si inviò un messo a Russa per comunicare la notizia e per invitarlo a venire in città a sedere sul trono di Santa Sofia. Al Metropolita si mandò a dire che Martirio era il pastore giusto e l’alto prelato con grande onore lo mandò a chiamare per imporgli le mani. Martirio con i  migliori notabili della città si recò dunque a Kiev, accolto con gran gentilezza (con amore, dicono le Cronache) dal principe Svjatoslav e dal Metropolita che lo consacrò».

A parte il fatto notevole che il terzo non eletto quella volta è un greco e, secondo il prof. Janin, è proprio quell’Eliseo Grecin di cui è stata trovato l’opificio negli scavi archeologici, diventò una cosa scontata che poi i novgorodesi avessero il diritto di approvare non solo la scelta, ma anche di disapprovare il comportamento del loro arcivescovo, quando questo oltrepassava certi limiti! Come difatti accadde nel 1228 all’Arcivescovo Arsenio il quale fu cacciato via dalla Vece, dalla sua cattedra e dalla città, perché si disse che con le sue pratiche diaboliche (in altre parole, per la sua impotenza di fronte alle forze della natura) avesse impedito che il tempo cambiasse e smettesse di piovere e avesse di conseguenza provocato l’inondazione della città dal Volhov, il fiume di Novgorod, in piena!

Nel 1264 i Paleologhi riprendono Costantinopoli, ma sono davanti ad un Impero in pieno sfacelo e pensano che l’aiuto dal Papa di Roma possa essere indispensabile per ripristinarlo nell’antica potenza e splendore. Il Papa ha una sola condizione da porre: Che l’Imperatore riconosca la sua autorità come Primo Patriarca della Chiesa Universale invece del Patriarca di Costantinopoli! Cominciano così delle trattative per cercare il modo migliore che non umili troppo sia la figura del Patriarca Costantinopolitano sia quella dell’Imperatore in tutta la faccenda di avvicinamento delle due Chiese, latina e ortodossa. E siccome la Metropolia russa era in pratica tutta l’ortodossia orientale, fu commesso un errore perché in queste trattative invece di dare un peso maggiore al Metropolita russo, questo fu tenuto assolutamente in disparte.

Non andremo oltre a dire quel che avvenne poi di questa unione delle due Chiese poiché finì in un grande insuccesso e provocò, anzi!, il crescere dell’odio fra russi ortodossi da una parte e latini di qualsiasi etnìa dall’altra.

Da questa situazione discese il maggior rigore di tutti i Metropoliti russi non tanto nelle questioni dottrinarie quanto in quelle di obbedienza alle loro direttive e quando si notava qualcosa di troppo innovativo nelle procedure o in altre faccende, ecco che subito si paventava la possibile abiura del Cristianesimo ortodosso e si arroventavano gli animi!

Nei circoli vicini al Metropolita perciò, il modo d’agire novgorodese naturalmente non era visto molto favorevolmente, tant’è vero che quando l’Arcivescovo Mosè fu costretto a rinunciare alla sua carica e fu sostituito da monsignor Basilio (al secolo Gregorio Kalèka ossia lo Zoppo), mentre il Metropolita (greco) Teognosto registrò che quest’ultimo fu eletto dal sinodo dei vescovi locali, al contrario, come appare dalle Cronache di Novgorod, Basilio «fu scelto dalla città e destinato da Dio…» ossia fu estratto a sorte nel solito modo detto sopra! C’è dunque una lotta sorda fra le due cattedre persino nelle registrazioni!

Per inciso inoltre ricordiamo che nell’elezione di Monsignor Spiridione ad Arcivescovo di Novgorod nel 1229 fu proprio il figlioletto del principe Michele di Cernìgov, Rostislav, a scegliere bendato il nome del prelato fra i tre candidati…

Accanto al modo diverso di elezione, in definitiva abbastanza particolare, prima di proclamare il nuovo vladyka, lo si inviava a Kiev dal Metropolita per la consacrazione e qui vigeva anche un altro costume: quello di pagare l’imposizione delle mani (così si chiamava la consacrazione).

