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  a cura di Giuseppina Deligia

  

     

Durante i secoli medievali in Sardegna vigeva una particolare organizzazione governativa autonoma, unica in tutto il continente europeo e considerata da molti studiosi come il preludio agli Stati Nazionali che successivamente si sarebbero sviluppati in Europa: il giudicato. La Sardegna medievale era infatti divisa in quattro regni del tutto indipendenti l'uno dagli altri, conosciuti come i quattro giudicati di Torres, Gallura, Arborea e Cagliari.

Non conosciamo né il momento preciso né la causa della loro origine: i documenti, che si hanno solo a partire dai primi anni del secolo XI, presentano la Sardegna già organizzata secondo queste nuove strutture.

Questi organi governativi sono considerati dalla critica moderna, a partire dal Besta, la diretta e spontanea propaggine della magistratura bizantina che prevedeva un iudex a capo del territorio a lui soggetto e governato in nome dell'imperatore di Bisanzio.

Ed è così che a capo di ogni giudicato ritroviamo un iudex (è molto interessante rilevare che in ogni giudicato compare fra le diverse dinastie regnanti quella dei Lacon-Gunale) che però non è più un funzionario regio, bensì un vero e proprio sovrano. I giudici erano aiutati nel governo del regno da uomini di loro fiducia, i curatòri (eletti direttamente dal sovrano), che amministravano in sua vece le curatòrie (nel meridione dell'Isola dette anche partes), ossia i distretti amministrativi formati da più centri abitati facenti perno al capoluogo in cui spesso egli risiedeva.

Sul trono di questi veri e propri regni si sono succeduti diversi personaggi appartenenti alle più importanti famiglie dell'Isola e il più delle volte imparentate fra loro anche a seguito di una brillante politica  matrimoniale volta a costituire strategiche alleanze. Fra questi personaggi ne spiccano alcuni per acume politico e per lungimiranza culturale ed è proprio a loro che si deve il fiorire in Sardegna dell'architettura ecclesiastica, soprattutto nella sua accezione romanico-pisana.

Ad alcuni di essi, inoltre, va riferito l'arrivo nell'Isola di quegli ordini monastici che allora andavano diffondendosi nella penisola italiana; è il caso di Barisone I che, mentre reggeva il giudicato turritano insieme al nipote Mariano I, chiamò nel 1063 i monaci benedettini di Montecassino che però riuscirono a raggiungere l'Isola solo dopo una seconda spedizione nel 1065 visto che la prima fu intercettata dai pirati pisani. Questa politica atta a promuovere l'insediamento e la diffusione di questi ordini monastici nell'Isola era dettata dalla necessità di mettere fine allo stato disdicevole in cui viveva la maggior parte del clero sardo, libero oramai dal controllo della chiesa greca.

Inoltre questi sovrani erano ben consapevoli delle tecnologie agricole e tecniche in possesso di questi ordini monastici, e sapevano bene che a una loro diffusione capillare nel territorio sardo sarebbe corrisposto un miglioramento di quelle aree in cui loro si sarebbero stabiliti. Per questo motivo in questi anni si assiste ad una loro espansione e al miglioramento delle condizioni di vita, conseguenza anche di un arricchimento economico, di quelle aree che furono interessate anche dal fenomeno di ripopolamento, poiché quei veri e propri centri di produzione che erano i monasteri, attiravano presso di sé agricoltori, pastori e le loro famiglie. Ciò spiega la nascita attorno a questi monasteri di un certo numero di villaggi rurali.

Infine va ricordato che questi monaci furono i promotori di importanti realizzazioni architettoniche, di cui permangono in gran numero quelle dedicate al culto, ma sono assai rare quelle destinate all'uso abitativo o connesse con lo sfruttamento agricolo. Con loro arrivarono una serie di maestranze itineranti che una volta entrate in contatto con le conoscenze tecniche ed il gusto locali diedero origine a monumenti del tutto originali.

I tratti d'originalità dell'architettura ecclesiastica medievale sarda sono, dunque, dovuti ad una sorta di sincretismo fra cultura toscana, cultura francese e all'evoluzione dell'arte paleocristiana sarda di cui ancora permangono delle testimonianze (S. Saturnino, Cagliari).

Importanti informazioni sulla storia di questi monasteri ed enti ecclesiastici e sulla consistenza delle donazioni fatte a loro vantaggio sono contenute nei Contaghi, i registri amministrativi che ogni abate teneva nel suo monastero; il cui studio ci permette di delineare un quadro dell'articolazione della società rurale sarda in quest'epoca, almeno per il XII secolo.

La politica isolana di questi secoli è caratterizzata dall'alternanza di alleanze con le due potenze marittime di Pisa e Genova che avevano tutto da guadagnare nell'Isola vista la sua particolare posizione geografica sfruttabile come avamposto e commerciale e militare.
Uno dei primi contatti fra queste differenti civiltà si ebbe con la battaglia, e la relativa vittoria, contro gli arabi di Museto (1115-16).

