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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI CATANIA

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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Aci San Filippo (torre di Casalotto)

a cura di Giuseppe Tropea


Aci Trezza (torre dei Faraglioni o Bastonciello)

a cura di Giuseppe Tropea


Aci Trezza (torre della Trizza, non più esistente)

Il litorale di Acitrezza in un'incisione di fine Settecento, dal sito www.eliodoro.net   Il litorale di Acitrezza in un'incisione di fine Settecento, dal sito www.eliodoro.net

«Il mare di fronte ad Acitrezza era sorvegliato anticamente da due bastioni, uno detto “ torre della trizza” e uno detto “torre dei faraglioni”. La “Torre della Trizza” era la più grande e sorvegliava il mare aperto e quello verso Capo Mulini, si trovava a nord del paese su un’altura. Il suo armamento nel maggio del 1798 era costituito da cinque cannoni, 45 rotola di polvere da sparo, 60 palle di ferro, mentre nel 1839 era di cinque cannoni, affusti e cucchiai. Nel 1893 fu utilizzata come serbatoio dell’acqua potabile. Oggi questo bastione non è più visibile. La “Torre dei Faraglioni” o “Bastioncello” è di dimensioni minori. Sorvegliava lo specchio d’acqua dove si ergono i faraglioni. Era costituita da due piani, oggi è visibile solo il piano terra, al quale si accede da una piccola apertura. L’armamento era costituito nel maggio 1798 da due cannonotti, 25 rotola di polvere da sparo, 18 palle di ferro, 16 di pietra, mentre nel 1839 era di un cannone di metallo e un cannone di ferro. I due bastioni insieme alla “Fortezza del tocco”, al “Castello di Aci” e ad altre torri costituivano un baluardo costiero contro le incursioni dei nemici di Aci antico, specialmente contro gli arabi. Agli inizi del 1900 nella zona antistante il Bastioncello, facendo gli scavi per la costruzione delle fondamenta di alcune case, sono state rinvenute mattonelle romboidali di marmo di probabile origine bizantina».

http://www.acitrezzaonline.it/bastione.htm


Acicastello (castello)

a cura di Giuseppe Tropea


Acquafredda (torre dell'Acquafredda)

a cura di Giuseppe Tropea


Adrano (castello)

a cura di Giuseppe Tropea

  


Adrano (castello della Solicchiata)

Dal sito www.it9vce.it  Dal sito www.comune.adrano.ct-egov.it

«A circa due chilometri dall'abitato di Adrano sorge un castello di proprietà del barone don Antonino Spitaleri. Nel 1875 il Barone decise di far costruire nella tenuta della Solicchiata, un grande edificio, che servisse per usi rurale e civili e anche ad un'attività industriale. Per dare l'impronta all'edificio come un castello medievale venne fatto all'interno di pietra lavica attorniato da un grande fossato e da un ponte levatoio, per rendere asciutti i sotterranei. L'imponente edificio però non fu del tutto completo. Prosperò invece l'industria vinicola, infatti l'interno è stato un grandioso stabilimento di vini completo di attrezzate macchine per la lavorazione dell'uva, per la confezione di alcool e di vini pregiati. Molti enologi dell'epoca, sia siciliani che stranieri, lo hanno apprezzato».

http://www.comune.adrano.ct-egov.it/la_citt%C3%A0/siti-di-interesse/castello-solicchiata.aspx


Adrano (ponte dei Saraceni)

Dal sito www.grandtoursiciliagps.it   Dal sito www.comune.adrano.ct-egov.it

«Il "Ponte dei Saraceni" è una delle opere civili più belle e storicamente più interessanti del Medioevo siciliano. Il ponte resiste da circa mille anni alle sollecitazioni non indifferenti del maggior fiume della Sicilia, "il Simeto", caratterizzato da una variegata struttura geologica che prevede l'alternanza di cascate, gole e colate laviche. Il fiume precipita per un buon tratto nelle cosiddette "Gole" creando un naturale gioco d'acqua di grande suggestione. La contrada è denominata "Salto del Pecoraio" in omaggio ad una antica leggenda secondo la quale un pastore innamorato saltava dall'una all'altra sponda per recarsi dalla sua amata. Nella limitrofa contrada del Mendolito si trova l'area della più estesa, e forse più evoluta, città ellenica della Sicilia: la Città Sicula del Mendolito, del IX-V sec. a.C. Di questa città è stata individuata la cinta muraria e messa in luce recentemente la monumentale Porta Sud. Dai ritrovamenti archeologici nella città del Mendolito, possiamo dedurre che nel luogo dove oggi sorge il ponte, già in età neolitica, poteva esistere una struttura, possibilmente un passaggio, costituito da una passerella in legno, per esigenza di commercio e scambi fra le città sorte sulle vie del Simeto, frequentata da numerosi viaggiatori che batterono sempre le stesse vie per poter attraversare il Simeto. ... Costruito in epoca romana in muratura, della quale ci rimangono le basi dell'arco maggiore, successivamente con l'occupazione islamica, gli Arabi lo rifecero probabilmente per ripristinare l'attività del ponte a seguito di un crollo dovuto forse ad una piena del Simeto. Così sostituirono all'arte romana i canoni della loro architettura, curando gli effetti cromatici, con l'alternanza di pietre chiare e scure nelle ghiere degli archi. La struttura che ne viene fuori, ad arco acuto, tipica di tutta l'architettura islamica, acquisterà così snellezza e leggerezza. Il ponte, in epoca normanna, faceva parte di un importante asse viario che collegava la città di Troina, prima capitale del regno di Ruggero I di Altavilla, con Catania. Con l'arrivo dei Normanni e fino al XVIII sec., il ponte e tutto il vasto territorio attorno ad esso, faceva parte di vari feudi, tra cui il feudo dei Duca di Carcaci. Il terremoto del 1693 causò forti danni al ponte, facendo crollare l'ultima arcata verso levante e lasciando malconci l'arcata principale e l'altra arcata piccola ad ogiva a fianco dalla maggiore. Nel corso del '700 molti furono i lavori di restauro e di riparazione e fino alla prima metà del '700 l'unica viabilità esistente per recarsi a Catania passava proprio per il Ponte dei Saraceni. Solo alla fine del '700, il ponte fu declassato ad un semplice "sentiero" e perdette la sua importante funzione di raccordo tra interno e sbocco a mare. Anche la nascita di nuove vie di comunicazione, più comode, contribuirono a far perdere la sua importanza. In seguito, la costruzione del ponte-acquedotto di Biscari (1761-66, 1786-91) che attraversava il Simeto lungo il Guado della Carruba, contribuì maggiormente a far perdere l'originaria funzione del Ponte dei Saraceni. Dell'antica struttura oggi se ne conserva solo l'arcata maggiore centrale, in stile gotico. Le altre arcate, una più piccola anch'essa gotica e un'altra romana, andarono distrutte durante l'alluvione del 1948 e ricostruite in seguito. Sotto il ponte, il fiume scava profonde gole nel basalto lavico a causa delle acque turbolente.».

http://www.comune.adrano.ct-egov.it/la_citt%C3%A0/siti-di-interesse/ponte-dei-saraceni.aspx


Bronte (castello di Torremuzza)

a cura di Giuseppe Tropea


BRONTE (masseria fortificata Lombardo)

Dal sito www.beta.parcodeinebrodi.it   Dal sito www.bronteinsieme.it

«La Masseria Lombardo si trova in contrada Cuntarati, a pochi chilometri da Bronte, lungo la valle del Simeto, immersa in un verde paesaggio contraddistinto da oliveti, pistacchieti e sciara. è facilmente raggiungibile da Bronte scendendo verso il bivio Saragoddio dalla Contrada Sciarotta; dopo pochi chilometri un grande cancello in ferro battuto che immette in un viale in "basolato lavico", ne caratterizza l’ingresso. Entrando, dopo circa 300 metri, si giunge in una piazzola dove, isolata nel verde circostante, trovasi la struttura della Masseria: due edifici uniti da loro da un cortile e la torre di vedetta, situata in posizione preminente su tutta la zona. La Masseria, nota anche come Museo della Antica Civiltà Locale, è una testimonianza dei primi insediamenti umani della zona, fin dal 500 d.C. La tradizione vuole che l’edificio, costruito dagli arabi, sia stato per alcuni secoli abitato da monaci che lo adibirono a cartiera, lavorazione della lana e conceria di pelli (ancora è possibile vedere le vasche di raccolta, i canali di terracotta e resti di strutture in legno). La scoperta della cartiera avvenne casualmente agli inizi degli anni settanta. Era stata, infatti, parzialmente travolta dalla colata lavica del 1651. Restavano alcuni ruderi, le mura perimetrali ed una torre di guardia che facevano intuire che la struttura fosse stata fortificata per proteggerla da attacchi esterni. Forse, con l'altra di contrada Ricchisgia, rappresenta una delle prime cartiere esistenti sul bacino del Mediterraneo. Il legname proveniente dai boschi della zona costituiva la materia prima mentre l'acqua proveniva da una sorgente sotterranea del vicino Monte Barca. Gli Arabi, maestri nelle tecniche idrauliche, avevano realizzato un ingegnoso sistema di canalette sotterranee di cui oggi permangono evidenti tracce. Negli anni successivi alla scoperta il proprietario, Nunzio Lombardo, si prodigò con mezzi propri a restaurare la cartiera mantenendone l'assetto originario, sia per proteggerla dagli agenti atmosferici e sia per valorizzarne gli aspetti propri, oltre che archeologici e culturali. Negli stessi locali ed in altri annessi, raccolse poi, con un paziente lavoro di ricerca, attrezzi e strumenti, utilizzati nella vita di tutti i giorni all'inizio del secolo scorso e che costituiscono il museo etno-antropologico (o dell’antica civiltà locale), dove sono esposti oggetti, suppellettili, arnesi da lavoro utilizzati dalla popolazione contadina tra il 1700 ed il 1900. ...».

http://www.bronteinsieme.it/1mo/altri6.htm


CALATABIANO (castello di San Marco)

