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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI MACERATA

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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Aliforni (resti del castello)

Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net   Dal sito http://bikersgiant.blogspot.it

«Il Castrum Alifurni di San Severino Marche, si sviluppa secondo una forma particolarmente allungata, influenzata dalla morfologia collinare del sito. Secondo notizie storiche documentate, nel 1409 il castello venne sottoposto all'assedio del Rettore della Marca e parzialmente distrutto; proprio per questo motivo si sono conservate poche tracce, solo alcune costruzioni del borgo e la torre principale, a pianta quadrata, interamente realizzata in blocchi di pietra arenaria squadrata, impostata su sette livelli, alcuni dei quali utilizzati come deposito. Estremamente limitate sono inoltre il numero e l'estensione delle aperture, che lasciano supporre un diverso utilizzo degli ambienti interni, oltre che per scopi difensivi. Alla sua sommità infine, si sono conservati alcuni brevi tratti di beccatelli, pertanto sulla sua conformazione originaria si possono avanzare solo supposizioni. Interessanti per la loro autenticità sono le numerose aperture a feritoia ubicate lungo il tratto murario conservato della primitiva cinta a strapiombo sulla valle».

http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/263/san-severino-castello-di-aliforni


Apiro (torrione, cinta muraria)

Dal sito www.qsl.net   Foto di ilMeteo, dal sito www.flickr.com

«Torrione, cinta muraria: data costruzione XII secolo. Risale a due fasi costruttive principali, la prima medievale, la seconda della prima metà del XV sec., per opera di Francesco Sforza. Attorno alle mura erano disposti quattordici torrioni di forma poligonale irregolare, attualmente ne restano cinque, di cui quattro di proprietà privata. ... Porta Garibaldi: anticamente chiamata Porta Musone, fu ricostruita nel 1762. Oggi è la porta d'ingresso del paese».

http://www.comune.apiro.mc.it/?page_id=30


Bolognola (ruderi del castello dei Pepoli di Varano)

Bolognola, dal sito www.visitarelemarche.it   Bolognola, piazza Leopardi, dal sito www.sibilliniweb.it

«Ad ovest della Piazza centrale di Bolognola [piazza Leopardi] è visibile il grosso basamento del Castello dei Varano, anche detto impropriamente di Pepoli. Fu costruito dopo il 1430 dai Varano, probabilmente Berardo, al quale toccò questo territorio in seguito alla spartizione dei possedimenti del Ducato, avvenuta in quell’anno, tra i quattro fratelli eredi di Rodolfo III. Sorta forse su una fortezza più antica, dei primi del ‘200, la Rocca conserva ancora una parte della cinta muraria e ruderi dei torrioni».

http://www.sibillini.net/il_parco/Cultura_Territorio/Castelli/Bolognola.htm


Caldarola (castello Pallotta)

Dal sito www.fenice.org   Dal sito www.marcheshire.it

  

«Situato sul colle di Colcù, in posizione dominante rispetto al paese, è ricordato in alcuni documenti già nel IX secolo. Passato attraverso diverse vicende dinastiche, nel 1270 fu semidistrutto in seguito ad una lotta tra Camerino e San Severino e dopo un breve dominio di San Severino passò ai duchi di Varano. Dal 1450 fu affidato dal Papa ai conti Pallotta e nel 1590 fu trasformato da struttura militare a dimora signorile dal cardinale Evangelista Pallotta, che lo adibì a propria residenza estiva. A testimonianza del prestigio del casato e delle importanti relazioni imbastite dai quattro cardinali di casa Pallotta con la curia romana ed il mondo artistico, il castello ha ospitato molti personaggi, tra cui papi e regine (ricordiamo come il pontefice Clemente VIII e la regina Cristina di Svezia). Nel 1885 il conte Desiderio, erede della sensibilità architettonica della famiglia, si impegnò nell'impresa di ripristinare e ricostruire le opere deteriorate, restituendo al castello parte dell'antico carattere militare. Egli mise in atto una serie d'interventi seguendo la linea indicatagli da suo padre, il conte Giuseppe, prima che quest'ultimo morisse l'anno successivo. Il primo lavoro, intrapreso con il consenso del conte Giuseppe fu quello della ricostruzione del torrione detto della scuderia posto verso levante, cui seguì la ricostruzione del ponte levatoio. Il Ministero della Pubblica Istruzione, con notifica dell'11 febbraio 1921, aveva dichiarato il Castello di Caldarola, per i restauri e i riordini interni eseguiti fino a quell'epoca, di “importante interesse storico ed artistico”. Da una pubblicazione del 1928 è possibile trarre una interessantissima descrizione del castello e degli interventi (leggibile cercando il monumento su Wikipedia). Attualmente lo sfarzoso edificio è utilizzato, in alcune sue parti, come sala ricevimenti per banchetti nuziali e serate a tema medieval-rinascimentale e come location per i film. Lo stato di conservazione è ottimale, infatti molte stanze mantengono ancora gli arredi originali, come ad esempio la cucina che conserva oggetti in rame, terracotta e ceramica. Sempre all'interno del maniero sono inoltre conservate una raccolta di armi (tra cui alabarde, spade, armature e fucili) che vanno dal XV al XVII secolo, e alcune carrozze con relativi finimenti del XIV e XVI secolo. Altri ambienti degni di nota sono la camera da letto, la sala da pranzo decorata da ceramiche marchigiane realizzate nel XVIII secolo, la biblioteca, il salotto giallo - arricchito da un dipinto di Simone de Magistris (pittore manierista locale) e la cappellina interna. Il castello è circondato da un parco ricco di alberi secolari e di essenze tipiche della flora mediterranea, nel quale giganteggia uno dei pini più antichi della regione. Superato il primo cortile con cammino di ronda, saracinesca per la chiusura dell'entrata e relativa caditoia ci si trova in un atrio piuttosto buio; nel vestibolo di sinistra si può ammirare un affresco del 1485. Dall'atrio si passa nella sala delle carrozze, delle sellerie e delle armi. Nel piano nobile, tra i numerosi ambienti, completamente ammobiliati e forniti dei tendaggi originali cinquecenteschi, si distingue la sala da pranzo, nella quale è conservata una ricca collezione di ceramiche del '700 e di cristalli di Boemia. Nel Castello si aggirerebbe il fantasma di Maddalena Pallotta, vissuta e morta nell'800 ( secondo alcuni morta a causa di una malattia, secondo altri uccisa dal cugino-marito, con un infuso realizzato con le bacche velenose di un tasso che cresce nel giardino del castello stesso). Dopo la sua morte la servitù affermava di continuare a sentire il suono del flauto dell'ormai defunta Maddalena!».

http://castelliere.blogspot.it/2012/09/il-castello-di-mercoledi-5-settembre.html


Camerino (mura urbiche)

Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it   Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it

«La prima cinta muraria di Camerino, costituita da robuste fortificazioni, viene fatta costruire da Berengario d'Ivrea nella seconda metà del IX secolo. Il perimetro di tali mura rimarrà sostanzialmente inalterato fino al XIV secolo, nonostante le distruzioni operate nel 1259 dal sacco svevo e dal terremoto del 1279. Secolo XIV - Le mura, dopo la distruzione del XIII secolo, vengono ricostruite, mantenendo inlterato il perimetro tracciato nel corso delle precedenti realizzazioni. Secolo XIV - Nel 1370 Giovanni Maria da Varano commissiona la realizzazione di un nuovo cerchio di mura che recingerà l'espansione del borgo San Venanzio, raddoppiando in tal modo l'area urbana che passerà da 13 ha a 28ha circa. Secolo XV - Nel corso della seconda metà del secolo XV vengono realizzati modesti ampliamenti del perimetro murario ed apportate alcune modifiche al loro profilo variato per la presenza di nuove costruzioni religiose ed assistenziali e per l'ampliarsi delle case Varano. Secolo XVI - Intorno alla metà del XVI secolo il tracciato murario viene ampliato in direzione sud-ovest e contestualmente realizzata Porta Malatesta. Secolo XVI - A partire dalla fine del XVI secolo, cadute le necessità di difesa del comune di Camerino, prende avvio il processo di sopraelevazione ed edificazione di nuove costruzioni in aderenza alla cinta muraria, che viene progressivamente conglobata per la quasi totalità della sua estensione. Secolo XVIII - Andrea Vici nella sua Relazione al Consiglio Generale del Comune di Camerino, redatta dopo il terremoto del 1799, sottolinea l'avvenuto crollo, in concomitanza dell'evento sismico, di vari tratti delle mura urbiche. Stato di conservazione: discreto».

http://sirpac.cultura.marche.it/web/Ricerca.aspx?ids=67894


Camerino (palazzo Pierbenedetti)

Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it   Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it

«Il Palazzo Pierbenedetti, oggi di proprietà della famiglia Santacchi, venne eretto su commissione del Cardinale omonimo alla fine del XVI secolo, come testimoniato dagli stemmi araldici conservati all´interno dell´edificio monumentale. Da fonti storiche si desume che la costruzione del Palazzo venne avviata nel 1589 circa, anno in cui il Pierbenedetti venne insignito della porpora, e nel 1594 sembra che l´edificio fosse già completato, almeno nella struttura architettonica, e comunque degno di ospitare autorità pubbliche».

http://www.comune.camerino.mc.it/?page_id=3597


Camerino (palazzo comunale Bongiovanni)

Dal video www.youtube.com/watch?v=7wyUu28LZUM   Dal video www.youtube.com/watch?v=7wyUu28LZUM

«Stile Rinascimentale. Proprietá Comune. Sede dei vescovi di Camerino, fu ceduto alla città nel 1573 da Berardo Bongiovanni, dopo l'avvio con fondi propri di un nuovo episcopio presso la cattedrale. Sono visitabili la sala dei Priori, tempio delle antiche memorie cittadine, decorata con frammenti lapidei romani e pregevoli busti, la sala degli stucchi e quella consiliare che accoglie un coro in noce proveniente dalla seicentesca chiesa domenicana di S. Caterina, attuale sede dell'Archivio di Stato».

http://www.comune.camerino.mc.it/?page_id=3597


Camerino (palazzo Ducale)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.marcadicamerino.it

«Il palazzo della signoria, nella sua sostanza, è stato costruito in tre tempi lungo l'arco dei tre secoli di dominio varanesco su Camerino: le case vecchie del terziero di Sossanta e metà piazza, certamente precedenti al sacco del 1259, presero il nome da Gentile I che subito dopo le restaurò. Venanzio Falcifer, fratello del grande Rodolfo, prima del 1380, le continuò fino al tetto rialzato (le case di Venanzio), al di sopra del grande quadrilatero con la corte a mezzo, costruito da Giulio Cesare dal 1489 al 1499. Il palazzo di Gentile e il palazzo di Venanzio, ben fusi in unità, restarono sempre l'abitazione dei signori; il palazzo nuovo divenne sede di uffici e di rappresentanza. Difficile è ricostruire l'esatto disegno perché il crescere della famiglia e delle esigenze lo facevano variare continuamente. L'inventario Borgia del 1502 descrive 69 vani, 4 logge, 3 cantine nelle case vecchie; 40 vani e una scuderia per 94 cavalli nelle nuove. Cercare autori per le prime costruzioni è impossibile; il lavoro di Giulio Cesare così unitario e condotto in era rinascimentale lo esige: è stato fatto il nome di Baccio Pontelli, che tutt'al più dette il disegno senza assisterne la esecuzione. Ha richiami a Brunelleschi, ai palazzi signorili di Pesaro, Urbino, Gubbio. L'università ha utilizzato le case di Gentile e Venanzio e vi ha sistemato la facoltà di giurisprudenza con gli istituti, la biblioteca giuridica e una rappresentanza del rettorato. La facciata sulla piazza e sulla via Ciacomo Venezian, rintonacata, lascia scoperti parecchi motivi ornamentali. Nelle case nuovi e il palazzo di Giulio Cesare hanno sede gli uffici finanziari, la biblioteca Valentiniana e ancora l'università. La sopraintendenza ha condotto per anni il restauro grandioso delle strutture portanti, delle sale delle armi, della corte le cui colonne monolite erano state rivestite di laterizio. ...».

http://www.ksm.it/pagine_personalizzate/camerino/palazzoducale.htm


Camerino (porta Boncompagni)

Dal video www.youtube.com/watch?v=nt7ON69s9s0   Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it

«Secolo XIV - La Porta Boncompagni viene realizzata contestualmente all'ampliamento delle mura, operato nel 1370 da Giovanni Maria da Varano. Secolo XVIII - Nel corso del XVIII secolo la porta viene restaurata con rifacimento unitario del prospetto esterno (nord-ovest). Secolo XVIII - Nella relazione redatta dall'arch. Andrea Vici all'inizio del XIX secolo all'indomani del terremoto del 1799 risultano crollati, insieme `all'ornato esterno`, la volta interna e parte dei muri laterali di sostegno di Porta Boncompagni. Secolo XIX - L'attuale configurazione è il risultato di interventi di restauro otto-novecenteschi. Stato di conservazione: buono».

http://sirpac.cultura.marche.it/web/Ricerca.aspx?ids=67834


Camerino (porta Cisterna o Caterina Cibo)

Dal video www.youtube.com/watch?v=btyyG8vAn0c   Dal sito www.adamoli.org

«Stile barocco. è una delle porte più antiche di Camerino e fu costruita con lo scopo di presidiare il cuore della città. L'antico nome "Porta Cisterna" deriva dal borgo sviluppatosi intorno alla cisterna di Camerino che si trovava ai piedi del Palazzo Ducale, riserva d'acqua fondamentale per la città. L'attuale nome "Porta Caterina Cibo" le venne attribuito più tardi in onore della duchessa di Camerino. La porta conserva ancora i battenti in legno e nelle mura sottostanti sono visibili i segni della presenza di un antico ponte levatoio».

http://www.comune.camerino.mc.it/?page_id=3601


Camerino (porta Malatesta)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito it.wikipedia.org

«Stile Rinascimentale. Venne edificata in onore di Giovanna Malatesta, moglie di Giulio Cesare da Varano, nel XVI secolo. Dalla porta si può ammirare il bellissimo panorama dai Monti Sibillini al Catria».

http://www.comune.camerino.mc.it/?page_id=3601


Camerino (rocca d'Ajello o castello Vitalini)

Dal sito www.geocities.com/roccadajello/   Dal sito http://castelliere.blogspot.it

«I Varano, per oltre trecento anni signori di Camerino, costruirono a difesa e controllo del loro territorio un formidabile scacchiere fortificato che si avvaleva di numerose costruzioni militari: rocche, torri e cinte fortificate. Nel 1382 Giovanni da Varano, detto "Spaccaferro", per contrastare le mire espansionistiche di Matelica e San Severino, realizzò una linea difensiva che si estendeva per circa 12 chilometri, da Torre Beregna, crollata in tempi recenti,alle bocche di Pioraco. Ne facevano parte le due torri di Rocca d'Ajello, Torre del Parco (detta anche "Salvum me fac", "Torre dei Bilancioni" o "Torre del Ponte" in quanto difendeva il ponte sul fiume Potenza), il castello di Lanciano (trasformato in splendida villa con grande parco da Giovanna Malatesta, sposa di Giulio Cesare Varano, alla fine del sec. XV) e la torre, Porta di Ferro a Pioraco, non più esistente. Le difese della linea erano costituite da fosse, terrapieni e da una sorta di cavalli di frisia la cui realizzazione richiedeva una grande quantità di alberi: da qui il nome di "Tagliata" o "Intagliata". Fra il 1260 e il 1280 Gentile I Da Varano fece edificare le due torri di Rocca d'Ajello, il cui nome deriva forse dalla parola "Agellus" (campicello). Erano torri di avvistamento, sicuramente molto più alte di quanto non siano attualmente, da cui si effettuavano collegamenti a vista con altre fortezze dello scacchiere e si controllava il vicino fiume Potenza, la conca del Palente e la gola che conduceva a torre Beregna, detta anche "Troncapassi". Le due unità fortificate erano collegate da una galleria seminterrata ed essendo costruite a distanza ravvicinata, sottoponevano l'eventuale attaccante a tiro incrociato nell'area sorvegliata in comune.

A Giovanni da Varano (1377) si deve l'inizio della trasformazione del complesso, che sarà portata a compimento nel 1475 da Giulio Cesare Da Varano, le cui iniziali figurano in un frammento di affresco ritrovato nella Sala d'Arma. Le due torri vennero collegate per mezzo di una cortina a piombo, in modo che aggettassero ai vertici di due lati, diagonalmente, infilando ciascuna due fronti. Questa integrazione strutturale ha dato vita ad un complesso fortificato a pianta trapezoidale, adibito anche ad abitazione. Nell'inventario dei beni dei Varano fatto redigere nel 1502 da Cesare Borgia, impadronitosi dello stato di Camerino, Ajello è definito "Villa con Rocca". Dopo la fine della signoria dei Varano, a metà del `500, il castello passò allo Stato della Chiesa e quindi a varie famiglie fra cui i Massei e i Bruschetta. Nella seconda metà dell'Ottocento fu acquistato da Ortenzio Vitalini, ai cui discendenti tuttora appartiene. L'attuale aspetto della costruzione è frutto di una serie di trasformazioni dovute soprattutto ai crolli causati dai terremoti, fra cui quello disastroso a fine `700. L'antica struttura della fortezza è tuttora ben visibile ai livelli più bassi. La cantina, un vastissimo ambiente dalla volta a botte, mostra sul fondo gli strati di roccia su cui poggia la costruzione.  All'epoca dei Varano era la scuderia della guarnigione: tutto un lato è occupato da una serie di nicchie che servivano da mangiatoie per i cavalli. Era questo sicuramente il passaggio seminterrato che collegava le due torri. Ancora più in basso troviamo una serie di cellette scavate in parte nella roccia e sormontate da piccole volte a crociera, adibite anticamente a celle per i prigionieri, e in seguito usate per mantenere in fresco cibi e vino. Attraverso un altro grottone con volta a botte, si passa al livello superiore, la grande Sala d'Armi, ove sono stati ritrovati pezzi di affreschi quattrocenteschi con decorazioni geometriche. Anche qui volta a botte in pietra arenaria e muri di grande spessore, a prova d'arma da fuoco. A questo livello si trova pure la cisterna per la raccolta delle acque piovane dai tetti, scavata nella roccia e collegata ad un pozzo tuttora visibile nella cucina del primo piano. Notevole il cortile con pozzo centrale, su cui si apre la porta originaria del castello, un tempo tutelata da ponte levatoio. ...».

http://www.qsl.net/ik6cgo/dci/roccaajello.htm


Camerino (rocca del Borgia)

Dal sito it.wikimedia.org   Dal sito www.incastro.marche.it

«Fu fatta costruire tra il 1502 e il 1503 su iniziativa di Alessandro VI per tenere a bada i cittadini nostalgici della dinastia varanesca dopo l'assedio, la conquista della città ed il massacro di Giulio Cesare da Varano e di tre suoi figli. Architetto militare un prelato, Ludovico Clodio, che costruì più tardi per Giulio II la fortezza di Galleria a Bologna. Fu parzialmente smantellata nella seconda metà dell'800. Conserva ancora due torrioni ed il mastio. Interessante la visita agli ambienti di quest'ultimo. La rocca era divisa dalla città da uno strapiombo che veniva superato con un audace ponte levatoio. L'avallamento fu riempito nel '600 per concessione di papa Clemente X già vescovo di Camerino. Sulla spianata interna, al lato sud, parte della struttura del convento francescano di S. Pietro in Muralto che vi sorgeva almeno dal '300, e fu incluso nella rocca. Il panorama spazia su tre quarti dell'orizzonte, dai Sibillini (Pizzo della Regina m. 2333), al Monte Pennino (m. 1570), al Monte Catria (m. 1705), al San Vicino (m. 1475) e sulle valli del Chienti e del Potenza».

http://www.ksm.it/pagine_personalizzate/camerino/roccadelborgia.htm


CAMERINO (rocca Varano)

Dal sito www.marcadicamerino.it   Dal sito it.wikipedia.org

«La strada che conduce alla rocca attraversa Varano di sotto, un gruppo di case in cui poco deve essere cambiato dal tempo in cui il maniero era efficiente. Alcune case risalgono al 1300. La chiesina di S. Antonio poggia direttamente sullo scoglio. Conserva un portale romanico in pietra bianca. A tergo della rocca restano i ruderi della chiesa di S. Giuliano. Il gruppo dominato dalla rocca Varano, simbolo della forte e gloriosa signoria, si fa aspro e petroso, a picco sulla valletta del rio S. Luca e sulla stretta valle del Chienti. Le rovine attuali portano i segni di ogni era ed anche del declassamento a casa colonica, fino agli inizi di questo secolo, che poi è servito a salvare il rudere. Rodolfo Gentile Da Varano e i suoi predecessori, i Signori del secolo XV che continuarono saltuariamente ad abitarvi, ne tennero sempre il possesso. Finito il ducato divennero proprietari la camera apostolica, i Bandini e di recente il Comune di Camerino. Il taglio per il ponte levatoio, l'unico praticato alla roccia, è ancora visibile. Si entrava subito in una torre di difesa. La porta d'ingresso, in calcare bianco, a sesto acuto, già sormontata dallo stemma dei Signori, era obliqua all'accesso del ponte per chiare ragioni difensive. La torre quadrata, oggi caduta, aveva vari piani ad impalcato e a volta ai quali si accedeva da una scala ricavata nel muro, Una costruzione sotterranea con volta a botte, tuttora maestosa, probabilmente un tempo sovrastata da stanze con torri ai lati, metteva in comunicazione questa ala con quella sul lato del fiume divisa da ampio cortile: la torre bassa nell'angolo di levante (l'attuale merlatura è tarda) e l'edificio di recente restaurato, che è servito da casa colonica, sono le poche parti di una maestosa e poderosa Rocca sopravvissute all'incuria dell'uomo. La porta ad arco pieno comunica con il muro di cinta sul declivo».

http://www.incastro.marche.it/incastro/camerino/rocche.STM#VARANO


Camporotondo di Fiastrone (mura castellane, Portarella)

Dal sito www.turismo.camporotondo.sinp.net   Dal sito www.turismo.camporotondo.sinp.net

«L’origine medioevale del borgo è attestata tra l’altro proprio dal nome, che indica il luogo tondo e pianeggiante sul quale fu fondato, forse sostituendosi ad un antichissimo luogo di culto (la presenza di sorgenti potrebbe avvalorare questa ipotesi). Una leggenda vuole che la fondazione del castrum fosse opera di esuli veneziani e come prova portano il nome del santo protettore, San Marco, e l’emblema cittadino, il leone alato. Sia come sia, è attestato il possesso del castello, di cui rimangono buona parte delle mura e delle torri, da parte dei Da Varano di Camerino, in funzione difensiva e di controllo del territorio in particolar modo contro la vicina San Ginesio. Rimangono anche, seppure parzialmente, la “porta grande” e la “portarella” del XIV secolo [costruita nel XIV-XV secolo; ingresso secondario delle antiche mura castellane con tracce del ponte levatoio]».

http://www.sibilliniturismo.it/web/it/0/comune-di-camporotondo-di-fiastrone.aspx (a cura di Fabio Santilli)


Carpignano (resti del castello)

Dal sito www.castlecarpignano.it   Dal sito www.progettinetwork.it

«Posto nel mezzo di una vallata a sud-est di San Severino sulla sinistra del torrente Cesolone, questa fortificazione dall'inusuale positura doveva rivestire notevole valenza strategica se è la da circa mille anni. La vicinanza del torrente e di un mulino forse ne acuiva l'importanza. Quasi in equidistanza fra gli antichi comuni di San Severino Marche (10 Km), Tolentino (4 Km), Serrapetrona (6 Km), fu da questi aspramente conteso, tanto da essere distrutto e ricostruito più volte. Il toponimo è da taluni fatto risalire all'epoca romana, Carpinianum. L'esame di ciò che resta del castello rileva anzitutto una insolita positura, quasi in contrasto con gli usuali canoni che prediligevano siti naturalmente predisposti alla difesa. E non sembra averlo questo castello vallivo, fiancheggiato da colline, che si affida per di più ad una assai modesta altura. Evidentemente la torre che colà fu eretta (perché questa è la più antica e tuttora più eminente costruzione) svolgeva compiti di controllo ed avvistamento tali da decretarne non solo il mantenimento nel corso dei secoli, ma richiedere anche radicali lavori di aggiornamento alle mutate esigenze belliche, resisi necessari al compiuto affermarsi delle armi da fuoco. Castello sanseverinate già dal XIII secolo, è oggetto di ripetute distruzioni ed infine di robusti adeguamenti e rafforzamenti nel 1471 ad opera di Pier Martino Cenci, console di San Severino. Ed il primo aggiornamento lo deve aver subito proprio la quadrata torre maestra fasciata da un basamento con evidenti scopi anti-bombarda, che non si è limitato a cingere il mastio. Infatti l'architetto ha realizzato una sorte di anomalo puntone con cui imbragare la torre in esame nei lati SE e SW e con lo spigolo orientato a NE, proprio verso la strada che superiormente fiancheggia il castello, quasi a dover deviare colpi di bombarda sparati da quella posizione.

