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di Lawrence M.F. Sudbury

  

Islam e occidente"Così vicini, così lontani", potremmo dire.

Incontriamo ogni giorno il "mondo islamico", sui mezzi pubblici, al lavoro, passeggiando per strada e non c'è giornale al mondo che non debba dedicare quotidianamente almeno una pagina ai suoi fermenti, ai suoi contrasti, alle sue lotte intestine, tanto che termini lontani, di una cultura totalmente altra rispetto alla nostra, come Sunna, Sciitismo, Jihad, Sha'aria, Rais e molti altri ancora, sono diventati parte del vocabolario occidentale. Eppure quello islamico rimane sempre e comunque un "universo altro", con leggi che non capiamo, con una storia che abbiamo studiato solo marginalmente e con una visione parziale a causa del nostro essere "dall'altra parte" sui libri di scuola, con abitudini che possono apparirci incomprensibili, quantomeno curiose se siamo di mente aperta, barbare in caso contrario.Due volti dei paesi arabi

In un'epoca di turismo di massa, poi, tutti pensano di poter facilmente conoscere questo "mondo islamico" anche personalmente: ogni estate centinaia di voli charter partono superaffollati da migliaia di europei alla ricerca dell'"esotico" e del "diverso" in qualche villaggio turistico nordafricano o mediorientale, migliaia di turisti che, al ritorno, pensano di conoscere il "mondo arabo", di averne compreso l'essenza dopo aver parlato per pochi minuti con qualche animatore turistico o con guide che appaiono così gentili da non poter appartenere agli stessi popoli che alimentano le fila di Al-Qaeda, che compiono stragi come quella dell'undici settembre ... Insomma, tutti pensiamo di poter comprendere i meccanismi dell'Islam e di poter persino assorbire le "dissonanze cognitive" che derivano da un lato dalle nostre esperienze di "villeggianti che portano soldi" e dall'altro da quanto leggiamo sulle violenze che esplodono periodicamente e con un ritmo impressionante da Rabat a Bagdad.
Ma non è così.

  • UN'ALTERITA' RADICALE

Per quanto sia difficile anche solo da accettare, è necessario ammettere una volta per tutte che l'essenza profonda del pensiero islamico ci rimane sconosciuta e ci risulta sempre e comunque incomprensibile nella sua interezza, per la semplice e insieme profondissima ragione che essa rappresenta per noi una diversità così radicale e assoluta da non poter in nessun modo essere incanalata, oggi (forse, almeno in parte, sarebbe stato diverso qualche centinaia di anni fa), nelle nostre strutture mentali.
Perché? Per molte ragioni.

giovane jihadistaSolo per accennare alle principali, in primo luogo perché si tratta di un pensiero fondamentalmente religioso, completamente differente per nascita, sviluppo e conseguenze causa-effetto da quello laico occidentale a cui siamo abituati. Volente o nolente, infatti, mondo arabo significa Islam e l'Islam è una religione onnicomprensiva, che penetra in ogni ambito, che dà forma a qualunque aspetto della vita. Così, il rapporto con Dio, con la fede, con i rappresentanti del clero e gli interpreti della "volontà divina" diventa in profondità il senso di qualunque attività, sia essa politica, sociale, economica o culturale: ogni atto ha, dunque, un riferimento "alto", anzi, assoluto, perché ogni cosa è sempre e solo "inshallah", "se così vuole Dio", e ogni comportamento si conforma, si deve conformare, almeno formalmente, alla volontà divina, indiscutibile, immutabile, verso la quale ogni Musulmano non può che rapportarsi unicamente assumendo un atteggiamento, appunto, di "islam", di "sottomissione" [1].

E la differenza tra cultura laica e cultura religiosa in questo non è cosa da poco. E' questa differenza che aiuta a spiegare ciò che per noi appare inspiegabile, terribile, persino barbarico, che aiuta a comprendere i "martiri" terroristi così come l'accettazione di sistemi legislativi che per noi appaiono spesso inumani, con le loro punizioni corporali e cruente: ogni cosa si chiarisce un po' se si pensa che nella società islamica la sfera del sacro e la sfera del quotidiano si toccano e si intersecano continuamente, tutto rimane misterioso e semplicemente liquidato come assurdamente fanatico laddove, come nella nostra cultura, la separazione di ambiti è e deve essere molto chiara.
Da questa ragione principale derivano tutte le altre.

