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CAMPI BISENZIO, ROCCA STROZZI (già castrum Mazzinghorum), pag. 1

a cura di Fernando Giaffreda

pag. 1

pag. 1 - pag. 2    scheda    cenni storici    per visitare il castello    video


 Retroveduta della Rocca da nord: in evidenza l’abbandono e il disuso nonostante i lavori di restauro.

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Campi Bisenzio  Campi Bisenzio

 

Dal prato sul lato nord a ridosso dell'argine è evidente la fattoria "signorile" con tetto capanna, e gli annessi agricoli più recenti  Visione completa dall'argine sul Bisenzio  Gli annessi agricoli prospicienti il prato retrostante  Un primo piano che fa risaltare l'umidità per la non perfetta manutenzione  Il torrione quadrato a guardia del Bisenzio

 

Il "pacifico" lato est  L'ingresso principale su via Roma  La facciata della fattoria è separata da via Roma con un muro di cinta successivo

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Epoca: IX-XII secolo.

Conservazione: nonostante reiterati interventi di restauro parziale da parte delle autorità locali, l’ultimo dei quali, applicato per definizione alla “cortina muraria”, è terminato nel novembre 2003, il castello non si presenta in stato fruibile, specie nella parte posteriore alla facciata di via Roma. Dal ponte limitrofo infatti si constata che la parte retrostante, affacciata sull’argine e su un ampio prato verde, presenta strutture un po’ malandate, aggredite da una consistente umidità fluviale.

Ubicazione: nel Comune di Campi Bisenzio (FI), al centro della cittadina (36.000 abitanti), lungo la principale via Roma e a ridosso del ponte sul fiume Bisenzio, là dove questo affluente dell’Arno riceve le acque del torrente Marina. Prima dell’VIII secolo si trattava di un’area di campo depresso e paludoso.

Come arrivarci: più comodamente in auto, meglio lasciando l’A11 Firenze-Mare al casello Prato Est (10 km) per la direzione Campi Bisenzio che non la stessa autostrada al capolinea Firenze-Peretola; meno agevole, invece, col treno (stazione Firenze S.M.N.), perché allora sarebbe imprescindibile per il visitatore prendere un autobus extraurbano (linea Cap o Lazzi). Campi Bisenzio infatti presenta ancora, per certa parte del suo territorio, confini distinti e netti nella grande conurbazione toscana Firenze-Prato-Scandicci-Signa.

 

Cenni storici.

Per gustare meglio l’originalità storica di un castello come questo di Campi Bisenzio - attualmente denominato Rocca Strozzi ma che fu edificato, come vedremo, nel IX secolo per opera della famiglia aristocratico-militare tedesca dei Mazzinghi - occorre anzitutto sbarazzarci di alcuni refusi storiografici o di qualche “involontaria” imprecisione, sia pur giustificabili nell’esclusivo interesse locale di attrarre, magari populisticamente, la curiosità turistica verso la storia cosiddetta minore.

La maggior parte delle guide che cercano di attirare a Campi il visitatore, ritenuto a priori scarsamente motivato a interessarsi di un castello “insignificante” come questo, citano costantemente il Canto 32° dell’Inferno, laddove il borgo sarebbe “menzionato” da Dante come a sottolinearne la primordiale importanza medievale adesso perduta (chissà perché?):

 

55.             Se vuoi saper chi son codesti due,

56.             la valle onde Bisenzio si dichina

57.             del padre loro Alberto e di lor fue.

 

In realtà la terzina non si riferisce affatto all’antico borgo medievale dell’agro fiorentino dove era già presente da oltre duecento anni il Castrum Mazzinghorum. Piuttosto, essa allude a quell’altro borgo medievale bagnato dal Bisenzio, Prato, o meglio alla valle del Bisenzio a nord di Prato, dove i Conti Alberti avevano il possesso originario di numerosi castelli (Vaiano, Cerbaia). Anzi, essi erano originariamente feudatari delle terre di Prato, di Campi Bisenzio e di altri territori fiorentini, verso i quali i Mazzinghi erano in rapporto di vassallaggio. Ma tutto si tiene. «Codesti due» cui Dante si riferisce nel primo endecasillabo sono i figli del conte Alberti, Napoleone e Alberto, due fratelli fratricidi avuti da donna Gualdrada, ora bloccati per sempre nel ghiaccio del girone riservato ai traditori dei parenti. Uno fu guelfo e l’altro ghibellino, e si uccisero ad un tempo per una questione d’interesse.

   

L’Alighieri nel suo canto presuppone che il lettore della Commedia conosca la vicenda, che forse tace per la sua stupida e banale ripetizione in ogni tempo, riservandosi la caratteristica vena personale di attirare l’attenzione sul contrappasso infernale che ci si merita quando in vita si voglia essere, in quanto umani, assurdamente divisi per l’interesse; nel suo caso sciaguratamente spaccati in guelfi e ghibellini.

     

Ed ecco fornito il tema, grandioso e particolaristico insieme, che nacque e si consumò nel 1216 proprio nel Castrum Mazzinghorum, la nascita dei partiti dallo stesso grembo, di cui Campi Bisenzio col suo castello dovrebbe andare fiera, nota e famosa nella storia, lasciando stare gli imprimatur danteschi più o meno nominali.

      

Fin dal I secolo a.C. questo piccolo villaggio urbano della periferia orientale della provincia faceva parte dell’agro fiorentino. La sua area ne costituiva la parte più depressa, paludosa e acquitrinosa, non solo per la declinazione del terreno, ma anche per l’affluenza, in quel punto dell’Arno, di diversi fossi d’acqua (Ombrone, Bisenzio, Vingone, Chiella, Bandita ecc.). Ancor oggi, se osserviamo una cartina fisica abbastanza particolareggiata, si potranno considerare numerosi piccoli bacini e laghetti (compresi i cosiddetti “Renai”) più o meno bonificati, facenti parte di un antico grande padule. Una “situazione renana” all’italiana, che una tradizione storiografica vuole essere stata bonificata dai monaci benedettini a partire dall’VIII secolo.

      

Un “privilegio” feudale fatto redigere da Carlomagno nel 780, recante fra l’altro il primo appellativo del toponimo Campi sul Bisenzio, concedeva a Mazzingo il permesso di fortificare e munire quei “campi” del vescovado fiorentino, nel feudo degli Alberti, interessati da ricorrenti alluvioni del fiume. Il luogo in Firenze insisteva nel Sesto di S. Pancrazio prima e Santa Maria Novella poi. Né il vescovo né gli Alberti, possessori originari, avevano mostrato sufficiente interesse nell’apportare migliorie a un territorio dov’era presente qua e là solo qualche popolo, badia, o piccolo monastero (S. Donnino, S. Mauro, San Piero ecc.). Un terreno poco redditizio, comunque non adeguato abbastanza a giustificare una bonifica del suolo. Bisognò aspettare il forte incremento della popolazione e la elevazione di Campi a piccolo feudo da parte del primo imperatore Ottone, il quale nominò cavaliere il capostipite della famiglia Mazzinghi, perché fra quei “liberi campi” ci si potesse permettere la costruzione di un castello.

segue  

  

    

  

©2004 Fernando Giaffreda. I video (inseriti nel 2013) non sono stati realizzati dall'autore della scheda.

    


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