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           MEDIOEVO ERETICALE

    a cura di Andrea Moneti


Elia da Cortona

    

Il XIII secolo è senz’altro quello di Francesco. Al santo d’Assisi si sono ispirati numerosi movimenti, in primo luogo quello fondato da Gherardo Sega­relli. Per i suoi contemporanei il “poverello” d’Assisi era l’angelo del sesto sigillo secondo l’Apocalisse, l’alter Christus che secondo Gioacchino da Fiore doveva aprire il terzo e ultimo status, quello della ecclesia spiritualis. Con lui la povertà (paupertas) divenne uno dei principali problemi della religiosità del Basso Medioevo, usato, spesso, come denuncia della condotta morale della Chiesa e il suo esercizio del potere. È indubbio che il messaggio del “poverello” di Assisi venne ridimensionato e attenuato (solo quattro anni dopo la sua morte nella bolla Quo elongati, emanata da Gre­gorio IX, si dichiarava che il Testamen­to di Francesco non aveva un carattere obbligante sul piano giuridico per i suoi successori). Possiamo, forse, affermare che l’ordine dei Frati Minori sotto il ministro generale Elia, verso la metà del XIII secolo, con le sue solenni opere edilizie, con la raccolta delle elemosine, con i suoi membri magister all’università di Parigi o inquisitori, fosse lo stesso e  perseguisse gli ideali del santo suo fondatore? Probabilmente, anzi sicuramente, no.

 

Gli Spirituali e i Fraticelli

Le prime divisioni sull’interpretazione del messaggio di Francesco si manifestarono già durante la sua vita, ma divennero intense dopo la sua morte, nel successivo sviluppo dell’Ordine francescano. Queste divisioni dettero luogo a due correnti di pensiero: quella cosiddetta degli Spirituali, fedeli allo spirito della Regola e al Testamento di Francesco, praticando l’ideale di assoluta povertà, e ispirati alle visioni escatologiche di Gioacchino da Fiore, e quella designata dei Conventuali, molto più propensi rispetto ai primi a uniformarsi agli altri ordini religiosi e a cle­ricalizzarsi, deviando, sostanzialmente, dagli ideali del fondatore. Il tentativo di istituzionalizzare il movimento religioso a cui Francesco aveva dato vita ebbe inizio già sotto il generalato di frate Elia da Cortona (generale dell’ordine nel periodo 1221-1227 e 1232-1239). Primo e ultimo gene­rale appartenente alla fazione degli Spirituali fu Giovanni da Parma, (1247-1257), uomo integro e di grande zelo religioso, che, però, non riu­scì a ricondurre i suoi confratelli ai principi originari. Sotto Bonaventura da Bagnoregio, eletto generale dell’Ordine nel 1257, carica che mantenne per diciassette anni, si arrivò addirittura a scrivere una nuova biografia di Francesco (la Legenda maior S. Francisci). Manipolando il messaggio originale del santo e dei francescani più rigoristi (“fratres qui cum eo fuimus” come amavano definirsi), Bonaventura arrivò a condannare apertamente le posizioni della corrente degli Spirituali nelle “Costituzioni Narbonesi”, per incanalare definitivamente il movimento in un vero e proprio ordine, come quello dei frati predicatori, fondato da Domenico.

La scissione degli Spirituali, i frati minori più coerenti all’impostazione della communitas francescana originale, avvenne nel 1274. Venti anni più tardi i sostenitori più ferventi e radicali della po­vertà evangelica, fedeli all’ideale di Francesco, vennero nominati Fraticelli. In aperto contrasto con i Minori francescani appartenenti alla corrente dei Conventuali, si raccolsero intorno a due personaggi: Pietro da Macerata e Pietro da Fossombro­ne. Nel 1294 i Fraticelli ottennero da papa Celestino V, il papa del famoso “gran rifiuto”, l’autorizza­zione a staccarsi dall’Ordine per fondare una loro congregazione. Pietro da Macerata si fece chiamare Fra Liberato e Pietro da Fossombrone Angelo del Chiarino o Cla­reno, mentre la loro congregazione prese il nome di “Poveri eremiti di Celesti­no” e in seguito “Fraticelli della povera vita” (fu lo stesso Clareno, guida della congregazione, a chiamarla così). Nel 1310 papa Clemente V (1305-1314) per discutere la possibilità di una rappacificazione tra le due anime dei francescani,  convocò ad Avignone il generale dell’ordine, Gundisalvo di Valleboa e alcune tra le personalità principali tra gli spirituali, rappresentate da Raymond Gaufredi, Guy de Mirepoix, Bartolomeo Sicardi e Ubertino da Casale, ma con scarsi risultati.