Il conflitto fra le due città interessò dunque anche la Sardegna; in un  primo momento Pisa profittò del fatto che il suo arcivescovo fosse stato dichiarato metropolita di due diocesi sarde per intervenire più pesantemente anche nelle lotte fra giudici o fra famiglie d'uno stesso giudicato; poi Genova stimolò il giudice Comita d'Arborea ad intraprendere una guerra di unificazione dell'intera Isola sotto i regoli oristanesi, scatenando la reazione degli altri giudici, sostenuti da Pisa. Solo un incontro fra Barisone d'Arborea (succeduto al padre Comita) , Costantino di Cagliari, Costantino di Gallura e Gonario di Torres, convocato nell'oristanese dall'arcivescovo di Pisa Villano, segnò una prima pacificazione (1146).

Subito dopo la metà del secolo, però, Barisone I riprendeva la politica egemonica: prima tentava d'imporre un suo pretendente sul trono di Cagliari scatenando anche la reazione dei turritani che, aiutati da truppe pisane, arrivarono ad assediare Barisone nel castello di Cabras (1163). Quest'ultimo, sostenuto dai Genovesi, ottenne dall'imperatore Federico Barbarossa l'investitura a re di tutta la Sardegna. L'incoronazione, avvenuta a Pavia il 10 agosto 1164, gli costò il versamento di quattromila marchi d'argento all'imperatore e un oneroso trattato con Genova, che gli aveva prestato questa ingente somma.

Però una volta che i Genovesi, riportato Barisone I in Sardegna, si resero conto che questo non poteva pagare il debito lo riportarono come prigioniero a Genova. Subito dopo lo stesso imperatore concedeva la solenne investitura dell'Isola al Comune di Pisa (12 aprile 1165). Genova però, contando anche sul favore del papa, riuscì a far firmare ai giudici una serie di trattati in cui si riconoscevano vassalli della repubblica ligure, dando luogo - dopo numerosi episodi di guerra - a una breve tregua con Pisa.

Nel 1171 Barisone I d'Arborea rientrò definitivamente nell'Isola, ma il patto che aveva firmato con Genova riaprì le ostilità con Pisa, sicché Federico I intervenne dividendo l'Isola in due zone d'influenza con Pisa radicata nella Gallura e Genova affermata nel Cagliaritano e nel Logudoro.

Anche la Santa Sede, dopo lo scisma d'Oriente (1053) e il conseguente allontanamento della chiesa sarda dall'orbita di Bisanzio, si è fortemente preoccupata del recupero delle strutture e delle tradizioni ecclesiastiche, ancora di tradizione greca, come anche del ritorno della Sardegna sotto una, almeno indiretta, influenza pontificia. Nel 1073 il giudicato di Torres, nella persona di Mariano I, rinunciò all'autocefalia della chiesa sarda nei confronti di quella Romana; via via quest'esempio fu seguito anche dagli altri giudicati.

Da questo momento i quattro regni come vassalli della Chiesa di Roma si misero sotto la sua protezione; ciò ha comportato l'aumento dell'ingerenza della Santa Sede nella loro politica, sino a decretarne la fine con la cessione nel 1297 dell'Isola agli aragonesi, nella persona di Giacomo II il Giusto che fu nominato da Bonifacio VIII Re di Sardegna e Corsica.

Va precisato che questo titolo aveva solamente valenza nominale poiché non esisteva giuridicamente un regno di Sardegna e Corsica.

Ovviamente quest'atto promosso dal pontefice  non segnò la fine immediata dei quattro giudicati, ma portò all'interno del quadro politico isolano, peraltro già affollato, un altro protagonista: gli aragonesi, i cui interessi, collimando con quelli delle due Repubbliche Marinare e minacciando la stessa sopravvivenza dei giudicati, furono fonte di una grossa guerra che vide in campo una fortissima resistenza sarda e, con la caduta nel 1420 del giudicato d'Arborea, segnò la fine del sogno di una nazione sarda unita sotto la corona d'Arborea, impersonato nell'immaginazione collettiva dall'ultima giudicessa in assoluto: Eleonora d'Arborea, divenuta eroina romantica e simbolo della lotta per la libertà e l'indipendenza.

A onor del vero va precisato che il giudicato di Torres e quello di Cagliari finirono prima (il primo ufficialmente nel 1293 con la pace di Fucecchio che portò alla divisione del Logudoro fra pisani e genovesi; il secondo nel 1257 quando fu invaso dai pisani) per cause estranee all'intervento degli aragonesi.

Con il 1420 la Sardegna perse la sua occasione di riscatto nel quadro politico internazionale; infatti con la dominazione spagnola l'Isola ritornò in uno stato d'oblio e d'arretratezza dal quale con fatica era riuscita ad uscire. Il 1420, come molti hanno sottolineato, segnò la fine del sogno nazionalista di fare sarda la Sardegna.


TESTI DA CONSULTARE

E. Besta, La Sardegna Medievale, Bologna 1966. 
A. Boscolo, La Sardegna Bizantina e altogiudicale, Sassari 1982. 
F.C. Casula, Breve Storia di Sardegna, Roma 1994.

            

   

   

©2005 Giuseppina Deligia

               


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