Estremamente interessante era il sistema di accesso a questa minuscola rocca che era quindi composta dal puntone-braga (inaccessibile mediante scale permanenti) e dalla torre maestra. Si accedeva infatti ad essa per mezzo di scale e passerelle in legno poggianti su travi che venivano alloggiate in apposite buche pontaie tuttora esistenti. Issando una scala mobile poggiante sul terreno, la torre di comando rimaneva isolata. Se particolari ragioni di sicurezza o di emergenza suggerivano di evitare qualsiasi facile possibilità di scalata, le passerelle che cingevano parte del puntone basamentale venivano rimosse o rapidamente distrutte e la torre era completamente isolata, pronta alla difesa ad oltranza. Giunti al piano di calpestio della massa basamentale (battagliera), per entrare nella torre vera e propria si doveva comunque superare un ulteriore dislivello di alcuni metri. Tanto la braga a puntone che la torre erano probabilmente provvisti di apparato a sporgere al tempo dell'aggiornamento quattrocentesco. Quindi di parapetto merlato e piombatoi. Nulla è però rimasto che ci possa testimoniare questo espediente architettonico che avrebbe permesso tanto la difesa piombante che quella ficcante. L'ipotesi restitutiva che proponiamo prevede tanto il descritto sistema d'ingresso che di difesa per il tramite di caditoie. è evidente (anche se non esasperata), la scarpatura della braga basamentale. La battagliera della braga serviva, oltreché per invigilare attorno e proteggere la porta del castello, anche per piazzare bombarde e artiglierie semiportatili con cui rintuzzare eventuali tiri demolitori sparati dal lato della strada. è da li, evidentemente, che si temevano più probabili attacchi. La torre si presenta cimata, forse di un terzo. Attualmente la sua altezza è di circa 25 metri. Difficile ipotizzarne l'originaria suddivisione, forse in 5 o 6 piani. Sta di fatto che due terzi dell'odierno manufatto (braga e torre) sono inaccessibili internamente. è evidente che la torre dovesse essere usufruita anche al di sotto del piano di calpestio delle camera di ingresso. Recente restauri hanno occluso ogni possibile accesso ai piani inferiori che, con tutta probabilità, dovevano condurre a vie sotterranee di fuga qualora, in caso di assedio, la torre non potesse più essere difesa o dovesse essere rifornita. Ma il castello disponeva di una cinta muraria, di torri e di una porta di ingresso. ...».

http://www.castlecarpignano.it/index_italiano.htm


Castelfantellino (resti del castello)

Dal sito www.mtb-forum.it   Dal sito www.mtb-forum.it

«ARCO D'INGRESSO ALLA TORRE. La torre è l’unica opera rimasta dell’antico Castello eretto sul colle di Castelfantellino nel 1382. La fortezza aveva mura di cinta trapezoidale con parapetti e merli, protette da una grande torre maestra e da tre torrioni agli angoli. Fu completata all’interno nel ‘400. PORTA CALCARIA. è il residuo dell’antico villaggio-fortezza di Castelfantellino che aveva funzione ausiliaria al Castello vero e proprio. Nel 1478-82 fu sede provvisoria del Podestà e dei Priori di Visso, in attesa della riedificazione del Palazzo dei Priori. L’arco introduce in un cortile, in cui si dice fosse la casa del Castellano, ancora detta “casa dell’imperatore”».

http://www.sibillini.net/IL_PARCO/Cultura_Territorio/Castelli/ussita.htm


Castelraimondo (castello di Lanciano)

Dal sito www.lasorgentedelsole.com   Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net

«Il complesso storico monumentale del Castello di Lanciano sorge nel Comune di Castelraimondo in prossimità della riva sinistra del fiume Potenza dove già nel 1240 era in funzione un mulino cui per primo si collegò il toponimo ‘Lanciano’. Il Castello, circondato da un parco secolare di grande suggestione, ha subito nel corso dei secoli alcune fondamentali ristrutturazioni. Il Castello rinascimentale fu voluto da Giovanna Malatesta, figlia di Sigismondo Signore di Rimini e consorte di Giulio Cesare da Varano Signore di Camerino, era ultimato nel 1488. L’opera fu realizzata trasformando una vecchia rocca della ‘Intagliata’, il sistema difensivo che dal secondo ‘300 congiungeva senza soluzione di continuità Torre Beregna con Pioraco. Tra il 1382 ed il 1385 Giovanni da Varano promosse l'edificazione della rocca per proteggere il confine nord - orientale della città di Camerino. Nel 1489, persa la funzione militare, il castello fu trasformato in residenza signorile da Giovanna Malatesta, nipote di Francesco Sforza e moglie di Giulio Cesare Varano. Il castello e i luoghi ameni intorno stupirono Isabella d’Este Gonzaga, notoriamente altezzosa e amante del bello, in visita ai da Varano nel 1494. Conclusasi la dinastia Varanesca, la proprietà di Lanciano passò a diverse famiglie nobiliari tra cui i Voglia, i Rosa, i Rossetti, ed infine i Bandini che lo acquistarono da papa Benedetto XIV nel 1754. Il marchese Alessandro Bandini restaurò tutto il complesso che venne ampliato con la costruzione della Galleria al primo piano, decorata dall'architetto camerinese Giovanni Antinori. Il castello, assegnato per volontà testamentaria agli Arcivescovi pro tempore di Camerino dalla principessa Maria Sofia Giustiniani Bandini (+1977), consorte del noto diplomatico conte Manfredi Gravina di Ramacca, realizza una stupefacente “dimora-museo”. La dimora è unica nel suo genere per le decorazioni, gli arredi, la ricca collezione di quadri, per il vissuto ad essa impresso dai Bandini e in particolare dall’ultima titolare, di grandi doti spirituali e culturali.

I restauri filologicamente scrupolosi non hanno mutato l’identità storica, estetica ed emozionale del luogo, mentre sagaci ritocchi nell’allestimento hanno valorizzato pezzi particolari ed esaltato le atmosfere. Un percorso guidato conduce i visitatori all'interno del castello e nel parco. Dallo scalone settecentesco alle sale con i quadri, gli arredi e gli oggetti della nobile famiglia Giustiniani Bandini, tutto tende a conservare il fascino tipico delle antiche dimore signorili. Di grande interesse, per la particolare cura e preziosità delle decorazioni e dei dipinti è il Salone delle feste che oggi ospita convegni e giornate di studio. Poche sono in Italia le dimore signorili che conservano al completo e altrettanto smaglianti apparati architettonici e decorativi e arredi d’epoca. Nelle Marche il Castello di Lanciano rappresenta un unicum soprattutto per la peculiarità di “villa suburbana”, o se si preferisce - come si legge nella corrispondenza dei Bandini relativa a Lanciano - ‘casino di delizie’. Una raccolta tipicamente settecentesca, generata dal gusto di una famiglia della nobiltà locale, che se da un lato declinava le proprie predilezioni estetiche e decorative, dall’altro mirava alla celebrazione del proprio ruolo sociale attraverso il soddisfacimento di esigenze di fasto e di magnificenza privata in grado di conferire ad essa la dignità e l’autorevolezza di una “dinastia”. Il contesto di assoluta eccezionalità consente al Castello di Lanciano di entrare con pieno diritto nel circuito nazionale delle grandi dimore storiche destinate alla pubblica fruizione. L'intero complesso, colpito dal sisma del 26 settembre del 1997, è stato riaperto a settembre 2005».

http://www.giustiniani.info/lanciano.html


Castelraimondo (torre del Cassero)

Dal sito www.marche.beniculturali.it   Dal sito www.marche.beniculturali.it

«Castrum Raymundi fu costruito all’inizio del XIV sec. lungo l’affluente Lapidosa del fiume Potenza per concessione del Rettore Generale della Marca di Ancona (Raimondo di Ottono, da cui prese il nome) al castello di Camerino che necessitava di fortificare i suoi dintorni nelle continue lotte contro San Severino. Dalla storiografia locale si conosce che la fortificazione doveva essere a pianta irregolare, più o meno rettangolare misurava circa 300x200 metri ed aveva torri rompitratta e doppio fossato; oggi resta a testimonianza di tale imponenza militare la torre interna detta il Cassero realizzata interamente in conci di pietra arenaria. A pianta quadrata, detto edifico, in origine alto circa 40 metri, si compone di un basamento inferiore rinforzato da scarpata e coronato a beccatelli, di cui rimane a lato est, l’apparato a sporgere con caditoie e merli, e di una seconda torre superiore, alta ca. 18 metri, sempre a pianta ma di dimensioni ridotte e coronata anch’essa a beccatelli. L’ingresso era assicurato da una postierla posta a circa 15 metri di altezza; si osservano lungo i corpi possenti delle due torri tracce di le feritoie con funzione di arciere e stemmi in pietra bianca calcarea».

http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/260/castelraimondo-torre-del-cassero


Castelsantangelo sul Nera (mura, torri)

Dal sito http://fontedellangelo.it   Dal sito www.beniculturali.marche.it   Torre Maggiore, dal sito www.docartis.com

«Le mura di Castelsantangelo, risalenti al XIII secolo, con Torre Maggiore, Torre di San Martino e Torre di Santo Stefano, formano un triangolo che vede all'apice la torre maggiore e ai vertici della base le due torri campanarie di S. Martino e di S. Stefano. All'interno di questo spazio murario vennero quindi innalzate case, chiese, ricoveri per le bestie, magazzini e botteghe: un luogo sicuro dove la vita civile era regolata dall'amministrazione della Guaita Montana, sottoposta a Visso in una dipendenza che, nonostante la relativa autonomia, fu sempre vissuta con una certa insofferenza. Oggi le mura sono state ripulite e restaurate e alla loro base un percorso a piedi consente di comprenderne appieno il disegno. Torre Maggiore. La Torre, chiamata anche Torre settentrionale e costruita a scopo difensivo insieme alle mura, probabilmente risale al sec. XIV, anche se alcune fonti anticipano la fortificazione al secolo precedente. Torre Vedetta. Dopo la visita al monastero, tornando alla porta Castellana, si prosegue lungo le vecchie mura fino a raggiungere la torre di vedetta, presidio eretto nel Duecento, che un tempo faceva parte del castello».

http://www.docartis.com/Marche/Castelsantangelo%20sul%20Nera/private/Castelsantangelo_Torri%20e%20Castelli.htm


Castelsantangelo sul Nera (porte)

Porta Nocrina, dal sito http://altonera.eu   Porta S. Angelo, dal sito http://prolocodellevallicastellane.it   Forta Fucine o Vissana, dal sito www.docartis.com

«Porta di S. Martino. La costruzione della porta è fatta risalire al sec. XIII, anche se è più probabile che essa sia avvenuta il secolo successivo, come suggerisce la maggior parte della bibliografia. Porta Fucine o Porta Vissana. Dalla torre quadrata situata a un'estremità del borgo si dipartono le mura merlate, intervallate dalle porte d'accesso al castello: la porta Fucine, che è fatta in conci di pietra, ne è un esempio. Porta Nocrina. Caratterizzata da doppio arco ogivale in pietra, la porta principale d'ingresso al Castello, Porta Nocrina, ed era dotata di una torre a protezione e di un ponte levatoio. Sull'arco un'incisione ricorda un intervento avvenuto nel 1431 sotto Berardo Varano. Nei pressi di Porta Nocrina notiamo una bella costruzione con sei finestre rinascimentali e un portale seicentesco. Porta S. Angelo. La porta S. Angelo porta scolpiti sul suo arco un S. Michele Arcangelo e lo stemma del Comune. Porta Orientale. La porta risale al sec. XIV. Porta Castelsantangelo. La porta urbica fu costruita nel 1378 ed immetteva nella strada che conduceva a Castelsantangelo».

http://www.docartis.com/Marche/Castelsantangelo%20sul%20Nera/private/Castelsantangelo_Torri%20e%20Castelli.htm


Castreccioni (ruderi del castello)

Dal sito www.investinmarche.it   Dal sito www.antiqui.it

«Le prime notizie del castello risalgono al 1209. Gualterio, Offo e Gozo, figli del defunto Trasmondo, conte di Castreccioni (2) ovvero di Montecampanaro cedettero al Comune di Cingoli alcuni loro beni e promisero in perpetuum esse castellanos Cinguli et habere ibi comunum, et annuatim habitare ibi per tres menses. Cingoli li accolse in qualità di "castellani" e come tali si impegnò a difenderli; aveva inoltre concesso loro di dimorare nella rocca di Montenero che espressamente aveva fatto costruire (o ricostruire) cum munimine lignorum. Nel corso del XIII sec. Cingoli estese il proprio dominio sul territorio circostante intraprendendo una guerra con i vicini castelli. Chi si assoggettava però, aveva il privilegio di continuare ad abitare nel territorio cingolano dopo aver redatto un documento notarile di sottomissione e di cessione dei beni al Comune che si riservava di restituirli, del tutto o in parte, a discrezione dei Magnifici Priori. Per queste azioni belliche Cingoli subì spesso penalità e scomuniche; lo dimostra un documento del 1227 che riporta l’assoluzione dalla scomunica nella quale i cingolani erano incorsi per aver demolito del tutto i castelli di Cervidone e S. Vittore ed averne scacciati i legittimi proprietari e confiscati i loro beni. Per il castello di Castreccioni non si può escludere però anche l'ipotesi che, essendo troppo oneroso per i Montecampanari il mantenimento e l'efficienza militare del castello, essi ritennero vantaggioso cambiarlo con la Rocca di Montenero, posta in un luogo impervio ma di mole minore. La proprietà del castello passò poi a Capthio, Gualtiero e Bartolo Simonetti i quali nel 1237 lo vendettero a dominius Gottibaldo del quondam Tomasso Lisapporico da Jesi. In un documento risalente al 1239 è stipulata la vendita del castello da parte del proprietario Gottibaldo di Tommaso al Monastero di S. Caterina di Cingoli.

In una pergamena del 1263 è resa nota la decisione dell'abbadessa del Monastero di Santa Caterina di vendere, per 150 Lire di Ravenna, il Castello e le sue pertinenze per pagare i creditori che reclamavano il saldo di gravi pendenze finanziarie. Il documento enumera i creditori e giustifica la vendita con il fatto che il mantenimento del Castello era oneroso e le rendite non sufficienti. Per questo motivo, l'avviso di vendita non fu accolto da nessuno e il Castello fu venduto al Comune di Cingoli che lo incluse nel patrimonio pubblico. Durante il periodo di scontri tra guelfi e ghibellini il castello fu il rifugio dei cacciati e spodestati signori di Cingoli, tra i quali i Mainetti e i Cima. Il Castello è legato in particolare alla figura di Rengarda, figlia di Niccolò Filippo Brancaleoni da Casteldurante e moglie di Giovanni Cima. Nel 1424 Rengarda fu cacciata da Cingoli, che aveva tentato di signoreggiare, e "poté ottenere soltanto sicurtà della persona per sé e per tutta la sua famiglia e la facoltà di potere asportare tutto il mobile, con quante vettovaglie potessero bastarle per condursi a Perugia. Ma invece di andare al suo destino, occupò a tradimento il forte luogo di Castreccione, ch'era patrimonio dei Cima, dal quale fu non molto dopo cacciata con un fortunato strattagemma che accennano ma non spiegano li storici". Le fonti ricordano che nel XV secolo il castello di Castreccioni era governato da un castellano, eletto dal Comune di Cingoli, che durava in carica sei mesi. Nel 1686 si hanno già chiari segni del progressivo e inarrestabile stato di abbandono: "Li 11 agosto 1686, si abbassa con un’armatura il Torrione di Castreccioni dal Curato per servirsene delle pietre per riattare la Chiesa, e la Comune glielo accorda purché risarcisca uno spicolo dei fondamenti del detto Torrione che pericola". ... Rimane ben poco del castello di Castreccioni; solo alcuni tratti della cortina muraria oramai quasi completamente spogliata del suo rivestimento in pietra. Una testimonianza di ciò che doveva apparire in tutto il suo splendore: un castello di notevoli dimensioni, uno dei protagonisti della storia locale nell'arco di tempo compreso fra il XIII e il XVI secolo e che ha visto avvicendarsi esponenti delle famiglie dei Montecampanaro, dei Simonetti e dei Cima. Il castello versa oggi in una grave condizione di degrado; una parte dell'area, dove tra l'altro insistono due casolari oramai diroccati, è stata trasformata in orto e frutteto; arbusti e piante infestanti hanno colonizzato il resto e gran parte delle mura. ...».

http://www.antiqui.it/doc/archeologia/med/castelli/castreccioni.htm - ...castello%20di%20castreccioni.htm


Cessapalombo (castello di Montalto)

Foto di Enrico Pighetti, dal sito www.geolocation.ws   Dal sito www.turismosi.it

«Del Castello di Montalto si hanno notizie già dal IX secolo d.C. Era di proprietà della famiglia dei Paganelli, prima vassalli dei Brunforte di Roccacolonnalta poi dei Varano da Camerino. Già dal sec. XIII diventa di proprietà dei Varano e, ne costituisce, insieme alla Rocca di Col di Pietra il primo baluardo difensivo; per questo motivo Rodolfo Il di Varano ci fece aggiungere una rocca. ... Il Castello di Montalto è dotato di tre cinte murarie; quella più esterna, aggiunta in un secondo momento (ne resta uno scorcio e la torre), entro queste mura vivevano i castellani e la servitù. Eretta a protezione dei soldati e in generale di tutti gli addetti alla difesa era la seconda cinta muraria; la terza, la più interna, difendeva invece i vassalli e i signori di turno, vi troviamo anche una cisterna idrica, che assicurava un'importante riserva d'acqua a tutta la comunità. Le torri, a base circolare e quadrata, testimoniano le numerose edificazioni subite nel corso degli anni».

http://www.comune.cessapalombo.mc.it/?page_id=34 - http://www.comune.cessapalombo.mc.it/?page_id=34&dM=537


Cessapalombo (ruderi della rocca Col di Pietra)

Dal sito www.tuttocoltelli.it   Dal sito www.tuttocoltelli.it

«è il rudere di un’antica rocca, posta su uno sperone roccioso all’entrata della Valle del Fiastrone. è indicato come luogo di insediamenti anteriori al 995, riferibili anch’essi ai possedimenti Casauriensi, tra i quali era menzionata una chiesa di S. Giovanni, forse collocata poco più in basso. Dopo il 1000 diviene una fortezza, proprietà di Fildesmido di Mogliano, da quest’ultimo ceduta al nipote Rinaldo di Brunforte nel 1244 e successivamente venduta al Comune di Camerino. Dal 1250 diventa possesso dei Varano che la utilizzano a scopo difensivo come ultimo baluardo verso il territorio dei Brunforte di Sarnano. Il Castello aveva le sue mura ed un borgo, anche se non ben localizzato, come si ricava da alcuni atti del XV sec. Nel ‘500 doveva essere già abbandonato. Attualmente sono visibili solo dei ruderi».