Dal sito www.residenzedepoca.it   Dal sito http://castelliere.blogspot.it

«Il Castello di San Marco sorge nell'omonima contrada in territorio di Calatabiano, in uno degli angoli più affascinanti della Sicilia orientale, la riviera di Taormina, fra la foce del fiume Alcantara e la riserva naturale di Fiumefreddo non lontano dall'antica Naxos. Commissionato nel 1689 dal principe di Palagonia, Ignazio Sebastiano Gravina Cruyllas, e immerso in un lussureggiante parco di 4 ettari, è circondato da piccole dimore arredate in stile "Vecchia Sicilia", tutte dotate degli adeguati comfort e servizi. Dopo un accurato restauro, da qualche anno la famiglia Murabito ha aperto le porte ai visitatori, trasformando il castello in uno splendido resort una dimora prestigiosa ed ancestrale dove trascorrere un soggiorno o vivere la calda accoglienza delle antiche dimore accogliendo i suoi ospiti negli antichi saloni restaurati con cura certosina, nell'anfiteatro e nel il grande giardino botanico. I saloni all'interno del castello, la chiesetta, il palmento e gli antichi fabbricati restaurati rispecchiano fedelmente lo stile secentesco e conservano tutto il fascino del tempo. Ogni angolo del Castello di San Marco rimanda alla sua storia più antica. Gli archi in pietra lavica e gli splendidi lampadari racchiudono lo stile di una nobiltà ricca ma sempre attenta ai dettagli raffinati. Nelle camere e nelle suite dell'albergo tutto ruota intorno a un'eleganza d'altri tempi che riesce a fondersi perfettamente con i servizi e i comfort contemporanei. Il castello ospita anche una attrezzata sala congressi (Sala Cruyllas) e con il Salone Principe di Palagonia e il Giardino d'Oriente, si propone come luogo d'eccellenza ove poter organizzare meeting o incontri d'affari. La struttura offre servizi interni quali: il rinomato ristorante "Mastri Favetta", la piscina, l'area fitness, campi da tennis ed internet point. Nelle vicinanze doveva esistere una chiesetta medievale, dedicata a San Marco, che ha dato il nome alla contrada, quasi certamente distrutta durante le incursioni dei Turchi nel secolo XVI».

http://www.virtualsicily.it/index.php?page=luoghi&tabella=luoghi&c=522


Calatabiano (ruderi del castello di Calatabiano)

a cura di Giuseppe Tropea

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto da Castello di Calatabiano (https://www.facebook.com/castellodicalatabiano/)   Foto da Castello di Calatabiano (https://www.facebook.com/castellodicalatabiano/)   Foto da Castello di Calatabiano (https://www.facebook.com/castellodicalatabiano/)


Caltagirone (borgo)

a cura di Giuseppe Tropea


CALTAGIRONE (castello Noce)

Dal sito www.castelli-sicilia.com   Dal sito www.castelli-sicilia.com

«Non conosciamo le origini di questo castello (un tempo posto al centro di un vasto territorio feudale) del quale rimane la torre del XV secolo. E nulla sappiamo della sua storia fino a quando verso il 1700 i proprietari del tempo, baroni Chiarandà di Friddani, non aggiunsero alla torre un edifizio attiguo per loro comoda abitazione. Esso presenta, nelle belle loggette e negli affreschi, le caratteristiche dell'epoca e Michele Chiarandà, dopo averne curato personalmente ogni dettaglio, amava alternare ai suoi lunghi soggiorni in Francia brevi e riposanti parentesi in questa signorile dimora. Di questo signore si racconta che durante la rivoluzione sanfedista del 1789, essendo sospetto di infedeltà al rè a causa della sua amicizia con la Francia, venne perseguitato e costretto a sostenere un breve assedio da parte del popolo capeggiato da tale Marronchio. Rinchiuso nella torre egli tenne testa ai suoi assalitori ma infine fu costretto a fuggire attraverso un sotterraneo del castello e, raggiunto poi il mare, si pose in salvo nella sua carissima Francia. Poco chiara la figura di questo italiano del quale è nota la grande amicizia con Napoleone III. Nel 1861 il castello fu acquistato da Giuseppe Milazzo, signore caltagironese, ed il suo discendente On. Silvio Milazzo, attuale proprietario, ne cura i pregevoli restauri con quell'amore che tutti i siciliani dovrebbero avere per queste loro antiche dimore. Oggi, nel suo armonioso insieme, con la bella terrazza alla sommità della torre e circondati dal verde intenso di una folta vegetazione (tanto più suggestiva dell'elegante e curato giardino di un tempo cinto di alte mura merlate e con colonne a sostegno delle caratteristiche pergole) il "Noce" ci appare quale delizioso luogo di soggiorno e di pace».

http://www.famiglia-nobile.com/links.asp?CatId=1412


Caltagirone (castello non più esistente)

a cura di Giuseppe Tropea


Castiglione di Sicilia (castello)

a cura di Giuseppe Tropea


Castiglione di Sicilia (torre del Cannizzo)

a cura di Giuseppe Tropea


CATANIA (castello Ursino)

Dal sito http://favoladellabotte.blogspot.it   Foto di Luigi FDV, dal sito www.flickriver.com

«Severo e rigoroso nella sua esasperata geometria, il castello costruito a Catania nella prima metà del Duecento dall’imperatore Federico II di Svevia è un possente bastione che esprime con chiarezza la volontà di dominio del suo costruttore. STRUMENTO MILITARE E POLITICO – Tra i domini dell’imperatore Federico II, la Sicilia era uno dei territori più importanti, oltre che intellettualmente più vivaci, con una cultura in cui si mescolavano infusi bizantini, arabi, normanni. È perciò ovvio che venisse pesatamente fortificata. Il sovrano vi eresse, infatti, alcuni tra i maggiori, e migliori, esempi dell’imponente catena di fortificazioni che, dalle spiagge siciliane risalendo lungo gran parte dell’Italia, dovevano rendere visibile e rafforzare il suo potere. Il complesso catanese ne è un’eccellente testimonianza: poderoso, intimidente, adatto a reggere assalti e assedi e un raffinato strumento politico e anche culturale, che ‘proiettava’ la forza e la cultura imperiale su tutta la Sicilia orientale. LA GEOMETRIA DELLA FORZA – L’impianto del Castello Ursino, come quello di tutte le principali fortificazioni erette del grande imperatore svevo, da Castel del Monte a Prato, è spiccatamente, quasi ossessivamente geometrico, secondo schemi che venivano forse dall’Oriente, bizantino o arabo. Una geometria ricorrente, probabilmente non priva di significati esoterici, che esprimeva con chiarezza cristallina il significato dato da Federico all’impero: apportare e garante di ordine, evidenza, logica, diritto contro la confusione, la frammentazione, l’arbitrio del mondo esterno. Si tratta di un quadrato costruito da quattro corpi di fabbrica perfettamente simmetrici, scompartiti in moduli anch’essi quadrati, con torri angolari tonde e quattro torri rompitratta minori (di cui ne restano solo due), ad andamento semicircolare. Una costruzione massiccia, tutta esecutiva, ben superiore alla norma delle fortificazioni italiane dell’epoca. DALLA RIVA DEL MARE AL CENTRO DELLA CITTA’ – Negli anni Quaranta del Duecento, quando venne costruito, su progetto (o con la supervisione) di Riccardo da Lentini, le mura si erigevano sulla riva del mare, a controllo del porto cittadino. Ma i disastrosi eventi del XVII secolo cambiarono completamente la situazione. Nel corso dell’eruzione del 1669 la colata lavica raggiunse e circondò il castello, cancellando il fossato e le difese esterne. Il terremoto del 1693 e la successiva ricostruzione modificarono la topologia dell’insieme urbano. La fortificazione costiera venne così a trovarsi al centro della città, con un rapporto completamente alterato con l’intorno rispetto a quello abituale.

LA RINASCITA – L’aspetto attuale dell’edificio, fortemente degradato dopo il Seicento, quando venne completamente a cessare la sua utilità militare, risale ai restauri effettuati negli anni Trenta del Novecento, e a quelli successivamente attuati negli anni del secondo dopoguerra, che hanno consolidato quanto ancora rimaneva della costruzione federiciana, liberando il complesso dalle molte sovrastrutture che si erano incrostate nel corso del tempo. FORTEZZE DI PRINCIPI – Lo schema ‘ad quadratum’ del Castello Ursino di Catania era particolarmente usato per i castelli principeschi. Lo si ritrova infatti nel castello visconteo di Pavia, oppure in quello valdostano di Verrès, entrambi costruzioni principali di famiglie dominanti sui rispettivi territori. Ma l’esempio catanese è il più antico, il primo che in Italia attua questo schema: ed è forse servito da ispirazione per le realizzazioni successive. L’APOLOGIA DEL QUADRATO – Il Castello Ursino è, per usare espressione in voga nel medioevo, una tipica costruzione ad quadratum, cioè un complesso edilizio rigorosamente modulato attraverso la giustapposizione di elementi quadrati. La sua pianta è infatti costituita da venticinque quadrati disposti a file da cinque. I nove quadrati centrali (teorici) formano il cortile; gli altri 16, di cui quattro agli angoli, formano invece le stanze attorno alla corte. È uno schema che ha la sua origine verosimile nel Vicino Oriente, in particolare in Siria e in Giordania, paesi che a loro volta lo avevano ereditato dalle fortificazioni bizantine, ricalcate sui castra di confine dell’impero romano. Si ritrova così l’impronta di Roma nelle opere dell’imperatore che più di tutti si avvicinò alla figura e alla concezione dei sovrani dell’Urbe. LA MEMORIA STORICA DELLA CITTà DI CATANIA – Come molti castelli, anche quello di Catania ha avuto una parabola di vita travagliata, passando dallo splendore dei tempi di Federico II, mantenuto in parte anche sotto il dominio aragonese, quando spesso la corte ebbe sede nella città, alla quasi totale decadenza in epoche più recenti, fino al riscatto ottenuto negli ultimi decenni. Il castello venne cinto da mura bastionate e rimaneggiato nel corso del Cinquecento, quando ancora controllava il porto etneo. Nel 1837 venne adibito a prigione, destinazione che portò a numerose trasformazioni dell’interno. Fu pesantemente restaurato tra due guerre mondiali con risultati non del tutto condivisibili oggi. Funge ora da sede del Museo civico, nato grazie alla riunione di alcune delle maggiori collezioni artistiche e archeologiche catanesi. La destinazione mussale cittadina ne ha fatto un vero e proprio ‘luogo della memoria’ per Catania e il suo territorio. Altro polo cittadino è la cattedrale di Sant’Agata (XI secolo). Si trattava di una chiesa munita, cioè dotata di fortificazioni: una rarità in Italia».

http://favoladellabotte.blogspot.it/2011/01/castello-ursino-le-mura-dellimperatore.html


CATANIA (fortificazioni, mura, porte)

Porta della Decima, foto di Archeo, dal sito it.wikipedia.org   Dal sito it.wikipedia.org

     