Ufficialmente il compenso per la conferma della carica non appariva come un vero e proprio prezzo d’acquisto, ma solo come un’elargizione fatta all’alta autorità della Chiesa Russa affinché quel denaro servisse per tutte le sue opere di carità. Così almeno spiegò ufficialmente il Patriarca di Costantinopoli, quando fu pregato di intervenire sulle lamentele di simonia e sulle proteste degli eretici Strigoliniki nella prima metà del XIV sec.! Queste elargizioni erano sempre delle grandissime somme perché sappiamo, ad esempio, che quando successivamente si trattò di porre sulla cattedra di Novgorod l’Arcivescovo Antonio si spesero ben 1000 grivne (moneta d’argento novgorodese!

A causa della lontananza, il viaggio fino a Kiev del neo-eletto non sempre era possibile e talvolta veniva ritardato di anni, tanto che l’imposizione delle mani a poco a poco fu rimandata alle sole occasioni delle visite periodiche che il Metropolita faceva regolarmente a Novgorod.

I tribunali novgorodesi, come d’altronde anche nel resto d’Europa, erano corti dirette da ecclesiastici, i quali per le sentenze emesse esigevano un rimborso spese e i costi della formulazione che costituivano un’entrata cospicua per la chiesa. Tuttavia era ammesso l’appello alla sentenza arcivescovile e questo appello veniva rivolto appunto al Metropolita il quale, ogni quattro anni, si recava nelle diverse eparchie per esercitare questa funzione (talvolta mandava il suo rappresentante).

L’alto prelato si recava dunque a Novgorod con questa cadenza quadriennale, per i giudizi di appello per i quali unicamente il Capo della Chiesa poteva dare una sentenza definitiva. In quelle occasioni rimaneva per un mese in città con tutto il suo numeroso seguito e a Novgorod questa era l’occasione per una grande festa cittadina.

Non appena si intravedeva la nave sul fiume che portava il Metropolita e il suo numeroso seguito, l’Arcivescovo in gran pompa gli andava incontro sul porto seguito da una folla enorme di fedeli e di curiosi. Il Metropolita faceva poi una prima tappa nella Chiesa del Salvatore sulla Riva del Mercato. Dopo una breve sosta in preghiera, insieme all’Arcivescovo dava inizio ad un’enorme processione preceduta da torce e fiaccole accese che attraversava tutto il Mercato diretta al Ponte Vecchio, l’unico ponte della città che unive le due Rive. La processione terminava nella Cattedrale di Santa Sofia, sulla Riva omonima, dove il prelato officiava e teneva di solito una lunga omelia ai bojari e a tutti gli astanti. A questa seguiva la festa vera e propria con un banchetto gratuito all’aperto…

Durante il suo soggiorno, il Capo della Chiesa Russa faceva sede nella Chiesa di San Giovanni Battista e in questo periodo era invitato in tutta una serie di manifestazioni e convivi, anche preparati dall’Arcivescovado stesso, quando si faceva il giro dei diversi monasteri tenendo le numerose udienze. Dunque non solo era mantenuto e servito, ma riceveva anche diversi emolumenti per tutte le attività che esplicava. Una spesa enorme per tutta la città che riceveva lo spettacolo colorato e scintillante delle reliquie portate in giro e dei meravigliosi paramenti sacri che erano esposti solo in queste occasioni, ma poi rimaneva un po’ più povera di prima.

Nel 1384 quando ben tre Metropoliti si disputarono la preminenza sulla Chiesa Russa, la Vece discusse ed approvò la decisione di non rivolgersi più a quel prelato, visto che ora la carica era in discussione e di conseguenza di non accettare più la sua venuta a Novgorod per il Mese delle Sentenze e riconobbe unilateralmente e ufficialmente all’Arcivescovo novgorodese i poteri massimi di decisione.

In realtà però sappiamo che già dai tempi di Mosé ci si era lamentati presso il Patriarca per l’esosità del Metropolita e nel 1341 addirittura fu ufficialmente inoltrata una lamentela a Teognosto per il costo altissimo di queste visite quadriennali di un mese.