http://www.sibillini.net/IL_PARCO/Cultura_Territorio/Castelli/cessapalombo.htm


Cingoli (Cassero, palazzo Comunale)

Palazzo Comunale, dal sito www.provincia.mc.it   Il Cassero, dal sito www.qsl.net

«Il Cassero. Fortezza comunale a difesa e controllo della città, fu costruito nel 1326, nel 1446 fu ristrutturato e adeguato a casa del Podestà, nel 1820 adibito a carcere mandamentale, solo recenti restauri hanno fatto pervenire affreschi, frammenti di vasellame di epoca medievale e rinascimentale ... Il palazzo Comunale sorge sulla sommità del colle Cingolano, costruito in concomitanza del nascere del comune, nella seconda metà del XIII secolo, fu accresciuto via via con nuovi fabbricati. Della costruzione originaria rimangono la base della torre campanaria e le strutture murarie nascoste dal prospetto cinquecentesco, ed è stata costruita al ridosso della costruzione medievale. Questo prospetto fu costruito per volere del cardinale e governatore perpetuo di Cingoli Egidio Canisio da Viterbo, lo stesso che fece costruire l'elegante fonte di S. Esuperanzio. Nella fine del secolo XVII la facciata del palazzo si presentò decorata di stemmi papali, che furono rimossi dopo che uno cadde, mettendo a repentaglio la vita dei passanti. Sotto il portico nel XVI secolo c'erano gli ambienti: erano adibiti ad archivio pubblico e monte di pietà, ospitavano cioè le memorie storiche e il banco dei pegni. Nel XVI secolo alcuni ambienti erano adibiti a teatro, ma soltanto nella seconda metà del XVIII secolo, una società di condomini ottenne dal comune di poter edificare, in uno spazio adiacente al municipio, un teatro. Intorno al 1777 furono iniziati i lavori di costruzione a cura della congregazione teatrale; il teatro fu intitolato a Giuseppe Verdi dopo la sua morte; aveva tre ordini per ogni palchetto, per un totale di 45 palchetti. I due ordini superiori di palchetti erano riservati al ceto nobile (15) per l'ordine più basso (14) altri 15 per i semplici cittadini e 1 al governatore di Cingoli. Nella platea c'erano panche a pagamento. Le scene furono dipinte dal pittore Antonio Torricelli e da Alberto De Marchis. Il teatro svolgerà la sua funzione fino al 1936, quando fu smantellato. Adesso c'è la sala Verdi, la nuova sala del consiglio Comunale. Scioltosi il condominio, il teatro fu smantellato, la commissione liquidatrice assegnò i beni mobili (materiale di scena, arredamento ecc.) a vari istituti di beneficenza e ad altre istituzioni pubbliche e private. Nel profilo di Cingoli rappresentato dal Lotto c'è un palazzo comunale ancora privo della torre campanaria. Nel 1539 la torre campanaria non era come quella di oggi, era più bassa, ed è stata soprelevata dopo il 1539.Nel 1482 mastro Antonio da Milano lavorò il quadrante in pietra dell'orologio da collocare sulla torre. Nel 1650 fu deliberato di porre sulla facciata una statua in bronzo della Madonna di Loreto».

http://www.cingoli.eu/i-palazzi.html


Cingoli (mura, porte, torri)

Tratto delle mura meridionali, dal sito www.antiqui.it   Porta dello Spineto, dal sito www.antiqui.it   Porta del Tasso, dal sito www.antiqui.it   Torre semicircolare, dal sito www.antiqui.it

«Risale ai primi anni del XIII secolo l'estensione della struttura urbana di Cingoli ed il conseguente ampliamento delle mura e dell'antico castro. Il castrum vetus copriva un'area circoscritta fra Porta Capranica e l'antico "Girone" (parte dell'attuale via S. Benedetto), risaliva da una parte per via Castiglioni e dall'altra nei pressi della pieve di Santa Maria (oggi inglobata nei sotterranei della chiesa di San Filippo) fino alla platea pubblica o piazza del mercato, nella parte più alta del colle. Al castrum vetus si affiancò sul versante nord del colle (localizzabile attualmente nell'area di via Ferri e via Roma) un castrum novum che si estendeva su terreni presi in enfiteusi dal vescovo di Osimo. Successivamente i due castra si unirono attraverso una nuova cinta muraria. La posizione elevata di Cingoli (631 m s.l.m.) rendeva il sito particolarmente predisposto alla difesa. Il perimetro murario, che segue la morfologia del sito, è di andamento allungato. La cinta muraria, realizzata in pietra e con cortine a filo, disponeva di almeno quattro porte d'ingresso e di oltre venti torri rompitratta a pianta rettangolare in gran parte ancora oggi visibili. Le torri vennero principalmente innalzate nel fronte occidentale e in quello orientale; il tratto meridionale è infatti ben protetto da un notevole dirupo che ne accresceva la sua valenza fortificatoria. ... Nel lato orientale della cinta muraria si aprivano Porta Bombace e Porta Capranica. La prima venne demolita, insieme alle case vicine, nel 1830 per far passare la nuova strada e per la costruzione di Porta dei Macelli (chiamata successivamente Porta Roma, a sua volta demolita nel 1948 per problemi di traffico). Di Porta Capranica, oggi inglobata in una costruzione privata, è visibile soltanto una parte dell'arco. Lo storico cingolano Niccolò Vannucci (1642-1715) la definisce come "la porta delle mura di S. Pietro, chiamata porta Capranica". Sempre lo stesso autore, in altre carte del suo manoscritto, definisce il tratto di mura nei pressi di porta Capranica "le Muraglie di porta Capranica, o dicano di S. Pietro" e "le muraglie di S. Pietro".

Gli accessi al lato occidentale erano garantiti da Porta dello Spineto e Porta Montana. La Porta dello Spineto venne edificata nei primi anni del XIII secolo; era già presente nel 1217 quando Compagnone di Giovanni di Montecchio ebbe la terra presso la "porta dello Spineto" per edificare l'ospedale di Sant'Andrea e Santa Margherita. Realizzata in conci di pietra fu successivamente cimata e privata del suo probabile arco a sesto acuto, sostituito, presumibilmente in epoca ottocentesca, da un arco a tutto sesto in laterizio. La torre disponeva oltre che del consueto portone (del quale è rimasto un ganghero in pietra) anche di una saracinesca (visibili ancora oggi le sedi di scorrimento). La saracinesca costituiva una seconda protezione di questo ingresso, nonostante la porta fosse già in qualche modo protetta contro tentativi di sfondamento, dovendo l'assalitore operare in situazione disagiata a causa della rampa posta a forte declivio. Gli stipiti della porta conservano alcuni blocchi di notevoli dimensioni, testimonianza del riutilizzo di materiale di epoca romana. Proseguendo verso nord si incontra la Porta del Tasso (detta anche "la Portella") realizzata agli inizi del XVII secolo e successivamente rimaneggiata al fine di realizzarne due, una carraia e una pedonale. Nella pianta dell'Avicenna è indicata con il n. 19 (curiosamente è segnalata con un doppio 19, forse già all'epoca constava di due aperture?) e viene così descritta: "Por(t)icella, dalla quale i Mercanti fan'uscire i lor fattori di bottegha per andare à spandere i Panni di lana, che fabricano". La cinta muraria che prosegue fino a Porta Piana è costituita da una cortina a piombo, non aggiornata quindi contro le bombarde a mezzo di scarpature.  Porta Piana (detta anche Porta Pia), costruita nel 1835 su progetto dell'architetto Ireneo Aleandri, sostituì l'antica Porta Montana che risultava già esistente nel 1216 come dimostra un documento dell'epoca che ricorda la presenza di un ospedale nelle sue vicinanze: "ospitale edificatum iuxta portam Montanam". ...».

http://www.antiqui.it/doc/archeologia/med/mura/mura.htm


Cingoli (palazzo Castiglioni, palazzo Puccetti)

Palazzo Castiglioni, dal sito www.palazzocastiglioni.com   Ingresso del palazzo Puccetti, dal sito www.antiqui.it

«Palazzo Castiglioni. Il palazzo Castiglioni fu eretto alla fine del '600 lungo la via Maggiore. La sua struttura ha origine dalla fusione di due precedenti dimore nobiliari: quella di Luzio Bernardi acquistata da Giulio Cesare Castiglioni nel 1639 e la contigua di Bonifazio Giulioni, annessa alla prima nel 1671. Fra queste due case, fino al '500 inoltrato, sorgeva la chiesa di S. Giuliano spostata in via Benedetto da Cingoli dal Giuliani per ampliare il suo palazzo. Tali vicende edificatorie hanno dato luogo a un palazzo particolare, in cui le due strutture originali, per quanto unite, restano distinte formando due unità abitative con due portoni gemelli: la casa del seniore nella parte più antica dell' edificio e l'abitazione del cadetto nella parte più alta della strada. La struttura interna corrisponde a questa genesi compositiva del palazzo, che è articolato con falsi piani, scale interne, dislivelli; inoltre lo sviluppo successivo, in direzione delle mura cittadine, comporta la costruzione di cavalcavia sopra le strade intermedie, ampliando i piani alti, rendendo così la dimora più articolata e ricca di cortili. Il decoro interno è costituito da resti delle strutture primitive, arricchite da pitture murali ottocentesche di scuola locale che si fondano armonicamente nell' ambiente. Di particolare interesse un camino rinascimentale, con motto e stemma della famiglia Maria, e il "Salone della Musica", il cui soffitto è abbellito da cinque cupolini ottagonali e quattro pentagonali finemente decorati. La facciata, sui cui si aprono finestre in travertino con volute cornici spezzate, è stata ampiamente rimaneggiata nel 1852 e successivamente, all' inizio del secolo, su impulso di Filippo Castiglioni, che la arricchì di un notevole balcone in ferro battuto con foglie e fiori sbalzati, i due portoni a bugne e del cornicione in terracotta. La porta del giardino, sulle mura cittadine nell'area di un antico torrione, in stile neo gotico, è opera dello stesso artista, Federico Stefanucci, che fu autore, sempre su commissione di Filippo Castiglioni, del rifacimento della facciata della vicina chiesa di S. Girolamo. Nel palazzo si conservano importanti cimeli riguardanti Pio VIII, il membro più importante del ramo cingolano dei Castiglioni, che ebbe origine da Bernardo, qui trasferitosi da Milano nel 1604.

Palazzo Puccetti. Il Palazzo Puccetti fu acquistato intorno al 1680 da Bartolomeo Puccetti, e ricostruito nello stato attuale dal figlio di questi Pio Giovanni. Il portone è abbellito da due telamoni. Ai lati del corridoio d’ingresso, che immette in un giardino pensile, si aprono quattro porte, sormontate, da sinistra verso destra, dai seguenti stemmi di alleanza matrimoniale: Puccetti-Severini, Puccetti-Cancellieri, Puccetti-Boccacci, Puccetti-Franceschini. Il suo portone è uno dei più complessi e monumentali di quelli civili cingolani. La facciata è omogenea, non ha subito ristrutturazioni. I telamoni sono usati anche nel mobilio. Ben conservati sono alcuni soffitti, ad esempio quello a cassettoni con personificazioni di varie scienze, quasi sicuramente quella stanza doveva essere una biblioteca».

http://www.cingoli.eu/i-palazzi.html


Colleluce (castello)

Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it   Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net

«Secolo XI - L'insediamento originario del `Castrum Collis Lucis` sembra riconducibile ad altri simili esperienze locali di feudalesimo monacale: ai piedi del colle, a sud, sorgeva infatti l'Abbazia benedettina di San Mariano (distrutta nel 1241 dalle truppe di Federico II, fino ad allora potente centro di attività economiche con giurisdizione su tredici chiese nel territorio) e probabilmente nel luogo fortificato alle pendici del colle sovrastante si rifugiavano gli abati stessi e gli abitanti delle case a ridosso del monastero in caso di aggressioni militari. L'ipotesi della fondazione monastica di Colleluce è avvalorata dalla notizia dell'esistenza di un castello che i benedettini di San Mariano in Valle Fabiana possedevano nelle vicinanze (come è quello in oggetto), distrutto dal vescovo Ugo di Camerino in questo periodo. Secolo XV - Il re Alfonso V D'Aragona, giunto per dar manforte al pontefice Eugenio IV (che intendeva recuperare i territori della marca sotto il dominio di Francesco Sforza), occupa il Castello di Colleluce, per poter disporre le sue truppe contro quelle nemiche, assediate a San Severino. Secolo XIII - Il castello é fatto risalire al sec. XIII».

http://sirpac.cultura.marche.it/web/Ricerca.aspx?ids=67596


Colmurano (mura castellane)

Dal sito www.turismomarche.com   Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it

«L’abitato, posto a quota 414, è disposto sulla sommità di un colle che nei secoli ne ha agevolato la difesa, specie dopo l’abbandono della città romana di Urbs Salvia da parte dei suoi abitanti che proprio a Colmurano trovarono rifugio dopo le vicende storiche che seguirono lo sfaldamento dell’ordine romano. Nel medioevo fu borgo fortificato e feudo della famiglia Gualtieri, poi sottoposta all’autorità della vicina Tolentino che controllava e dirigeva le nomine del governo locale, lasciandogli comunque una discreta autonomia comprovata dagli statuti comunali giunti fino a noi. Parti consistenti delle mura castellane del XIV e XV secolo sono ancora esistenti e ben conservate, così come il torrione difensivo della Porta di San Rocco, unica rimasta tra quelle del periodo medievale. Dall’abitato si può godere della splendida visuale dei Monti Sibillini, suggerendo interessanti escursioni».

http://www.sibilliniturismo.it/web/it/0/comune-di-colmurano.aspx (a cura di Fabio Santilli)


Colvenale (castello)

Dal sito www.sibillini.net   Dal sito www.sibillini.net

«Antico castello della famiglia Monaldeschi, ceduto, insieme a quello di Colpolina, al Comune di Camerino nel 1216. Oggi rimangono resti delle fondamenta e case costruite con pietre della fortezza».

http://www.sibillini.net/il_parco/Cultura_Territorio/Castelli/pievebovigliana.htm


CROCE (castello)

Dal sito www.iluoghidelcuore.it   Foto di Enrico Pighetti, dal sito www.geolocation.ws

«La fortificazione venuta a noi è varanesca e difendeva il lato Sud e Est del colle. La cortina di levante è la più gigantesca dei castelli della zona. Al centro si trova la porta d'ingresso ad arco acuto che immette in un cortiletto con cisterna. La parte a sud è occupata dalla chiesa, forse ricavata posteriormente. è cerniera alle due cortine, la torre poligonale trasformata poi in campanile. Non sappiamo se l'insediamento alto medioevale ebbe fasi di vita precedenti. Non lo dice il toponimo, né le notizie pervenute. Sappiamo che nell'anno 967 la zona era divisa in due corti, appartenenti all'abbadia di Casauria: "curtes in cruce". Quindi il paese prese il nome dal titolare della propria chiesa, S. Croce. L'altra corte doveva essere Castiglioni, il cui nome fa pensare ad una presenza castellare, a difesa della strada a semiarco da Favera a Vestignano. In quel 967 Ottone confermava al monastero le corti di Vestignano, Caldarola, S. Angelo di Favera, le due di Croce, Montalto ed altre ventidue. Siccome il pievano di Favera esercitava nel sec. XIII giurisdizione civile e religiosa su Croce e Pievefavera, l'una e l'altra patronato dei Varano, è probabile che il castello sia stato costruito dalla potente pieve, come avamposto proprio dei Varano».

http://www.turismo.caldarola.sinp.net/croce.htm


Dignano (ruderi del castello)

Il borgo di Dignano, dal sito it.wikipedia.org   Il borgo di Dignano, dal sito it.wikipedia.org

«La prima testimonianza storica sull'esistenza di Dignano è una bolla papale di Innocenzo II del 1138 (Religiosorum virorum), nella quale si stabilisce che la chiesa di Santa Maria e il castello di Dignano fanno parte della diocesi di Foligno. Sul monte Castello (m.1059) sono visibili fossati e terrapieni costruiti a difesa dell'abitato e in una processione tradizionale il giorno dell'Ascensione veniva portata una pesante pietra fino alla cima del monte, in ricordo della traslazione della chiesa dal castelliere fino al luogo delle nuova costruzione sul colle sottostante. Proprietari del castello furono i Baschi, casato medievale fiorente nel XIII e XIV secolo giungendo a controllare 60 castelli e ad avere possedimenti oltre che nelle Marche anche in Umbria e Toscana. La conferma di tutte le prerogative acquisite nonché l'appartenenza a Foligno della chiesa di S. Maria e il castello di Dignano, già descritte dal documento precedente, arriva da un altro documento papale del 1153. ... Nel 1246 il castello di Dignano venne venduto dal conte Tomaso di Ugolino Baschi al conte Rinaldo Napoleoni di origine folignate, per la somma di tremila libre di moneta piccola circolante nel territorio di Foligno. Nel 1345 un patto stipulato tra Gentile di Rodolfo, signore di Camerino, e Ugolino Trinci, signore di Foligno, stabiliva i confini tra Dignano e Colfiorito lungo il piano di Pistia. ... Nel 1523 Dignano venne presa da Baldassarre Corso, capitano delle truppe di fanteria di Sigismondo Varano, inviato dal duca di Urbino, suo zio, contro un altro suo zio, Giovanni Maria Varano, signore di Camerino, ma fu presto riconquistata e Baldassarre Corso fu preso prigioniero con 350 dei suoi uomini, ma poi lasciato andare. Sopra il portale di ingresso del palazzetto Corsi compare lo stemma di famiglia del capitano. Dignano è presente nella Galleria delle Carte geografiche che si trova in Vaticano fatta realizzare nel 1581. ...».

http://it.wikipedia.org/wiki/Dignano_%28Serravalle_di_Chienti%29


ElcE (ruderi del castello)

Dal sito www.comune.serravalledichienti.mc.it   Dal sito www.culturaitalia.it

«Già rocca inclusa nello Stato di Camerino (1265), Castello d'Elce era collegato al Castello di Percanestro, estremo baluardo nel quadrante Sud-Est per la difesa del territorio camerte verso Roccafranca. È ancora ben visibile il tracciato delle mura dell'antica rocca in calcare bianco e rosa, benché il castello, il cui nome evoca la presenza di lecci nelle pareti rupestri attigue, sia ridotto a un rudere. Esso è contornato verso valle da grossi esemplari di ciliegio e, nella parete a monte, da aggruppamenti di cerro e di acero campestre. Lo scenario circostante tipicamente montano, si presenta come una sequenza compatta di boschi naturali in cui domina la cerreta. Sono diffusi stadi di colonizzazione a ginestra e ginepro comune che precedono l'avanzamento del bosco. La quota altimetrica elevata e la pressoché assoluta assenza di inquinamento luminoso, rendono il sito ben idoneo alla osservazione di stelle, pianeti e oggetti del cielo profondo. Ma è la presenza stessa della Torre nonché di vegetazione sul lato Nord a impedire che lo sguardo possa volgersi tutt'intorno per 360°. Dal valico di Monte Pizzuto, cui è possibile accedere salendo di quota, è possibile godere di condizioni ideali per le osservazioni».

http://www.italiatua.it/info/Serravalle_di_Chienti


Elcito (resti della rocca)

Foto di at_adriano, dal sito www.flickr.com   Dal sito www.vacanzealcastello.com

«Il piccolo castello di Elcito, che sorge in vicinanza dell'abbazia di Valfucina (notare il binomio castello - abbazia) ha una prima menzione alquanto tardiva che risale al 1232 e riguarda una vendita di terre, selve e pascoli nel territorio di detto castello (terretoreo Leceti, come è detto nel relativo documento). Una seconda e più esplicita notizia della località si ha nel 1235 in un altro atto di vendita di terre, selve ecc., situate in comitatu Camerini, in districtu castri Leciti et Isole Sancti Clementis: peraltro, come nota il Borri, "tutto lascia credere che il rapporto di dipendenza di Elcito dal monastero esistesse già da lungo tempo, forse fin dalla costruzione del castello; anzi, non è improbabile che sia stata la stessa abbazia a determinarne o quanto meno a favorirne la creazione. Il suddetto studioso, che ha esaminato le molte "carte" dell'abbazia di Valfucina, afferma inoltre circa i rapporti del castello con l'abbazia stessa: "gli abitanti del castello dipendono nei beni e nelle persone dal monastero, che tiene in Elcito un proprio torresanum", il quale "risiede nella torre, è il rappresentante dell'abate e ne riveste tutte le mansioni, tranne il diritto di giudicare il crimine di omicidio". L'abate, insieme con il torresanum, abitava nel castello “da dove esercitava tutti i suoi poteri di signore” Nel 1261, o poco prima, il castello venne occupato dai conti della Truschia (località presso San Severino), i quali ne cacciarono l'abate e il torresano e consegnarono il castello stesso al comune di San Severino, che ne ebbe il possesso fino al 1279: la conquista di Elcito da parte dei conti della Truschia dovette essere piuttosto violenta se nel 1279 la torre del castello risultava largamente distrutta. Nel 1281 il castello tornava in proprietà dell'abbazia, ma dopo pochi anni gli elcitani - verosimilmente sollecitati dal comune di San Severino – “chiederanno all'abate di Valfucina di essere liberati da ogni vincolo di sudditanza”. Nel 1298 il castello veniva venduto dall'abbazia di Valfucina al comune di San Severino (certamente dietro pressioni di questo): ratto di vendita contiene ben dodici clausole tra cui, per citarne soltanto tre, quella in base alla quale i molini situati nei pressi del castello dovevano restare - con la chiesa e il vallata - proprietà dell'abbazia; quella concernente il diritto dell'abate a riservarsi una piazza del castello nella quale costruire una abitazione per i monaci; e quella riguardante il diritto dell'abbazia ad avere all'interno del castello un proprio castalda, cioè un sovrintendente addetto alle coltivazioni e alla gestione dei beni e dei frutti del monastero.