«Poco si conosce dell'antica fortificazione che cingeva la città di Katane, antico nome di Catania, anche se non mancano prove della sua esistenza, nelle gouaches di Jean-Pierre Houël e in diversi ritrovamenti a seguito di scavi archeologici lungo il tratto nord di Via del Plebscito. Tale fortificazione dovette avere degli accessi di cui ad oggi non si è ancora trovata traccia. In epoca tardoantica le mura dovettero essere in grave stato di abbandono, se per le fonti riguardanti le prime incursioni islamiche della Sicilia la città viene descritta sprovvista di difese. Questo dato ci fa supporre che gli antichi ingressi dovettero ormai essere crollati o di sicuro non più manutenuti. Con l'avvento dei Normanni in città viene eretta la nuova cattedrale, concepita come ecclesia munita, cioè una sorta di incastellamento atto a sorvegliare la costa e il porto vecchio, detto Saraceno. La presenza di tale fabbrica e lo stesso porto fa supporre l'esistenza di una porta che conducesse all'interno della città dal versante marino, quasi certamente presso lo stesso porticciolo. Tuttavia è con gli Aragonesi che abbiamo conoscenza della realizzazione di una robusta fortificazione che proteggesse la città, già oggetto di interessi politici al tempo di Pietro III d'Aragona e ancora al tempo del pronipote Federico IV di Aragona. Di questo periodo probabilmente sono alcune delle più antiche porte della città di cui ancora al 20 aprile 1833 esistevano resti o memoria. Su disposizione del re Carlo la città si dota di un nuovo sistema difensivo basato su bastioni e nuove cortine. In questo sistema difensivo vennero ricavate diverse aperture, tra cui nel 1553 la Porta delli Canali. Tuttavia a seguito dell'eruzione del 1669 la città rimase sprovvista di difese nel suo tratto a sud-ovest e divenne necessaria la edificazione di un nuovo tratto murario che cingesse la zona colpita dalla lava. Dopo diversi tentativi nel 1672 venne completato un piccolo fortilizio isolato dal resto della cortina muraria, chiamato per il suo aspetto Fortino, in cui esisteva una sola apertura, la Porta di Ligne. Non molti anni più tardi venne ricavata la Porta Uzeda nel tratto di mura a sud, prossimo alla Cattedrale e prospiciente il Porto. Tuttavia a seguito del sisma del 1693 il sistema difensivo civico ormai cessava la sua esistenza e nelle mura si aprirono diversi varchi per agevolare l'accrescimento della città. I bastioni erano diventati ingombranti ricordi del passato e vennero riciclati in abitazioni, mentre le porte superstiti vennero demolite per l'ampliamento di alcune strade. Porte della cortina muraria. Prima dell'eruzione del 1669. All'alba dell'eruzione del 1669 le porte civiche esistenti erano dodici, la maggior parte delle quali posteriori al 1550. Di queste appena quattro giunsero fino al 1833, sopravvivendo a colate e terremoti, ma a loro volta il numero venne ridotto nel corso del XIX secolo per opera umana. ...».

http://it.wikipedia.org/wiki/Porte_di_Catania#Storia


CATANIA (palazzo Biscari)

Foto BANDW, dal sito www.flickr.com   Foto BANDW, dal sito www.skyscrapercity.com

«Palazzo Biscari, il più sontuoso edificio privato di Catania, rappresenta un caso unico, per la struttura, la pianta e le decorazioni. Dopo il terremoto che nel 1693 distrusse quasi interamente la città, Ignazio Paternò Castello III principe di Biscari ottenne dal Luogotenente Generale Giuseppe Lanza, duca di Camastra, artefice della ricostruzione catanese, il permesso di edificare il nuovo palazzo sul terrapieno delle mura cinquecentesche di Carlo V. Ignazio muore nel 1700, il figlio Vincenzo, IV principe di Biscari, inizia lavori organici e continuativi che dureranno più di un secolo e a cui parteciperanno i più grandi architetti catanesi dell'epoca: Alonzo di Benedetto, Girolamo Palazzotto, Francesco Battaglia e suo figlio Antonino. All'inizio del Settecento l'edificio si presentava come un vasto trapezio, accentrato sul grande cortile a cui si aveva accesso attraverso un portale riccamente ornato e sormontato dallo stemma con i quattro quarti di nobiltà. Nei primi decenni del secolo Antonino Amato completò la decorazione della facciata alla marina. Per chi allora arrivava dal mare, l'incontro con il palazzo offriva, grazie al totale dispiegarsi del paramento decorativo, la snella visione dei balconi e delle lesene con decorazioni a fiori, putti e telamoni che emergevano dal fondo nero della base lavica. è il trionfo non solamente di un gusto e di uno stile, ma anche delle capacità tecniche degli intagliatori e dei decoratori che si erano formati nel grande cantiere della Catania del XVIII sec. ... Il palazzo raggiunse il massimo splendore con l'intervento di Ignazio V principe di Biscari, uomo eclettico, appassionato d'arte, di letteratura e di archeologia una delle figure delle più significative nella vita culturale di Catania nella metà del Settecento. Committente non comune, il principe non si limita a manifestare all'architetto le proprie esigenze, ma suggerisce e propone modelli e soluzioni che gli vengono ispirate da tutto ciò che vede durante i suoi numerosi viaggi. ... Oggi il cortile centrale del palazzo si presenta attorniato da costruzioni di epoche diverse e dominato dalla scalinata centrale a tenaglia che introduce nella parte più preziosa dell'edificio. ... Il palazzo è ancora oggi in gran parte abitato dai discendenti della famiglia e i suoi saloni principali sono spesso usati per manifestazioni di prestigio di carattere mondano e culturale. Gran parte delle collezioni raccolte nel museo del principe di Biscari sono state donate al comune e trasferite al Museo Civico di Castello Ursino».

http://www.palazzobiscari.com/info/storia.htm


CATANIA (porta Carlo V)

Dal sito www.siciliatouring.it   Dal sito www.comune.catania.it

«Lo spazio occupato dalla settecentesca piazza Duomo costituiva, anche nel passato, il cuore della vita religiosa e politica della città di Catania. Oggi le testimonianze archeologiche giacciono, per sempre, sotto gli edifici barocchi, e i monumenti della città cinquecentesca e seicentesca sono stati interamente inghiottiti dai palazzi nobiliari e dalle chiese. Malgrado ciò alcuni importanti frammenti del passato sono ancora visibili proprio in questa piazza che subì maggiormente i danni del terremoto. La Porta di Carlo V si colloca in una situazione urbana molto suggestiva, e cioè proprio in mezzo alla Pescheria, pittoresco mercato giornaliero della frutta e del pesce; da piazza Alonzo di Benedetto (dietro la fontana dell’Amenano) tramite un grande arco si penetra nella galleria che costituiva l’antico corpo di guardia. Da questa galleria si può raggiungere la Porta di Carlo V (a destra) che conduce nella piazzetta Pardo invasa dalle bancarelle del mercato. Una epigrafe posta sopra la porta ricorda che essa fa parte di un rafforzamento voluto dal viceré Vega nel 1553, per difendersi dalle incursioni dei pirati e dei nemici. Sempre nella piazzetta Alonzo di Benedetto è possibile vedere una fontana molto antica che è sopravvissuta alla distruzione del terremoto, la Fontana dei Sette Canali alimentata dal fiume Amenano. Oggi è inserita in un arcone aperto nel fianco del palazzo del Seminario dei Chierici (che fronteggia il Municipio) e si trova ad un livello del suolo più basso perché è antecedente al terremoto. Un’iscrizione ci fornisce la data di costruzione e cioè il 1612. Oltre la Porta Uzeda (che fu aperta nel 1695 durante la ricostruzione scenografica di piazza Duomo) si possono ammirare alcuni tratti delle mura cinquecentesche. Lungo il percorso delle mura, per l’esattezza inserita nel tratto sotto l’arcivescovado, è un’altra fontana dal forte significato simbolico, la Fonte Lanaria o di S. Agata. Il primo nome deriva dal fatto che la fontana si trovava lungo la via Lanaria (oggi dedicata al cardinale Dusmet) che prendeva il nome dal governatore Francesco Lanario, duca di Carpignano. La dedica a S. Agata è legata, invece, alla tradizione secondo la quale questa fontana segna il punto da dove partirono le reliquie della patrona quando vennero portate a Bisanzio per ordine del generale Giorgio Maniace. Oggi la fontana è meta di pellegrinaggi durante i giorni della festa di S. Agata. Il giorno 4 febbraio, che precede la ricorrenza del martirio di S. Agata, il simulacro della santa percorre l’antico tratto delle mura; tra ali di folla festante ha inizio il cosiddetto "Giro esterno" delle reliquie contenute all’interno di preziosi scrigni racchiusi nel grande fercolo d’argento. Il fercolo attraversa la porta Uzeda e imbocca la via Dusmet dove, all’incrocio con la via Porticello, davanti all’icona della Madonna della Lettera, l’Arcivescovo offre un cero alla patrona».

http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/il_filo_di_arianna/dal_medioevo_all%27eruzione_del_1669/Seminario_dei_Chierici.aspx


CATANIA (torre del Vescovo)

Dal sito www.medioevosicilia.eu   Dal sito www.etnanatura.it   Dal sito www.it9vce.it

«Descrizione preliminare. La Torre del Vescovo sorge nei pressi dell’ospedale Vittorio Emanuele e occupa il limite nord-occidentale della collina di Montevergine, antica acropoli di Catania. La torre si ritiene fondata agli inizi del XIV sec. (1302 d.C.?) ed è parte integrante dell’antica cinta muraria aragonese. Venne acquistata dal vescovo Antonio de Vulpone e trasformata, insieme all’area antistante, in lazzaretto. L’edificio si caratterizza per la pianta quadrata e la tecnica edilizia (non uniforme) costituita da pietrame lavico appena sbozzato, inzeppato con frammenti di terracotta e legato insieme da malta. I cantonali sono rinforzati con blocchi di pietra lavica squadrati. Della torre si conservano solo tre dei quattro muri perimetrali, solo quelli rivolti verso l’esterno della cinta muraria. Si tratta, probabilmente, di un semplice accorgimento architettonico: in caso di assedio e di conquista della cinta muraria, gli attaccanti non avrebbero potuto utilizzare la torre contro la città, essendo essa, in corrispondenza del lato meridionale, esposta al tiro degli arcieri. L’edificio conserva solo le saettiere del primo piano, sebbene sia probabile che esistesse anche una seconda elevazione, oggi del tutto scomparsa. Il pavimento di entrambi i piani doveva essere ligneo. Non si conserva merlatura e la scarpa del pianterreno appare come aggiunta posticcia di tempi relativamente recenti. Nel XVI sec. il lazzaretto si estese, comprendendo oltre alla Torre del Vescovo anche il limitrofo bastione di Carlo V. Il nuovo complesso prese il nome di “Ospedale degli Infetti“».

http://www.medioevosicilia.eu/markIII/torre-del-vescovo/


Catania (torre di Ognina)

a cura di Giuseppe Tropea


Fiumefreddo di Sicilia (castello degli Schiavi o del Padrino)