Sarà una lunga lotta per Novgorod finché non si deciderà che l’appello alle sentenze dei tribunali novgorodesi non ci sarà più e che le sentenze emesse saranno definitive senza il costoso sigillo del Metropolita.

E così infatti avvenne quando successivamente il nuovo Metropolita Pimen venne a Novgorod, dopo che la questione della preminenza sembrava fosse stata risolta. I novgorodesi lo accolsero con solennità come si addiceva alla sua carica, ma rifiutarono da subito di accettare e di pagare alcunché per le sentenze che avrebbe dovuto emettere e che quindi non emise.

Solo dieci anni dopo, Mosca e il suo Metropolita Cipriano riusciranno a ripristinare questi “diritti” metropolitani sull’Arcivescovo novgorodese, quando la città però ormai è nelle mani della dinastia moscovita…

Da Novgorod dipendeva il clero di Pskov e quello di Russa. Ma già nel 1307 una delegazione di Pskov venne a Novgorod in udienza da monsignor Teoctisto con la preghiera di lasciare che questa città avesse un suo proprio vescovo. La richiesta naturalmente non fu accolta, ma pose il seme ad una lotta sorda fra le due città per la separazione delle diocesi. In questa lotta naturalmente fu coinvolta anche la classe bojara poiché il bojaro di Santa Sofia, che di solito era mantenuto da Pskov nei propri tribunali per conto dell’Arcivescovo, intorno al 1340 fu sostituito da un bojaro della Santa Trinità (la cattedrale di Pskov), per risparmiare sulle spese, si disse!

Da quanto abbiamo detto finora possiamo già capire quali fossero alcune delle entrate che manteneva la Chiesa a Novgorod e la Metropolia di Mosca.

In realtà quando san Vladimiro aveva fondato la Chiesa Russa aveva destinato al suo mantenimento un decimo del suo patrimonio ed un decimo delle entrate annuali dei traffici di Kiev. I valori di queste concessioni poi erano sempre difficili da definire, ma di solito consistevano nella proprietà e nello sfruttamento di villaggi e di terreni, di licenze di pesca e di boschi e cose simili.

Lo stesso si era fatto a Novgorod per la chiesa locale e il dar che si passava al namestnik era appunto decurtato dai bojari “esattori” sulla base di queste tradizioni.

Tuttavia col passar del tempo la Chiesa di Novgorod aveva accumulato talmente tanti possedimenti da diventare la più ricca eparchia delle Terre Russe e, con la caduta di Costantinopoli del 1453 e la separazione di Kiev da Mosca, il patrimonio di Santa Sofia era di gran lunga il più grande di tutta la Bassa, sia dello stesso Principe Giovanni III che della Metropolia di Mosca sotto Sua Santità Filippo, alla fine del XV secolo!

Da dove venivano tutte queste ricchezze?

La risposta è presto data: dalle elargizioni e dalle donazioni e, siccome l’Arcivescovo amministrava i patrimoni delle famiglie abbienti, dopo le varie vicissitudini passate dalla Chiesa novgorodese e dalla città stessa, ecco che le proprietà terriere di Santa Sofia aumentarono a dismisura.  Se si aggiunge che la Chiesa curava soprattutto le ricche vedove senza figli affinché lasciassero in eredità terreni e villaggi alla chiesa o al monastero che le aveva accudite nella loro vecchiaia o nella loro solitudine (sembra che i confessori consigliassero alle vedove addirittura di non sposarsi più… perché Cristo non voleva!), si può immaginare come in momenti di epidemia o altra calamità, interi villaggi e porzioni di terra passassero alla Chiesa, senza grandi difficoltà. Come facevano le vedove bojare così anche una persona meno abbiente, quando si sentiva vicina alla morte, entrava in convento e con sé portava grandissima parte dei suoi averi che poi lasciava al convento stesso. La gente del popolo agiva nello stesso modo, nella misura dei propri averi e presso la propria chiesa. Addirittura sappiamo di una lettera mandata a Monsignore da Filippo in cui si minacciano punizioni dal cielo per questi modi di fare, ma è già al tempo in cui Novgorod sta per entrare nel dominio di Mosca…

Altre entrate (ma molto cospicue, lo ripetiamo) della Chiesa, benché in questi casi abbastanza “laterali”, erano quelle che venivano dai diversi compiti rivestiti nei tribunali oppure dalle offerte “spontanee” da parte delle cariche pubbliche cittadine (posadnik, sotnik, tysiazkii etc.) poiché in realtà persino queste funzioni “laiche” era espletate sotto l’egida della religione.