Elemento comune degli Spirituali fu la questione della po­vertà rigorosa, ma non furono mai un gruppo compatto e omogeneo. Si raccolsero in gruppi distinti e influenzati dalle forti personalità e, quindi, interpretazioni della Regola di Francesco, di Ugo di Digne, Angelo Clareno, Ubertino da Casale e soprattutto Pietro di Giovanni Olivi (morto nel 1298), di origine provenzale, sicuramente il più importante interprete della corrente spirituale. Fu un uomo di grande virtù, che, malgrado il suo atteg­giamento di obbedienza verso la Chiesa e anche verso Bonifacio VIII (1294-1303), dopo la tragedia di Celestino V, il papa angelicus, condannò apertamente la condotta delle gerarchie ecclesiastiche, reclamando per i suoi confratelli la povertà rigorosa. Rifacendosi alle profezie di Gioacchino da Fiore, ripose le sue spe­ranze in un’epoca migliore e di rinnovamento della Chiesa. Grosso modo il movimento degli Spirituali ebbe una particolare diffusione in tre aree geografiche:

ü      Nelle Marche e in Umbria, dove si sviluppò dal 1274 sotto la guida di Liberato da Macerata e, successivamente, dal 1307, di Angelo Clareno.

ü      Nella Francia meridionale, guidati da Pietro di Giovanni (Pier Jean) Olivi, fino al 1298.

ü      In Toscana, dove il punto di riferimento dei francescani Spirituali fu Ubertino da Casale.

Sotto il pontificato di Bonifacio VIII, apertamente ostile nei confronti del loro movimento, come di tutti quelli in odore di eterodossia, sentendosi minacciati, alcuni fraticelli, fra i quali fra Liberato e Angelo Clareno, emigrarono in Grecia. Solo dopo varie peripezie e persecuzioni, fra Liberato e alcuni altri Fraticelli, ritornarono dalla Grecia per sta­bilirsi nel Napoletano, dove Carlo II li citò in giudizio davanti all’in­quisitore fra Tommaso d'Averno che, notoriamente, detestava i Francescani. Venne risparmiato solo fra Liberato, ma con la tor­tura costrinse gli altri suoi compgani a confessare di essere caduti in ere­sia e di aver fatto causa comune con fra Dolcino. Ciò non era poi così lontano dal vero poiché tra la dottrina dei Fraticelli e quella degli Apostolici c’erano molte affinità (anche se i Frati­celli non vollero mai essere identificati come seguaci di fra Dolcino). Tutti e due i movimenti, infatti, predicavano la povertà assoluta ed erano fortemente influenzati dal gioachimismo; entrambi so­stenevano che la Chiesa di Roma e la sua gerarchia avevano perduto ogni potere spirituale e che soltanto i loro seguaci conducessero una vita perfetta. Ma soprattutto sia gli Apostolici che i Fraticelli erano certi che tutte le “età” precedenti (secondo lo schema gioachimita) rappresentassero una preparazione alla perfezione cristiana da loro raggiunta, con la totale rinuncia a ogni proprietà, sia individuale che comunitaria. Entrambi erano sicuri che un loro membro sarebbe salito al Soglio pontificio per riformare la Chiesa. Entrambi impiegavano per la Chiesa romana le espressioni gioachimite (apocalittiche) della “ecclesia carnalis” o di “meretrix magna”.

Le differenze che li dividevano e distinguevano si basavano soprattutto sul fatto che i Fraticelli ritenevano essere gli unici veri frati Mi­nori (se ne guardavano bene dal rinnegare la loro origine spirituale da san Francesco d’Assisi).; mentre per gli Aposto­lici l’Ordine fondato da Francesco era uno dei tanti ordini religiosi. Per i Fraticelli il potere spirituale della Chiesa romana era decaduto definitivamente con il pontificato di Giovanni XXII, il loro più acerrimo nemico; per gli Apostolici era finito molto prima, già con Silvestro I. Gli Apostolici, inoltre, non avevano una Regola, né tanto meno voti, e il loro fanatismo alla povertà evangelica era ancora più radicale. Tra gli Apostolici (o Dolciniani) lo spirito di libertà era molto più radicato e profondo rispetto ai Fraticelli. Lo stesso Angelo Clareno si espresse apertamente contro gli Apostolici: “Costoro contestano lo spirito di obbedienza e di fedeltà, vivono come animali, seguono soltanto la propria vo­lontà”. Questo, però, non impedì che, spesso, gli Apostolici venissero chiamati anche “Fraticelli”, termine che nel XIV secolo venne impiegato per indicare chi, al di fuori degli Ordini approvati, conduceva una vita in povertà volontaria e si vestiva in maniera umile.