Dal sito www.icastelli.net   Dal sito www.it9vce.it

«Il Castello degli Schiavi è da sempre una delle costruzioni più suggestive dell'intera isola. L'ingresso è costituito da un imponente cancello in ferro sovrastato da un arco in pietra lavica alla cui estremità superiore è possibile ammirare una maschera raffigurante un volto arrabbiato. L'arco presenta decorazioni che alternano pietre spianate ad altre aventi una piramide rialzata al vertice. Il muro che affianca il portico conserva ancora i cappi in pietra lavica dove una volta venivano legati i cavalli. L'edificio ha un prospetto leggermente inclinato e questo si pensa sia stato voluto di proposito per dare ulteriore risalto alle decorazioni. Il giardino circostante è molto ampio, è fornito di un pozzo proprio ed è ricco di piante di svariata natura che lo rendono molto suggestivo. Adiacenti alla costruzione si trovano i magazzini, le stalle e la dimora del guardiano. Il Castello presenta due piani di cui quello inferiore dedito alla conservazione di quanto prodotto nel fondo limitrofo e quello superiore, adibito ad abitazione per i proprietari. L'ingresso del piano terra è rappresentato da una porta centrale molto alta, circoscritta da una cornice di pietra lavica e con una luce al vertice. Il piano superiore presenta un elegante balcone centrale con una ringhiera bombata e tre lampade pendenti molto pregiate. La porta di questo balcone è bordata di pietra lavica decorata da varie maschere e affiancata da due grandi finestre, allineate con quelle sottostanti. Ad ogni angolo di questo piano vi sono delle piccole torri, che hanno attribuito alla costruzione l'appellativo di castello. Ciascuna di queste risulta sfaccettata, chiusa in alto e in basso e con delle feritoie su ogni lato, alcune delle quali con su scolpiti occhi e orecchie. L'accesso alle torri è interno e avviene per mezzo di una piccola porta. Molto evidente è poi l'imponente loggia alla sommità dell'edificio, situata sulla zona di congiunzione delle facce spioventi del tetto. La sua estensione in altezza è di tre metri mentre la base misura circa quattro e mezzo per tre. È fornita di tre ampie aperture ad arco sia nel lato orientale che occidentale, e di altre due delle stesse dimensioni, al lato nord e al lato sud. In direzione di queste aperture si possono ammirare delle statue raffiguranti due mori. Per quanto riguarda l'interno del Castello, esso si presenta molto differente tra un piano e l'altro. Il piano inferiore è infatti un freddo riposto per la conservazione di vari prodotti alimentari, privo di luci. Il piano superiore invece presenta otto stanze piene di molti oggetti riconducibili al tenore di vita tipicamente signorile. Tra questi, degni di particolare attenzione alcuni pregiati dipinti, raffiguranti tra le altre cose lo stemma dei Gravina, antichi testi ormai introvabili, l'elegante mobilia in tipico stile ottocentesco e le pregevoli porte bianche riconducibili al Settecento».

http://sicilia.indettaglio.it/ita/comuni/ct/fiumefreddodisicilia/turismo/turismo.html


Fiumefreddo di Sicilia (palazzo Corvaja o castello Diana)

Dal sito www.it9vce.it   Dal sito www.comune.fiumefreddo-di-sicilia.ct.it

«In contrada Diana sorge un’elegante residenza del XVIII secolo “Palazzo Corvaja” Questa contrada, attualmente appartenente al Comune di Fiumefreddo di Sicilia, un tempo faceva parte della baronia di Calatabiano. ... L’edificio presenta un pittoresco prospetto serrato fra torricini pensili, che chiude sul fondo una corte rettangolare entro magazzini, stalle e abitazione della servitù. Esso costituisce un esempio di villa-fattoria realizzata dai nobili del tempo per la villeggiatura e per il controllo dei latifondi e delle strutture produttive. Suggestivo è l’uso della pietra lavica per le mostre di porte, balconi e finestre, i corpi scalari merlati e la coloritura dei paramenti con forte tinte. Agli angoli del palazzotto, sorrette ognuna da tre mensole in pietra lavica, due garitte a pianta quadrata, coronata da cupole emisferiche ed ingentilite da un cornicione con decorazioni in stucco, serrano ai lati la facciata. Dietro di esse emergono due torrette più grandi, anche’esse a pianta quadrata e coronate da una merlatura ghibellina che ha un preciso valore simbolico oltre che funzionale. I due cortili e la recinzione del giardino dietro la casa, oltre a contribuire alla difesa, costituivano degli spazi esterni estremamente articolati e differenziati per lo svolgimento delle più svariate attività. In linea di massima la corte chiusa davanti alla residenza era riservata alle attività aziendali e familiari, mentre nel cortile esterno si svolgevano tutte le attività connesse al transito nella via pubblica. A lato del passaggio fra le due corti vi era lo “studio”: un locale dove la famiglia Diana probabilmente esplicava molti degli atti amministrativi relativi ai loro fondi ed ai feudi amministrati per conto dei Gravina-Cruyllas. Sul lato nord della corte esterna con la facciata rivolta alla strada è collocata la Chiesa di San Vincenzo, che assolveva funzioni sia di Chiesa per la popolazione locale, sia di cappella privata della famiglia. ... Addossato al palazzotto, al pianterreno vi è il palmento, costruito nel 1694 dalla famiglia Bottari. Originariamente separata dalla residenza fortificata di Francesco Diana, la casa dei Bottari fu successivamente unita a questa: il corpo centrale fortificato venne così a perdere uno dei suoi attributi difensivi conferitogli dal totale isolamento da altre fabbriche. Dalla fine del ‘700 il complesso, abbandonato dai proprietari quale residenza, non subisce ampliamenti e modifiche sostanziali. Gli interventi più consistenti sono tutti della fine del secolo scorso e dei primi anni del ‘900, quando alcuni locali di servizio attorno alla corte vengono ristrutturati. Fortunatamente la residenza fortificata si mantiene ancora pressoché integra; non altrettanto può dirsi invece di altre parti del complesso. In tempi recentissimi sono state asportate le pietre angolari del parapetto e del collo del pozzo, ancora visibili di F. Fichera dell’inizio del secolo. A sud del cortile esterno alcuni dei vecchi fabbricati sono stati sostituiti da una squallida palazzina "moderna", mentre altri interventi hanno invece alterato una parte consistente dei fabbricati della corte interna che costituiscono un unico organismo architettonico con la residenza».

http://www.comune.fiumefreddo-di-sicilia.ct.it... (da Le residenze di campagna nel versante orientale dell’Etna, di Gaetano Palumbo».


Fiumefreddo di Sicilia (Torrerossa)

a cura di Giuseppe Tropea


Licodia Eubea (palazzo Mugnos)

Foto di Nicola e Pina Sicilia, dal sito www.panoramio.com   Dal sito www.archeolicodia.it

«Il Palazzo Mugnos, nella via omonima di fronte la chiesa Madre, prende il nome dai proprietari, appartenenti ad una famiglia di notevole prestigio di Licodia Eubea. Non vi sono fonti che attestino con certezza la data di costruzione, ma l'impianto viene generalmente fatto risalire al XVII - XVIII secolo, con seri interventi di consolidamento seguiti al terremoto del 1693. La facciata principale, che prospetta sulla via Mugnos, di grande valore artistico per i suoi fregi, è riconducibile allo stile tardo barocco e rococò. Il suo stato di conservazione è discreto e vi è un progetto di recupero e conservazione in corso» - «La facciata del Palazzo, appartenuto alla nobile famiglia dei Mugnos stretti collaboratori dei Santapau prospetta sull'omonima via ed è arricchita da tre grandi balconi con le caratteristiche mensole a mascheroni. Il portale d'ingresso decorato riccamente immette in un vasto atrio dal quale si accede al piano nobile. Il palazzo, nel corso dei secoli, è stato adibito a vari usi, dal 1852 fino al 1894 fu utilizzato come carcere. Oggi grazie al restauro si sta tentando di ridargli nuovamente lustro e dignità».

http://www.comune.licodiaeubea.ct.it/la_città/architettura/Palazzo_Mugnos.aspx - http://www.archeolicodia.it/2011/09/palazzo-mugnos.html


Licodia Eubea (resti del castello di Licodia o Santapau)

Da un video youtube   Dal sito www.lasiciliainrete.it

  

«Il Castello figura nello statuto angioino dei castelli siciliani del 1274, ma difficilmente poté essere costruito durante la dominazione angioina. Secondo alcuni la rupe fu adibita a fortezza nel periodo arabo e normanno, ma il castello assunse il suo aspetto definitivo nel periodo svevo, durante il regno di Federico II. Pochi elementi a nostra disposizione consentono di fare delle deduzioni circa la sua struttura esterna: tutt'intorno dovevano innalzarsi le mura perimetrali, di grande spessore, saldate a cinque torrioni cilindrici che davano all'impianto una forma pentagonale. Lungo la base interna correva un muretto, o gradino, salendo sul quale si poteva guardare al di là delle mura. Sul pianoro si vedono i ruderi di quello che dovette essere il nucleo centrale delle stanze, o parte di esso. A est, nel muro che unisce le due torri tra loro più vicine e meglio conservate, c'era una porta d'ingresso che, benché murata da qualche anno, risulta ancora ben visibile. L'ingresso principale doveva essere dalla parte sud, dalla quale si sale tutt'ora, versante poco ripido che consentiva facilmente l'ingresso ai pedoni, ai cavalieri ed ai cortei. Da questo lato le mura, di cui rimane traccia, dovevano essere molto alte per compensare il dislivello del terreno, sino a raggiungere lo stesso livello delle altre. Il terremoto del 1693 distrusse completamente il castello, lasciando intatte alcune torri (dimezzate all'inizio del XX secolo per pericolo di crollo), pochi muri interni ed alcuni sotterranei, ma è ancora possibile immaginare quanto maestoso poteva essere questo maniero e quanto frenetica potesse essere l'attività all'interno del castello nei periodi in cui furono presidenti del Regno di Sicilia Raimondo, Ponzio e Ambrogio Santapau. Testimone muto e al tempo stesso protagonista di tutti gli avvenimenti che nel corso dei secoli si sono succeduti tra le mura possenti e nelle contrade circostanti, questa fortezza ha respinto assedi (secondo un'antica tradizione orale, durante uno di questi assedi, il signore del castello, invitato a pranzo il comandante dell'esercito assediante, fece servire del pesce fresco così da convincere il nemico che mai si sarebbe arreso per fame), ha ospitato i rappresentanti della migliore nobiltà siciliana, ha vissuto momenti di gloria, di gioia e di dolore divenendo il centro di numerose leggende. È qui che, in una torrida giornata di agosto, al barone don Raimondo Santapau giunge la notizia che la diletta figlia Aldonza era stata strangolata per una colpa non commessa dal marito Antonio Barresi ed è nelle stanze di questo castello che donna Antonia, saputa della morte violenta del marito, si suicidò, la notte di Natale, sopraffatta dal dolore».

http://www.comune.licodiaeubea.ct-egov.it/la_citt%C3%A0/storia/castello.aspx


Maletto (resti della fortezza)

a cura di Giuseppe Tropea


Maniace (abbazia fortificata di Santa Maria, "castello di Nelson")

a cura di Giuseppe Tropea


MASCALI (resti della torre)