  • UNA CULTURA ACRONICA

CoranoLa seconda grande ragione di "impossibilità di comprendere" ne è, ad esempio, solo una conseguenza: il sistema di pensiero arabo, o almeno della maggioranza araba, è "acronico". Di per sé ciò è ovvio, persino implicito proprio in quanto detto sull'assolutezza del pensiero religioso: se tutto viene da Dio, dalla sua volontà immutabile, ebbene, di conseguenza tutto, legge, morale, sistema di vita, è sancito da sempre e una volta per sempre, immutabilmente. Ma questa è solo la base.
In realtà, questa "immutabilità" non differirebbe da quella di ogni religione fondata su un dettato sacro, Cristianesimo compreso (pur tenendo conto della differenza di importanza del dettato divino nell'esistenza del singolo tra mondo islamico e, ad esempio, mondo cristiano in gran parte ormai piuttosto lontano dalla religione). Ciò che, però, più aumenta le distanze tra Islam e occidente è l'impossibilità, per la maggioranza sunnita (per questo si parlava di "maggioranza araba"), anche di attualizzare l'interpretazione del "verbo sacro", di adattare la sua sostanza alla forma e a contesto di un mondo in evoluzione. Tale impossibilità è dovuta al "taglid", cioè alla chiusura del lavoro interpretativo del Corano e della Sunna operato nel XIII secolo con la cristallizzazione della visione delle Sheikquattro scuole teologiche classiche sviluppatesi fino a quel momento [2]. Se anche alcune minoranze contrappongono al "taglid" la necessità di una "islah" [3], cioè di una riforma, il mondo arabo, proprio per questa "ibernazione" del pensiero religioso accettato dalla stragrande maggioranza dei Musulmani, si è trasformato in un universo statico in cui ciò che conta è l'"imitazione di quanto già esistente" senza alcun progresso, che, nella visione di molti, sarebbe eretico.

Proviamo a porci la domanda: "noi riusciremmo a pensare come un Cristiano del 1200?": se la risposta, come appare naturale, non può che essere negativa, ecco che abbiamo appena intuito gran parte dell'enorme fossato mentale che ci separa dai popoli arabi.

In questo senso, appare assurdo ogni tentativo di comprensione o addirittura di supporto da parte occidentale (soprattutto da parte di alcuni intellettuali filo-arabi che, per posizioni ideologiche, vogliono giustificare qualunque atteggiamento islamico in nome di una apertura mentale che, in buona sostanza, finisce per essere solo un'altra forma di chiusura) di pratiche e strutture sociali che agli occhi di un europeo contemporaneo possono solo apparire "medievali" (dalla posizione femminile spesso, e questo dovrebbe farci riflettere a lungo, autoimposta alle rigidità di regole di vita quotidiana e di socialità ai limiti, ai nostri occhi, della follia): il fatto è che tali pratiche e strutture ci appaiono "medievali" semplicemente perché lo sono, perché sono nate in un periodo storico in cui regole analoghe e strutturazioni sociali paritetiche esistevano anche in occidente, con la differenza che nei Paesi arabi esse si sono congelate come "regole divine", divenendo intoccabili [4].


  • IL SENSO DELLA UMMAH 

Islam nel mondoPerché è avvenuto tale congelamento? A causa della terza grande differenza tra cultura occidentale e cultura arabo-islamica: la preponderanza del peso della collettività sul peso del singolo.

Per comprendere questo punto, è necessario introdurre un concetto tipicamente islamico, quello di "ummah". La "ummah" è, nell'Islam, la comunità dei fedeli che forma un corpo unico davanti a Dio, la parte visibile, tangibile, del corpo mistico formato dall'unione di Dio con i credenti a lui sottomessi. La ummah è, di conseguenza, basata su una relazione sacra e, proprio per questo, è essa stessa sacra [5]. 