 

La disputa sulla povertà

La cosiddetta disputa sulla povertà, che caratterizzò la prima metà del XIV secolo, si polarizzò sulla forte polemica e controversia tra chi sosteneva il predominio papale della Chiesa del tardo Medioevo e chi lottava apertamente contro di esso. Intorno al concetto di povertà si infiammarono aspri dibattiti e confronti, soprattutto quando papa Giovanni XXII (1316-1334) espresse la sua opinione, enunciata in varie bolle pontificie, sulla povertà di Cristo e degli apostoli, opponendosi alla tesi, cara ai francescani, secondo cui non avevano posseduto alcun bene, né in proprio né in comune. Questo papa autoritario, eletto il 7 Agosto 1316 dopo due anni di vacanza del potere pontificio dalla morte di Clemente V, condusse una politica centralista, come i suoi predecessori, e tentò di imporre la propria plenitudo pote­statis nella disputa sulla povertà per affermare il predominio della Chiesa su ogni questione religiosa, ma non solo. Ponendo in discussione la povertà di Gesù, Giovanni XXII non entrava in aperta contesa solo con gli Spirituali, che aveva scomunicato nel 1317 con la bolla Gloriosam ecclesiam, ma con l’intero Ordine francescano. Convocò ad Avignone gli Spirituali, rappresentati da Bernard Délicieux, senza non riuscire a difendersi dall’accusa di eresia. Fece bruciare sul rogo 4 fraticelli a Marsiglia nel 1318, senza riuscire mai a mettere le mani su Clareno (il capo dei fraticelli morì nel 1337, tre anni dopo la morte del Papa stesso). Mantenne la stessa condotta quando intervenne in prima persona nella disputa sul trono tede­sco, conteso tra Ludovico il Bavaro e Federico d’Austria, appoggiando apertamente nella penisola italiana il partito guelfo e sostenendo come vicario imperiale in Italia Roberto d’Angiò, fedele agli interessi della corona francese e ostile all’Impero, con mezzi finanziari e militari e con la scomunica.

Le maggiori resistenze le incontrò proprio sul terreno teologico. Una polemica dura e aspra che durò vent’anni e che coinvolse anche il suo successore Benedetto XII, con l’Ordine francescano, che difendeva la dottrina dell’assoluta povertà di Cristo e degli apostoli, condannata come eretica dal pontefice. Nel 1322 scese in campo lo stesso ministro generale dell’Ordine, Michele da Cesena, e con lui altri esponenti francescani di assoluto prestigio quali Bona­grazia da Bergamo e Guglielmo di Ockham (il protagonista del celebre romanzo Il Nome della Rosa di Umberto Eco), che convocò il Capitolo Generale dell’ordine a Perugina per emettere un pronunciamento a favore dell’assoluta povertà di Gesù Cristo e degli apostoli. Giovanni XXII nel 1323, con la bolla Cum inter nonnullos, dichiarò eretica la posizione sostenuta dall’Ordine e convocò nel 1327 Michele da Cesena ad Avignone per discolparsi, da dove, però, nell’anno successivo, temendo il peggio, fuggì per rifugiarsi alla corte dall’imperatore Ludovico il Bavaro.

