Sei in: Mondi medievali ® Medioevo ereticale


           MEDIOEVO ERETICALE

    a cura di Andrea Moneti


pagina 2

Beato Angelico, San Tommaso d'Aquino

La demonologia medievale

In linea con l’interpretazione agostiniana anche per la Demonologia altomedievale, e in particolare agli scritti di Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile, Cassiano e soprattutto Gregorio Magno, il Male è una mancanza, privazione, volontaria. Rifacendosi ai testi biblici, Gregorio interpreta la sofferenza come risultato della caduta di un essere primordiale, Lucifero, ribelle alla volontà divina. E in analogia alla cacciata dall’Eden di Adamo e Eva, la caduta di Lucifero è conseguenza di un atto di orgoglio e invidia nei confronti di Dio. E’ il Diavolo che causa e giustifica la tendenza al peccato propria del genere umano. Essa è anche, però, il mezzo attraverso il quale Dio fortifica gli animi degli eletti.

Gregorio definisce “interiorità” la tendenza ad avvicinarsi intimamente all’armonia divina, contrapposta all’ “esteriorità”, ovvero la tendenza al  mondano e alla corporeità, che ci aliena dalla verità. E il Diavolo è l’“alieno”, il diverso, per eccellenza, in quanto distante da Dio e dall’amore per sua stessa volontà. La sua esistenza è funzionale poiché se così non fosse, il male andrebbe imputato a Dio stesso.

La riflessione demonologica proseguì nei secoli successivi col fiorire della teologia Scolastica, che eseguì un tentativo di approccio razionale all’analisi della Sacra Scrittura, attraverso il metodo logico-dialettico. Il fine della dialettica scolastica era quello di distinguere chiaramente tra verità ed errore, ortodossia ed eresia. Se al livello della rappresentazione popolare la figura demonica diventava sempre più vivida e vivace, nel campo della riflessione teologica andava sbiadendosi, trasformandosi sempre più in un’allegoria retorica o di propaganda. I primi germi di questa tendenza già li ritroviamo nel De casu Diaboli (1085-99) di Anselmo, arcivescovo di Canterbury, il quale portò avanti la riflessione sul tema del male facendolo coincidere con il concetto del “nulla”. La sua tesi di fondo e che il male in sé non esiste, ma esso è solamente privazione di bene.

Ovviamente questa è una spiegazione che non risolve la domanda cruciale: perché esiste il male nel mondo? Il male è principio a sé stante o è frutto di un libero arbitrio? Nel primo caso la causa va attribuita, come quella di ogni altra cosa, a Dio. Nella seconda eventualità, invece, il Diavolo viene introdotto come responsabile del male prima di Adamo. Ma chi è il responsabile del male morale di Lucifero stesso? La Chiesa risolve la questione sollevando la divinità da ogni responsabilità: Dio è consapevole del male del Diavolo, non è una causa o principio preesistente, e Lucifero ha peccato semplicemente perché lo ha voluto, frutto di un atto di libero arbitrio.

Verso la metà del XIII secolo Tommaso riprende e sviluppa questa concezione. Nel De Malo distingue concettualmente quattro categorie di Male:

      il “male assoluto” (malum simpliciter), che considera una pura astrazione, dal momento che il male assoluto corrisponde al nulla assoluto

      il “male metafisico”, che considera un’ovvia conseguenza del fatto che gli esseri umani siano stati creati meno perfetti di Dio

      il “male come privazione”

      il “male come peccato morale”

  

Tommaso si interessa in particolare agli ultimi due concetti di male, quello di privazione e quello morale, dato che il male naturale lo ritiene come prezzo necessario per l’esistenza dell’universo (transitorietà e sofferenza sono parte di un disegno divino che la mente umana non è in grado di comprendere appieno). Per Tommaso il vero male è quello che deriva dalla scelta volontaria. Il “peccato” è, quindi, un atto di orgoglio, un tentativo di voler assomigliare a Dio e ritenere di essere padroni del proprio destino, desiderio e amore di sé al di sopra di ogni regola e ragione. Tommaso supera i pensatori precedenti poiché secondo lui è vero che il peccato è derivante dalla tentazione diabolica, ma se anche il Diavolo non esistesse l’uomo continuerebbe a peccare a causa delle passioni del corpo.