Elcito è un piccolo, suggestivo castello - quasi un paese "da presepe", come è stato felicemente detto - il quale sorge all'unione delle pendici orientali del monte San Vicino e del monte Canfaito, precisamente su di un'altura scogliosa a m.824 s.l.m... Il castello, che fa pane del gruppo di quei piccoli castelli non infrequenti nell'area montana del fabrianese e nelle aree montane circostanti, prese nome dall'abbondanza di elci (leccio) allora presenti nella zona ed è raggiungibile attraverso la via che scende dai prati di Canfaito o attraverso quella che sale da Castel San Pietro, oppure mediante la strada che proviene da Pian dell'Elmo (se la sua manutenzione è adeguata). Peraltro "fino a pochi anni or sono - come afferma il Gubinelli che scrive nel 1975 - l'unica strada che conduceva ad Elcito, e che si diramava dalla carrozzabile per Apiro, era un sentiero ripido e malagevole che si poteva percorrere solo a piedi o a dorso di mulo"! castello si dispone sulla cresta dell'altura nel senso di questa, cioè in senso nord-sud, con due file di abitazioni costruite in blocchetti irregolari di pietra, le quali fiancheggiano l'unica strada che attraversa il piccolo insediamento. Si tratta di abitazioni che, mentre sul lato rivolto verso la strada hanno generalmente due piani, nel lato opposto ne hanno tre a motivo della forte pendenza del terreno, Tali edifici resistono al tempo in quanto i rispettivi proprietari vi tornano a trascorrere l'estate, curandone la manutenzione; le abitazioni abbandonate, al contrario, o sono crollate o stanno crollando, determinando una grave perdita in quanto il piccolo abitato è un'eloquente e suggestiva testimonianza del modo di vita nelle nostre montagne fino a tempi molto recenti. Interessante è la porta di accesso al castello, la quale conserva l'arco ogiva le originario e costituisce una fortificazione del tipo "torre portaia", la cui parte superiore serviva per la vigilanza sul territorio orientale e la difesa della porta stessa; l'arco interno della porta è invece a tutto sesto. Per la natura del luogo la porta, che è rivolta a nord, sorge ad un livello più basso dell'abitato e ad essa giunge la strada proveniente appunto da nord: "come per la porta fortificata, gran parte del circuito murario si fonda sulla viva roccia" (M. Mauro). La strada, superata la porta, mota verso ovest e sale alla parte più elevata dell'abitato dove volge a sud fiancheggiata nei due lati (specialmente nel lato orientale) da abitazioni. Più in alto e poco lontano dalla porta sorgeva la torre maggiore, dove risiedeva frequentemente l'abate di Valfucina e, costantemente, il torresano (guardiano della torre e del castello): si trattava di una torre con funzioni di comando».

http://sanvicino.wirenode.mobi/page/122


Fiastra (ruderi del castello dei Magalotti)

Dal sito www.lagodifiastra.it   Dal sito www.lagodifiastra.it

«Il Castello Magalotti, chiamato nell’antichità Castrum Flastrae, era un insieme di edifici che sorgevano sul colle di San Paolo fin da prima del IX sec. Negli anni le abitazioni e le mura furono demolite con lo scopo di ricavarne pietre da utilizzare per la costruzione delle nuove abitazioni ed oggi ne rimangono visibili solo pochi resti delle due torri, del mastio e di alcuni tratti della fortezza. Il Castrum aveva una superficie di 21.000 m2, solide mura che correvano lungo tutto il perimetro, sette torri, un possente mastio a forma tondeggiante del diametro di 5 mt. e nel mezzo si trovava la Chiesa di San Paolo, patrono di tutta la comunità. Il Castrum veniva utilizzato dalla popolazione che risiedeva nella valle sottostante per ripararvi il bestiame e le scorte alimentari durante le invasioni nemiche. Già nel 1240 era sotto la giurisdizione della città di Camerino ma apparteneva, assieme alle terre circostanti, alla famiglia Magalotti, conti di Fiastra e signori dei Castelli di Macereto, Appennino e Poggio. Vista la posizione strategica su cui era stato costruito il castello, Camerino lo acquistò dai Magalotti insieme agli altri tre castelli ad eccezione delle terre, delle vigne e del molino, per la cifra di 6.100 libre, come riportato su un documento dell’8 gennaio del 1259 stipulato dal notaio Fineguerra. Il territorio del Castrum era suddiviso in quattro circoscrizioni denominate Brevii Medii, Brevii Sancti Laurentii, Brevii Campibonihominis e Brevii Canonice. Ognuno di questi dipartimenti era composto da una propria struttura sociale ed amministrativa e comprendeva una chiesa a cui faceva capo una comunità di fedeli.

Gli organi del Castrum erano composti del Consiglio Generale e dal Consiglio di Credenza che, assieme al Podestà, risiedevano al suo interno. Al primo spettava il compito di approvare le nomine dei consiglieri di Credenza, del Sindaco Generale, dei Capitani, dei Baiuli (coloro che amministravano la giustizia penale per i reati minori), di un Massaro, colui che era il custode dei beni della comunità, quattro Homines che avevano il compito di sorvegliare la macellazione del bestiame e la vendita delle carni, dei Viales ai quali spettava l’incarico di sorvegliare le strade, i ponti e le fonti e di numerose altre figure. Al Consiglio di Credenza invece spettava nominare altri ruoli più marginali ma sempre importanti per la salvaguardia del Castello. Il Castrum era regolato da statuti ai quali la Comunità si doveva attenere come ad esempio l’obbligo per gli uomini di radersi almeno una volta al mese, di non poter celebrare nozze clandestine e di non poter disporre, per gli uomini sposati, di una concubina. Inoltre tutti coloro che avevano un’età tra i 15 ed i 60 anni aveva l’obbligo di svolgere la funzione di guardiano per la sicurezza della Comunità, nessun forestiero poteva acquistare o ricevere immobili senza specifica autorizzazione e chiunque voleva ospitare un forestiero doveva darne comunicazione al Podestà e garantire che esso non avrebbe recato nessun danno e fastidio alla Comunità. La falciatura del fieno non poteva iniziare prima del 24 giugno e la vendemmia prima del 6 ottobre mentre i cereali dovevano essere macinati nel mulino di Fiastra. Tutte queste regole negli anni vennero riviste e corrette e comunque servirono a rendere efficace e funzionale lo svolgere della vita all’interno del Castello.

Fino al 1752 la residenza civica rimase entro le mura ma, con delibera del Consiglio generale del 6 aprile dello stesso anno, si decise di trasferirla nell’abitato a valle perché risultava scomodo da raggiungere durante il periodo invernale e perché il palazzo in cui si riunivano necessitava di interventi di restauro. Il restauro avrebbe comportato la spesa di 168 scudi mentre la costruzione di un nuovo palazzo non avrebbe superato i 150 e si avrebbe potuto utilizzare alcune parti del vecchio edificio. Venne quindi costruito quello che oggi è chiamato Palazzo Ruggeri ed in seguito, nel 1923, passò definitivamente nell’attuale e sontuoso Palazzo Conti oggi sede del Comune di Fiastra. Venne eretto nel XVIII sec. per volontà di Romualdo Conti e si tratta di una grandiosa e pregevole opera di architettura che contava, tra il primo ed il secondo piano, circa 20 stanze tra sale e camere varie, mentre al piano terra si trovavano gli uffici, i magazzini, la cantina ed il forno. Al suo interno si trova anche il Museo Archivio Storico di Fiastra nel quale sono stati raccolti lo statuto comunale del 1436 che venne stilato su di una pergamena e gli atti dei consigli risalenti al XV ed al XVI sec. rilegati in cuoio stampato. è possibile visitare anche un’esposizione archeologica permanente nel quale sono stati raccolti reperti rinvenuti negli anni a seguito di lavori di scavo sul territorio. Venne infine acquistato dal Comune quando la famiglia Conti decise di cederlo ed adibirlo a residenza civica. Oggi sulla sua parete è posta una lapide in ricordo dei cittadini che hanno perso la vita durante la Prima Guerra Mondiale».

http://www.sibilliniweb.it/citta/fiastra-castello-magalotti-xsec


Fiuminata (castello di Orve)

Dal sito www.tuttoannunci.org   Dal sito www.turismo.fiuminata.sinp.net

«Il castello di Orve ... risale per lo meno al XIII sec. ed è citato in alcuni documenti del XIV dai quali risulta che era appartenuto ai Chiavelli Signori di Fabriano e, in seguito, ai Varano di Camerino: crollato in gran parte pochi anni fa, era costituito da una rocca fortificata, un secondo edificio, il palatium con un'aia e l'hedifitio in legno, con un perimetro esterno di circa m 140».

http://www.turismo.fiuminata.sinp.net/Lechiese.htm


Frontale (torre del castrum Frontalis)

Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net   Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net

«Frontale e Poggio San Vicino (Ficano) appartenevano a San Severino Marche fin dal Trecento e soltanto durante il Regno d'Italia (1808-1813) ne furono distaccati per formare un comune autonomo. In seguito Frontale è divenuto frazione di Apiro, mentre Poggio San Vicino è restato comune. Del castello di Frontale non rimane quasi nulla se non la base di una torre trasformata successivamente in campanile dopo essere stata cimata e coperta a spiovente».

http://www.qsl.net/ik6cgo/dci/frontale.htm


Gagliole (castello dei Varano)

Foto di Marco Lorenzetti, dal sito www.comune-italia.it   Dal sito www.comune.gagliole.mc.it

«Data costruzione 1274. Proprietà Comunale. Struttura difensiva edificata dai Da Varano per la tutela del territtorio del proprio ducato. Al periodo immediatamente successivo all' annessione di Gagliole alla signoria dei Varano risale, con ogni probabilità, il primo intervento fortificato sull' antico cassero, di cui si conserva intatta la torre in arenaria, con la base terrapinata (per 6 mt. circa) ed i tre lati E-N-W. ... La torre fu inglobata, anziché soppressa, in vista di un successivo riuso, da lavori di generale ristrutturazione, avviati negli ultimi due decenni del XIII e proseguiti nella prima metà del secolo successivo, che determinarono l' ampliamento dimensionale e la sopraelevazione della struttura. La difesa del sito, sicuramente imposta dalle circostanze storiche e politiche (la contesa del castello di Gagliole tra i Varano e gli Smeducci perdurò fino a tutto il XV sec.), impose nel 1438, al conte Pietro Brunoro di S. Vitale di Pama, la necessità di rafforzare anche la cortina muraria ai lati N-E e S-W con tre torrioni cilindrici scarpati e muniti ognuno di troniere circolari in pietra. Mentre sul mastio, privo di bombardiere, sono state rilevate caditoie di appoggio ai beccatelli che coronavano in origine la parte sommitale. Gagliole ha tutte le caratteristiche proprie della rocca con funzione esclusivamente militare destinata alla guardia e alla difesa del sito, con capacità ridotta di ospitare anche un presidio militare. Eretta su uno sperone roccioso arenoso che a N viene a costituire un naturale piedistallo, la rocca di Gagliole è stata costruita in pietra a cortine verticali, con l' imponente mastio pentagonale - unico esempio nel sistema difensivo varanesco - circondato da mura. Vi si accede a S per mezzo di una porta, voltata a sesto acuto e profilata a conci di pietra calcarea, in posizione avanzata rispetto alla parete della rocca. Al mastio si accede percorrendo un breve tratto del terrazzamento, poiché l' ingresso alla corte interna, anch' esso lievemente a sesto acuto e piuttosto basso, non è in asse con l' altro. La cinta muraria, costruita nelle locali pietra calcarea biancastra o rosa del lias ed arenaria del terziario, ha due porte di accesso: quella principale aperta a N, costruita in conci di pietra arenaria con arco a sesto acuto, affiancata a destra dalla chiesa di S. Giuseppe e l' altra a S, orientata verso la valle del Potenza, detta porta Zingarina ricavata da una torre cubica e munita di feritoia verticale sopra l' arco. La cinta muraria risulta rafforzata da cinque torrioni: a W da due cilindrici ed uno quadrato, mentre ad E da un torrione cilindrico ed uno quadrato. Dalla Rocca Varano è visibile la collinetta boscosa (730 mt. s.l.m.) di Ancagliano, su cui sono rinvenibili ruderi dell'antica rocca della Bisaccia fatta edificare dagli Smeducci nel 1334».

http://www.comune.gagliole.mc.it/?page_id=30 - http://www.comune.gagliole.mc.it/?page_id=30&dM=613


Gagliole (resti della rocca della Bisaccia)

Le colline di Gagliole, dal sito www.turismomarche.com   Le colline di Gagliole, dal sito www.turismomarche.com

«Attualmente la rocca è pressocché scomparsa, rimangono di essa pochi avanzi su una collinetta denominata appunto "della rocca". La rocca è posta nell'angolo formato dalla strada che dalla località Bergoni sale ai prati di Gagliole con la strada che ascende dalla chiesa di San Giovanni di Acquosi. In questa zona, guardando verso il basso, si scorge una collinetta che emerge dalla fitta vegetazione ed isolata dalla montagna da una sorta di fossato asciutto. In questa collinetta si notano le fondamenta delle mura di cinta della rocca ed al centro il basamento della torre (mastio?) con una porzione di mura alta circa due metri. L'erezione della rocca è a far data del 3 novembre 1334. A questa data infatti la licenza di costruire una nuova fortezza concessa dal Vicario Generale della Marca, Pietro da Galliata al signore di San Severino, Smeduccio degli Smeducci. La costruzione era terminata sicuramente nel 1342, anno in cui essa fu venduta ed è ricordata anche nella Descriptio Marchiae dell'Albornoz nel 1356 e in un atto di vendita dei beni di Pietro di Stefano Smeducci nel 1386. Nell'atto di vendita c'è la descrizione del complesso e se ne deduce l'esistenza di torri, di un palazzo, di alcune case all'esterno, di fossati e di altre fortificazioni. Dal XVI sec., poiché Gagliole fu assegnata definitivamente a Camerino, anche la rocca fu assegnata alla stessa città e quindi fu abbandonata e demolita per prelevarne materiali da costruzione».

http://www.qsl.net/ik6cgo/dci/rocca%20della%20bisaccia.htm


Isola (castello)

Dal sito http://web.comune.sanseverinomarche.mc.it   Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net

«Località Isola dista circa 18 km. dal centro di San Severino Marche. Feudo dei conti Gentili di Rovellone, nel 1305 il castello fu venduto al Comune di San Severino per 8.000 scudi. Notevole l´impianto urbanistico medioevale di cui rimangono pochi resti delle mura e degli edifici circostanti, mentre ancora quasi integra resta la torre maestra in grossi blocchi in pietra arenaria (m. 25), che presenta all´interno interessanti elementi architettonici. ... Accanto alla torre si nota qualche vecchio edificio con porte e finestre ad arco a tutto sesto. Dentro le mura del castello si trova la Chiesa parrocchiale dedicata a San Giorgio Martire, il cui ingresso principale è insolitamente situato sotto un grande arco che dà accesso all´abitato. All´interno una serie di pregevoli affreschi eseguiti da Sebastiano Ghezzi nel 1604».

http://www.comune.sanseverinomarche.mc.it/?page_id=41 - http://www.comune.sanseverinomarche.mc.it/?page_id=41&dM=1690


Laverino (ruderi della rocca di Santa Lucia o di Laverino)

Dal sito www.turismo.fiuminata.sinp.net   Dal sito www.tuttocoltelli.it

«La rocca di S. Lucia detta anche "di Laverino", della quale sono visibili i resti della torre e del palatium (la residenza dei proprietari), fu fondata ad opera di Rodolfo di Monaldo III dei Conti di Nocera nel 1020, ed abitata nel XII sec. dalla famiglia dei Cavalca che fece addossare alla torre originaria un nuovo corpo di fabbrica ad uso abitativo. Una terza costruzione, più elegante delle precedenti, fu aggiunta nel XIII sec. Il perimetro della struttura misurava in origine m 160».

http://www.turismo.fiuminata.sinp.net/Lechiese.htm


Loro Piceno (castello dei Brunforte)

Dal sito http://adamastour.it   Dal sito www.comune.loropiceno.mc.it

gravi danni daI sismI dell'ottobre 2016

«Data costruzione XIII secolo. Sorto sui resti di un castrum romano, fu residenza dei signori di Loro. L'antico nucleo fortificato comprendeva all'interno il palazzo dei priori ed il palazzo della giustizia adibito dal 1692 a Monastero Corpus Domini. Posto sulla sommità del paese, il castello rappresenta l'originario nucleo insediativo altomedievale. E' fondato su un terreno con vari speroni rocciosi di arenaria affioranti su cui si innestano le murature di mattoni e pietre. Il sistema difensivo è ancora visibile nei muri a scarpata che circondano il Girone e nei primi nuclei abitativi del paese, nel tratto nord-ovest della via di circonvallazione, verso la cosiddetta "neviera", e lungo la circonvallazione di levante, dove compare un grande arco ogivale con lieve scarpatura. La cortina muraria che cingeva ogni lato del castello lo preservava dagli attacchi dei nemici e permetteva un prolungamento del ciglio della scarpatura con l'elevazione di uno spalto di protezione che fungeva anche da camminamento per le sentinelle. Questo tipo di muraglia è visibile sopra il piazzale denominato fin dall'antichità "Pantanaccio", oggi "Parco St. Nikolai" in onore del paese austriaco gemellato con Loro Piceno. Il castello si chiude ad U intorno ad una corte, i cui lati sono delimitati ad est dalla chiesa del Corpus Domini e dal coro, a sud dall’ala dei dormitori e ad ovest da una parte delle mura urbiche. Il Parco Girone rappresenta il confine settentrionale di tutto il complesso che presenta una superficie che occupa tre livelli fuori terra e tre seminterrati. Al piano terra si trovano la foresteria, la cucina seicentesca, la cucina nuova, il refettorio coperto a volte e arredato con pregiati tavoli a banco in stile “fratino” veneziano degli inizi del ‘700. Nell’ala occidentale vi sono una lavanderia ed un forno. In fondo al cortile, dallo stesso lato della lavanderia, si accede attraverso una piccola porta alla ‘Torre degli Impiccati’. Nel primo piano seminterrato si aprono grandi locali finestrati con volte a crociera in mattoni e archi ogivali, residui medievali dell’antica struttura del castello. Nel corpo centrale sono collocate una grande cantina con volte a botte, vasche e caldaie per la lavorazione del vino cotto. Nel secondo seminterrato vi sono stanze con il soffitto ligneo e volte a crociera. All’interno la varietà degli ambienti e l’articolazione degli spazi costituiscono motivo di grande interesse architettonico a cui si aggiunge l’eccezionale vista panoramica.

L’antica rocca dell’abitato sorgeva sul fondo in Monte Gemuli, attualmente denominato Girone. Il luogo fu ribattezzato “Monte di Gemiti”, forse in ricordo delle leggende che faceva di Loro Piceno luogo di deportazione dalla vicina Urbs Salvia o per le esecuzioni capitali che probabilmente vi si svolsero a causa del fatto che i signori che detennero il forte fino alla prima metà del XIV secolo si occupavano anche della giurisdizione criminale. Una iscrizione su lamina di piombo, rinvenuta nel 1309 nel corso della demolizione di un antico muro che cingeva una torre della rocca, attesta che le mura castellane furono restaurate durante l’impero di Ottaviano, dal patrizio Valerio Arunzio. Da ciò si è portati a pensare che il castello fu costruito sui resti di un castrum romano, nonostante l’iscrizione non sia più reperibile se non per una trascrizione conservata nella Biblioteca Comunale di Fermo. La costruzione del castello potrebbe farsi risalire alla metà del XIII secolo, ma la sola fonte iconografica che possediamo per la ricostruzione dell’antica conformazione è un disegno contenuto nel manoscritto del 1653 del parroco lorese Francesco Franceschini intitolato Lodi degne alla Marca di Ancona per li spirituali tesori che possiede. Secondo questo disegno, all’interno della cinta muraria sorgevano due torri, una con fondazioni nella terra e l’altra su un basamento massiccio di pietra, distanti 80 passi l’una dall’altra. L’area erbosa, delimitata da una seconda cinta muraria interna, costituiva il cosiddetto girone o girifalco, che rappresentava l’ultima difesa per i castellani assediati, qualora il nemico fosse riuscito a penetrare la prima difesa. Nella parte sommitale del castrum si collocava il palatium dei Signori. Quando, alla fine del XIV secolo, i Signori persero il diritto sul paese, il complesso architettonico ospitò luoghi di interesse pubblico, come il Palazzo di Giustizia, il Palazzo dei Priori, le carceri, un pozzo e un mulino a vento. Dalla metà del XVII secolo la struttura dell’antica rocca subì notevoli trasformazioni legate all’erezione nel monastero del Corpus Domini, fondato nel 1693. Con l’arrivo delle monache, il corpo del dormitorio, il parlatorio, la foresteria, la cucina nuova e quella vecchia, furono alzati di un piano fuori terra. Secondo una tradizione orale, accanto alla torre sud, esisteva un ponte levatoio che fu murato nel XVII secolo, che serviva per attraversare il fossato che circondava il castello nel lato sud-ovest. Questo sarebbe confermato da una pergamena del 1441 dove si parla espressamente delle abitazioni dei Signori di Loro poste tra il fosso, il ponte e la scarpata del cassero da un lato, e il girone del castello dall’altro».

http://www.comune.loropiceno.mc.it/?page_id=30 e ss.