La vicenda di Michele si inserì nella lotta per l’investitura tra Giovanni XXII e Ludovico il Bavaro, che era riuscito ad avere la meglio su Federico d’Austria, e che aveva manifestato l’intenzione di scendere in Italia in aperto contrasto con il pontefice che, nel 1324, lo scomunicò con l’accusa di aver esercitato un’autorità non approvata dal papa, arrogandosi il diritto di eleggere o deporre un imperatore. Il Bavaro, ovviamente reagì con durezza, e chiese la convocazione di un concilio generale per far dichiarare eretico Giovanni XXII. Michele da Cesena si schierò con il partito ghibellino ed entrò a Roma il 7 gennaio 1328 al seguito del Bavaro, che dieci giorni dopo venne incoronato in San Pietro da Sciarpa Colonna, in compagnia di Guglielmo di Occam, Marsilio da Padova e Ubertino da Casale. Nel corso dello stesso anno Giovanni XXII, oltre a non riconoscere il titolo di imperatore a Ludovico, scomunicò Michele da Cesena e lo dichiarò decaduto come generale dell'ordine. Ludovico intentò un processo di eresia contro il papa e nominò un’antipapa, Pietro Rainalducci, uno spirituale francescano, con il nome di Nicolò V. Ma l’anno successivo fece ritorno in Germania, abbandonando a Roma il suo antipapa che, senza più protezione, si recò alla corte pontificia di Avignone per ottenere il perdono di Giovanni XXII. La chiesa avigno­nese, come era avvenuto nei confronti di Bonifacio VIII per opera degli Spirituali, venne bollata come ecclesia carnalis, come Babilonia e la grande meretrice dell’Apocalisse, e Giovanni XXII come l’An­ticristo. Contro le dottrine di Giovanni XXII e il diritto di obbedienza che egli stesso si arrogava, vennero fatti appelli per un concilio allo scopo di rimuovere il papa “eretico”, che oltrepassava e calpestava i poteri della sua stessa carica. Tutto ciò non fu che il preambolo della grave crisi che, nel giro di pochi decenni, avrebbe portato al Grande Scisma.

Maria di Oignes

Beghine e Begardi

A partire dalla fine del XII secolo, Beghine erano chiamate quelle donne che, senza appartenere a un ordine ecclesiastico autorizzato e sen­za prendere i voti, spinte dall’ideale della vita apostolica, povertà volontaria e comunitaria, si dedicavano a una vita umile di lavoro manuale, spesso filando la lana o tessendo, e di preghiera. Simili a converse, cioè delle suore laiche, vivevano in castità e si dedicavano a opere caritatevoli e potevano tornare alla vita normale in qualsiasi momento. L’etimologia del nome beghina non è chiara: probabilmente deriva dalla parola fiamminga beghen, che significava pregare. Altri ritengono, invece, che sia da collegare al nome del sacerdote  fiammingo Lambert le Bègue, fondatore a Liegi, nel 1170 circa, di una comunità per vedove e orfani dei crociati caduti in Terrasanta. Testimonianze storiche attestano, comunque, che le prime comunità, denominate beghinaggi, si diffusero nella Francia settentrionale, nelle Fian­dre e nel basso Reno, in particolare le città di Colonia e Strasburgo. È probabile che le prime comunità femminili beghine del nord, le mulieres religiosae, siano state una risposta alle comunità catare della Francia meridionale (le mulieres bonae). La prima donna ad essere riconosciuta come beghina fu la mistica Maria di Oignies, protetta dal cardinale Jacques di Vitry (1160-1240), che riuscì ad ottenere un primo riconoscimento informale da Papa Onorio III (1216-1227) nel 1216. Il movimento delle Beghine venne approvato da Papa Gregorio IX (1227-1241) con la bolla Gloriam virginalem del 1233. Il ramo maschile portava il nome di Be­gardi, ma ebbe una diffusione minore rispetto a quello femminile. In Italia vennero denominati anche bizzocchi o pinzocheri o Beghini. Spesso condussero una vita da predicatori erranti (piuttosto diffusa nel Medioevo) e si impegnarono nella denuncia della corruzione della Chiesa, propendendo un modello di vita apostolica e povera, come quella di Gesù e dei primi Apostoli. Ebbero molti punti in comune con i Fraticelli, in particolare l’avversione contro il nemico comune Giovanni XXII.