Dal sito www.it9vce.it   Dal sito www.it9vce.it

«A trentaquattro chilometri da Catania, sulle falde dell'imponente Etna e sulla costa che guarda al Mar Ionio, sorge Mascali. Il nome deriverebbe dal bizantino Maskalis, ovvero fiorita, riferita evidentemente alle fertili terre che grazie alle vitalizzanti colate laviche producono impareggiabili colture. Il paese, distrutto dall'eruzione del 1928, fu ricostruito su un sito più a monte della vecchia città medievale che fu anche sede della prestigiosa Callipoli, una ricca colonia calcidese. Il centro abitato ospita, su un terreno poco più a sud della neoclassica e bella Chiesa Madre, i ruderi di una vecchia torre. La costruzione, dalla struttura robusta e regolare, doveva servire a proteggere il territorio circostante come dimostrano le dimensioni e lo stile del complesso. L'edificio, che si apriva su una base quadrata e mostrava nelle sue forme il prevalente gusto gotico, era costituito da pietre laviche legate con malta. L'antica torre fu danneggiata notevolmente dal sisma che la privò della sua parte superiore. Nelle mura della fortezza si nota una stretta apertura utilizzata dai soldati per tirare contro il nemico, rimanendo protetti. Più in alto si apre una finestra limitata lateralmente da elementi in pietra lavica; lo stesso materiale compone l'architrave che sostiene il carico sovrastante».

http://sicilia.indettaglio.it/ita/comuni/ct/mascali/turismo/turismo.html


Mascalucia (fortezza del Grifo)

a cura di Giuseppe Tropea


MILITELLO VAL DI CATANIA (castello Barresi-Branciforti)

Dal sito www.it9vce.it   Dal sito www.meravigliaitaliana.it

«Il castello è l’edificio attorno al quale, nell’epoca medievale, ruotò la vita della comunità di Militello. Oggi ne vediamo una torre, la porta, i resti di una torre quadrata ma sopratutto e la magnifica fontana posta al centro dell’atrio. Va messo subito in evidenza che la forma rotonda delle torri ci dice di opere portate avanti anche in epoca normanna (quando la forma quadrata venne abbandonata per migliorare la strategia difensiva). Su questa base possiamo ipotizzare che il castello di Militello fu fortificato in contrapposizione a quello arabo di contrada Catalfaro (l’unico nella zona attestato dal coevo geografo arabo Edrisi). Anzi, possiamo dire, addirittura, che, con l’arrivo dei normanni, probabilmente si svolse un aspra e mortale lotta contro i saraceni, a causa della quale, Catalfaro subì una distruzione da cui non si riprese più (ecco perché oggi ne rimangono soltanto pochi e raramente visitati resti). Il primo nome di feudatario di cui si ha testimonianza è quello di Alaimo da Lentini (1071). Seguì Lanfranco da San Basilio, sotto il quale, pensiamo, il nucleo abitativo di Militello non era del tutto egemone su quelli vicini, dato che egli possedette altri castelli in contrada Jetra e nella vicina contrada di Oxena (insediamento millenario ed ancora prodigo di testimonianza archeologiche). Il primo documento in cui viene nominata la città è datato 1130. In esso si nomina rettore della chiesa di Santa Maria della Stella, “in oppido Militello“, un certo Bertrando da Noto, in sostituzione del defunto Alfio da Messina. Alcune frasi del documento ci riportano alla fiera guerra tra arabi e normanni, spiegando fra l’altro il culto latino per Santa Maria della Stella come rivalsa dopo la riconquista sull’islamismo.

Infatti, poco dopo, nel 1154, governò Manfredi di Policastro, al quale è più o meno dai suoi tempi ci arriva una testimonianza interessante, datata 1178. Si tratta di una concessione di diritti episcopali, che l’arcivescovo Nicola da Messina fa all’abate Timoteo dell’abbazia benedettina di Maniace. Fra le ventisei chiese inserite in questa micro-diocesi, troviamo: “In Militello, Ecclesiam Sancti Costantini, Ecclesiam Sancte Marie, cum totam decimam ipsius Militello in porpetuum concedinus“ (Lynn-Townsed White jr., Il monachesimo latino nella Sicilia Normanna, Editrice Dafni, Catania 1984, p. 226). Il documento, probabilmente si riferisce non alla nostra, ma a Militello nel Val Demone, in provincia di Messina. Colpisce però, la perfetta corrispondenza nelle due città dei più sentiti culti di Santi, il che ci fa supporre un’originaria parentela ancora da esplorare. In un diploma del 1248, poi, troviamo il “casale et castrum Militello” concesso al cavaliere lombardo Bonifacio di Camerana, che nel 1282 passò a Teodoro da Lentini, regio ministro. In seguito, dal Demanio il castello tornò in mani feudali con lo stesso Bonifacio di Camerana ... Per ciò che concerne l’architettura del castello, le parti restanti sono sufficienti a far riconoscere la sua struttura quadrata con corte centrale, torri cilindriche ai vertici ed un grosso torrione al centro del prospetto a ponente. Di ciò resta, oltre a brani di muratura antica e rare porte a sesto acuto all’interno, un torrione a sud ovest accanto alla “Porta della Terra”, sistemata nelle forme attuali nel Seicento dai Branciforte.  Al centro dell’atrio del castello, a ricordare l’incanalamento nel 1605 delle acque della sorgente “Zizza” per condurle in paese, il marchese di Militello don Francesco Branciforte fece innalzare una fontana commemorativa dell’evento, inaugurata il 28 aprile 1607. Tale fontana è costituita da una parte con orlo a gradinati e vasi decorativi che include un’edicola a pilastri ionici con bassorilievo in marmo raffigurante la ninfa Zizza, personificata da una ninfa dai seni zampillanti. Alla base di essa venne posta una grande vasca ottagonale nella quale confluiva l’acqua che sgorgava dai seni della ninfa».

http://www.prolocomilitello.it/Storia%20&%20Cultura/Castello/Castello.htm


Mineo (porta Adinolfo)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.icmineo.it

«Si tratta dell'antica porta del Mercato, l'unica delle cinque porte che ancora esiste a Mineo. Le porte attraverso le quali si accedeva alla città erano: Porta del Mercato, Audientia (Udienza), Jacò (forse da un ebreo Jacob che abitava nelle vicinanze), Odigitria (Itria) e Pusterna (si trattava di una porta minore, di una posterla appunto). Porta del Mercato fu ristrutturata nel 1746 e successivamente alla fine del XIX secolo, quando fu dedicata all'eroe del vespro Adinolfo da Mineo. In ciascun lato in alto si trova una torre arricchita da un disco solare, simboli che indicano il castello Ducezio e il tempio del dio Sole».

http://it.wikipedia.org/wiki/Mineo


Mineo (ruderi del castello di Catalfaro)

Foto di Diego Barucco, dal sito www.siciliafotografica.it   Foto di Diego Barucco, dal sito www.siciliafotografica.it

«Sul monte Catalfaro di Mineo sussistono i resti di un considerevole centro abitato dalla lunga storia, con materiali archeologici compresi tra la preistoria ed il tardo medioevo. La zona abitata si estende su due alture collegate da una sella; sul luogo più alto sorgeva il castello medievale, come confermato dai recenti scavi archeologici. Nel 1093: Kaltaelfar è nominata in una bolla di Urbano II e fa parte della diocesi di Siracusa. Nel 1154: Idrisi ricorda molto brevemente qatat al-far. Nel 1169: sono documentate le ecclesie Calataelfar. Nel 1272: Catalfaro è attestata come castrum e casale. Nel 1294: è attestato il solo casale. Nel 1392: Catalfaro è attestata come semplice feudum; l'abitato ed il castello sono probabilmente già deserti. Nel 1400: si riscontra il toponimo riferito semplicemente al feudo. L'abitato ed il fortilizio medievali giacciono in posizione dominante (m 515 s.l.m.), difficilmente accessibile se non da un solo pianoro in direzione dell'abitato di Mineo; il sito domina la Valle dei Margi ed è in vista del territorio di Occhiolà-Grammichele. L'impianto planimetrico non è rilevabile, si riscontrano infatti solo poche strutture interrate (scavi effettuati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Catania) e pochi resti affioranti. La proprietà attuale è privata».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=271


Mineo (ruderi del castello di Mineo o castello Ducezio)

Dal sito www.comune.mineo.ct.it   Dal sito www.guidasicilia.it

«Benché la tradizione attribuisca la costruzione del castello al condottiero siculo Ducezio, fatta eccezione per un breve tratto di muro a secco del VI secolo a.C., quanto oggi rimane del castello non può certo essere assegnato ad una età così antica. Si è pensato che i Romani, sulla base della fortificazione sicula, abbiano costruito un ridotto fortificato, poi ampliato dagli arabi. L'impianto del castello sembra comunque datarsi tra il 1060 e il 1181 i Normanni completarono la costruzione che appariva formato da dodici torri merlate, disposte in circuito con triplice atrio, e nel punto più importante una torre più grande, detta "maestra", di forma ottagonale, costruita con blocchi squadrati. Ai piani superiori vi erano ampie aule, stanze segrete e appartamenti principeschi. In seguito venne ristrutturato, e divenne famoso per le nozze che vi si celebrarono nel 1361, fra Costanza d'Aragona e Federico III il Semplice. Ma già nel XVII secolo la fortificazione perdette importanza strategica e nel 1629 venne venduta ai Morgana e trasformata in carcere. Dopo il terremoto del 1693, non rimase che parte delle antiche mura e della torre centrale e il materiale di risulta fu utilizzato per la costruzione del palazzo Morgana. Purtroppo oggi si possono ammirare solo i resti della torre maestra, (muratura a sacco con blocchi calcarei squadrati), di cui si può vedere la base a pianta ottagonale, ma affacciandosi sulla vallata del pianoro del Castello Ducezio, si ha la meravigliosa vista dell'Etna, dell'intrecciarsi della catena Iblea con quella degli Erei, di Grammichele e Palagonia e della valle dei Margi. Una delle porte della città, incorporata nelle mura del castello, venne recuperata e murata nel prospetto della confraternita del SS. Sacramento, contigua alla collegiata di S. Maria Maggiore. I resti del castello si trovano in cima al colle più orientale, e vi si accede tramite la via Castello partendo dal Largo S. Maria Maggiore. Oggi quest'area, a ridosso della quale vi è la casa del custode, è stata adibita a sede del serbatoio idrico del centro».

http://www.sicilie.it/sicilia/Mineo_-_Castello_Ducezio


Mirabella Imbaccari (castello o palazzo Biscari, palazzo Giangrande)

Palazzo Biscari, foto © A.p.t. Catania, dal sito http://sicilia.indettaglio.it   Palazzo Biscari, dal sito http://ilveltro.blogspot.it

  