Loro Piceno (torri)

Dal sito www.bellemarche.co.uk   Dal sito www.comune.loropiceno.mc.it

gravi danni daI sismI dell'ottobre 2016

«è attestato che esistesse una torre, detta turris magna, crollata nella metà del XVI secolo, che fosse più alta del cassero, nello spazio in cui oggi si trova la cisterna dell’acquedotto pubblico, lungo la scalinata del Girone. Nel 1570 la torre crollò per metà, così per salvaguardare chi abitava intorno, il Comune ne ordinò la completa distruzione e, dal 1571, il materiale edilizio della torre fu ceduto per la costruzione del convento dei Minori Cappuccini, della chiesa di Santa Maria del Soccorso, del monastero del Corpus Domini e di alcuni tratti delle mura castellane. Attualmente dalla struttura del castello emergono quattro torri, da ponente verso levante: la Torre degli impiccati, la Torre merlata, la Torre mozzata e la Torre della Vittoria.
Torre degli impiccati. Nelle mura occidentali sbucano ad intervalli costanti delle torrette rompitratta a base quadrata che fuoriescono dal perimetro della cortina. Nella torretta centrale, si trova una bombardiera poco visibile a chi transita lungo la strada, presumibilmente serviva ad attaccare l’assalitore gettando bombarde con un tiro di fiancheggiamento. A breve distanza strapiomba dalle mura castellane un piccolo torrione piantato su tre piloni congiunti da due archetti attraversati a loro volta da una trave di legno, ed una leggenda popolare narra che servisse come luogo di impiccagione. Dal piano terra del monastero, precisamente dal giardino, si può accedere all’unica stanzina della torre.
Torre merlata. Nell’angolo sud-ovest della cortina si innalza la torre merlata di avvistamento e di difesa disposta a 45° su pianta quadrata. Questa disposizione ruotata serviva per difendersi in maniera frontale, riducendo il vantaggio che gli assalitori avevano attaccando il fortilizio sulla diagonale esterna dell’angolo. La torre, probabilmente coronata da una merlatura ghibellina, serviva ai difensori per sfuggire al tiro delle balestre del nemico rifugiandosi dietro ai merli ed affacciandosi solo per il contrattacco. Al suo interno ci sono tre piani fuori terra ed uno seminterrato. Nel piano seminterrato si trova una stanzina, a cui si accede dal primo piano attraverso una botola, che era adibita a prigione.
Torre Mozzata. In posizione centrale nel prospetto meridionale del castello, sembra sia stata mozzata nella sua altezza. All’interno dei essa abbiamo due piani, uno fuori terra con la lavanderia, dove sono ancora visibile le tracce degli antichi lavabi e, l’altro seminterrato, adibito a deposito.
Torre della Vittoria. Imponente costruzione di 21 m. da cui si può ammirare uno splendido panorama che si estende dal Monte Conero alla Maiella, dai Sibillini all'Adriatico. La Torre della Vittoria chiamata anticamente Torre dell´Orologio, sorge ad est del castello, dietro il palazzo comunale. è alta 21 m, ha un tetto a padiglione ed è divisa internamente in cinque piani fuori terra, i primi due sono di proprietà delle monache. Dal terrazzino del belvedere si possono scorgere a occhio nudo 56 paesi, dai Sibillini all´Adriatico. Data la sua altezza e la sua visuale a 360°, questa torre serviva sicuramente per l’avvistamento e le feritoie presenti dai tre piani consentivano agli arcieri di prendere la mira senza esporsi. Si articola su quattro livelli, di cui uno sotterraneo che, probabilmente, ospitava una prigione. Nel primo piano della torre, dove si trovava la segreteria comunale, erano presenti l’orologio e la campana della comunità. Fino alla metà del XIX secolo un addetto del comune, detto moderatore, era incaricato di provvedere al buon funzionamento dell’orologio e di suonare le campane a distesa all’avvicinarsi di tempeste e grandinate. Quando nel 1692 il palazzo fu adibito a monastero, il comune cedette alle monache il primo seminterrato del corpo d’ingresso alla torre, il piano terra e parte del primo piano che le religiose usarono rispettivamente come magazzino, dispensa e biblioteca. Nel 1781 il capitano Francesco Marcucci, sindaco del monastero, con la licenza della Sacra Congregazione dei Vescovi Regolari acquistò la torre per 150 scudi. Il contratto di vendita prevedeva che nel termine di un anno il comune si impegnasse a trasferire l’orologio della torre nel nuovo palazzo priorale. L’orologio venne asportato solo nel 1865, quando fu collocato sulla torre di San Francesco. Il torrione con l’intero castello ritornarono in possesso del comune nel 1866 quando si stabilì che tutti i beni appartenenti agli ordini religiosi venissero demaniati e ceduti ai rispettivi comuni di appartenenza. Dalla vendita all’asta dell’intero castello, effettuata nel 1906, si escluse la torre, che rimase di proprietà comunale. Nel 1918, quando i Loresi scesero in piazza per festeggiare la fine della I Guerra Mondiale, ribattezzarono la torre civica “Torre della Vittoria”».

http://www.comune.loropiceno.mc.it/?page_id=30 e ss.


Macerata (mura, porte)

Foto di Guido Baviera, dal sito http://178.63.177.70/huber/huber/images   Dal sito www.comune.macerata.it

«Le mura che circondano la città, dopo la prima e più ristretta cinta muraria, risalgono al XIV secolo quando il cardinale Egidio d'Albornoz fu mandato a Macerata da Innocenzo VI per preparare il rientro dall'esilio di Avignone. Nel secolo successivo le mura furono fortificate ad opera di maestranze lombarde. Al progetto dell' architetto militare Cristoforo Resse si deve la costruzione di 32 bastioni quadrangolari e poligonali necessari per difendersi dalle nuove armi da fuoco. Le porte d'accesso avevano una struttura possente come è possibile vedere nella merlata Porta Montana. Porta Montana. è la più antica delle porte maceratesi. Conserva ancora gli incassi su cui scorreva la porta a saracinesca e alcune tracce di affreschi. I merli che la coronano sono stati snaturati nel 1905 perché quelli originali erano di tipo ghibellino, cioè a coda di rondine. Porta Mercato. L’attuale porta fu costruita nel 1823 nel luogo in cui sorgeva la precedente porta protetta da un bastione difensivo. Porta San Giuliano. è chiamata anche porta “del Duomo” o “di Loreto”, perché sotto al suo arco è dipinta l’immagine della Madonna di Loreto. Vicino a questa porta si trovava il “Torrione dei pazzi” dove venivano rinchiusi i malati di mente. Porta Romana (“I Cancelli”). L’antica porta fu demolita durante i preparativi per la visita di Pio IX a Macerata, nel 1857. Subito dopo però, si impose la necessità di costruirne una nuova con la funzione di barriera daziaria. A tal fine fu realizzata la grande cancellata in ghisa, tuttora visibile, che chiudeva la strada tra le due palazzine. Dalla cancellata deriva il nome “I Cancelli” con cui i maceratesi da allora indicano questo punto della città. è curioso ricordare che solo quando i cancelli furono montati ci si rese conto che non potevano essere manovrati a mano, e il problema fu risolto facendoli scorrere su due binari».

http://www.macerataguideturistichemarche.com/macerata1.html


Macerata (palazzo dei Diamanti)

Dal sito www.comune.macerata.it   Foto ghigo65, dal sito www.trivago.it

«Palazzo dei Diamanti. Il Palazzo venne costruito durante il Cinquecento per volere di Mozzi e Marchetti, due mercanti. Nel Seicento l'edificio divenne di proprietà di Ferri, il quale ne commissionò il sontuoso scalone. Il Palazzo prende il nome dalla particolare forma delle pietre con cui venne realizzato, a punta di diamante, ispirata al Palazzo dei Diamanti costruito a Ferrara dall'architetto Biagio Rossetti. Attualmente l'edificio è proprietà della Banca d'Italia».

http://www.ipalazzi.it/palazzo/p_1811.html


Macerata (torre Civica)

Dal sito www.comune.macerata.it   Dal sito www.almarestauri.it

«La Torre Civica, iniziata intorno al 1492, da Matteo d'Ancona, venne continuata nella metà del '500, sui disegni di Galasso Alghisi da Carpi, architetto militare, e fu ultimata sui modelli dell'artista, nel 1653. E' alta 64 metri, ed è uno dei migliori edifici del genere nella regione. Sul basamento vi è una lapide che ricorda Vittorio Emanuele II, per sistemare questa lapide fu sacrificato purtroppo, l'artistico orologio ad automi, simile a quello di Venezia, costruito nel 1569 dai fratelli Ranieri di Reggio Emilia, famosi orologiai, con le statue lignee della Madonna col Bambino, cui le figure dei Re Magi al suono delle ore, rendevano omaggio.  Dalla terrazza del coronamento, facilmente accessibile, si domina un panorama unico che spazia dai monti Sibillini al mare. Lo sguardo scorre sulle numerosissime cittadine intorno, tutte su sommità collinari, intervallate da una campagna coltivata come un giardino».

http://www.comune.macerata.it/Engine/RAServePG.php/P/32951CMC0417


Massaprofoglio (ruderi del castello di Prefoglio)

Foto di Sergio Barboni, dal sito http://picasaweb.google.com   Foto di Sergio Barboni, dal sito http://picasaweb.google.com

«Data costruzione 1400. Ruderi di fortificazione medioevale dei duchi Varano, signori di Camerino.Si trova nella frazione di Massaprofoglio, accessibile a piedi, in posizione estrema sul territorio comunale e dominante rispetto alla Val Sant' Angelo».

http://www.comune.muccia.mc.it/?page_id=30


Massaprofoglio (ruderi della torre di Massa)

Dal sito www.mtb-forum.it   Dal sito www.comune.muccia.mc.it

«Data costruzione 1200. Detta anche "Torraccia" a m.s.l.m. 808 presso Massaprofoglio, accessibile a piedi. Rudere di fortificazione dei Varano e forse di origine longobarda, a pianta rotonda, in posizione di controllo rispetto alla Valle del Chienti con vicini boschi».

http://www.comune.muccia.mc.it/?page_id=30


MATELICA (mura urbane, porte)

Dal sito www.comune.matelica.mc.it   Dal sito www.comune.matelica.mc.it

«La città, che tra le sue origini dal centro romano di Matilica, secondo le cronache documentali, subì nei secoli diversi interventi per la costruzione e l’ampliamento di sistemi di difesa, in particolare all’inizio del XIII secolo a comprendere i quartieri di Santa Maria e Civitella, mentre nel XIII secolo si compresero presumibilmente i quartieri di Campamante e Santa Maria Maddalena, con la realizzazione di cinque porte urbiche. Ulteriori importanti lavori di ampliamento vengono portati avanti nel XV e XVI secolo, a cui fanno riferimento certamente gli unici due esempi di architettura militare giunti sino a noi, anche se fortemente rimaneggiati: si tratta di Porta Campamante, la più rappresentativa, e la Porta Molini. Porta Campamante, presumibilmente quattrocentesca, presenta l’eccezionale particolarità di avere due fornici, uno carrabile e l’altro per il transito pedonale, ora tamponato. La porta, dalla pianta a base quadrangolare, presenta tracce di bombarde ed è sprovvista di sistema sporgente di caditoie per la difesa. è inoltre munita di copertura a falde, certamente posta dopo la demolizione della merlatura originaria. Altri caratteri di architettura militare si riscontrano in Porta Molini, con fornice ad archi a tutto sesto, che invece è munita di corpo sporgente con caditoie per il tiro di difesa».

http://www.vallatadelpotenza.it/index.php?id=152&L=0


MATELICA (palazzo Comunale, palazzo Ottoni)

Dal sito www.comune.matelica.mc.it   Dal sito it.wikipedia.org

«Palazzo Ottoni sorge di fronte al palazzo dei governatori; la presenza di una lapide posta nello scalone di destra ci consente di conoscere la data di costruzione, il 1472; il palazzo fu commissionato da Alessandro e Ranuccio Ottoni. Aveva una planimetria ad U realizzata nella prima metà del XVI secolo, che si apriva su un cortile porticato sui tre lati e chiuso sul quarto dalla Loggetta aerea che scavalcando via San Filippo conduceva ad un'altra proprietà degli Ottoni. Della costruzione originaria è rimasta solo l'ala destra e della Loggia solo quella parte che funge da prospetto posteriore del palazzo. La loggetta aerea, dal 1521, ha il compito di collegare la casa padronale alla dépandance oltre la strada comunale. Gli Ottoni non avrebbero mai rischiato una sollevazione popolare scacciando le monache dal loro monastero solo per trovare uno spazio per la loro servitù, si servivano della loggetta come privato mezzo di comunicazione con la sottostante chiesa di San Michele Arcangelo e con gli orti che si stendevano dietro di questa. è probabile la presenza di un giardino pensile laddove oggi c'è un parcheggio. Al secondo piano del palazzo è ospitato il museo-pinacoteca ... Il Palazzo Comunale viene acquistato dal comune nel 1606 dalla famiglia Scotti di Narni, nel 1844 la municipalità si affida all'architetto Vincenzo Ghinelli che stila un progetto di restauro per evitare la demolizione del palazzo. Ghinelli propone una sopraelevazione e un ingrandimento del cortile, il fabbricato della caserma viene prolungato fino a Via San Filippo. L'ingegnere Robuschi aggancia la facciata a robuste chiavi in ferro e da quel momento il Palazzo Comunale è una realtà che sopraffà palazzo Ottoni. Al termine dello scalone è posta l'importante lapide di Caio Arrio».

http://www.comune.matelica.mc.it/turismo/itinerario-architettonico.asp


MATELICA (ruderi della rocca degli Ottoni o Roccaccia)

Dal sito www.tuttocoltelli.it   Dal sito www.tuttocoltelli.it

«Sulle pendici del vicino Monte San Vico sorgono i resti della tenebrosa Rocca degli Ottoni, o “Roccaccia”, fortezza arcigna dalle origini sconosciute. Forse risalente al X Secolo, fu certamente tenuta da questa potente famiglia dal 1513. Gli Ottoni se ne servirono come rifugio e qui venne imprigionato e giustiziato Antonio Ottoni dopo un lungo assedio alla Rocca stessa per volere di papa Pio IV. Della Rocca venne poi ordinata la demolizione a cui si prestarono con sorprendente entusiasmo i cittadini. ...».

http://www.italiainsolita.it/index.php?option=com_content&view=article&id=108


MATELICA (torre Civica, palazzo del Governatore)

Dal sito www.borghitalia.it   Dal sito www.comune.matelica.mc.it

«Il nome nacque dalla residenza nel palazzo del Luogotenente imperiale, che fu costruito su ordine di Ottone IV. Molte sono state le ristrutturazioni, sicuramente non tutte rispettose dello stile originario, ma ciò nonostante il palazzo offre alla piazza principale una nota positiva in più. Accorpata all'edificio è la Torre Civica, la cui base, per alcuni, potrebbe essere contemporanea dell'edificio, mentre per altri potrebbe risalire ad un'epoca antecedente il 1175. La torre fu sopraelevata alla fine del XV secolo, e successivamente, nel 1893, fu allargata alla base per problemi di stabilità».

http://it.wikipedia.org/wiki/Matelica#Architetture_civili


Mogliano (palazzo Forti, porta Levante)

Dal sito www.comune.mogliano.mc.it   Dal sito www.qsl.net

«Quasi alla fine di via Roma, strada che attraversa tutto il centro storico e che si immette nella piazza principale, Piazza Garibaldi, sorge il palazzo più importante di Mogliano, oggi sede del municipio: Palazzo Forti. Progettato alla fine del ´500 come struttura economicamente autonoma, oltre che come abitazione della ricca e nobile famiglia Forti, consta di tre piani sopra il livello stradale ed altri due sotto, raggiungibili anche da via Carelli. Tutto l´edificio è stato restaurato e vi si possono ammirare sia i sotterranei con archi e volte originali, sia le stanze del piano nobile con bei soffitti dipinti a cassettoni, sia l´ultimo piano ora adibito ad archivio storico e biblioteca. è interessante una piccola stanza a metà scala, ricavata all´interno di un torrione e affrescata in stile pompeiano, una volta studio dei signori Forti». La porta Levante, datata XV secolo, è stata restaurata.

http://www.comune.mogliano.mc.it/?page_id=45


Mogliano (rocca)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.flickriver.com

«Di essa rimangono solo i bastioni. Non ho trovato notizie di essa su internet. Mogliano è appartenuto per lungo tempo a Fermo e alla Chiesa per cui è facile immaginare che la storia sia legata ad entrambe queste dominazioni. Vi sono poi delle fonti storiche che accennano a questa costruzione e la relazionano ai Bonifanti, una delle più rilevanti casate moglianesi. Risale al 21 aprile 1366 un atto di vendita con il quale Giovanni di Martino di Claudio, sindaco e procuratore del Castello di Mogliano, vende ad Angeluccio Boninfanti di detto Castello, un modiolo e mezzo di terra sodiva posta nel territorio di Mogliano in contrada Moliarum. Nella premessa del rogito è detto che il Comune è costretto a vendere per pagare i propri debiti. Un’altra fonte di informazioni ci è data da un manoscritto del 1666, gli Annales Terrae Moliani di fra' Pietro Carnili (1619?-1688) che dedica il trentunesimo capitolo a questa famiglia. Qui viene nominato Giovanni Angeluccio, definito Civis Nobilis Firmi, che viene inviato dalla sua patria, Mogliano, quale ambasciatore presso il generale dei Galli, allora in Italia, perché non la saccheggiasse. Menziona poi Giovanni Domenico che, unitamente a Giovanni Conte, si reca dal Governatore della Marca anconetana, conte Giovanni Gerolamo Albani, per chiedere l’esecuzione della demolizione della rocca di Mogliano, in osservanza al Breve di Pio V del 23 marzo 1569. I Boninfanti ebbero sepolture in diverse chiese moglianesi, una in quella di S. Gregorio Magno e precisamente il terzius [?] sepulcrum come è riportato in una antica planimetria della chiesa allegata al terzo volume dello Stato delle Anime ed un’altra nella chiesa di S. Maria da Piedi, davanti l’altare della Maddalena. Lo stemma, scolpito in arenaria, è ancora visibile al di sopra di una porta della loro casa, nelle mura castellane che guardano verso nord. Raffigura un monte di tre cime all’italiana sormontato da un crescente (mezzaluna) montante (con le punte rivolte in alto)».

http://castelliere.blogspot.it/2011/08/i-castelli-delle-vacanze-2.html


Monte di San Martino (mura castellane)

Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net   Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net

«Durante le invasioni barbariche divenne quartiere dei Franchi, cambiando il nome di Arx Rubetana in Monte San Martino. Cinto da mura, nel Medioevo, prese parte alle lotte tra Ghibellini e Guelfi tenendo le parti di questi ultimi, cosa che gli valse, da parte dei Pontefici, concessione di privilegi, non ultimo quello di essere governato da propri signori della famiglia dei Proporzi imparentati col Brunforte. Verso il 1250 si stabilì permanentemente la sua comunità indipendente da qualsiasi Signoria, solamente per un breve periodo di tempo fu posto sotto il governatorato dei Varano governatori di Camerino. Fu questo periodo di vita commerciale particolarmente fiorente tanto da raggiungere la sua massima estensione».

http://www.turismomarche.com/it/Province/macerata/Monte-San-Martino/home.aspx


Montecassiano (palazzo dei Priori)

Dal sito www.borghitalia.it   Dal sito www.borghitalia.it

«La straordinaria bellezza artistica e paesaggistica, le numerose tradizioni, e il notevole sviluppo economico e demografico degli ultimi decenni rendono Montecassiano una cittadina tra le più vivibili, accoglienti e d’interesse turistico-culturale del maceratese. Montecassiano si è sviluppato nei secoli intorno al nucleo storico di Castrum Montis Sancte Marie, dove ancora oggi si trovano gli edifici più importanti, con un’armonia tale da conservare intatta e unitaria la struttura urbanistica medievale.  Il Palazzo dei Priori (XIII) è realizzato interamente in cotto nel XV secolo su progetto attribuito ad Antonio Lombardo, il palazzo che si affaccia scenograficamente sulla piazza, è articolato su due livelli e caratterizzato da un coronamento merlato. A piano terra presenta un portico composto da cinque ampi archi a tutto sesto con corona decorativa, sorretti da bassi pilastri a sezione ottagonale. Al livello superiore si aprono tre raffinate bifore con sottile colonnina centrale lapidea e archetti trilobati, incorniciate da una larga fascia archi voltata a tutto sesto e collegate da semplice cornice marcapiano. Questo importante palazzo conserva inoltre la pala "Madonna con Bambino in trono tra Sant' Andrea, Santa Elena e due angeli musicanti", opera di Joannes Ispanus, pittore spagnolo dei primi anni del ‘500».

http://www.bandierearancioni.it/approfondimenti/dettaglio/102/Palazzi-ricchi-di-storia-a-Montecassiano


Montecassiano (porte urbiche)

Dal sito www.borghitalia.it   Dal sito www.docartis.com

«Dalle origini incerte, il centro medievale di Montecassiano si presentava già all'inizio del XIII secolo come un castello, ma è nel XIV e XV secolo che la cittadina si munisce di un idoneo sistema difensivo, comprendente tre porte urbiche di accesso ai terzieri in cui era divisa la città: Porta S. Croce, Porta del Cerreto e Porta della Pesa o San Giovanni. Porta S. Croce, orientata a nord-est, è costituita da un corpo a pianta quadrangolare ed un fornice con arco a tutto sesto, munito di coronamento con caditoie e sequenza di merlature a coda di rondine. La parte basamentale presenta una possente muratura scarpata che si sovrappone alle costruzioni residenziali limitrofe. Alcune tracce di guide di scorrimento poste sulla muratura lasciano pensare che la porta fosse munita di ponte levatoio. Sebbene manomessa da sopraelevazioni abitative che ne hanno cancellato la merlatura, la Porta San Giovanni o della Pesa, orientata a sud-est, conserva ancora nei suoi elementi compositivi, tipologie di architettura militare, come la sequenza di caditoie, la possente muratura scarpata come basamento e le sedi di scorrimento della saracinesca, disposte all'interno del voltone a circa 5 metri dal limite del portone di difesa. La Porta del Cerreto, posta ad ovest, è situata in posizione arretrata rispetto all'andamento della cortina muraria scarpata e alla contigua torre di rinfianco, anch’essa scarpata e ora munita di copertura per scopi abitativi. I caratteri architettonici della porta lasciano pensare a consistenti manomissioni, vista la presenza di un avancorpo con caditoie che non si sviluppa per tutta la larghezza. Le merlature a coda di rondine sono rifacimenti successivi, mentre piuttosto conservato è il fornice ad arco a tutto sesto».