Ovviamente il popolo, per la maggior parte illetterato, era estraneo a queste raffinate riflessioni teologiche. Veniva istruito tramite rappresentazioni popolari, come l’arte sacra, il racconto popolare, le fiabe e varie altre forme di tradizione orale. La rappresentazione del demonio, per risultare immediatamente comprensibile, veniva caricata di tinte forti, assolvendo a una doppia funzione: didattica e purificatoria. La raffigurazione del Diavolo, repellente e terrificante, che la Chiesa ammetteva negli edifici sacri, costituiva un deterrente ed un efficace mezzo di ricatto per controllare le pulsioni o i gruppi ritenuti socialmente pericolosi o eversivi. Ma era anche il capro espiatorio per eccellenza delle più varie tensioni sociali e forniva una valida giustificazione alle azioni commesse dal potere ecclesiastico ai danni di coloro che, per vari motivi, erano ritenuti in qualche modo devianti dall’ortodossia (eretici, streghe, e così via).

Nell’immaginario collettivo e popolare, la figura del diavolo è un coacervo di influenze ed elementi propri delle tradizioni pagane precedenti: dalle antiche civiltà mediterranee alle saghe nordiche dei Celti e dei Germani. Tutto questo ha comportato, nell’iconografia medievale, una figura del diavolo spesso ambigua e discorde, un po’ addomesticata, ora rappresentato come gran Signore del Male, da temere e rispettare, ora come un buffone, da beffare e ingannare. Si ha, per così dire, un diavolo del “folklore”, un diavolo popolare, lontano dai rigorosi canoni della teologia, che degrada in una figura meno terribile della propaganda ecclesiastica, ora drago, ora mostro, oppure un caprone oggetto di venerazione nei sabba delle streghe. Non solo, ma nelle varie tradizioni folcloristiche, a differenza dell’impostazione teologica ufficiale e scolastica, non si ha una netta distinzione tra il Diavolo principe del male e i demoni suoi seguaci.

  

I sette vizi capitali

Il sistema dei sette vizi o peccati capitali venne messo a punto dal celebre papa Gregorio Magno, morto a Roma nel 604. Esso si fonda su un “septenario”, un sistema basato cioè, sulla potenza del numero sette, utilizzato dalle Sacre Scritture per designare sia la perfezione dell'eternità, sia lo svolgimento del tempo scandito dai sette giorni della settimana. L’impianto impostato da Gregorio non permetteva soltanto di legare i peccati fra loro, ma anche di stabilire una gerarchia fra loro. A partire dalla superbia e l'avarizia, i due primi peccati capitali, derivano gli altri il cui insieme ha costituito una costante nella riflessione medievale sul tema del Male e del peccato e la salvezza dell'uomo e per la sua salvezza.

In realtà il settenario dei vizi, che domina la pastorale dei secoli tardomedievali, ha alle sue spalle una storia molto più lunga. La loro prima apparizione in Occidente risale agli scritti del monaco Giovanni Cassiano, vissuto tra IV e V secolo, che a sua volta si rifà ai testi di un altro monaco orientale, Evagrio Pontico. In origine i vizi capitali hanno una funzione precisa: indicano ai monaci, a coloro cioè che rinunciano al mondo, i passi fondamentali di un cammino di espiazione e di avvicinamento a Dio. Nelle pagine di Cassiano, i vizi capitali realizzano un processo di perfezionamento individuale che coinvolge il corpo e l’anima del monaco e che si conclude solo quando costui riesce a raggiungere il completo controllo di sé, dei suoi impulsi e dei suoi desideri. La società è ancora lontana. I vizi di Cassiano non parlano di ciò che avviene nella società, ma solo dei rapporti del monaco con sé stesso, espressione di un’etica individuale.