«Palazzo Biscari. È il monumento più insigne, unitamente alla Chiesa Madre, che c'è nel Comune di Mirabella. In esso attualmente ha sede l'Istituto delle Suore di Santa Dorotea. Sorge sul punto più alto del paese, sullo sfondo della via Trigona, che è l'arteria più centrale e più antica. ... È di architettura barocco-locale, dal portale, dagli stipiti e dalle finestre di pietra intagliata. Dai balconi di ferro bombato, sul frontespizio troneggia lo stemma della casa gentilizia dei Biscari (sul campo sinistro di chi guarda si vede uno scudo con otto strisce verticali tagliate da una trasversale e, sul campo destro, una torre merlata). È un palazzo molto ampio, con un cortile interno, o baglio, cinto da terreno coltivato a giardino e orto, e dal boschetto dalla parte di levante. Comprende molte ampie stanze che un tempo erano adibite in parte ad abitazione e in parte a dispensa, cucina, cavallerizza, magazzini. Al centro dell'androne, pavimentato con mattoni di argilla ordinari, vi è una grande cisterna con due colonnine di ferro battuto, alimentata dalle acque piovane. Dall'androne si accede, attraverso un'ampia scala tutta in pietra ivi compreso il passamano, al piano superiore dove, tra l'altro, sono ben custoditi alcuni mobili antichi lasciati dai Biscari, e qualche quadro pregevole di loro antenati. Nella grande stanza che un tempo fu la camera da letto dei coniugi Biscari c'è la Cappella delle Suore dove si possono ammirare un artistico altare scolpito in noce con un altro in mogano di recente fattura sullo stile basilicale e due preziosi candelabri di bronzo. Annesso al palazzo Biscari nella parte di tramontana sorge quello che comunemente si chiama il Carcere (tipica costruzione coi merli sovrapposti, sul tipo dei castelli medioevali, che un tempo serviva come luogo di pena e adesso è stato ristrutturato internamente per attività sociali). ... Nel 2014 piazza S. Paola Frassinetti è stata sottoposta a restauro (ricostruita la scalinata d'accesso al Palazzo Biscari e ripulito il Monumento ai Caduti che è stato spostato alla sinistra del palazzo). Palazzo Giangrande. È un isolato costruito sotto il carcere o castello facente angolo con l'attuale via Politini e via Castello. La sua costruzione risale alla stessa epoca del palazzo Biscari o immediatamente successiva. Vi si ammirano ancora il portale che si apre in via Castello, tutto in pietra intagliata con lesene e capitelli, e un altro portale sulla via Politini, pure intagliato ma con linee diverse».

https://it.wikipedia.org/wiki/Mirabella_Imbaccari#Luoghi_d.27interesse


Misterbianco (torri di Poggio Cardillo)

a cura di Giuseppe Tropea


Mongialino (resti del castello)

a cura di Giuseppe Tropea

  


MONTELAGUARDIA (castello Romeo)

Dal sito www.icastelli.net   Dal sito www.castelloromeosrl.com

«In un angolo suggestivo tra Randazzo, l'Etna e la valle dell'Alcantara, il settecentesco Castello Romeo conserva il fascino e l'incanto di un luogo storico perfettamente preservato nel tempo. Appartenuto al Marchese Romeo delle Torrazze, ha ospitato i Reali d'Italia Vittorio Emanuele III e la Regina Elena, il Principe ereditario Umberto II e le principesse Mafalda e Giovanna di Savoia, ed è stato cornice dei momenti conviviali organizzati per gli ufficiali e la nobiltà del primo Novecento. Il Castello è stato interamente restaurato, e le sale conservano intatti gli affreschi originali; l'arredamento riproduce fedelmente quello dell'epoca per riviverne immutata tutta l'atmosfera. Sono tuttora presenti i passaggi segreti verso il fiume Alcantara, costruiti come vie di fuga, e la cantina custodisce le botti più grandi del Regno delle due Sicilie. Superato il possente portale lavico ad arco gotico si accede ai giardini, che creano un gradevole percorso verso l'ingresso al maniero da una parte e le antiche scuderie dall'altra, e conducono al maneggio».

http://www.castelloromeosrl.com/storia/


Motta Sant'Anastasia (dongione del castello normanno)

a cura di Giuseppe Tropea

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Carmelo Liseo (https://www.facebook.com/carmiko87)   Foto di Carmelo Liseo (https://www.facebook.com/carmiko87)   Foto di Carmelo Liseo (https://www.facebook.com/carmiko87)   Foto di Carmelo Liseo (https://www.facebook.com/carmiko87)   Foto di Carmelo Liseo (https://www.facebook.com/carmiko87)


Occhiolà (resti del castello)

Dal sito http://fondazioneterravecchia.it   Dal sito http://fondazioneterravecchia.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Irene Novello (https://www.facebook.com/irene.novello1)

«Il territorio di Grammichele si sviluppa su un altopiano compreso tra i monti Iblei ed Erei, posto a 520 m. s.l.m. È ricco di acque e vario nelle coltivazioni (agrumi, ulivi, cereali, vigneti). La culla della storia di Grammichele è stata individuata presso i poggi della contrada di Terravecchia, sita a due chilometri a nord-ovest dal moderno centro abitato, dominante assieme a Mineo e a Caltagirone la Valle dei Margi. Necropoli, abitazioni, aree sacre hanno restituito preziosi reperti (esposti in parte al Museo Comunale e al Museo regionale di Paolo Orsi), testimoni di una civiltà che si insediò in questi territori a partire dall'XI sec. a.C. La zona è stata indagata dall'archeologo roveretano Paolo Orsi a partire dal 1891. Qui Orsi collocò la presunta Echetla, centro siculo ellenizzato (IV secolo a.C.) testimone dell'espansione coloniale greca verso l'entroterra, della convivenza fra indigeni e Greci e dei loro contrasti. Testimonianze dell'epoca medievale sono i ruderi dell'antica Occhiolà, borgo feudale devastato dal terribile terremoto del 1693 a seguito del quale il principe di Butera e barone del feudo, Carlo Maria Carafa Branciforte, fondò più a sud la nuova città di Grammichele con una pianta esagonale unica al mondo. Questo territorio racchiude in sé una complessa stratigrafia culturale di oltre tremila anni di storia. Zona di notevole interesse geologico ed archeologico, ricca di storia e di cultura, di tradizioni e di bellezze panoramiche» (testo di Irene Novello).

http://www.visitasicilia.com/parco-archeologico-di-occhiola.html


Paternò (castello)

a cura di Giuseppe Tropea

  


PATERNÒ (mura)

Dal sito www.comune.paterno.ct.it   Dal sito www.comune.paterno.ct.it

«La città medievale di Paternò arroccata sulla collina vulcanica era difesa da mura costruite dopo l'arrivo dei Normanni, anche se non si può escludere che vi fosse un sistema di difesa arabo preesistente. A giudicare dalle differenti ubicazioni dei ruderi, dovevano esserci, oltre alle mura del castello, diverse cinte murarie. La città era attraversata nel sottosuolo da cunicoli che conducevano all'esterno o collegavano tra di loro i diversi edifici. Resti delle mura sono riscontrabili nelle fondamenta del palazzo Moncada, nei pressi della porta del Borgo, nei pressi del castello, nei pressi di via Paganini, ecc. Queste mura resistettero, secondo il Colonna, fino alla metà del sec. XV; ma possiamo dedurre che erano già parzialmente demolite nel XIV secolo per la mancata difesa della città durante gli attacchi di Enrico Rosso e dei briganti».

http://www.paternogenius.com/pagine/Storia%20di%20Paterno/C.Rapisarda,Patern%C3%B2%20medioevale%20031.htm


PATERNÒ (palazzi)

Palazzo Moncada, dal sito www.paternogenius.com   Il vecchio ospedale SS. Salvatore, dal sito www3.unict.it

«L'ex palazzo Ciancio è un palazzo storico di Paternò, in provincia di Catania. Sito in piazza San Francesco di Paola, in pieno centro storico di Paternò, l'edificio fu costruito nel 1618, e appartenne ai baroni Ciancio, nobile famiglia siciliana di origine francese giunta nell'isola verso il XV secolo, che si stabilì ad Adernò e Paternò. Elevato su due livelli, è uno dei più antichi palazzi civili di Paternò per anno di edificazione: di struttura rettangolare, è costruito interamente in pietra lavica in stile barocco etneo, il portale d'ingresso è situato nella parte sinistra dell'edificio, ad arco a sesto acuto e ornato in pietra lavica, sormontato dallo stemma araldico dei Ciancio. Il palazzo si estende anche nella traversina ad esso adiacente (cortile Ciancio), dove vi si trova il cortile interno. ... Il palazzo delle Arti (già ospedale Santissimo Salvatore) è un antico complesso monumentale di Paternò, in provincia di Catania, sede di un museo che ospita vari eventi, rassegne d'arte moderna e conferenze. La data della sua edificazione è storicamente legata a quella della chiesa di Santa Maria della Valle di Josaphat, eretta in epoca normanna su commissione della contessa Adelaide del Vasto, moglie del gran conte Ruggero. ... L'antica sede dell'ospedale Santissimo Salvatore, oggi "palazzo delle Arti", è situato nel quartiere della Gancia, a ridosso della collina storica. Elevato su due livelli, il palazzo, la cui porta d'ingresso si trova nel lato adiacente alla chiesa normanna di Santa Maria di Josaphat, ha struttura rettangolare e due facciate. L'edificio ha una semplice decorazione esterna in stile eclettico, che deriva dalla ristrutturazione dell'antico edificio barocco avvenuta nella seconda metà dell'Ottocento, a sua volta sorto sui resti dell'antico convento costruito in età medievale. ... Palazzo Moncada è un palazzo storico di Paternò, attualmente sotto proprietà di privati. Edificato nel 1627, il palazzo sorge a ridosso della collina storica e deve il suo nome alla nobile famiglia Moncada del ramo dei principi di Paternò, che furono per molti anni i proprietari e i dimoranti. La lunga facciata si erge a ridosso della medievale Porta del Borgo,ed è caratterizzata da elementi in pietra lavica (balconi,portali e mensoloni) e, nonostante si tratti di una dimora patrizia, lo stile architettonico è molto semplice. Molto interessante invece è l'interno,con saloni riccamente affrescati e stuccati».

http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Ciancio_%28Patern%C3%B2%29 - ...Palazzo_delle_arti... - ...Palazzo_Moncada...