Infatti ogni capo-cantone e i suoi centurioni e simili funzionari novgorodesi facevano capo ad una congrega (o meglio Confraternita, da cui l’appellativo comune fra i partecipanti alla Vece - l’assemblea pubblica della città - di “fratello”) che aveva la propria chiesa, costruita e mantenuta dal cantone stesso, dove si custodivano atti, soldi, pesi, arnesi etc. per conto e per l’uso giuridico da parte dell’autorità di quel cantone.

Il vladyka alla fine di ogni stagione faceva il giro delle chiese cantonali ed  incontrava tutti mercanti che erano ritornati dai viaggi oltremare in banchetti ufficiali. Da questi raccoglieva tutte le informazioni possibili e immaginabili che usava poi per le sue riflessioni sul mondo e sugli uomini.

Una particolarità di questi banchetti (piry in russo) era che in quella occasione ogni autorità “esterna” sui partecipanti era sospesa nell’ambito del banchetto stesso, ossia, se succedevano fatti di sangue o altri reati, era il capo-banchetto a decidere le misure da prendere contro l’eventuale delinquente! Naturalmente oltre al mangiare e al bere c’erano anche danze e spettacoli di vario tipo, come la popolarissima lotta a suon di pugni fra i campioni cantonali!

Sottolineiamo l’importanza di questi banchetti perché sappiamo che monsignor Luca Zhidiata nella seconda metà dell’XI sec. era famoso per le sue prediche in queste occasioni in cui parlava di tutto e dava le sue interpretazioni del mondo senza averlo mai visitato, ma avendolo solo immaginato dai racconti dei mercanti. E le sue raccomandazioni erano ascoltatissime e, come dice il prof. R. Picchio, Monsignore era «un espositore efficace, anche se non letterariamente raffinato, delle verità evangeliche in una lingua molto vicina alla parlata locale».

Come si può capire era la personalità del vladyka che riusciva sia a creare sia a distruggere una certa cultura “novgorodese” e a difendere tradizioni e costumi. Per questi motivi personaggi forti come i vladyki Mosè o Giovanni (nome da monaco, Elia) erano anche elaboratori di raccolte di byline sul passato della città  (se teniamo anche presente che cosa le byline erano in realtà, v. epilogo) e persino responsabili diretti della diffusione delle sacre scritture fra la gente.

Le chiese a Novgorod furono sempre numerose e di solito erano costruite dai mercanti e dai bojari che le eleggevano, una volta completate e consacrate, a loro cappelle personali dove poter essere sepolti con i più stretti parenti, ora che con l’introduzione del cristianesimo erano stati eliminati i riti funebri pagani della cremazione e i monumenti funebri di cui testimoniano le migliaia di tumuli, detti sopki, tutt’intorno alla città.

La chiesa più antica (IX sec.) deve essere stata quella del Santo Salvatore sulla Riva del Mercato che fu data alle fiamme nei tumulti per il battesimo della città ai tempi di Dobrynja e di Putjata, o quella di San Biagio.

Secondo i dati di Solovjov fra il 1228 e il 1462 si costruirono non meno di 150 chiese di cui un centinaio di pietra o mattoni, benché fra il 1228 e il 1270 le Cronache ricordano soltanto due costruzioni, cosa facilmente spiegabile a causa dell’arrivo dei Tatari. In confronto con Mosca nello stesso intervallo di tempo (1228-1462) le Cronache ricordano solo 15 chiese fatte di pietra! Tutto questo è importante per capire come Novgorod (e persino Pskov!!) rispetto a Mosca in ascesa erano pur sempre delle città molto più grandi e perciò più ricche, eppure…