Per assistere alla fisionomia definitiva del sistema dei vizi capitali, che conobbe tanta fortuna nel Medioevo, si deve aspettare ancora un secolo, quando il sistema settenario viene reinterpretato da un altro monaco, divenuto papa, Gregorio Magno. Con lui la dinamica del sistema settenario assume una forte valenza sociale, non si riferisce più ai soli smarrimenti di chi ha intrapreso un percorso di rinuncia al mondo e di realizzazione spirituale, ma ad ansie interiori che possono avvenire nel cuore di ogni uomo. Gregorio, nella scia dei Padri della Chiesa e dell’impostazione agostiniana, pone la superbia come origine di tutti i vizi. È il peccato primario di Lucifero, l'angelo ribelle, e di Adamo, la creatura disubbidiente, il peccato, cioè, di volersi paragonare a Dio, richiamandosi così all’origine e alla natura del peccato dell’uomo per acquisire una dimensione universale.

Il settenario dei vizi costruito da Gregorio andò al di là delle sue stesse intenzioni e si rivelò una perfetta costruzione teologica per l’individuazione e classificazione dei peccati, soprattutto dopo il Concilio Laterano del 1215, quando introdusse il canone che rendeva obbligatoria una volta all'anno per tutti i fedeli la confessione individuale dei peccati, quando fu scelto per mostrare ai confessori come interrogare i penitenti e ai penitenti come rendere conto dei loro peccati ai confessori. Il sistema gregoriano doveva il suo successo ancora in epoca tardo-medievale, non solo per l’efficace iconografia con cui fu rappresentato, ma anche, e principalmente, perché permetteva di individuare, coerentemente e nello stesso tempo, i peccati che si svolgevano sulla scena sociale e quelli che si compivano nel segreto delle coscienze, ravvisando  nella moralità interiore del singolo l'origine dei dissidi e delle violenze che turbavano la comunità.

Se la superbia, in particolare nel sistema teoretico tomista, diviene il peccato per eccellenza, il dovere dell'uomo medievale era di restare dove Dio lo aveva collocato. Elevarsi era segno d'orgoglio e bisognava, pertanto, rispettare l'organizzazione della società voluta da Dio, modellata sulla società celeste. Sul piano sociale e politico forte, se non ossessivo, è il concetto di autorità: l'uomo medievale deve obbedire ai suoi superiori, ai prelati, se è chierico, al re, al si­gnore, ai capi comunali, se è laico. Sul piano intellettuale e men­tale deve essere fedele alla Bibbia e ai Padri della Chiesa. Per questo una delle più grandi virtù dell'uomo medievale, soprattutto su base religiosa, era l'obbedienza.

 

Il male come principio nell’eresia catara e il concilio Lateranense IV (1215)

La concezione religiosa dei catari, che ha cominciato a diffondersi dopo la meta del XII secolo, si rifaceva all’insegnamento dualista e gnostico dei manichei. Il movimento era caratterizzato da una organizzazione ecclesiastica rigorosa e da un dinamismo missionario che fu all’origine della sua grande diffusione. Pur procedendo da istanze morali e ascetiche, il movimento si distinse da un punto di vista dottrinario secondo un rigido dualismo che contrapponeva fra loro Dio e Satana come due principi quasi equivalenti: Dio, il creatore, che ha dato origine solo agli esseri spirituali buoni; Satana, principio del male e creatore della materia in tutte le sue forme, potenzialmente inferiore a Dio. Esiste, quindi, per l’eresia catara, un sommo principio da cui ha origine il male e questo dio cattivo ha creato anche il maschio e la femmina e tutti i corpi visibili di questo mondo.

