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           MEDIOEVO ERETICALE

    a cura di Andrea Moneti


Il demonio in un manoscritto medievale

  

Iconografia del male

La Chiesa era ben consapevole dell’analfabetismo diffuso della popolazione, e fece un uso intenzionale dell'immagine per informarlo e, soprattutto, per formarlo. Per un tempo assai lungo, nelle immagini dipinte o scolpite prevalse l’aspetto didattico ed ideologico su quello propriamente estetico. Anche i colori, oltre alle forme, divennero dei simboli (pensiamo, ad esempio, al primato del rosso, colore imperiale).

L’idea di diversità, di rovesciamento dei connotati umani e divini, sta alla base della rappresentazione iconografica del maligno. Sia che esso venga raffigurato in forma umana che ferina, la sua corporeità presenta elementi esagerati e mostruosi. Lo scopo era quindi quello di impressionare e spaventare i peccatori con le minacce dei tormenti infernali e le fattezze mostruose e bestiali dei diavoli li distinguevano dalla dignità angelica.

Nelle rappresentazioni dei primi secoli cristiani, fino al IX secolo circa, il demonio ha fattezze umanoidi: con un aspetto di un essere piccolo e deforme, oppure quello di un vecchio; oppure come un essere grande e grosso, con fattezze umane, ma con artigli ai piedi. A volte anche come un angelo vestito di bianco. Tra gli attributi più frequenti del diavolo in forma umanoide ricordiamo una capigliatura liscia e scura e, successivamente, serpentina; gli occhi di fuoco, e il naso lungo e ricurvo (particolare, quest’ultimo, connesso allo stereotipo razziale degli ebrei al fine di demonizzarli).

Come animale o mostro il diavolo incomincia ad apparire con maggiore frequenza a partire dall’XI secolo. Le rappresentazioni ferine o mostruose seguivano l’immaginario medievale e quasi sempre richiamavano in qualche modo serpenti, gatti, lupi, caproni e pipistrelli. Fra gli attributi più comuni si possono ricordare la coda, le orecchie animali, la barba caprina, gli artigli e le zampe - specialmente quelle posteriori - da capro. Le corna, in un primo momento non molto diffuse, lo divennero verso l’XI secolo (basti pensare al gran numero di citazioni di questo attributo nei proverbi popolari). Il diavolo era spesso alato: nell’Alto Medio Evo le sue ali erano quasi piumate, mentre dal XII secolo cominciarono a comparire le ali da pipistrello.

Per quanto riguarda i colori, il diavolo, di solito, era raffigurato con il nero, altrimenti poteva apparire blu o viola, tutti colori che comunque stavano ad evidenziare la sua natura infima. Secondo lo schema galenico dei quattro elementi, egli era costituito di aria scura e densa, in contrapposizione agli angeli che, composti di fuoco etereo, erano di colore rosso o bianco. Solo nel tardo medioevo il rosso divenne un colore diabolico, associato al sangue e alle fiamme infernali. Altre volte, ma meno frequente, troviamo il diavolo raffigurato anche in marrone o grigio pallido, il colore dei malati e dei morti.

Accanto alle raffigurazioni del diavolo, l’iconografia medievale rappresentava e associava i simboli di morte a quelli diabolici, per evidenziare la contrapposizione duale tra l’anima e il corpo, la luce e il buio, la vita e la morte. In questo modo, anche la morte diviene un principio negativo legato al “male”, e la si “demonizza” (basti pensare alle varie danze macabre che, soprattutto dopo la peste nera, vengono rappresentante un po’ ovunque). Il diavolo, privo di bellezza e armonia proprio per rappresentare una ripugnante deformazione della natura umana e angelica, intesa come modello di bellezza e perfezione (umana e divina), nella rappresentazione folklorica assume, spesso, anche un carattere grottesco e burlesco (frequenti sono le parodie e storielle, che parlano delle sue sfide con i Santi, a suon di peti).

A partire dal ’300, l’immagine di Dio comunemente rappresentata è quella di un giudice terribile e implacabile, che permette immani flagelli, come la peste (soprattutto dopo la peste nera del 1348-49) e carestie, per punire le colpe degli uomini. Satana occupa un posto di rilievo e ovunque sono dipinti e raffigurati demoni e tutti coloro che la Chiesa reprimeva per la loro devianza dottrinale, attraverso il Tribunale dell’Inquisizione, ovvero eretici, ebrei, atei, ma soprattutto streghe, conseguenza dell’ossessione misogina della Chiesa nei confronti della donna.