Se leggiamo poi come erano strutturate le Corti di San Pietro e di Sant’Olaf (le sedi dei mercanti dell’Hansa) vediamo che le rispettive chiese erano in realtà, non solo un luogo di culto, ma anche dei veri depositi blindati. Allo stesso modo di quelle chiese latine dobbiamo immaginarci (e l’archeologia ce lo conferma) le chiese ortodosse (ad esempio quella di San Giovanni sulle Marne o di San Nicola, sulla Riva del Mercato): con enormi sotterranei con porte di ferro e pareti di pietra, o mattoni, contro gli incendi e i ladri, nei quali si custodivano oltre a merci preziose per conto di bojari e mercanti, anche documenti e contratti importanti, suppellettili preziose e tantissima altra roba di valore.

Evidentemente neppure la chiesa di Santa Sofia faceva eccezione ed è per questo che quando diciamo che Monsignore era il banchiere dei bojari, diciamo che nella cattedrale conservava e amministrava denaro e altri preziosi appartenenti alle famiglie nobili, oltre che i propri beni arcivescovili.

Naturalmente la Santa Sofia che vediamo oggi non è quella delle origini che era invece molto più alta (+2 m) dell’odierna all’interno. All’esterno le mura erano coperte di pietra appena sbozzata ed erano naturalmente tutte dipinte e affrescate con vari colori…  

Un’altra chiesa di Novgorod, sulla Riva del Mercato, era dedicata alla santa Parasceva ed aveva la funzione di tribunale mercantile e di ufficio metrico poiché conservava tutte le misure ufficiali, di lunghezza, di capacità e i pesi con le rispettive bilance... per i mercanti stranieri!

Naturalmente, essendo le chiese anche delle case di Dio, dovevano anche avere una certa santità e quindi nel caso che l’avesse fatta costruire un mercante e costui non si fosse trovato “in grazia di Dio” la costruzione veniva interdetta e la chiesa non veniva consacrata.

A questo riguardo riportiamo una leggenda, secondo la quale durante l’epoca del famosissimo Arcivescovo Giovanni avvenne un clamoroso miracolo a Novgorod. Si narrava che un certo Ščil, mercante di Rostov (antica colonia novgorodese nel Bacino Basso del Volga) aveva deciso di farsi costruire una chiesa, ma Monsignore, non credendo alla purezza d’animo del patrocinante, lo fece entrare in una tomba che era stata preparata per lui e il sarcofago improvvisamente sprofondò giù nel pavimento verso l’Inferno, svelando a tutti l’ira del Signore. Solo dopo che il figlio del peccatore ebbe fatto celebrare delle messe di espiazione, la chiesa potè essere finita e benedetta (e la tomba tornò in superficie).

Tutto questo dà un’idea dell’importanza “culturale” del vladyka a Novgorod e della sua cattedra. Addirittura, quando al tempo del Metropolita Cipriano (XIV sec.), si diffonde la dottrina della Terza Roma in cui, caduta Costantinopoli, la Roma che salverà il mondo cristiano è una città russa. Ed ecco che, nella famosa Storia del Klobuk Bianco (la tiara che indossava nelle cerimonie solenni il vladyka novgorodesi), si affermava che Novgorod avesse tutte le carte in regola per vestire questo ruolo come Terza Roma sia nel senso spirituale sia in quello materiale e che questa missione, risalendo a Giovanni vissuto nel XII sec., era molto più antica delle pretese di Mosca!

Accenniamo brevemente a questa Storia poiché essa è legata alle tradizioni di Novgorod e alle aspirazioni  politiche dei suoi arcivescovi.

La Storia del Kobluk Bianco comincia con la conversione di Costantino il Grande e come il papa Silvestro rifiuti la corona che l’imperatore vuole mettergli sul capo per ringraziarlo di aver salvato la sua vita e la sua anima. Vista la grande umiltà del santo Silvestro, Costantino invece della corona gli fa fare un copricapo dello stesso valore ossia una tiara bianca, in russo un klobuk.