E da qui derivano una quantità notevole di corollari.

Senza contare il senso di fratellanza di tutti i Musulmani nell'Islam e il concetto di "Dar-al-Islam", terra sacra dell'Islam, patria della ummah e intoccabile dagli infedeli (che è, poi, il vero senso coranico della "jihad", troppo spesso stravolto dai fanatici wahhabiti [6]), forse gli elementi che possono apparire più difficili da inquadrare per chi ragiona con strutture mentali europee o americane sono la condanna assoluta dell'apostata ("murtaddun") come il peggiore dei criminali e, piuttosto paradossalmente, la relativa neutralità di giudizio nei confronti di chi si ribella all'autorità costituita ("baghi").
In realtà, tale apparente contraddizione risulta già più comprensibile alla luce delle vicende storiche del mondo islamico ma, soprattutto, alla luce di quanto affermato riguardo alla ummah. Se, infatti, l'apostasia risulta essere il rifiuto delle basi si cui si regge il senso stesso della ummah e, di conseguenza, un pericolo gravissimo per la sua stessa esistenza, la ribellione, se mantenuta all'interno dei limiti della fede, non viene vista tanto come un tradimento della comunità Diffusione Sunniti e Scitistabilita da Dio, quanto, piuttosto, come un reindirizzamento, più o meno lecito a seconda dei singoli casi, della comunità stessa per meglio adempiere ai comandi divini [7].

è cosa nota che, praticamente dai primi anni della sua esistenza e fino a tutto il medioevo l'Islam ha avuto una forte tendenza a dividersi in fiumi e rivoli dottrinari, spesso in lotta tra loro: la chiusura dell'interpretazione nasce, di fatto, proprio dalla volontà di impedire ulteriori divisioni e di mantenere una unità teologica della ummah, ma, questo non implica una necessaria unità politica, come appare chiaro anche dalle recenti rivolte che stanno scuotendo il mondo arabo, proprio in virtù della liceità della ribellione, soprattutto dopo la fine dell'istituzione califfale.

Che cosa è questa istituzione, per secoli fondamentale all'interno dell'Islam?

Partiamo da una considerazione storica: se la ummah è, dai tempi del Profeta, la base della società islamica in astratto, nel concreto essa ha avuto una sorta di riflesso politico nel califfato, nella struttura statale che ha al suo vertice l'erede di Maometto incaricato di guidare il popolo arabo. Ebbene, dopo l'abbattimento del califfato per mano dei Mongoli, tale struttura viene sostituita, nell'immaginario collettivo e in funzione di collante del mondo arabo, dal sultanato ottomano, che diventa, conseguentemente, depositario delle chiavi del potere temporale sulla ummah [8].

Simbolo imperialeDifficilmente è possibile capire la fisionomia del mondo arabo attuale, con i suoi conflitti interni ed esterni e  i suoi rapporti spesso difficili con l'occidente se si prescinde dal prendere in considerazione lo shock socio-culturale legato alla fine del sultanato ad opera della rivoluzione militare dei 1924. Nonostante la caduta dell'ultimo sultano-califfo, Abdul Mejid fosse stata in parte causata proprio dai vari nazionalismi arabi (ma molto più dalle mire colonialiste ed espansioniste europee), la fine dell'istituzione califfale segnò, in qualche modo, la chiusura di un'epoca lunghissima, iniziata nel 1299, e, soprattutto, la scomparsa dell'ultimo elemento politico unificante della ummah, venendo vissuta come un trauma epocale e lasciando nell'animo dei fedeli un vuoto che ancora oggi richiede di essere colmato con una ricomposizione dell'unità.

Da quel momento in poi, comunque, ogni Paese in cui la ummah si trovò frantumata, ebbe una storia a sé stante, nella maggioranza dei casi, in epoca post-coloniale, segnata da moti ondivaghi tra desiderio di modernità e riscatto nazionale (che ha dato spazio, in numerose occasioni, a svolte dittatoriali) e profondo sentimento di frustrazione per un passato perduto, visto come luogo e tempo della "purezza dottrinale", idealizzato in forma quasi edenica e concretamente legato al passato imperial-califfale [9].