Le comunità beghine, una parte non affatto esi­gua della popolazione urbana, erano organizzate in raggruppamenti simili a conventi, senza una regola fissa e con una plura­lità di forme: Beghine che vivevano presso le loro famiglie, altre organizzate in piccoli gruppi con alcuni possedimenti, che si sostenevano tramite il lavoro manuale, il servizio negli ospe­dali e con la questua. Condizione comune era il loro abbigliamento sem­plice, quasi monacale, che le distingueva dal resto della popolazio­ne. Molto presto le comunità beghine avvertirono la necessità di avere guide spiritua­li qualificate, carenti nel clero e nelle parrocchie. Dalla prima metà del XIII secolo, furono soprat­tutto gli ordini mendicanti a dedicarsi a questo compito, con non pochi conflitti con il clero secolare. Molte furono le Beghine che aderirono agli ordini terzia­ri dei Domenicani o dei Francescani. Non mancarono, però, casi di de­viazioni dogmatiche, rivolti essenzialmente verso il movimen­to del Libero Spirito, che portarono in molti luoghi a condanne e a esecuzioni capitali. Famoso fu il caso della beghina Margherita Porete, arsa a Parigi nel 1310 che ebbe un’importante influenza sui decreti del Concilio di Vienne, promulgati più tardi da Giovanni XXII. Nonostante l’approvazione papale del 1233, le gerarchie ecclesiastiche, in particolare quelle vescovili, guardarono sempre con sospetto le Beghine, perché di difficile inquadramento negli ordinamenti consue­ti. Arrivarono le condanne contro di loro nei sinodi di Fritzlar (1259) e Mainz (1261), concilio di Lione (1274), al sinodo di Béziers (1299), ed infine al Concilio di Vienne (1311-12), dove vennero definitivamente condannate come eretiche.

Appoggiata da Giovanni XXII, cominciò la persecuzione nei confronti dei Begardi e delle Beghine, nonostante la stragrande maggioranza di loro fosse cattolica ortodossa. Sfruttando la frequentazione e i contatti con i francescani Spirituali e i Fratelli del libero spirito, l’inquisizione, guidata da Bernard Gui, potè colpire il movimento che soppresse duramente, con un lungo elenco di processi e condanne a morte, soprattutto in Francia meridionale. Giovanni XXII cercò in qualche modo di distinguere in Beghini buoni e cattivi, e tracciò una linea di demarcazione immaginaria e grossolana, definendo “cattivi” quelli che vivevano in Italia e nella Francia meridionale (in particolare Provenza e Linguadoca) e “buoni” quelli che stavano in Germania, Paesi Bassi e Francia settentrionale.

  

I Beghini di Provenza

Il movimento dei Beghini in Provenza nacque dopo la morte di Pietro Olivi e, nei due decenni successivi, conobbe una vasta diffusione nella Francia me­ridionale. La città principalmente coinvolta fu Narbonne, il luogo di sepoltura dello stesso Olivi. A questo movimento appartennero laici, provenienti dai vari ceti della popolazione ur­bana, anche dalle file del clero, che aspiravano alla per­fezione cristiana e si rifacevano apertamente al profondo sentimento religioso della corrente francescana degli Spirituali di Olivi. Vennero coinvolti nella disputa sulla povertà, e presero posizione contro le tesi sostenute da Giovanni XXII e dalla curia avignonese. Con gli altri Be­ghini, diffusi nella Catalogna e in Italia, oltre al nome, non ebbero niente in comune. Già nel 1299, nel capitolo generale di Lione, venne condannata la povertà rigorosa sostenuta da Olivi, a un anno dopo la sua morte. Alcuni anni dopo Clemente V istituì un’apposita commissione per appianare il conflitto che divideva l’Ordine francescano tra Conventuali e Spirituali il cui esito, sostanzialmente, fu favorevole a quest’ultimi, come pure l’esame degli scritti di Olivi al Concilio di Vienne.

Con Giovanni XXII, successore di Clemente V, le cose peggiorarono e, poco dopo l’inizio del suo pontificato, gli Spirituali furono citati a comparire ad Avi­gnone, per esser sottoposti ad interrogatori durissimi e ostili: gli esponenti più prestigio­si degli Spirituali italiani, Ubertino da Casale e Angelo Cla­reno, si distin­sero per la loro difesa coraggiosa. Ma il desti­no degli Spirituali e dei loro sostenitori in Provenza era segna­to. Per Giovanni XXII, infatti, era intollerabile che si mettesse in dubbio il diritto del papa per la modificazione della Regola francescana; per questo egli diede mandato all’Inquisizione di reprimere duramente gli Spirituali accusandoli di eresia, con la condanna al rogo di quattro Spirituali nel maggio 1318 a Marsiglia. Questo fu l’inizio di una pesante persecuzione nei confronti dei Beghini, di quei laici, cioè, che si rifacevano apertamente alle posizioni di Olivi.

  

  

©2005 Andrea Moneti

     


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