PATERNÒ (porte)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.comune.paterno.ct.it

«Le porte qui di seguito elencate sono quelle documentate. Per qualche studioso poteva la stessa porta avere più nomi, come ad esempio Agira e/o Randazzo, Falconieri e/o Saraceni, o potevano non essere porte come quella dei Falconieri. Altre aperture esistevano nella cinta muraria bassa, ma non sono riportate se non nella tradizione orale. Porta del Borgo o dei 'Porti'. L'arco della Matrice o porta del Borgo, detta anche "I Porti", risale al sec. XII. Fatta costruire dal conte Ruggero, antica porta medievale aperta sulle mura di cinta, si chiama arco della Matrice perché conduce alla chiesa Madre. Il nome più antico è Porta del Borgo perché immetteva dall'abitato alto del colle, a quello basso, detto "Borgo". È una porta rustica, con le fiancate rocciose di pietra lavica. In origine il piano di base era più alto dell'attuale, entrando, sul lato sinistro, si nota una croce graffita, che la tradizione attribuisce all'opera di San Filippo d'Agira, ivi giunto per cacciare i demoni dalle rupi. La porta del Borgo, per il Colonna, era in origine a tre fornici. La zona vicina è detta "Porti" perché le mura di cinta avevano diverse porte. Porta Lentini o Porta del Pertuso. Nei pressi della chiesa della Consolazione. Ci sono ancora i resti visibili dietro la chiesa e tracce dell'originale scalinata. Per alcuni studiosi si tratterebbe di un punto di osservazione. Porta della Ballottola. Situata in via Paganini un tempo a due fornici. La strada, in discesa, che costeggia il palazzo Caruso, univa i quartieri superiori con quelli inferiori. Il nome, attribuito in periodi più recenti, è derivato dalla caratteristica dei Massoni che furtivamente passavano 'appallottolati' nei loro mantelli».

http://www.paternogenius.com/pagine/Storia%20di%20Paterno/C.Rapisarda,Patern%C3%B2%20medioevale%20033.htm


PATERNÒ (resti del castello della Baronessa di Poira)

Foto Domenico Arcoria, dal sito www.fotografieitalia.it   Dal sito www.casaledelsimeto.com

«L'antico castello sorge in contrada Poira, nella strada che conduce da Paternò a Centuripe. Fu probabilmente edificato in età medievale sui resti di antico centro abitato dai Siculi. L'imponente complesso edilizio costituito da quattro grandi corpi di fabbrica con funzione abitativa, di magazzino, di riparo per gli animali e religiosa, fu sede di una masseria fino alla fine del XX secolo. In età moderna il castello fu residenza dei baroni Spitaleri di Adernò, proprietari del feudo di Poira. Qui alla fine dell'Ottocento si verificò il "sequestro Spitaleri" ad opera della Banda Maurina, un gruppo di briganti attivo nelle campagne del Catanese e del Messinese. I membri della banda assaltarono il castello del barone Spitaleri, per la cui incolumità la banda chiese ed ottenne 50.000 lire. I briganti fecero comunque irruzione nel castello depredandolo, per poi fuggire. Sulla collina di Poira, nel 1995, la Sopraintendenza ai Beni Culturali di Catania ha portato alla luce una necropoli ellenistica con tombe del VI e V secolo a.C., contenenti all'interno vasellami di vario stile. Poco lontana la "Grotta degli Schiavi", probabilmente un Ergastulum romano, dove, al termine del lavoro, venivano posti gli schiavi e incatenato chi si ribellava ai lavori imposti. Dell'antico edificio oggi rimangono alcuni resti. Si possono ancora vedere tracce della doppia cinta muraria, le feritoie, le finestre strombate, l'enorme cisterna, la cappella e una stanza con i camini. Il sito è stato abbandonato e saccheggiato negli ultimi decenni».

http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Poira


PATERNÒ (torre dei Falconieri o dell'Itria)

Dal sito http://flickeflu.com   Dal sito www.it9vce.it

«La Torre dei Falconieri annessa alla chiesa dell'Itria è ubicata in un quartiere popolare in una piazzetta all'inizio di via Gaudio, la cui vita risale al sec. XVI. La zona ricorda un agglomerato da qasbah araba, al quale si accedeva attraverso una porta ogivale. La Torre medievale in pietra lavica, presenta un piano base quadrangolare rustico e un secondo ordine elegante, culminante in una torre campanaria con finestre a tutto sesto (due occluse per necessità campanarie) con pilastri in piedritto e ghiera dell'arco a calcare e pietra lavica e malta, culminante nel fastigio in merli a coda di rondine o ghibellini. Nell'interno una rozza scala che, lungo le pareti, consente di salire al piano superiore dove vi sono due campane, una grossa che porta la data 1805 e l'altra più piccola datata 1811. Probabilmente servì come avamposto o punto di appostamento per i cacciatori che nel Medio Evo si servivano del falcone per la caccia di altri volatili o per la pesca presso il fiume Simeto, da qui il nome di "Torre dei Falconieri". Da quando è stata aggiunta la chiesa dell'Itria essa funge da campanile. La chiesa attigua fu costruita nei primi anni del secolo XVII e comunque non più tardi del 1630, per riprendere il culto di Santa Barbara, la cui primitiva chiesa, esistente sul versante orientale della collina era andata perduta».

http://www.comunitalia.eu/italy/it_IT/id_2880/2009_gennaio_01/religione/paterno_/chiesa_madonna_dell_itria_e_torre_dei_falconieri.htm


Randazzo (ex palazzo Reale)

Dal sito www.it9vce.it   Dal sito www.it9vce.it

«...Proseguire lungo via Duca degli Abruzzi. Sulla destra si incrocia via Agonia, così chiamata perché, si narra, veniva fatta percorrere dai condannati a morte che dal castello-carcere venivano portati alla Timpa, davanti a S. Martino, ove venivano giustiziati. Lungo la via si può ancora vedere un esempio tipico di casa trecentesca, caratterizzata da un vasto locale a pianterreno e due stanze quadrate al primo piano (visibile solo dall'esterno). Via Duca degli Abruzzi confluisce in corso Umberto. Un arco sulla destra ci indica l'antico ingresso del Palazzo Reale, di cui oggi resta solo parte della facciata, con una bella fascia marcapiano bicroma e due bifore. Il palazzo, prima di essere distrutto dal terremoto del 1693, ha ospitato personaggi famosi quali Giovanna d'Inghilterra, sposa di Guglielmo II il Normanno. Costanza d'Aragona (la località era stata scelta come residenza estiva dalla corte aragonese) e, nel 1535, Carlo V».

http://www.catania-sicilia.it/randazzo.htm


Randazzo (mura, porte)

Dal sito www.it9vce.it   Dal sito www.it9vce.it

«Randazzo era circondata da una cinta muraria lunga circa 3 Km, probabilmente di epoca sveva, con 8 torri e 12 porte, visibile ormai solo per brevi tratti. Rimangono oggi soltanto una torre (il Castello) e quattro porte. Porta Aragonese: si apre sul tratto più lungo delle mura superstiti, e deve il suo nome al fatto che Re Pietro d’Aragona, restaurandola assieme alle mura, vi fece apporre, accanto allo stemma di Randazzo, il proprio e quello della moglie Costanza, tuttora visibili. Detta anche Porta di San Giuliano, o più comunemente "Porta ‘o mustu", perché nei suoi pressi avevano stanza i doganieri addetti al controllo dei prodotti che entravano in città. Porta San Martino: su un breve tratto residuo di mura, è detta anche Porta Palermo, o Porta San Cristoforo, dall’immagine del Santo che un tempo vi era affrescata, poi scomparsa, ma sostituita nel 1983 da una composizione in ceramica policroma del prof. Nunzio Trazzera. Porta San Giuseppe:  è una posterla che si apre alla sommità di una breve scalinata, in prossimità del luogo dove sorgeva un tempo l’omonima chiesa. Lungo via S. Margherita si trova la Porta Pugliese, altra posterla prospiciente le balze dell’Alcantara».

http://www.comune.randazzo.ct.it/Tempo_libero/Monumenti/monumenti.html


Randazzo (torre-fortezza)

a cura di Giuseppe Tropea


Riposto (torre Modò)

a cura di Giuseppe Tropea


San Michele di Ganzaria (ruderi del castello ducale dei Gravina)

Foto di Giuseppe Lo Tauro, dal sito http://mapio.net   Dal sito www.studioiannizzotto.com

«Adagiato in uno dei punti più suggestivi dei monti Erei, il comune di San Michele di Ganzaria si estende all'estremo confine della provincia di Catania. Si ritiene che l'abitato originario risalga all'anno 1000 d.C., quando i saraceni occuparono la Sicilia. Il centro abitato fu dunque quasi sicuramente fondato in periodo arabo, come attesterebbe il nome stesso Hianzaryah, che in arabo significa "luogo boschivo-acquitrinoso pieno di cinghiali". Durante questo periodo il paese esisteva con una propria autonomia amministrativa. Per quanto riguarda il periodo successivo non vi sono informazioni certe, ma la presenza dei Normanni sembra attestata dal nome di "Tempio dei Francesi" (R. Pirro, Sicilia sacra, 1733) che l'attuale Chiesa Madre, da loro costruita, conservò per molto tempo. Del periodo angioino (1268-1282) non rimangono significative tracce, se non una serie di leggende tese a sottolineare le violenze legate a tale dominazione. La dominazione Aragonese portò ad un miglioramento delle condizioni di vita nel casale. Fu durante questa fase che il paese passò, per diritto di successione, ai "Signori di Gravina". Sotto la loro signoria l'abitato assunse la denominazione attuale, infatti il barone Michele Gravina decise di anteporre al nome di Ganzaria quello di S. Michele, in onore all'Arcangelo, eletto successivamente Patrono del Paese. Nel 1503 i principi Gravina edificarono un imponente castello a cavaliere della collina del Carmelo, i cui ruderi sono ancora oggi visibili. Il 25 settembre 1534, per iniziativa del barone Antonio Gravina, il territorio del casale fu concesso ad una colonia di profughi greco-albanesi, i quali dovevano ottemperare alle condizioni stabilite in degli accordi scritti e bilaterali,"capitoli di fondazione", che costituirono l'atto di nascita del nuovo casale. La colonia greco-albanese si estinse intorno al sec. XVIII, soprattutto a causa della lontananza dagli altri casali della stessa origine. ...».

http://turismo.provincia.ct.it/il-territorio/i-58-comuni/san-michele-di-ganzaria.aspx


SANTA MARIA DELLA SCALA (fortezza del Tocco)

Dal sito www.postazioneavanzata.com   Dal sito www.siculina.it

«I resti della Fortezza o Bastione del Tocco si possono ammirare alla fine del secondo tornante delle Chiazzette, una suggestiva stradina spagnola, di grande valore paesaggistico, che collega dal 1500 Acireale al mare Ionio e che s’imbocca a piedi lungo la Strada Statale 114. Quest’ultima è facilmente raggiungibile sia da chi proviene in macchina dall’autostrada A18 (CT-ME), uscita Acireale, sia da chi giunge dalla Stazione ferroviaria di Acireale, mediante autobus. Il sentiero spagnolo (detto anticamente Scala d’Aci e poi ribattezzato Chiazzette) era la principale via di collegamento tra la città di Acireale ed il mare, per il commercio e per le provviste d’acqua, e testimonia l’antico ed importante rapporto tra il centro abitato e la costa. è caratterizzato da massicce strutture di sostegno ad arco, tutte in pietra locale, e da tornanti dai quali si può ammirare un incantevole panorama. In quest’area si può anche notare la presenza di una ricca vegetazione arborea (es.il Gelso papilifero, l’Euforbia, la Robinia pseudoacacia, l’Alianto ed il Cappero) che rende l’aria particolarmente profumata.  La Fortezza o Bastione del Tocco, edificio interamente in pietra, si erge tra terrazzamenti di pietrame lavico, lungo le Chiazzette, sulla Timpa di Santa Maria La Scala e fu edificato su disegno dell’ingegnere fiorentino Camillo Camilliani. Quest’ultimo, tra il 1584 ed il 1593, in qualità di Soprintendente delle fortificazioni regie dell’isola, per conto della Deputazione del Regno si occupò del potenziamento delle difese costiere dell’isola di Sicilia, muovendo da Palermo in senso antiorario lungo tutta la zona costiera. Allora,accanto all’endemica minaccia dei predoni saraceni, si venne prospettando anche l’incubo delle invasioni dei Turchi perché, malgrado la sconfitta di Lepanto (1571), le scorrerie turche lungo il litorale della Sicilia Orientale continuarono ad essere frequenti e ciò rese necessario, agli inizi del 1600, la realizzazione di opere di fortificazione. La Timpa fu prescelta come posto di guardia marittima perché forniva la possibilità sia di dominare un ampio spazio di mare sia di assicurare la continuità delle segnalazioni tra le torri dell’isola e fra queste ed i centri abitati. ...