IslamEcco, dunque, che, sempre nell'immaginario collettivo di buona parte del mondo arabo il tempo presente rimane caratterizzato dalla frantumazione della ummah e dal senso di essere parte di quello che fu un "dominio universale", una grande unità coesa che non esiste più ma che dovrebbe, secondo gli islamici più ferventi, ritornare a vivere.
è questo il sogno di gran parte delle correnti fondamentaliste arabe, un sogno che può essere spunto per diversi indirizzamenti politici, in gran parte, secondo la teologia islamica, accettabili e che, proprio nella loro liceità, impediscono qualunque schieramento delle istituzioni preposte all'accertamento dell'ortodossia in base alla Sha'aria anche nelle recenti vicende del mondo arabo.

Visto che, per quanto detto in precedenza, non potremo mai superare pienamente lo scoglio della diversità che culturalmente, persino mentalmente, ci separa dal mondo islamico, possiamo semplicemente liquidare tale mondo come una specie di entità aliena inconoscibile?

Certamente no.
Lasciando anche da parte il livello storico che vede una discreta parte d'Europa, dalla Spagna moresca al sud Italia, come parzialmente erede di tratti socio-culturali di derivazione arabica, è a livello pratico che una resa di fronte alla incomprensibilità di un universo lontano dal nostro sarebbe letale: in primo luogo perché questo mondo, per quanto, appunto, lontano dal punto di vista del pensiero, è vicinissimo dal punto di vista geografico, fino a far parte di quella grande comunità mediterranea di cui anche il nostro Paese fa parte; in secondo luogo perché, proprio come conseguenza di tale vicinanza e di una crisi economica che da ben più tempo e con maggiore intensità colpisce il Paesi arabi rispetto a quelli occidentali, i nostri due "mondi" si stanno se non amalgamando almeno La Meccaapprestando a condividere sempre di più gli stessi spazi, a convivere spalla a spalla anche se difficilmente mescolandosi e una tale dinamica può essere pacifica o violenta, ma in ogni caso, è inevitabile; infine, perché la definizione di "alieno" implica una certa dose di ostilità, che quotidianamente si manifesta in tutte le aree di migrazione e assume connotazioni tragiche in caso di eventi terroristici o bellicosi o di atti di aperto razzismo, una ostilità che può e deve essere rimossa solo attraverso il rispetto per le differenze.

Che cosa possiamo fare, dunque? Se ci è impossibile anche solo comprendere a pieno il pensiero arabo, quello che, comunque, ci è permesso fare è osservare e tentare di capire le ragioni, le radici della diversità, le dinamiche di un mondo altro e il loro rapportarsi con le nostre dinamiche.

è questo il senso dello studio della storia e dell'evoluzione dell'Islam che si tenterà in queste pagine.
Perché solo conoscere tale fisionomia storica può portare non alla condivisione degli atteggiamenti, non alla sottomissione culturale di una parte nei confronti dell'altra, ma certamente al rispetto che è dovuto ad ogni civiltà.

    

 
 

NOTE

(1) M.K. Nydell, Understanding Arabs: A Guide for Modern Times, M.K. Nydell 2005, pp. 21 ss.
(2) J. Al-Omari, Understanding the Arab Culture, How to Books Ltd. 2008, pp. 83 ss.

(3) Ivi, p. 94.
(4) H.I. Barakat, The Arab World: Society, Culture, and State, University of California Press 1993, pp. 18 ss.

(5) S.O. Cox, P.V. Martinson, Islam: An Introduction for Christians, Augsburg Fortress Publishers 1994, p. 31.
(6) A. Wahalid, Jihad, a Misunderstanding, Columbia Press 2007, passim.
(7) S. Khalaf, R. Khalaf, Arab Society and Culture: An Essential Guide, Saqi Books 2010
, pp. 49-51.
(8) H.I. Barakat, citato, pp. 89 ss.

(9)  Ivi, pp. 106-118.
  
   
 

  

    

©2011 Lawrence M.F. Sudbury

 


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