Di fronte al dilagare della setta e delle sue organizzazioni, che ormai si opponevano pubblicamente alla Chiesa cattolica, compiendo una vasta opera di proselitismo, soprattutto nella Francia meridionale e nell’Italia centro-settentrionale, ci fu una forte reazione, non solo attraverso scritti e discorsi da parte di eminenti uomini di Chiesa, ma anche attraverso l’occupazione della Provenza da parte dei cavalieri e signori della Francia del nord e l’opera repressiva degli inquisitori, che si macchiarono le mani di stragi di popolazioni e villaggi interi, convinti che dietro gli eretici agivano i demoni per mettere a soqquadro la Chiesa di Dio. In breve tempo la persuasione e il convincimento vennero soppiantati dalla coercizione dell’autorità temporale ed ecclesiastica con condanne alla la prigionia, torture, confisca dei beni e, nei casi più gravi, il rogo.

Gli eretici apparivano pericolosi non solo dal punto di vista dottrinale ma anche, e soprattutto, da quello dell’unita sociale dell’impero e delle nazioni. È noto e superfluo ricordare che per combattere questo pericolo, i papi del XIII secolo organizzarono e rafforzarono l’inquisizione, in particolar modo sotto il pontificato di Gregorio IX.

Sulla spinta di questi eventi e per dare una risposta ai vari movimenti ereticali (valdese, cataro, patarino, eccetera), venne indetto il IV concilio Lateranense allo scopo di eliminare gli errori e chiarire la verità rivelata. Nel De fide catholica, che espone la professione di fede nell’unico vero Dio e nelle tre divine Persone, proprio in relazione alla speculazione teologica catara e contro qualsiasi interpretazione dualistica che ammetta la provenienza della realtà da un duplice principio del bene e del male, viene dichiarato che vi è un solo e unico principio creatore di tutte le cose esistenti, senza alcuna eccezione, quelle invisibili e quelle visibili, quelle spirituali e quelle corporee. Si parla anche dell’uomo, inteso nella sua unità di anima e di corpo, e si afferma che l’essere umano è stato creato da Dio, in contrapposizione alla dottrina catara che considerava l’uomo come un angelo decaduto e imprigionato nella materia prodotta da Satana.

Un’altra importante affermazione riguarda l'originale natura buona di tutte le creature, anche del diavolo e dei demoni, i quali “sono stati creati naturalmente buoni”. In questo modo si salvaguarda la bontà assoluta del Creatore e insieme si fa ricadere l’origine del male al libero arbitrio: i demoni hanno, infatti, perso la loro primitiva bontà per una loro libera scelta: “sono diventati cattivi da sé stessi”. La causa del male quindi non deve essere ricercata né in Dio né nella realtà materiale, ma unicamente nella possibilità di scelta da parte di coloro che sono stati creati liberi. Si viene cosi a sostenere il valore fondamentale del libero arbitrio quale patrimonio irrinunciabile degli enti spirituali, soggetti coscienti e dotati di intelligenza e volontà. Anche 1’uomo, quindi, è responsabile del proprio peccato, tuttavia il concilio precisa che la caduta umana è stata “istigata dal diavolo”. Il concilio non intende qui discolpare 1’uomo, poiché il diavolo non si sostituisce alla sua libertà, ma intende sottolineare l'influsso negativo che può sussistere tra lo spirito angelico cattivo e 1’uomo.

Il concilio afferma, in sostanza, che 1’uomo, unione di spirito e corpo, è stato creato buono da Dio, per cui egli non porta il male in sé stesso. Ma il male ha fatto irruzione nella vita umana solo dopo il peccato originale. Questa enunciazione avrà un notevole peso teologico, perché innestandosi nel solco di precedenti interventi del magistero ecclesiastico e non solo dettata contro l’eresia dei catari, essa costituisce ancora oggi un punto fermo della dottrina della Chiesa.

  

  

©2005 Andrea Moneti

     


indietro

   torna su

Medioevo ereticale: indice

Home