Il fortilizio, praticamente inespugnabile, è realizzato in pietra locale, a forma di terrapieno e fu costruito dal lavoro forzato dei condannati. Dall’archivio municipale risulta che nel 1592 furono spese 80 onze per la costruzione di un cannone che desse il segnale di pericolo e per mantenerlo adeguatamente fu imposto ai cittadini il pagamento di un dazio. Il Bastione è costituito da due piani intercomunicanti per mezzo di una scaletta che doveva passare attraverso un foro e si compone di due ambienti con volta a botte nella zona del basamento,destinati a cisterna e a deposito delle polveri e della legna e di due-tre vani, pure con volta a botte, nel piano superiore,adibiti all’alloggiamento dei guardiani,dal maggiore dei quali,per mezzo di una scaletta, si accedeva alla terrazza che doveva essere munita di parapetti e feritoie e nella quale erano ubicati i pezzi di artiglieria. Non si tratta dunque di un caso isolato perché, per la facilità con cui i pirati barbareschi giungevano nei litorali della Sicilia, il governo fu indotto a formulare nel 1579, sollecitato dall’allora viceré M.A. Colonna, il progetto della realizzazione lungo il litorale dell’isola di una cintura di Torri di avvistamento e di “accomodare quelle che avessero bisogno di riparazione e racconciamento”. Il viceré Colonna incaricò allora l’architetto Spannocchi di visitare le marine della Sicilia da Messina a Messina”muovendo in senso orario” per controllare la capacità difensiva dell’isola. Dette torri sorsero alla distanza di due o tre Km. l’una dall’altra, in genere per proteggere o località isolate o obiettivi che potessero essere d’interesse per i pirati,come corsi d’acqua, agglomerati sparsi di case e centri di pesca. Altro scopo era quello di garantire la produttività della costa perché l’intento dell’impero spagnolo, di cui la Sicilia faceva parte, era di sfruttare l’isola sia per le capacità produttive delle sue terre sia per la sua posizione chiave nel Mediterraneo,quale baluardo difensivo del mondo cristiano contro il nemico turco.

La Fortezza o Bastione del Tocco fu utilizzata anche come prigione. Al primitivo progetto del Camilliani furono apportate alcune modifiche ad opera dell’architetto Vincenzo Tedeschi e la struttura fu totalmente compiuta intorno al 1651. A causa del sisma del 1693, che distrusse il Val di Noto, la Torre fu poi consolidata nel 1696 dall’ingegnere acese Vincenzo Geremia, soprannominato Pucciddana (Porcellana), a cui si deve l’aggiunta di un cannoncino portatile. Tra le ispezioni, come ricorda il Villabianca, si ricordano quella effettuata nel 1751, per incarico del viceré duca di Laviefuille,da Giuseppe Salomone,ufficiale del Senato di Palermo, ed una successiva ricognizione, fra il 1803 e l’inizio del 1804, a cura del direttore del Genio, brigadiere Guillamant e del comandante delle Artiglierie, colonnello Salinero, a seguito della quale il principe di Cutò, che reggeva allora l’isola con la carica di Luogotenente e Capitano generale,invitò la Deputazione del Regno a dotare le Torri di munizioni e pezzi di artiglieria e venne introdotta la norma che ogni anno il deputato preposto alle Torri dovesse disporre una visita generale delle stesse. La Torre del Tocco, gradualmente abbandonata, è oggi chiusa al pubblico e, per non andare del tutto in rovina, necessita con urgenza di adeguati e conservativi lavori di restauro che la riportino al suo antico splendore, affinché possa restituire alla collettività una testimonianza di lontane e drammatiche vicende della nostra storia».

http://www.siculina.it/torre_del_tocco.htm (a cura di Sebastiana Ardizzone Lutri)


Scordia (palazzo Branciforte)

Dal sito www.comune.scordia.ct.it   Dal sito www.comune.scordia.ct.it

  

«Il Palazzo del Principe fu costruito nel 1628 e misura m. 51 di lunghezza e m. 60 di larghezza. La sua maestosa bellezza di un tempo oggi si può solamente intuire, avendo subito sia all’interno che all’esterno molti interventi che ne hanno modificato la consistenza strutturale e stravolto l’armonia generale della composizione. Il suo prospetto principale è quello posto a sud, e originariamente era delimitato dalla vasta arena del Principe, la cui area attualmente è occupata dal modernissimo e architettonicamente prosaico e insignificante palazzo municipale. All’arena si accedeva attraverso un monumentale portale barocco di tufo locale preziosamente intagliato. In corrispondenza di questo portale, sulla facciata principale (il cui angolo di sud-est, seriamente danneggiato dal terremoto del 1693, fu fatto ricostruire e rinsaldare con robusti contrafforti nel 1712 da Giuseppe I Branciforte) si apre una grande porta-galleria che immette in un vasto cortile interno, al quale da nord si accede per mezzo di un arco ad essa corrispondente. Sulla sommità dell’angolo di sud-ovest è visibile una banderuola in lamina di ferro che ha la sagoma di un leone rampante che tiene un vessillo, stemma dei branciforte e oggi del Comune di Scordia; lo stesso simbolo è incorniciato in alto dal timpano spezzato della loggia centrale. Ancora oggi sono raggiungibili alcuni dei sottostanti sotterranei adibiti a prigione dei principi di Scordia. Attualmente il palazzo, diventato proprietà di privati, versa in una desolante condizione di degrado, per cui è stato dichiarato pericolante e transennato. Il portale, invece, si trova, smontato, nei locali del vecchio macello, dove non sono più reperibili due dei suoi elementi più significativi: lo stemma dei Branciforte e del Comune, risistemato nella sala di lettura della Biblioteca Comunale, nel primo piano del vecchio palazzo municipale di via G. Marconi (il settecentesco palazzo vecchio-Majorana); e la lapide con l’iscrizione che ricordava la restaurazione del paese ad opera di A. Branciforte, recentemente posta in una parete del piano terra dello stesso palazzo, oggi sede del Museo Civico Etno-Antropologico e Archivio Storico “Mario De Mauro”. Dal portale, a decorrere da 1712, si accedeva nel teatro comunale, da quella data attivo fino al crollo avvenuto nel primo dopoguerra, nello spazio oggi occupato dal Municipio [tratto da: N. Gambera - D.Ventura, Scordia. La Storia. Le tradizioni. I monumenti. L’arte, Museo Civico Etno- Antropologico ed Archivio Storico “M. De Mauro”]».

http://www.scordia.info/nuova-architettura/monumenti/palazzo-branciforti  (a cura di Elena Lussi)


SERRAVALLE (castello)

Dal sito www.lasiciliainrete.it   Dal sito www.it9aak.it

«Il Castello di Serravalle, detto anche castelluccio, sorge nell’omonima contrada, nel territorio di Mineo, in cima al poggio Pizzuto, una magnifica altura rocciosa da cui si domina la Valle del Margi, territorio dove un tempo si trovava il lago dei Palici, legato alla figura del condottiero siculo Ducezio. Con gli altri due castelli presenti nella zona, quello di Mineo e di Mongialino, il castelluccio era posto a guardia della via che da Catania, passando per Palagonia e Mineo, giungeva a Caltagirone. Il castello doveva quindi avere un ruolo importante per la difesa dell’accesso alla piana di Catania da sud. La bellezza ed il mistero che il castello promana non passano inosservati a chi percorre la strada statale 417, e ciò che più colpisce è la perfetta armonia fra paesaggio ed architettura. Il nucleo centrale del castello è costituito dalla torre medievale a base quadrata, la quale è cinta da un sistema murario a pianta irregolare con merli ghibellini, probabilmente aggiunti nel XVI secolo. Il complesso architettonico si adatta molto bene alle asperità del luogo ed, almeno esternamente, rappresenta uno dei castelli medievali meglio conservati della Sicilia orientale. La parte più antica del castelluccio è sicuramente la torre, di cui si ammira l’alta sagoma anche da lontano, e che doveva possedere almeno tre piani. Si osserva infatti una grande apertura sul lato settentrionale, ed altre finestre sul lato orientale e meridionale che fanno pensare all’esistenza di più livelli. Negli edifici adiacenti e sottostanti la torre si osservano delle feritoie, mentre la cinta muraria presenta numerosi fori quadrati, molti dei quali sembrano avere una valenza di “oblò osservativi”. La fortificazione originaria venne poi ampliata nel tempo, sino al notevole intervento risalente al XIX secolo ad opera della famiglia Grimaldi. Così, oltre la torre, troviamo delle scuderie, vicino a cui si trova la parte di costruzione più recente, una cisterna ed alcuni vani intagliati nella roccia. Inoltre, poco sotto il castello, seguendo il crinale del poggio che degrada verso la valle a nord, si nota l’ingresso a quella che probabilmente è una grotta o una sala ipogea, forse collegata al forte da un passaggio sotterraneo. Il castello non è visitabile internamente, dato che, a detta dei proprietari, è inagibile e pericolante, e necessita dunque di un intervento di recupero e consolidamento se non si vuole che resti visibile solo il perimetro murario. Essendo uno dei castelli più graziosi che la Sicilia medievale ci abbia lasciato, si spera che nei prossimi anni, dopo un accurato restauro, il castello possa essere reso fruibile ai turisti, ma soprattutto agli isolani, che amano la propria cultura e le proprie tradizioni, e che vanno alla ricerca della storia di Sicilia, anche quella più nascosta e perduta, di cui il castello di Serravalle sicuramente ne custodisce una parte. La storia è parte della conoscenza, e la conoscenza, come scrive Kahlil Gibran nel Profeta, è un mare sconfinato dal valore incommensurabile, che non può e non deve restare chiuso e soffocato tra le pietre e le decadenti mura di un antico maniero».

http://www.icastelli.it/castle-1234811822-castello_di_serravalle_a_mineo-it.php (a cura di Andrea Orlando)


      

 

 

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