Il sesso, in particolare quello femminile, diventa la tentazione per eccellenza. La ragione di questa visione sessuofobia e fortemente misogina risiede nel fatto stesso che ella, essendo nata dalla costola dell’uomo, “è più carnale dell’ uomo, più imperfetta, ed essendo più carnale, la tentazione si accanisce sulla donna, che per sua natura “inganna sempre”. È superfluo ricordare il manuale, violentemente misogino, di due inquisitori tedeschi, Jakob Sprenger ed Heinrich Institoris, per l’identificazione e la punizione delle streghe, il Malleus maleficarum, che ebbe tra il 1486 e il 1669 ben 34 edizioni e che, fra il ’500 e il ’700, centinaia di migliaia di donne persero la vita a causa della caccia alle streghe.

  

Le sacre rappresentazioni

Nell’alto medioevo, ma poi soprattutto a partire dal secolo XIII, si assiste ad una vasta diffusione di quella particolare espressione della vita cristiana che sono le “sacre rappresentazioni”. Si trattava di spettacoli che traevano la loro origine dalla liturgia ecclesiastica. All’inizio erano in latino, ma poi per renderle più accessibili al grande pubblico non colto, si espressero anche in lingua volgare. Generalmente il dramma medievale è distinto in tre generi:

   i misteri, legati alle feste liturgiche dell’anno

   i miracoli, sorti verso il XII secolo, riferiti alle vite dei santi

   le moralità, testi fioriti più tardi alla fine del XV e all’inizio del XVI secolo, descrivono la lotta tra il bene e il male nella vita di ogni uomo a scopo eminentemente penitenziale.

Pur di natura diversa, tutti e tre i generi teatrali raccontano la storia della salvezza e del peccato nei suoi momenti principali: la creazione e la caduta di Lucifero e di Adamo; la redenzione di Cristo e la sconfitta di Satana; l’escatologia e il giudizio universale.

In tale contesto il diavolo è molto presente e la sua figura assume un ruolo rilevante. La sua figura diffonde drammaticità e terrore sulle scene, poiché rappresenta il male, la tentazione e il castigo eterno. Nelle rappresentazioni religiose il diavolo viene quasi sempre sconfitto e rappresentato in maniera goffa e ridicola ed in atteggiamenti stupidi e burleschi.

 

I bestiari: allegorie del bene e del male

Il Medioevo cristiano non ha imboccato, come l'ebraismo e l'lslam, una via iconoclasta e presenta un assoluto primato rispetto a ogni altra cultura, nella ossessiva e costante raffigurazione dell'animale, fornendo un'interpretazione alle­gorica del mondo reale. Nei secoli centrali del Medioevo si assiste ad un’esplosione di idee e rappresentazioni zoomorfiche, fatte di colo­re e di pietra, che investe la vita quotidiana di quei secoli, dai mosaici alle miniature, dagli affreschi ai capitelli delle navate, e che raffigura la via della perdizione/redenzione attraverso un bestiario mistico, oggi per noi non sempre decifrabile. Questo bestiario, con la sua forte capacità evocativa, ha le sue fonti non solo nei testi sacri, la Bibbia, i Salmi e l'Apocalisse, ma anche la letteratura classica delle scuole aristoteliche e alessandrine (ancora molto presente nei mosaici bizantini) e testi latini come la Historia naturalis di Plinio e le Metamorfosi di Ovidio, che hanno dato origine al gusto dei mirabilia e dei mostri.

Da qui nasce tutta una simbologia rappresentativa volta a descrivere il mondo naturale e spirituale medievale. A Gesù (ma anche agli Apostoli e al Battista), ad esempio, è assimilato innanzi tutto l'agnello, presente in innumerevoli passi biblici. Maria è spesso identificata con una conchiglia perli­fera (alludendo alla sua miracolosa concezione), mentre gli Evangelisti sono sempre associati alla visione di Ezechiele: un bue per Luca, un angelo per Matteo, un leo­ne per Marco e un'aquila per Giovan­ni. Il pavone e la fenice sono simbo­li dell'immortalità e il cervo, che si ab­bevera alla fonte, della fede. Più sottili e talora di difficile interpretazione l’allegoria associata ai vizi e alle virtù: la lumaca e la tartaruga rappresentano l'accidia, il gallo la vigilanza sul peccato, i vizi della lussuria e della gola da una serie di animali considerati particolarmente lascivi o immondi (come l'ibis, la iena, il porco). Gli ebrei vengono di frequente rappresentati da un asino, da una civetta o da uno struzzo (che na­sconde la testa nella sabbia per non vedere la verità), e i musulmani (e talvolta gli stessi ebrei) da uno scorpione.