Quando la Chiesa di Roma, ormai diventata eretica, negherà in seguito una qualsiasi importanza a questo antico simbolo del potere ecclesiastico e cercherà in tutti i modi di liberarsene, non ci riuscirà facilmente e l’unico modo per chiudere la faccenda sembrerà quello di mandare la tiara in un qualche lontano paese. Tuttavia durante il viaggio una tempesta impedisce alla nave di continuare per la sua rotta e la tiara in custodia da un certo Geremia, incaricato di ciò da “voci celesti”, è riportata a Roma. L’Angelo di Dio visto come è stata trattata la tiara dichiara che Roma ha ormai perso la sua dignità e la trasferisce a Costantinopoli. Il Patriarca Filoteo Coccino però riceve da un giovane sconosciuto, ma certamente di natura divina, avviso che questa tiara è destinata, nientedimeno!, che all’Arcivescovo di Novgorod. Anzi a Filoteo che esita a far proseguire il sacro oggetto per il nord viene detto che con la caduta di Roma Nova (cioè Costantinopoli) seguirà una Terza Roma che si trova proprio in Terra Russa (Novgorod chiaramente). Filoteo quindi, secondo una tradizione, pose il Klobuk Bianco sulla testa dell’arcivescovo Basilio che conosceremo in seguito…

Con tali presupposti si può facilmente capire che la sede arcivescovile novgorodese, con la caduta di Costantinopoli nel 1204 in mano latina, con la ricostituzione del Patriarcato nel 1261, con la questione dello sdoppiamento della sede metropolitana di Kiev e con le esitazioni dei novgorodesi verso la Chiesa Latina, diventò un grosso crogiolo di ripensamenti e di critica, di richieste di riforma e di trasparenza nell’organizzazione di tutta la Chiesa Russa, e dunque il luogo di accoglienza di eresie famose, secondo l’arcigno Metropolita di Mosca.

Il primo grande movimento di critica dichiarato eretico dalla Chiesa Russa muove quindi i suoi primi passi proprio qui, fra Novgorod e Pskov. Il fondatore, un certo Carpo, tonsore o tessitore di panni, insieme con un diacono di nome Niceta cercarono di diffondere le proprie tesi su purezza e pulizia basate sul pentimento, sulla povertà e su altri argomenti, specialmente all’interno della Chiesa, che erano già oggetto di dibattito in Europa Occidentale. Se in Occidente si formarono i cosiddetti “flagellanti”, qui a Novgorod l’analogo movimento era questo: Quello “dei tonsori”, ossia in russo Strigòlniki. E’ evidente, anche se non provato, che Flagellanti da un lato e Strigòlniki dall’altro non avevano contatti diretti, ma sapendo i rapporti che Novgorod aveva con la Lituania e quindi anche con la Polonia è possibile che il movimento degli Strigòlniki sia stato incoraggiato dal successo che i Flagellanti stavano avendo in Francia a continuare la loro azione in Terra Russa.

Gli Strigòlniki sono un movimento che fiorisce poco prima che scoppi la Morte Nera (la peste del 1348 giunse da queste parti qualche anno dopo) e che insorge contro un’organizzazione chiesastica troppo burocratizzata, simoniaca e legata agli interessi mercantili e terreni più che alla salvezza delle anime ed è per questo che Dio la punisce, mandando “al suo gregge” i malanni più efferati.

Niceta e Carpo furono comunque giudicati proprio a Novgorod e, condannati, furono scaraventati giù dal Ponte Vecchio…

Tutto questo comunque portò col passar del tempo a discutere più profondamente di “simonia” e di corruzione e qui vi si trovò coinvolta com’è logico tutta la città, dato che era tutta la città a pagare, ad esempio, per l’ottenimento delle cariche vescovili.

Un’altra eresia famosa, di molto posteriore agli Strigòlniki, che “fu di casa” a Novgorod fu quella “giudaizzante”, i cui adepti negavano i dogmi fondamentali della Chiesa e si rifacevano alla fede “madre” del Giudaismo e questi eretici li troveremo coinvolti nelle amicizie di un famoso personaggio novgorodese che conosceremo più avanti: Marta Borezkaja.

