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a cura di Vito Bianchi



Luigi e Marco Mongiello, Bari. Basilica di San Nicola, con un saggio di Lino Patruno, Adda Editore, Bari 2006.

    
Ci fu un tempo in cui Bari, per l’Europa, era semplicemente il Portus sancti Nicolai. Quella denominazione sostituiva il nome stesso della città, e ne scontornava una delle anime: il porto, l’apertura sul mare, la propensione verso orizzonti d’Oriente, e insieme un santuario da melting pot interculturale.

Il libro scritto da Luigi e Marco Mongiello, con un fascinoso contributo di Lino Patruno, è stato confezionato con la consueta maestria dall’editore Adda, ripercorrendo le tappe storiche della basilica barese, per leggerne la scrittura architettonica nelle sue varie fasi.

Tutto nacque, come si sa, da un furto. Correva l’anno 1087. Correvano le flotte veneziane e genovesi ad accaparrarsi le reliquie dei martiri che meglio potevano muovere pellegrinaggi e danari. I Baresi, però, proprio in quel frangente necessitavano di un rilancio dell’immagine e dell’economia, d’una nuova identità cittadina, smarrita nel passaggio dal dominio bizantino a quello normanno. La borghesia commerciale e marinara premeva. E fu così che alcuni marinai pugliesi a metà marzo salparono alla volta di Antiochia. Ufficialmente trasportavano grano. Di fatto, trafugarono dalla Licia le spoglie di san Nicola, il vescovo di Mira, taumaturgo per eccellenza, protettore di navi e naviganti: tagliato su misura, insomma, per una città pulsante di commerci e commercianti.

In maggio, la translatio era cosa fatta. Sulle prime, non mancarono contese per chi dovesse appropriarsi del prezioso ossame. Alla fine, dribblando l’ingerenza dell’arcivescovo Ursone, l’abate benedettino Elia riuscì a promuovere per il culto nicolaiano la costruzione di una sontuosa chiesa, che prese corpo nell’area dell’ex corte catapanale. La cripta basilicale doveva essere agibile sin dal 1089, quando papa Urbano II la consacrò. Il resto dell’edificio richiese invece quasi cent’anni, che videro l’abate Eustazio (1105-1123) completarne i piani bassi, e il “Maestro della cattedra di Elia” definirne il magnifico trono marmoreo, insieme ai capitelli del triforio e al portale centrale.

Lo studio dei Mongiello non solo dà ragione degli elementi architettonici della chiesa, ma si sofferma anche sui rimaneggiamenti che l’hanno interessata fino al Novecento, evidenziando tutti quei processi di trasformazione che altrimenti ci sarebbero ignoti, fra aggiunte e sottrazioni, ristrutturazioni e riusi. Del resto, lo stesso abate Elia giace in un sarcofago romano di reimpiego. Come di reimpiego era l’iscrizione votiva di I-II sec. d.C. scoperta durante i restauri della fabbrica, e recante il nome di Anubis, divinità egizia, che qualcuno vorrebbe lì stesso venerata prima dell’ancor più orientale san Nicola.

     

     

©2007 Vito Bianchi

Volumi per recensioni a: Vito Bianchi, via del Calvario 1, 72015-Fasano (BR).

     


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