Il bestiario diabolico si è scatenato nel rappresentare i vizi, il peccato e l'e­resia. Satana è innanzi tutto raffigurato, ovviamente, da un drago o dal serpente tentatore, od anche dai mostri biblici. Sul suo aspetto l'arte romanica si è sbizzarrita creando forme insolite e straordinarie. Segue poi una folla di creature ritenute malvagie, ripugnanti o subdole come l'onagro, la pernice, la volpe (ingannatrice per definizione), la scimmia (ritenuta una squallida imitazione dell'uomo), il lupo, il ca­prone, la rana e il rospo.

Bisogna fare attenzione a non cadere in rigidi schematismi poiché sia nel bestiari che nelle arti figurative medievali spesso si assiste ad un’ambivalenza di signi­ficati. Non è raro, infatti, riconoscere lo stes­so animale sotto aspetti contrastanti (qualitates oppositae) e quindi sim­bolo, di volta in volta, del bene o del male, rendendo, ovviamente, complessa la sua interpretazione. Se si tol­gono poche idee fisse (agnello, ser­pente...), quasi tutti gli animali si pre­stano a funzioni allegoriche contrarie. Lo stesso leone è simbolo di Cristo, come re, ma anche del demonio e del male («calpesterai draghi e leoni», recitano i Salmi). Il grifo viene raffigurato da Dante nel Paradiso come simbolo di Cristo, per via della sua doppia natura (di aquila e di leone) alludendo alla divinità/umanità del Redentore, ma allo stesso tempo, in gene­rale, viene anche concepito come l’archetipo del­le creature demoniache, spesso scolpito o dipinto come divoratore di uomini.

L'eterna guerra tra il bene e il male è talora simboleggiata da scene di caccia con Satana, cacciatore, che insegue le anime, in una simbologia rappresentativa in cui l'uomo è ritratto da animali da preda (il cervo, la lepre). Altre volte, invece, l’uomo è un guer­riero che combatte con animali feroci, come il cinghiale, esprimendo in questo modo la lotta della virtù contro il peccato. In questa lotta intervengono anche i santi, veri e propri intermediari con il mondo soprannaturale. Non solo santi guerrieri che sopprimono il drago, come San Giorgio, San Michele e Santa Marta, che uccide la "Tarasca", il drago della Proven­za, ma anche mediatori come Sant'Antonio, spesso raffigurato nel folklore popolare assalito da una moltitudine di animali rappresentanti le tentazioni, e Francesco d’Assisi che pre­dica agli uccelli e al lupo. E i Domenicani (domini canes, cani di Dio) amano autoraffigurarsi in forma di levrieri, a caccia di eretici.

  

Il Male nella Divina Commedia

Con il poema di Dante Alighieri (1265- 1321) Satana assume un ruolo e un significato di grande rilievo. Nell’Inferno, Lucifero, il principe dei demoni, è caduto dal cielo, ove era il primo degli angeli ed è precipitato sulla terra fino ad essere immerso al suo centro e lì resta immobile e imprigionato. Nell’ultimo canto dell’Inferno, Lucifero è rappresentato in modo grossolano e ripugnante. Esso è privo di vera attività e di vitalità, è un essere spregevole, in aperto contrasto con la forza e la fecondità di Dio. Dante riprende, quindi, la concezione filosofica tomista del male come negazione dell’essere e raffigura il maligno nelle tenebre. Man mano che si scende nell’inferno, ogni cerchio punisce peccati sempre più gravi e pesanti, fino all’ultimo, il cerchio dei traditori. Satana è posto al centro, inerte sprofondato nel ghiaccio, come se tutto il peso dei peccati gravitasse su di lui e ne fosse schiacciato. In tal modo Satana diventa il simbolo del nulla, e il nulla di Satana pervade le bolgie infernali.

Lo stagno ghiacciato, che lo trattiene immobile, segno di morte e di freddo assoluto, rappresenta lo spirito che si e chiuso definitivamente a Dio. Le tenebre in cui è immerso evidenziano la sua ottusità e irrazionalità, mentre la sua massa di materia inerte e pesante simboleggia il suo “non essere”, opposto alla leggerezza dello spirito e dell’intelligenza. La sua bruttezza, un tempo splendido angelo, è la totale negazione della bellezza e dell’armonia dell’essere divino. Lucifero è per Dante, influenzato in questo anche dalla visione di Tendale, l’espressione della nullità della menzogna e della negazione dell’amore e della vita. È semplicemente una “cosa” ripugnante e priva di senso.

  

  

 

©2005 Andrea Moneti

     


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