Il fatto di gestire poi l’istruzione pubblica e in pratica plasmare dei giovani coinvolgeva l’Arcivescovo anche in altre questioni più delicate e cioè nella differenziazione sociale dei ragazzi, già a partire dall’età di 6-7 anni, ossia dei figli dei bojari dai figli del popolino. Infatti la cerimonia del postrig o primo taglio dei capelli ai maschietti veniva fatta con una grande festa e solennità per i figli dei nobili in Santa Sofia, mentre quello dei figli del popolo era officiato nelle chiese cantonali ed officiato dall’Arciprete. Mentre i ragazzi nobili cominciavano da subito ad orbitare nelle stanze del potere, gli altri coetanei figli del popolo ne erano esclusi.

A poco a poco i molodzy (ragazzi bojari e non) giunsero addirittura a costituire un corpo speciale di “serventi” dell’Arcivescovo che avevano a volte in concessione l’amministrazione di terre ed addirittura evolsero verso le funzioni di comandanti di un piccolo esercito di armigeri. Un esercito che avrà un ruolo importante, come vedremo, nella caduta della città nelle mani di Mosca.

Il vladyka quindi, ad imitazione del suo collega occidentale (il modello rimaneva Alberto di Riga!), non aveva solo la “spada dello spirito” ma anche quella vera di acciaio e in molti casi metteva insieme i propri armigeri prendendoli dai suoi “contadini” o “famigli” che lavoravano nei suoi immensi possedimenti e forniva truppe ausiliarie alla città pronte ad innalzare la cosiddetta “insegna arcivescovile” ossia ad andare in guerra per conto del vladyka. Il comandante, come abbiamo detto, era un uomo del vladyka che rispondeva esclusivamente ai suoi ordini. E’ chiaro che in qualche caso scoppiavano malintesi fra il tysiazkii o il namestnik e l’Arcivescovo stesso o persino fra la strategia dei bojari e quella di Monsignore.

Altra prerogativa importante era che Monsignore, quale pastore sia di ricchi che di poveri, sia di potenti che di sudditi, riusciva a mediare fra tutti e veniva riconosciuto quale paciere ufficiale da tutte le componenti sociali cittadine.

In questo ruolo abbiamo già ricordato che in caso di speciali missioni all’estero, era proprio il vladyka a condurle, a far da ambasciatore autorevole perché o portava denari per riscatti e trattative e quindi gli era data piena fiducia o perché sapeva trovare gli argomenti giusti e le connivenze adatte o perché, ad esempio, era l’unico a saper parlare il “latino”.

Le figure notevoli di vladyki novgorodesi, poi divenute anche leggendarie e popolari, sono l’arcivescovo Giovanni che resse la cattedra di Santa Sofia nel XII secolo e che, come abbiamo, visto fu coinvolto nel miracolo dell’icona piangente e della tomba che sprofonda. L’arcivescovo Mosè e il monaco Gregorio Kalekà, eletto poi col nome di monsignor Basilio, sono pure molto importanti per la città e per la sua ricerca e difesa della propria indipendenza, ma un vladyka (1429-1458), monsignor Eutimio II, vogliamo menzionare in particolare, poiché rimise in ordine le Cronache locali che poi furono sequestrate e trasferite a Mosca dove, in gran parte, furono ora integrate ora completamente revisionate perché considerate apocrife o politicamente scomode!

Un visitatore dalle lontane Fiandre, un cavaliere Gilbert de Lannois visitò Novgorod nella prima decade del XV sec. e fu profondamente impressionato dal “vescovo” che come “sovrano della città”, vive in un castello lungo le rive del fiume ossia nell’Arcivescovado di Santa Sofia…

Dunque questa era l’impressione che riceveva lo straniero quando incontrava Monsignore.

Ciononostante dalla storia successiva, al tempo della caduta di Novgorod (1478), sarà proprio questo capo della città, il grande arcivescovo e patriota Teofilo, che suo malgrado (avrebbe potuto impersonare la riscossa e il governo indipendente della città sotto la protezione polacca!) la consegnerà al nuovo padrone moscovita, il quale ultimo infatti temeva che «… Novgorod cadesse in mano latina (leggi: lituano-polacca)…».

 

          

Estratto dal libro di Aldo C. Marturano, è caduta la Repubblica!, Vignate 2005.

  

    

©2005 Aldo C. Marturano

  


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