http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/253/montecassiano-mura-urbane


Montecassiano (torre di Sant'Egidio)

Dal sito www.marche.beniculturali.it   Dal sito www.marche.beniculturali.it

«Collocata a poca distanza dal fiume Potenza, sulla sua riva sinistra, la torre di Sant'Egidio doveva avere funzioni di controllo del fiume stesso e dell'antico tracciato dell'odierna strada provinciale, di collegamento tra San Severino e Porto Recanati. A pianta quadrata, è stata nei secoli fortemente rimaneggiata per scopi abitativi, con la demolizione della parte sommitale (almeno un terzo della sua originaria altezza) e la realizzazione di una falda di copertura, quindi l'intonacatura della maggior parte della sua superficie; tuttavia conserva le sue qualità formali essenziali, visto il basamento a scarpa, parzialmente interrato, e due modanature marcapiano».

http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/255/montecassiano-torre-di-santegidio


Montefano (torrione)

Dal sito www.turismo.montefano.sinp.net   Dal sito www.turismo.montefano.sinp.net

«Il Torrione quattrocentesco si trova all’inizio di Via Marconi, appena terminato Corso Carradori; a suo tempo sicuramente faceva parte delle mura del paese e accanto ad esso vi era una delle due porte che davano accesso al paese, quella di Ponente; l’altra, era la porta di Levante che si trovava accanto all’attuale palazzo comunale. Nella parte alta del torrione si possono ancora notare le feritoie ed i merli a coda di rondine (merli ghibellini). Ai piedi del Torrione è visibile una fontana costruita nella primavera del 1911, dopo che la congregazione della carità di Montefano autorizzò il Comune a costruire un serbatoio nel locale sovrastante la chiesa di S. Benvenuto (oggi S. Maria). L’acqua che fuoriusciva da tale costruzione arrivava per caduta in tale vasca, denominata dai Montefanesi “la fontana del Deposito”. Sulla fontana è rappresentato lo stemma di Montefano con una torre, simbolo del castello e una pianta di rovere, in ricordo del Cardinale Giuliano della Rovere, che si era qui rifugiato durante la guerra contro Osimo».

http://www.turismo.montefano.sinp.net/torre.htm


MonteFIORE (castello)

Foto di Costantino Anzile, dal sito www.alcrepuscolo.it   Dal sito http://www.iluoghidelcuore.it

«Tra gli affreschi della Sala del Consiglio di Recanati, alzando gli occhi al cielo, si può ammirare il dipinto raffigurante Il Castello di Montefiore, eseguito nel 1889 dal Tassi di Perugia. Tale opera è testimonianza del quasi millenario legame della Città con la popolazione e i luoghi che furono lungamente contesi dai comuni vicini e in particolare da Osimo e Montefano. Il Borgo fu costruito al confine fra gli insediamenti Longobardi del Ducato di Spoleto e i Bizantini della Pentapoli, sulla sommità di un'altura che domina la parte occidentale delle valli del Musone e del Potenza. Il castello, costruito dai recanatesi alla fine del Duecento, è visibile da Recanati e da tutto il paesaggio circostante, fino al mare, al Monte Conero e ai paesi delle colline che gli fanno da corona. Si ritiene che la Torre, posta al centro del Castello e alta quaranta metri, fosse stata eretta per avvistare e segnalare i pericoli e le aggressioni nell'Età Comunale. La chiesa, dedicata a San Biagio, di cui si ha notizia sin dal 1184, fu eretta a parrocchia nel 1462. Essa superava nel Seicento le 300 “anime”; nell'Ottocento esse erano salite a 703. Le trasformazioni da castello murato a borgo rurale si ritrovano nelle caratteristiche architettoniche che portarono a continui interventi. Finalmente nel 2000 sono stati avviati i lavori di restauro del Castello che non è a tutt'oggi visitabile nell'interno, ma fin da ora Montefiore è meta di ogni visitatore che desideri meglio conoscere le nobili tradizioni di un popolo che conserva memoria delle antiche musiche e danze della “Castellana” e capire la poesia e le bellezze del paesaggio dolce che è tra le valli del Musone e del Potenza, tra il mare e i monti azzurri».

http://www.docartis.com/Marche/Recanati/Recanati/Recanati_Torri_Castelli.htm


Montelupone (cinta muraria, Roccellino, torre a puntone)

Dal sito www.comune.montelupone.mc.it   Dal sito www.docartis.com

«Cinta muraria. Il paese è stato costruito per fasi successive partendo da un nucleo centrale con ampliamenti detti in gergo a "veli di cipolla". Nonostante in qualche tratto vi siano addossate le abitazioni, la cinta muraria percorre tutto il perimetro del centro storico per circa 1000 metri di lunghezza. Essa ha conservato i suoi spazi medioevali, anche se alcuni tratti sono stati ricostruiti nei secoli successivi. Le torri presenti sono di due tipi, a pianta rettangolare o a puntone: queste ultime sono la testimonianza dell'avvenuta dominazione malatestiana. Notevole è la zona di mura civiche vicina alla porta del Trebbio dove si possono notare le giunzioni necessarie a unire due tratti costruiti separatamente.
Roccellino. Torretta merlata di avvistamento verso la vallata del Potenza, resto dell'antico Cassero. Un restauro ne ha messo in luce la sua tipicità. ... Documenti del 1525 riportano che in questo luogo veniva esposta la reliquia della S. Croce a protezione della campagna, contro la grandine, poiché da qui si scorge buona parte del comprensorio agricolo monteluponese.
Torre a puntone. Data costruzione XV secolo. Edificata probabilmente nel XV secolo, questa costruzione conserva ai suoi lati due bombardiere malatestiane, presenta analogie con le torri che si trovano a Sant'Arcangelo di Romagna, dove esiste il castello fatto erigere da un componente della famiglia Malatesta, Sigismondo Pandolfo».

http://www.comune.montelupone.mc.it/?page_id=38 - http://www.comune.montelupone.mc.it/?page_id=38&dM=1661


Montelupone (palazzo del Podestà, torre Civica, palazzi)

Dal sito www.cronachemaceratesi.it   Dal sito www.enogastronomia.it

«Montelupone è nelle Marche uno dei piccoli centri che meglio ha conservato le testimonianze della sua ricca storia, con le mura castellane e le quattro porte d'ingresso che nei secoli passati venivano chiuse al tramonto e riaperte all'alba, e l'originale pavimentazione in pietra. Sulla bella piazza-salotto, cuore del borgo, si affaccia il Palazzetto del Podestà (o dei Priori) con la torre civica. è un edificio trecentesco di grande valore architettonico a forma rettangolare, in cui si evidenzia l'influenza lombarda. Il loggiato a cinque archi è sovrastato da altrettante bifore ogivali poste nel salone principale del piano nobile, che custodisce un affresco devozionale del Cinquecento nello stile espressivo tipico della Controriforma. Parte integrante del monumento è l'adiacente Torre Civica con merlatura ghibellina che accoglie lo stemma più antico della città, l'orologio civico e la grande campana in bronzo fuso. All'interno del piano nobile si trova la Pinacoteca Civica, da visitare in un ideale percorso di conoscenza del borgo insieme con il Museo d'Arti e Mestieri Antichi, che ha sede nei sotterranei del Palazzo Comunale. Sorto su di una preesistente struttura medioevale e realizzato nella veste architettonica odierna dall'architetto Ireneo Aleandri nel 1800, il Palazzo Comunale si affaccia sulla piazzetta-salotto con il suo loggiato di stile neoclassicheggiante. Al suo interno si dischiude una vera sorpresa: il Teatro Storico Nicola Degli Angeli, ideato dallo stesso Aleandri ed eseguito nel progetto definitivo risalente al 1884 da Giuseppe Sabbatini. Di forte impronta neoclassica con influenze palladiane, due ordini di tredici palchi e il piccolo loggione, il Teatro è cinto dall'etereo soffitto dipinto nel 1887 da Domenico Ferri, che lascia come sospeso in un cielo di nuvole, un gruppo di giovani fanciulli improvvisatisi angeli musici. Curiosando per le vie di Montelupone, si scorgono diverse residenze di antiche famiglie: i palazzi Tomassini-Barbarossa, Chigi-Celsi-De Sanctis, Narcisi-Magner, Fresco, Emiliani, Giachini e altri ancora. In Palazzo Emiliani è da vedere un fregio del pittore Biagio Biagetti raffigurante le Quattro stagioni interpretate attraverso il ciclo vegetativo del grano, dalla semina fino alla produzione del pane. Inquadrate da flessuosi tralci di gusto Liberty, le scene rivelano l'eclettica cultura del maestro piceno».

http://www.borghitalia.it/html/borgo_it.php?codice_borgo=310


Montelupone (porte urbane, rivellino di porta Ulpiana)

Foto di casserg, dal sito www.eurekabooking.com   Foto di marclanz, dal sito www.eurekabooking.com

«Porta del Cassero. è la porta più elevata, che fa riferimento al primo nucleo murato del Cassero. Ristrutturata nel 1500, è stata rifatta nel 1861 con decorazioni geometriche a sbalzo sulle colonne portanti. Nel medioevo doveva essere porta munita. Detta anche porta Castello.
Porta del Trebbio. Originale costruzione posta all'incrocio (trivio) di un antico raccordo viario col monte Bubiano (S.Nicolò) e col Monastero Benedettino di S.Firmano. Al suo fianco si può ammirare l'antica casa del custode addetto alla sorveglianza del paese
Porta S. Stefano. Rifatta completamente nel 1804 a mattoni con ringhiera, merlatura, splendide cornici in cotto e guglia su porta preesistente. Al suo interno, nella parte alta è stato ricavato il passaggio che mette in comunicazione il palazzo Emiliani col palazzo Ricci. Detta anche porta Marina o delle Grazie o Fontanella.
Porta Ulpiana. Detta anche Porta San Michele, il nome è di origine romana, infatti deriva dall'imperatore Marco Ulpio Traiano. Nel medioevo fu annessa al castello e furono creati un'apertura carraia, il rivello e il ballatoio; restaurata nel XVI secolo, è stata modificata nel periodo barocco, quando vi è stato aggiunto, anteriormente, un arco decorativo, conservando però all'interno un rivellino del XV secolo, in origine a puntone (cioè a pianta pentagonale), che mostra un'apertura simile a quella presente anche nella Porta Galiziano di Potenza Picena. Particolare è la presenza dei cardini in pietra dei battenti di legno, ancora ben conservati.
Rivellino di Porta Ulpiana. Il grande arco ogivale del rivellino quattrocentesco è perfettamente conservato anche all'interno ed è stato forse eseguito sotto l'amministrazione malatestiana, data la notevole frequenza della pianta pentagonale nelle opere di committenza riminese Con ogni probabilità al momento dell'aggiunta barocca dell'arco frontale l'accesso originario è stato occluso dal parametro oggi presente ed è stata scalpellata la soprastante beccatellatura, benché ancora ben percepibile. Il rivellino è quasi sicuramente posteriore all'edificazione della porta, visto che la successiva fortificazione era stata predisposta per due portoni e dato che gli ultimi cardini sono in ferro a ghiera d'arco è ben conservata e di tipologia arcaica, probabilmente trecentesca. Una lapide posta sul fronte della porta nel 1921, ricorda la presenza delle truppe Francesi a Montelupone a cinquant'anni dall'unità d'Italia. All'interno della porta, sul lato destro, è presente una immagine votiva che raffigura la Madonna Addolorata sopra ad una veduta panoramica che mostra l'antico profilo del centro storico di Montelupone».

http://www.comune.montelupone.mc.it/?page_id=38 ss.


Morrovalle (casa Romagnoli)

Dal sito www.comune.morrovalle.mc.it   Dal sito www.comune.morrovalle.mc.it

«Casa Romagnoli è segnalata tra le più antiche case di questa cittadina. Questa struttura in pessimo stato, testimonia la presenza nella zona di maestranze dalmate che lavoravano per committenti veneti. Nell'archivio storico, difatti esistevano carteggi (ora trafugati) con sigilli in pasta e lacci in seta che testimoniano il rapporto con la "Serenissima". Quindi, Morrovalle come molte altre cittadine delle Marche testimoniano il legame Marche - Veneto nell'attività architettonica, conseguenza di quel più stretto rapporto delle due regioni nell'attività pittorica, con le scuole sanseverinate e tolentinate. In facciata, il portale d'ingresso posto centralmente e le finestre nel piano superiore, per i loro aspetti qualitativi, riferiscono di una stagione tardo gotica. Il portale d'accesso è la risultante di due sistemi di copertura: ogivale esterno profilato con delle sottili cornici e un arco ribassato interno decorato con motivi a girali. Anche le finestre trilobate alcune con degli elementi ornamentali, sono un tipico esempio di tradizione gotica. Tutti questi abbellimenti conferiscono una certa dignità all'edificio considerando soprattutto che si tratta di una casa privata. A sinistra, al piano terra si può notare una piccola porta ora tamponata. Questa veniva chiamata la "porta del morto" e serviva a far transitare la bara di un familiare defunto».

http://www.corriereproposte.it/index.php?view=venueevents&id=184%3Amorrovalle&option=com_eventlist&Itemid=1


Morrovalle (palazzo Comunale, palazzo del Podestà)

Dal sito www.comune.morrovalle.mc.it   Dal sito www.marcheshire.it

«Il Palazzo Comunale sorge di fronte al Palazzo Podestà ("Palazzotto del Podestà"). Lo spazio su cui fu costruito questo edificio fu acquistato dalla comunità morrovallese nel XIV secolo. Fu edificata una casa di terra di piccole dimensioni che doveva servire da Cancelleria ossia da Segreteria del municipio. Non sappiamo per quanto tempo l'edificio rimase di queste dimensioni ma sappiamo che nel XIX secolo e precisamente nel 1802 la nuova sede fu adattata ad esigenze municipali. L'esterno del palazzo presenta un lungo porticato ad archi a tutto sesto poggiato su tozze e squadrate colonne. I due piani superiori hanno un numero di finestre quanti sono gli archi sottostanti intervallate due a due da una leggera lesena. Al centro dei due piani compare l'orologio. Le bianche lapidi di marmo, esaltano le gesta legate al sacrificio di uomini semplici al patriottismo di quanti hanno creduto alla grandezza dell'Italia nell'epoca risorgimentale o nelle guerre coloniali. Nella facciata laterale sono inseriti lo stemma del cardinale Mimo (1312) e una lapide a ricordo delle ultime vicende militari (39/44). All'interno il Palazzo non conserva niente di clamoroso. Fino al 1964 esisteva un teatrino affrescato con tre ordini di palchi e il telone del sipario dipinto dall'artista Gaetano Galassi di Fermo. È andato tutto distrutto, la stanza è adibita a Sala Consigliare. Nei locali della Segreteria Comunale in pareti diverse sono murate due pietre scolpite. Una evidenzia l'immagine di un grosso volatile con una scritta non facilmente decifrabile, si tratta di uno stemma di famiglia. L'altra è lo stemma di una persona che ha rivestito dignità cardinalizie, con in alto un ampio cappello cardinalizio e al centro un'aquila coronata segno di regalità e potenza. In basso sono scolpiti due marchingegni bellici a difesa di un patrimonio di fede contro gli scismastici e a salvaguardia di un potere temporale acquisito. Accanto alla sede municipale è la trecentesca Torre Civica. tozza, squadrata e con merli ghibellini alla sommità».

http://www.corriereproposte.it/index.php?view=venueevents&id=184%3Amorrovalle&option=com_eventlist&Itemid=1


Morrovalle (palazzo Lazzarini)

Dal sito www.comune.morrovalle.mc.it   Dal sito www.marcheshire.it

«Palazzo costruito nel XIV secolo. è stato più volte trasformato per cui presenta una commistione di elementi originali insieme a quelli ricostruiti in stile neo-gotico. L'origine di questo palazzo è collegata alla venuta del capostipite dei Lazzarini, il conte Werner della famiglia dei conti di Lenzburg, calato in Italia dalla Germania nel 1053 con Federico di Lorena in aiuto del Papa San Leone I. Costui si impossessò del castello di Morro e lo ampliò. Da qui complessa e ricca è la storia della famiglia Lazzarini. Il castello di Morro fu diverse volte conteso tra questa famiglia e il vescovo di Fermo. Nel 1164 Guarmiero IV della famiglia Lazzarini perse il castello di Morro in favore del vescovo di Fermo Baligano. Poi vennero Gualtiero e Lazzarino da cui ebbe origine il cognome dei Lazzarini. All'interno del palazzo c'era una lapide del 1247 a ricordo di un restauro avvenuto dopo la battaglia del 1245 combattuta tra le fazioni legate alla Chiesa di Roma e quelle all'imperatore Federico II di Svevia. Il restauro avvenne per volere di Lazzarini dopo aver conquistato il castello. Lo perse nel 1248 perché cacciato dalla comunità di Morrovalle. Sul fronte del palazzo una ulteriore lapide testimonia di un secondo restauro avvenuto nel XVIII secolo. Questa iscrizione è posta sopra il portale centrale d'accesso all'edificio. Quest'ultimo costituisce l'elemento più importante del complesso. In stile gotico con colonne a torciglione rappresenta il riutilizzo di un materiale più antico inserito in un architettura neo-gotica. Esso apparteneva ad un castello che i Lazzarini avevano nella frazione di S. Lucia, fatto demolire nel 1500 da papa Giulio II (imparentato ai Lazzarini) per alcuni misfatti operati dai membri di quella famiglia. Al centro della facciata si nota anche lo stemma della famiglia: un grande delfino abboccante un delfino piccolo. Nei due piani superiori una serie di finestre incorniciate con elementi decorativi, alla sommità un cornicione con motivi incrociati e una lunga fila di merli ghibellini aggiunti in epoca recente».

http://www.comune.morrovalle.mc.it/Engine/RAServePG.php/P/265910010400/M/260810010408


Morrovalle (porta Alvaro)

Dal sito www.lemiemarche.it   Dal sito www.comune.morrovalle.mc.it

«Monumento architettonico risalente al XIV sec., costituisce ancora oggi l’ingresso principale al centro storico di Morrovalle. Possedeva robuste porte in ferro che venivano chiuse di sera al terzo suono della campana dagli appositi “Clavigeri”: nessuno, poi, poteva uscire, eccetto il medico, il prete, la levatrice, il notaio per le necessarie urgenze. Venivano riaperte al mattino dopo il suono della civica campana. Originariamente chiamata “Porta Maris” per il suo orientamento verso il mare, prese anche i nomi di “Porta dell’Alba” perché volta verso il sorgere del sole, “Porta dell’Albero” per un albero cresciuto sulla sua sommità ed infine “Porta Alvaro”, come attualmente è chiamata, in onore dell’aragonese Alvaro che nel 1445 combattè, in prossimità della cinta muraria, contro le milizie di Francesco Sforza contrapposte alle pontificio-aragonesi. Nello scontro persero la vita non meno di trecento soldati, tra cui il valoroso condottiero papalino. La porta ha subito nel tempo restauri e trasformazioni che ne hanno alterato le caratteristiche medievali. È dotata di tre archi a tutto sesto: uno centrale, più ampio e carrabile, e due laterali non esistenti nell’antichità. Un’ulteriore apertura è stata ricavata sul lato sinistro. Sul fronte, in alto, presenta una balaustra mattonata alle cui estremità sono posti due acroteri sferici, mentre altri elementi decorativi di forma piramidale sono situati a ridosso delle volute laterali. Sono visibili, inoltre, lo stemma di San Bernardino da Siena e l’iscrizione Civitas Eucharistica apposta dal Consiglio Comunale nel 1960 a ricordo del Miracolo Eucaristico avvenuto quattrocento anni prima nella Chiesa del Convento Francescano. Nel 1931, un Commissario prefettizio decise di abbatterla per ricavarne un ingresso al centro più ampio, ma decisiva fu la reazione della cittadinanza che ne pretese il restauro».

http://www.lemiemarche.it/node/332


Morrovalle (porta delle Fonti o di San Bernardino)

Dal sito www.comune.morrovalle.mc.it   Dal sito www.provincia.mc.it

«è la seconda porta che immette al centro urbano. Eretta nel XIV sec., è stata di recente restaurata. La documentazione attesta che nel 1428 transitò di qui San Bernardino da Siena. A ricordo del fatto, sul frontone dell’edificio spicca un’effige dell’Eucaristia, simbolo del santo senese, venuto in paese, secondo la tradizione, a portare una scomunica e a fondare il primo Monte di Pietà d’Italia. Ma da documenti d’archivio risulta che il sacro Monte di Pietà di Morrovalle venne deliberato ed istituito dal Consiglio di Credenza nel 1475, perdendo così il primato e divenendo, in ordine cronologico, il terzo in Italia dopo quelli di Perugia ed Ascoli. Una scalea mattonata dà accesso alla Porta che mostra due archi sovrapposti: il più antico a sesto acuto, il sottostante, più recente, a tutto sesto. È inserita in un contesto paesaggistico molto suggestivo, costituito da scalinate in laterizio, balaustre e muretti tra vecchie abitazioni abbarbicate su un declivio ricco di orti, prati e giardini. È chiamata anche Porta delle Fonti perché ai piedi della struttura, oltre la strada di circonvallazione, si estende l’area occupata dall’antica Fonte Maxima, un articolato complesso costituito da un camminamento mattonato, da lavatoi, dalle quattro vasche di Fonte Filello e da Fonte Sabblone, dove l’acqua fuoriesce da due mascheroni per riempire le altrettanti vasche sottostanti. Restaurate di recente, le antiche fonti sono oggi motivo d’interesse turistico».

http://www.lemiemarche.it/node/332


NOCRIA (torre di avvistamento)

Borgo di Nocria, dal sito www.castelsantangelosulnera.com   Borgo di Nocria, dal sito www.vissoimmobiliare.com

«è un’antica torre di difesa e di vedetta facente parte del vecchio Castello di Nocria, che fu eretto in questo luogo nel XIII sec.; la fortezza fu sede del più illustre feudatario dell’alto Nera».

http://www.sibillini.net/il_parco/Cultura_Territorio/Castelli/castelsantangelo.htm


Passo di Treia (mulino fortificato)

Dal sito www.marche.beniculturali.it   Dal sito www.cronachemaceratesi.it

«Lungo la vallata del Potenza, ancora numerosi sono gli esempi di torri fortificate attigue a mulini, necessarie innanzitutto per la difesa degli stessi, quindi anche per il controllo del territorio e delle vie di comunicazione (torre di Passo di Treia, Pollenza, Villa Potenza, S. Egidio, San Firmano di Montelupone). Soprattutto tra il XIV e il XV secolo assai frequenti erano gli attacchi e le scorrerie rivolti alle attività molitorie, che rivestivano un ruolo economico di primo piano, pertanto consistenti dovevano essere le opere difensive costruite a tale scopo. Anche le origini del mulino di Passo di Treia dovrebbero risalire all'inizio del XV secolo, seppure non sono mancati nei secoli diversi rimaneggiamenti, è ancora facilmente leggibile la sua forma architettonica originaria, con pianta a base quadrata, dalle dimensioni di circa 10 metri di lato e muratura dal consistente spessore di circa 1,40 metri, alta in origine 18,50 metri (oggi 15 m), disposta su due livelli, anche se successivamente è stato aggiunto un ulteriore solaio per ricavare un terzo ambiente. Questi spazi originari, con funzione di deposito, presentano una pavimentazione in mattoni e volte a crociera costolonate, mentre il collegamento tra gli stessi è consentito dalla presenza di botole. ... Completamente alterato è il piano di copertura, per cui sono andati perduti il sistema di merlatura e parte della muratura, per l'inserimento di una copertura a capanna con strutture di sostegno in legno e manto di copertura in coppi».

http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/259/treia-mulino-fortificato-di-passo-di-treia


Penna San Giovanni (borgo medievale, castelli non più esistenti)

Dal sito www.turismomarche.com   Dal sito www.turismomarche.com

«Del periodo medievale, Penna conservava il tratto della primitiva cinta muraria del sec. XIII, i rifacimenti del sec. XV con torre quadrangolare aggettante e le porte dei sec. XIII e XIV: Porta della Pesa (sec. XIV), la Portarella (sec. XIII), Porta del Forno (sec. XIV) e Porta S. Maria del Piano o Porta Marina (sec. XIV). ... Nel palazzo Priorale, risalente al sec. XIII ma molto rimaneggiato, si trova l’elegante Teatro comunale costruito in legno e dipinto da Antonio Liozzi (sec. XVIII). D’interesse anche ciò che resta del monastero di S. Filomena: la chiesa, ad unica navata, conserva il matroneo ormai murato e l’originale pavimento in cotto recentemente restaurato. All’interno una Sacra Famiglia attribuita al Sassoferrato (sec. XVII). Fuori dal centro abitato, immerse nel verde, due piccole chiese, tra le più antiche di Penna: la chiesa di San Bartolomeo e quella romanica di San Biagio. A qualche chilometro di distanza dal paese, sulle rive del torrente Salino, scaturiscono le sorgenti di acque minerali salso-cloro-iodiche-solfuree di “Villa Saline” salutari nella cura delle malattie del ricambio e delle affezioni della pelle. L’uso delle acque è attestato almeno fin dalla fine del sec. XIII quando la sorgente fu acquistata da Penna per l’estrazione del sale. La cittadina in piena epoca comunale era presidiata perifericamente da quattro castelli, dei quali purtroppo oggi non rimane traccia. Essi sono: IL CASTELLO DI PLAROMALDO. Venne acquistato nel 1248 dalla comunità pennese, unitamente ai diritti connessi ed alla terra. Plaromaldo venne distrutto già nel 1249 e doveva probabilmente sorgere nella zona del Fosso di San Lorenzo, verso il Tennacola. IL CASTELLO DI COLMERLO. Era appartenente alla famiglia Lornano, la cui schiatta aveva signoria sull’omonima roccaforte ubicata in territorio maceratese, a ridosso delle sponde del Chiente. Metà del castello del Colmerlo, o Colmerulo, passò in proprietà alla Comunità pennese, mentre la rimanente parte fu acquistata dalla collettività di Monte San Martino. Anche di questa struttura non rimane vestigia, seppure l’omonima contrada al confine proprio con Monte San Martino sia ulteriore testimonianza della sua antica esistenza. IL CASTELLO DELL’AGELLO. Ubicato nella zona dell’odierna Villa Aiello, era il principale tra essi. Per la sua collocazione, proprio sulla sommità di una collina secondo l’ uso invalso a miglior difesa da scorrerie nemiche, viene spesso denominato in pergamene come ‘Podium Agelli’. La famiglia che ospitava era quella del conte Aldobrandino, stipite dei nobili di Penna San Giovanni. La chiesa del castello era quella di San Pietro. IL CASTELLO DI SANTA CROCE. Il suo sito era naturalmente sul colle di Santa Croce, ove sorgeva una chiesa dedicata al sacro simbolo. La rovina dell’ edificio, secondo il Colucci, è risalente nel tempo, probabilmente da datare all’ inizio del secolo XVIII».

http://www.comune.pennasangiovanni.mc.it/?page_id=23


Penna San Giovanni (resti della rocca)

Dal sito www.comune.pennasangiovanni.mc.it   Dal sito www.qsl.net

«Sulla base di alcuni reperti archeologici, si fa risalire la sua origine all’epoca romana quando qui, secondo la tradizione, sorgeva un villaggio legato alla non lontana Faleria. Il luogo fu fortificato in epoca medievale e fu residenza di signori locali. Nel 1259, al tempo dell’occupazione di Manfredi, gli abitanti insorsero e distrussero la Rocca sulla sommità del monte. La fortezza fu poi ricostruita alla metà del ‘300 dai Varano che avevano preso possesso del paese per conto del Cardinale Albornoz che cercava di mettere ordine nella Marca in nome del Pontefice; alla metà del sec. XV fu conquistata e tenuta per due decenni da Francesco Sforza insieme con molti altri castelli vicini per passare poi definitivamente sotto il dominio della Chiesa. ... Sulla cima del colle, i resti di una torre della originaria Rocca in cui si apre uno stretto cunicolo nel quale la leggenda dice si nasconda una chioccia d’oro con i suoi pulcini».

http://www.comune.pennasangiovanni.mc.it/?page_id=23


PERCANESTRO (ruderi della rocca)

Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net   Foto di G. Bonfigli, dal sito www.qsl.net

«Uno dei tanti [castelli] i cui ruderi disseminano ancora oggi il territorio serravallese. Esso apparteneva alla potente famiglia dei Baschi insieme al castello della Rocchetta, a quello di Elce e a numerosi altri castelli delle Marche e dell’Umbria. Il comune guelfo di Camerino, per fronteggiare l’invadenza di quello di Foligno, tra il 1264 ed il 1265 offrì protezione e difesa alle comunità montane di confine. Di conseguenza gli abitanti della Rocchetta (Cesi, Costa, Corgneto, Acquapagana, San Martino, Civitella) e quelli della comunità di Percanestro (Colle Lepre, Colpasquale, Voltellina, Collecurti, Santa Croce, Attiloni, Forecalla ed Elce) fecero atto di dedizione al comune di Camerino. Segno di questa soggezione fu l’impegno di pagare ogni anno 26 soldi per famiglia. Inoltre gli abitanti della Rocchetta avrebbero offerto un palio di seta in occasione della festa di San Venanzio o di quella dell’Assunta; una libbra di cera veniva donata dalla comunità montana di Percanestro e Elce. Così queste terre furono incluse nel distretto del comune di Camerino. Esse si reggevano con un proprio statuto applicato da un podestà camerinese, che provvedeva anche all’amministrazione della giustizia in prima istanza. Dall’autorità del comune le comunità passarono poi sotto la signoria dei Varano. Della grande rocca di Percanestro restano tracce ben visibili delle mura perimetrali e una torre smozzicata, singolare per la pianta a pentagono irregolare».

http://www.italiatua.it/info/Serravalle_di_Chienti


Pievebovigliana (castello di Beldiletto)

Dal sito http://macerata.mondodelgusto.it   Dal sito www.terredeivarano.it

«Tra il 1371 e il 1381 i Da Varano, signori di Camerino, costruiscono, nella pianura sottostante, il castello di Beldiletto, sontuosa e splendida residenza estiva della potente famiglia. In queste sale, riccamente affrescate, nel 1382 vengono ospitati Luigi I d’Angiò e Amedeo VI di Savoia. Nel 1419, il castello viene conquistato da Carlo Malatesta, signore di Rimini, in lotta con i Da Varano, il quale viene successivamente sconfitto dai signori di Camerino, con l’aiuto di Braccio da Montone. Nel 1510 vi soggiorna, con tutto il suo seguito, composto da sette cardinali e 200 uomini a cavallo, il papa Giulio II. Lo stesso castello di Pievebovigliana, oggi dominato dalla mole della chiesa di Santa Maria Assunta, di origine medievale, ma restaurata nel XVIII e nel XIX secolo e che racchiude la cripta romanica risalente ai secoli XI e XII, viene distrutto nel 1528 dalle truppe della duchessa Caterina Cibo, impegnata nelle lotte dinastiche per il controllo della signoria dei Da Varano. La sua struttura, originariamente circondata da un largo e profondo fossato, è quadrangolare, con torri in tutti gli angoli. Al suo interno si apre una corte con un loggiato, con pilastri ottagonali e con archi a sesto acuto in pietra bianca e rossa. Nella sala più grande del castello sono visibili i resti di un vasto ciclo di affreschi raffigurante dei cavalieri (in totale 60), tra cui Roberto il Guiscardo, suo figlio Ruggero, re di Napoli e Tancredi d’Altavilla, del XV secolo, che rimanda alla cultura dei poemi cavallereschi».

http://www.comune.pievebovigliana.mc.it/?page_id=581


PIEVEFAVERA (borgo, torre castellare)

Dal sito www.qsl.net   Dal sito http://castelliere.blogspot.it

«Risalente al XIII secolo, conserva quasi intatta la struttura muraria con tre cortine e quattro torri, di cui una trasformata in campanile. La struttura urbana di Pievefavera è giunta praticamente intatta sino ai giorni nostri; si dispone secondo uno schema a lisca di pesce e si estende lungo il pendio degradante verso la valle del Chienti ed il sottostante lago. Si individuano tre tracciati di fortificazioni. Il nucleo centrale di tutto l'insediamento è la Pieve della quale si hanno notizie documentate sin dal XII secolo. Il secondo è individuabile nelle mura appartenenti al blocco edilizio dove nel 700 si è addossata una fontana. Il terzo, ascrivibile al XVI secolo, è quello che delimita il centro antico costituito da un torrione poligonale a nord uno esagonale a sud, edificato da Giovanni Da Varano, e cinque torri quadrangolari. I tracciati presentano tre portali a sesto acuto. Nell'insieme, Pievefavera si presenta fortificata su quasi tutto il perimetro (ad eccezione del lato nord-ovest dove le mura sono state inglobate dal palazzo signorile o "palatium" e in parte demolite) con cortine verticali in pietra calcarea bianca. In seguito alla caduta dell'Impero Romano, Pievefavera seguì le sorti di tutti quei piccoli centri montani che per continuare a vivere si arroccarono in luoghi impervi, al sicuro di mura castellane. La cellula germinativa del nuovo insediamento fu la pieve; i documenti più antichi nei quali si fa espressamente menzione della "plebs" sono pergamene descrittive delle proprietà dell'Abbadia di Fiastra risalenti al 1170. Da questo momento la storia di Pievefavera fu strettamente legata alle vicende del Comune di Camerino che nel periodo compreso tra il XIII sec. e l'inizio del XVI sec. realizzò il più grosso ed efficiente sistema difensivo della Bassa Marca.

La posizione strategica di Pievefavera a difesa del confine in direzione sud-est e come vedetta verso Tolentino e Sanginesio, nonché il suo peculiare rapporto diretto con la famiglia dei Varano che dominò in Camerino per circa tre secoli, l'importanza stessa della pieve in possesso (fino al 1453) dell'unica fonte battesimale della zona, decretarono la superiorità del borgo fortificato rispetto a quelli limitrofi e la sua sopravvivenza nei secoli. Il vincolo strettissimo di Pievefavera con la famiglia titolare della Signoria è testimoniato da diversi documenti; fra i più significativi ricordiamo: 1263 - Guido, vescovo di Camerino, confermò gli antichi diritti di giurisdizione ecclesiastica e civile di patronato ai nobili Da Varano, 1350 - Gentile II Da Varano vietò agli eredi la vendita o cessione del giuspatronato di Pievefavera, 1403 - Rodolfo, figlio di Gentile ottenne la conferma canonica del diritto esclusivo della famiglia Varano di eleggere e nominare il plebano di Pievefavera. Cosi come l'espansione fortificata fu in stretta connessione alla crescita del comune di Camerino, la sua decadenza, o meglio l'arresto della crescita della sua struttura castellare seguì il declino della famiglia Da Varano che viene esautorata nel 1434. Camerino dopo un decennio di repubblica e un ritorno dei Da Varano nella figura del Principe Giulio Cesare, nel 1502 fu definitivamente conquistato da Cesare Borgia e da Giovanni Borgia governato sino al 1539 anno dell'incameramento del Ducato di Camerino da parte della Sede Apostolica. Alla fine del Ducato dei Da Varano il "palatium" e le proprietà passarono ai marchesi Sparapani di Camerino».

http://castelliere.blogspot.it/2012/02/il-castello-di-martedi-28-febbraio.html


Pitino (resti del castello)

Dal sito www.fattorialeorigini.it   Dal sito www.cronachemaceratesi.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Riccardo Marucci (https://www.facebook.com/riccardo.maru)   Foto di Riccardo Marucci (https://www.facebook.com/riccardo.maru)

«Il Castello di Pitino sorge sulla sommità di un colle prospiciente la valle del Potenza, 7 Km. ad est di San Severino Marche. Il colle è molto scosceso sul versante ovest (dove presenta una pendenza del 50% circa) e molto meno su quello est (pend. 10-15%); l’altezza massima sul mare è di circa 600 metri. Il complesso tipologicamente si configura come castello murato, che ripropone gli schemi della fortificazione romana, con re-cinto a salienti e rientranti, rafforzato da torri e comandato da una rocca, che a sua volta aveva nella torre maestra l’elemento essenziale di dominio e di difesa. Allo stato attuale il castello è composto dalla cinta muraria e da due nuclei, uno più antico (torre, chiesetta, cripta) e uno più recente (chiesa maggiore, canonica e locali annessi). Il Castello ha un perimetro di 400 metri circa, con una forma vagamente triangolare con la base a nord, dove domina il grande torrione di 24 metri, e il vertice a sud, dove è ubicata l’unica porta d’ingresso (larghezza est-ovest 80-110 metri, nord-sud 100-110 metri). La cinta muraria, di circa 1,20 metri di spessore, è conservata oggi in minima parte e solo sul lato est presenta tratti di di-mensione apprezzabile. Partendo dal grande torrione (interamente restaurato dalla Soprintendenza) si può riscontrare il tratto più conservato della cinta, di circa 64 metri di lunghezza e di 6 me-tri di altezza, con due ruderi di torrione sporgenti due-tre metri dalla muraglia: il maggiore di 6 metri di larghezza e 12 di altezza, il minore di 5 metri di larghezza e 8,50 di altezza. Proseguendo verso sud si nota un vuoto di 46 metri circa dove una fitta boscaglia impedisce la vista delle traccia dell’antico manufatto, quindi un nuovo tratto di circa 75 metri, dal profilo molto frastagliato, dell’altezza variabile da 2 a 6 metri; al centro dei ruderi di un altro torrione della larghezza di 5 metri e dell’altezza di 8. All’estremità sud questo tratto di mura si salda all’antica porta d’ingresso, costituita da un torrione di 5 metri di larghezza, 5 di altezza e 3 di profondità, dalle volte in mattoni (opera di restauro). Tutto il versante ovest presenta solo pochi frammenti delle antiche mura e di un bastione; in prossimità del grande torrione il muro di cinta coincide con il corpo di fabbrica dell’antica chiesetta di S. Antonio e annessi, il cui insieme andava a saldarsi al torrione stesso. All’interno della cinta muraria sono presenti, oggi, la chiesa grande e la sua torre campanaria (d’impianto tardo medioevale trasformata nel Settecento e restaurata, nel solo esterno, dalla Soprintendenza), un fabbricato adiacente a due piani già adibito a canonica (in precario stato di conservazione) e un altro edificio, di modesta fattura (ridotto ormai ad un rudere) destinato probabilmente ad abitazione colonica, collegato con un sovrappasso al precedente. Dalla planimetria storica del Catasto Pontificio si evince che, all’interno delle mura, dovevano esistere altri fabbricati di cui oggi non restano più tracce e dei quali solo una campagna di scavi potrebbe rilevare i perimetri. Il materiale precipuamente utilizzato nella costruzione del complesso è una roccia sedimentaria attribuibile ad un’arenite silicoclastica, indicata nell’uso comune con il termine generico di arenaria».

http://www.gruppomarche.it/prog_det.php?ID=405


Poggio San Vicino (torre Civica)

Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it   Dal sito www.giramarche.it

«Il castello di Ficano, del quale la torre era parte, fu costruito a partire dal 1349 per volontà di Smeduccio degli Smeducci di San Severino, dopo aver ottenuto l'autorizzazione da parte di Giovanni Riparia, Rettore della Marca» - «Delle antiche fortificazioni che dovevano caratterizzare l'aspetto di Poggio San Vicino, oggi non resta che una robusta torre medievale situata sul punto più alto del Poggio e recentemente restaurata. Di questo restauro però va sottolineata la poca attendibilità con cui si è ricostruita la scala a doppia rampa, piuttosto improbabile in una fortezza medievale».

http://sirpac.cultura.marche.it/web/Ricerca.aspx?ids=83166 - http://www.marchecitta.it/comuni/poggiosanvicino.html


Porto Potenza Picena (torre di Sant'Anna)

Dal sito www.docartis.com   Dal sito www.comune.potenza-picena.mc.it

«La cosiddetta "Torre di S. Anna" è ciò che resta di un edificio fortificato di origine medievale, che ha subìto vari rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Nei documenti il manufatto viene in genere definito "edificio del Porto", o più semplicemente, "Porto" di Monte Santo. Ripercorrere la storia della "Torre" significa dunque, in gran parte, analizzare le vicende di questo fabbricato che, dalle raffigurazioni settecentesche, appare di forma quadrangolare, dotato di cortile interno, con la porta rivolta verso il mare. Le sue origini appaiono incerte. Il primo documento che ne attesta l'esistenza è un foglio membranaceo, forse facente parte di un registro, nel quale sono annotate le spese del Comune; vi compaiono, in particolare, acquisti di utensili per il "Porto communis", pagamenti per il trasporto di materiale dal capoluogo al Porto, nonché per il salario di certo Alessandro di Domenico, "capitano dei Porto". Tale pergamena risale alla prima metà del secolo XV. Nell'archivio storico comunale si conserva pure un altro foglio membranaceo, sul quale, nel febbraio del 1426, si annota la nomina di un capitano del Porto, seguita dall'inventario, forse parziale, di beni mobili conservati nell'edificio, che doveva essere, già all'epoca, fortificato. Per il secolo XVI si dispone di maggiori informazioni. Nella prima metà del Cinquecento sono documentate presenze "barbaresche" al largo del nostro mare, pertanto si sente la necessità di rafforzare i1 Porto. Nel 1564 il pontefice Pio IV concede al Comune il privilegio di trattenere il denaro "delle pene dei malefitii" ed i beni confiscati ai rei per riparare le mura castellane nel centro abitato e la rocca del "Porto". è possibile che questa venga quasi ricostruita integralmente alla fine del secolo, come ricorda una piccola lapide ancora presente sul manufatto. Si ritiene che la Torre sia opera dell'architetto recanatese Verzelli, anche se l'attribuzione si basa su notizie generiche. ... Nel 1766 il Comune interviene in modo consistente sull'intero edificio, e, dunque, sulla Torre che sarà "coronata", anche da merli "ghibellini", al pari dei muraglioni perimetrali. I lavori sono documentati dagli atti consiliari nonché dalla data incisa su un mattone presente nel manufatto. A quest'epoca risale anche la prima raffigurazione, che offre la prima immagine in prospetto dell'edificio. La pianta in scala sarà disegnata invece in occasione del primo catasto geometrico - particellare, generalmente detto "gregoriano", che risale al primo Ottocento. Dopo la fine delle guerre napoleoniche, esauritosi il fenomeno delle incursioni "barbaresche" sull'Adriatico, viene meno anche la sua funzione di difesa; l'edificio, che in età napoleonica era stato demanializzato, viene poi lasciato in stato di semi abbandono. Dopo l'Unità d'Italia il Comune ne riacquista la proprietà e qualche anno dopo decide di demolire il manufatto conservando solo la torre vera e propria. Questa subirà un nuovo intervento nel 1884».

http://www.comune.potenza-picena.mc.it/?page_id=48 - http://www.comune.potenza-picena.mc.it/?page_id=48&dM=1553


Porto Recanati (castello svevo)

Dal sito www.qrcity.it   Dal sito www.portorecanatiturismo.it

  

«L'imponente struttura deve il suo nome a Federico II di Svevia che nel 1229 donò le terre in cui sorgerà Porto Recanati. Gli storici sembrano concordi nell'indicare il XIII secolo quale epoca della sua fondazione o quantomeno della costruzione del mastio. Un documento datato 1285 attesta che, a quel tempo, la popolazione s'era già insediata all'interno dell'originaria cinta fortificata. Nella carta, il castello è menzionato col nome di "Castrum Maris", termine con cui si voleva indicare un nucleo abitato costiero munito di opere difensive: indispensabili in quei secoli, per proteggersi dalle incursioni delle guarnigione nemiche, così come dalla frequenti scorribande dei temutissimi pirati turchi e barbareschi. Nel 1369 furono erette delle nuova mura, a protezione di quello che nel frattempo era divenuto un popoloso villaggio di pescatori e contadini. La comunità, che occupava delle modeste abitazioni addossate le une alle altre, disponeva anche di una piccola chiesa intitolata a San Giovanni Battista. Nel 1404 il castello vide accrescere le proprie difese, a seguito dello scavo di un fossato nel quale furono convogliate le acque del Potenza. Il lato rivolto verso il mare è formato da una cortina muraria raccordata ad una possente torre di comando quadrangolare, più antica rispetto al resto della costruzione. Con i suoi 25 metri d'altezza, il mastio deteneva il controllo dell'intero complesso: nulla è rimasto del coronamento merlato; si sono comunque conservati l'apparato sommitale su sporto di beccatelli e, a ridosso della base, la scarpatura angolata risalente al 1677. Alla sinistra dell'alta torre è collocato lo stemma della città-madre Recanati, in cui figura un leone rampante munito di spada. Nel periodo tre/quattrocentesco, venne eretto un torrione angolare di forma cilindrica a difesa del fronte sud-occidentale. Col tempo il manufatto ha perduto la gran parte dei suoi attributi difensivi, tra i quali l'apparato sommitale; vanta comunque la base leggermente scarpata ed un'ampia apertura rivolta verso l'interno, utilizzata per scaricare le artiglierie su chi eventualmente fosse riuscito a violare le mura. Il complesso è stato interamente realizzato in laterizio. Le cortine murarie orientale ed occidentale misurano 72 metri circa, quelle che formano i lati nord e sud oltre 40. Lungo l'intero circuito si sviluppa il cammino di ronda, difeso da parapetto e munito di feritoie equidistanti. L'area interna del castello (3000 mq circa) ospita l'Arena "Beniamino Gigli", nella quale si tengono prestigiosi eventi culturali legati al teatro, alla musica e al cinema. Negli ambienti che s'affacciano sul lato orientale, hanno sede la Biblioteca Comunale, la Pinacoteca "Attilio Moroni" ed una mostra archeologica permanente».

http://www.portorecanatiturismo.it/it/arte-e-cultura/dimore-storiche/10-castello-svevo.html


Potenza Picena (mura, porta Galiziano)

Dal sito http://isantesi.wordpress.com   Dal sito www.docartis.com

«La costruzione delle mura è fatta risalire al primo quarto del sec. XV. Furono poi rafforzate nel 1471, nel 1480 e nel 1566. Il nome della porta sembra derivi da un rivo o fosso così denominato, sul cui corso è stata costruita l'omonima fonte, utilizzata nel secoli passati come lavatoio e per abbeverarvi uomini e bestiame. Risale al sec. XIV ma ha subito diverse ristrutturazioni. Il 13 agosto 1365, il Consiglio Comunale discute intorno ad una casa privata sita fuori di "Porta Galazzano", che - come noto - si trova nella parte sud-ovest della "Terra". Quella menzionata nel documento non doveva essere però nel luogo dove si trova l'attuale, costruita invece più tardi, tra la fine del Trecento e gli inizi del secolo seguente, quando viene allargata la cinta muraria cittadina, includendovi un consistente gruppo di case denominato borgo del quartiere di S. Pietro (a sud-ovest della "Terra"), più tardi di "Galazzano" e, in tempi più recenti, di "Galiziano". La porta, in realtà una costruzione che ospitava il corpo di guardia, si apriva tanto verso l'interno della "Terra" quanto verso la campagna. Essa ha subìto varie ristrutturazioni; documentate sono quelle del 1566-72 nonché del 1775, è rifatta la facciata esterna secondo il gusto neoclassico, e si sono aggiunti, alla sommità, dei pinnacoli come mostrano le prime raffigurazione del manufatto risalenti agli anni 1816-18. Nel 1894 si è intervenuti sulla porta per un restauro».

http://www.docartis.com/Marche/PotenzaPicena/private/PotenzaPicena_CastelliPalazzi.htm


Potenza Picena (palazzo del Comune, palazzo del Podestà, torre Civica)

Dal sito www.cronachemaceratesi.it   Dal sito www.docartis.com

«Incerte appaiono le origini del Palazzo Comunale. Secondo Galiè, sembra che in origine il palazzo fosse del vescovo di Fermo e che risalisse agli anni 1199-1200. Il Palazzo del Podesta è di origine trecentesca. è stato in gran parte ristrutturato nel sec. XVIII (quando sarebbero stati aggiunti i merli ghibellini), e nel primo Ottocento. Ai piani superiori ha ospitato gli uffici del Podestà, eletto dal Comune almeno fin dal 1252, in seguito a privilegio pontificio. Questi era un magistrato, che esercitava eminentemente funzioni giudiziarie; nel sec. XVIII e, ancor più, nell'Ottocento ha visto accresciute le sue competenze in materia amministrativa (controllo dell'operato degli organi e degli 'ufficiali' del Comune e funzioni di polizia). Della medievale torre civica ben poco si conosce; si ipotizza sia quella raffigurata nel quadro di S. Sisto nell'omonima chiesa. è certo invece che è stata ricostruita nel sec. XVIII; i lavori iniziarono il 10 giugno 1732 con la solenne cerimonia di posa della prima pietra. Più slanciata dell'attuale, era dotata di una cuspide, alla quale lavorò l'architetto Pietro Augustoni sul finire del Settecento. Colpita da un fulmine, la torre fu di nuovo edificata su disegno dell'ingegnere anconitano Gustavo Bevilacqua (1886)».

http://www.docartis.com/Marche/PotenzaPicena/private/PotenzaPicena_CastelliPalazzi.htm


Recanati (mura, porte)

Dal sito www.marche.beniculturali.it   Dal sito www.docartis.com

«Di forma articolata a causa della morfologia del crinale sul quale si sviluppa, l'origine della struttura urbana del Castrum Rachanati deriva, come molti altri centri medievali marchigiani, dall'unione di tre precedenti castelli: Mons Vulpi, Mons S. Viti e Mons Morelli. Da attente ricerche storiche si è stabilito che le porte a difesa della città, intorno al XV secolo, dovevano essere ben dodici, aperte nei quartieri in cui era divisa la città oltre numerose portelle che davano accesso diretto alle vie cittadine, il castello infatti, sebbene di modeste dimensioni, aveva forma stretta e lunghissima, così da avere circa quattro miglia di mura. Oggi rimangono solo quattro porte, tra cui, la meglio conservata, Porta San Filippo con arco a tutto sesto e parte dei beccatelli e del coronamento originario. Le altre, nonostante i consistenti rimaneggiamenti subite nel corso dei secoli, sono Porta San Domenico, Porta Romana e Porta Marina, quest’ultima completamente ricostruita nel XVIII secolo in onore della visita di Pio VI. Il tratto del circuito murario posto a nord del centro urbano, realizzato nella seconda metà del XV secolo, riveste notevole interesse per l’applicazione dei nuovi canoni costruttivi rinascimentali (di cui il più grande esperto dell'epoca viene ritenuto Francesco di Giorgio Martini), probabilmente sotto la direzione dell'architetto fiorentino Baccio Pontelli: oltre alla possente scarpa che caratterizza il basamento, i torrioni vengono impostati su una pianta circolare, mentre una modanatura toroidale segna il limite tra la scarpa stessa e il corpo superiore».

http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/249/recanati-mura-urbane - http://www.docartis.com/Marche/Recanati/Recanati...


Recanati (torre del Borgo)

Dal sito www.sanruffino.com   Dal sito www.marcheholiday.com

«Detta anche Torris Magna, costruita nella seconda metà del sec. XII come simbolo della fusione di un unico Comune degli antichi Castelli. Rimase isolata dopo la demolizione del vecchio palazzo comunale nel 1872, con il quale aveva uno spigolo in contatto. L’attuale merlatura ghibellina su beccatelli a sporgere appartiene ad una ricostruzione degli anni che seguirono all’incendio (1322), o forse anche ad un posteriore rifacimento. Ha un lato di base di metri 9 e un’altezza di metri 36. L’antico quadrante dell’orologio in pietra bianca è stato fatto nel 1562, sotto vi è un leone rampante con corona e spada (stemma della città) scolpito in marmo da Andrea Sansovino. Datazione impianto originario 1160».

http://www.docartis.com/Marche/Recanati/Recanati/Recanati_Torri_Castelli.htm


RIOFREDDO (ruderi del castello)

Nella foto di Pierdamiano, panorama di Riofreddo, dal sito http://rete.comuni-italiani.it   Panorama di Riofreddo, dal sito www.vissoimmobiliare.com

«Il castello di Riofreddo fu costruito intorno al XIII secolo dai conti di Alviano a cavaliere delle strade convergenti di Colfiorito-Rasenna-Riofreddo e Mevale, da una parte, e della Valnerina (scalo Molini) dall'altra. Da qui un sentiero scende nella valle del Chienti attraverso il Passo della Cona e la Valle di Tazza. Il castello poteva così facilmente dominare e controllare il quadrivio favorito dalla sua posizione, limitata per tre parti da dirupi, che lo rendeva difficilmente attaccabile. Nel corso del XIII secolo fu costruita, al culmine del poggio, la chiesa dedicata a S. Lorenzo. Nel 1296 Offreduccio Alviano vende il castello di Riofreddo alla città di Spoleto. Nel 1438 il castello di Riofreddo fu conquistato da Francesco Sforza. ... In epoca non precisata dalle fonti storiche il castellodi Riofreddo ritorna proprietà degli Alviano. Nel luglio del 1378 gli Alviano vendono il castello di Riofreddo, insieme a Mevale e alla villa di Rasenna, alla città di Norcia. Il possesso di Norcia fu confermato dal vescovo di Spoleto nel 1396. Bonifacio IX concesse ai consoli di Norcia il titolo di marchesi di Riofreddo e Mevale con piena giurisdizione. ... Nel 1504 l`esercito nursino, assalito e sconfitto dalle truppe spoletine a Mevale, si rifugiò nel castello di Riofreddo. In questa, o in data precedente, il castello tornò sotto il dominio di Norcia. Infatti nel 1535, in occasione di un radicale restauro, nel piedritto del portale d'ingresso della chiesa di S. Lorenzo venne scolpito, insieme alla data, un leone rampante stemma di Norcia. ... Nel 1798, dopo la conquista napoleonica, il castello fece parte prima del Dipartimento del Clitunno e poi di quello del Trasimeno. Nel 1815, cessata l`occupazione napoleonica, il castello di Riofreddo passò al comune di Visso». Attualmente del castello sono visibili solo ruderi.

http://sirpac.cultura.marche.it/web/Ricerca.aspx?ids=72029


Ripe San Ginesio (ruderi della torre di Morro)

Dal sito http://my.opera.com   Dal sito http://my.opera.com

«Posto su un'altura a Nord Est di San Ginesio, ciò che resta di questa Turris speculatrix è ben poco. Essa costituiva un autentico ponte segnaletico con il castello di Ripe San Ginesio, in posizione intermedio fra i due castelli. Quindi torre di scacchiere, deputata al controllo dell'area a sé circostante e all'invio di segnali».

http://www.qsl.net/ik6cgo/dci/torre%20morro.htm


Ripe San Ginesio (torre Leonina)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.youtube.com/watch?v=2uAVJRbn9Fg&feature=relmfu

«Il paese, posto sopra un ripido colle, è molto interessante per la struttura ancora tipicamente medioevale del centro storico, stretto lungo vie strette e tortuose, in cui nei momenti più inaspettati si aprono panorami che spaziano dai dintorni fino al mare. Nel centro storico sono visibili i resti della cinquecentesca Torre Leonina, dedicata al pontefice Leone X, una delle ultime tracce dell'antico castello fortificato risalente al XIII secolo. La torre fu costruita per volontà del pontefice, espressa nella bolla "Cum iniuncta", che, nell'intento di controllare da vicino gli abitanti di Ripe nel corso delle frequenti ribellioni nei confronti della vicina San Ginesio, sotto la cui dominazione Ripe era posta, dispose la fortificazione del borgo e la costruzione della Torre che si innalza all'inizio del centro storico e che ospitò fino a quasi il periodo napoleonico un castellano e soldati a scopo di controllo del territorio».

http://www.turismoculturale.marche.it/content.aspx?pag=0&path=/,15,36,193,197,155&main=


Rocchetta (rocca di Schito o di Rocchetta)

Dal sito www.marche.beniculturali.it   Dal sito www.radioerre.net

«Situata in prossimità del fiume Potenza, in località Rocchetta, la Rocha Schiti si sviluppa secondo un corpo centrale a pianta pressoché quadrangolare, per essere inoltre rinfiancata da due torrioni, a nord-ovest e sud-est, disposti in senso diagonale rispetto alla pianta principale. Tracce documentarie sull'edificio si trovano a partire dal 1415, a proposito di un pagamento di pedaggio a Schiti, e successivamente del 1766 si ha una valida rappresentazione. Fra gli elementi architettonici di maggiore richiamo vi sono il basamento scarpato, marcato da una modanatura toroidale in laterizio, ed un ponte, ugualmente in laterizio come il resto della fortificazione, di cui restano due campate. Oltre a sequenze di merlatura a coda di rondine, le buche pontaie e le aperture personalizzano l'aspetto esterno. La torre di nord-ovest è andata irrimediabilmente persa seppur se ne conserva traccia nel perimetro basamentale; il corpo di sud-est è stato quasi interamente ricostruito in epoca recente, compreso il coronamento di merlature a beccatelli ciechi».

http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/266/san-severino-rocca-di-schito-in-localit-rocchetta


San Lorenzo (ruderi della rocca di Monte Acuto o Roccaccia)

Dal sito www.iluoghidelsilenzio.it   Dal sito www.iluoghidelsilenzio.it

«La rocca di Monte Acuto, detta la Roccaccia, ancora segna il confine tra i territori di Treia e Cingoli. Il castello è a circa 740 metri s.l.m. su una formazione rocciosa posta a Nord est dalla cima tra la valle del torrente Rudielle e quella del Rio Torbido, L’intero complesso si trova oggi allo stato di rudere con poche strutture in elevato ancora visibili, numerosi interramenti dovuti ai materiali di crollo ed una sovrapposta vegetazione. Restano in piedi pochi ruderi fra cui una torre ed i resti di una muratura angolare in prossimità di un profondo fossato che rappresenta il limite del castello verso questo lato. Il fossato, scavato nella viva roccia: un calcare bianco utilizzato anche per la costruzione, presenta pareti di notevole altezza ed è in parte occupato da materiale di crollo. Sono attualmente individuabili due livelli interni, separati da una volta a botte di cui rimane una evidente traccia sulle murature interne. Sull’origine di questo castello oggi chiamato con disprezzo “La Roccaccia” poco o nulla sappiamo se non che esso probabilmente sorse sulla scia del grande esodo causato dalle invasioni barbariche nel Piceno, fuga che portò gradualmente le principali città romane della zona a spopolarsi in favore di luoghi più sicuri e facilmente difendibili come le vicine montagne. Sicuramente la sua fortificazione ed erezione a castro vero e proprio ebbe consacrazione durante la guerra fra bizantini e longobardi essendo quei luoghi fortemente interessati dal corridoio bizantino. La Rocca di Monte Acuto quindi fu fin dall’inizio un fortilizio a difesa e controllo dell’imbocco della cosiddetta Valle del Rio Lacque, quell’arteria cioè che, partendo da Grottaccia, si insinua fra i monti costeggiando il torrente Rio Lacque in direzione San Severino Marche. Tale funzione fu mantenuta anche dopo la guerra goto-bizantina, fino a diventare autentico baluardo di confine tra i comuni di San Severino Marche, Montecchio (oggi Treia) e Cingoli. Le notizie più antiche le troviamo nello Statuto di Cingoli del 1325. Da una pergamena conservata nell’archivio dell’Accademia Georgica, dell’8 febbraio 1157, apprendiamo della vendita del Castello di Monteacuto ai Consoli di Montecchio da parte di Albrico e dei suoi nipoti. Nel dicembre del 1191, Anselmo di Matteo, che nel frattempo ne era divenuto il proprietario, restituì ai Consoli di Montecchio il castello. Nel 1254 il Comune di Montecchio acquistò da Domenico di Albrico e dai suoi nipoti la selva situata intorno al castello di San Lorenzo ed il territorio “Montanae Montis Acuti posit in curia districtus Castri Monticuli“. Nelle riformanze di Treia del 1457 si dice che al castello erano annessi due monasteri femminili presso cui si ricoveravano malati di ambo i sessi che non potevano essere curati all’interno della città. Oggi di detti Monasteri rimane solo una chiesetta alle falde del Monte Acuto detta Santa Maria dell’Ospedale. ...».

http://www.iluoghidelsilenzio.it/rocca-di-monte-acuto-o-roccaccia-treia


San Maroto (ruderi del castello dei Conti di San Maroto)

Dal video www.youtube.com/watch?v=8tqe298dCsQ   Dal video www.youtube.com/watch?v=8tqe298dCsQ

«Il castello di San Maroto fu costruito tra l`XI e il XII secolo sulla sommità dell'attuale Colle Castello, a circa 700 m in linea d'aria dalla chiesa e dalla torre di S. Giusto. Apparteneva ai Signori di S. Maroto, che saranno tra i cofondatori del Comune di Camerino, e molto probabilmente era privo di torre di difesa o di avvistamento. Nel 1240 il castello di S. Maroto è elencato nel diploma di Sinibaldo Fieschi e risulta di proprietà dei conti di S. Maroto, sostenitori del partito guelfo, che si troveranno a fianco dei Da Varano nel 1259 durante l'invasione sveva. Essi ottennero la cittadinanza fin dalla fase iniziale. La loro nobiltà è ribadita in un documento del 1284 conservato nell'Archivio Comunale di Acquacanina. Negli ultimi decenni del XIII secolo il feudo dei conti di S. Maroto venne assorbito dal Comune di Camerino. Tuttavia agli inizi del Trecento essi sono ancora influenti politicamente e facoltosi economicamente: acquistano terre ad Acquanina e vendono a Sarnano e a Bolognola nel 1303 e nel 1319. Probabilmente da questo momento inizia la decadenza del castello. Entro il terzo quarto del XIV secolo, in epoca varanesca, forse già abbandonato il castello o comunque venuta meno la sua importanza strategica, fu costruita una torre di difesa e di avvistamento sul lato ovest della chiesa di San Giusto. L'estremo ante quem è dato dalla data 1373 riportata su un affresco di tale torre. Questo avvenne molto probabilmente perché l'antico castello era privo di una idonea torre. ...».

http://sirpac.cultura.marche.it/web/Ricerca.aspx?ids=72017


Sant'Angelo in Pontano (resti del castello)

Dal sito www.facebook.com/raccontidimarche   Dal sito www.comune.santangeloinpontano.mc.it

«Nel punto più alto del paese, in cima alla via del Castello, superato l’attuale convento delle Benedettine, uno scoglio sormontato da rovine è ciò che rimane dell’antica rocca del Paese. Il luogo è chiamato dagli abitanti lu Monderó, per i mucchi di macerie che erano detti appunto monterottij e monterones. Nei pressi delle rovine si trova il serbatoio dell’acqua che alimenta la rete idrica del paese e nelle immediate adiacenze, da non molti anni, è stato realizzato ed attrezzato un punto di sosta e d’osservazione per i viandanti turisti. Da qui lo sguardo può spaziare a 360° e si osserva un panorama meraviglioso. Certamente, proprio per la sua posizione, intorno al 1130 il conte Gerardo da Vignole, signore del territorio santangiolese, iniziò qui a edificare il suo palatium e quindi a costruire il castrum Sancti Angeli, che si sviluppò poi sull’altura distendendosi con ulteriori edifici sino all’attuale torre dell’orologio, e quindi, nel tempo, più in basso con espansione a semicerchio verso ovest. La rocca, adiacente ai palazzi residenziali della famiglia comitale, accoglieva la guarnigione degli uomini armati, o custodes, che provvedevano alla sua difesa ed avevano anche compiti ordinari di polizia. Quando Sant’Angelo divenne castello di Fermo, dalla città si inviava a risiedere nella rocca un castellanus, che comandava gli armati, e un vicario temporale che rappresentava lo stato ed aveva anche funzioni di giudice e notaio. La rocca santangiolese è citata nella Descriptio Marchiae dell’Albornoz dell’anno 1366 fra i dieci luoghi fortificati dello Stato di Fermo. Dopo la definitiva pacificazione dello Stato Pontificio, nei secoli successivi e fino a tutto il Settecento, la rocca aveva perso la sua importanza difensiva ed era rimasto in piedi il suo corpo principale che era detto Palazzo Vicariale, appunto perché residenza del vicario fermano. Si sa di certo che il palazzo era mal ridotto e pericolante nel 1776 a causa di cedimenti e distacchi della formazione tufacea a strapiombo su cui era fondato. Forse crollò intorno alla fine del secolo XVIII, o più verosimilmente fu demolito in quest’epoca, per non creare pericolo al sottostante convento agostiniano, risultando nel 1818 solo un ammasso di rovine».

http://www.comune.santangeloinpontano.mc.it/wp-content/blogs.dir/55/FileStore/pubblicazioni/Guida.pdf


Sant'Angelo in Pontano (rocca di San Filippo)

Dal sito www.studiocapponi.com   Dal sito www.tradizionalmentemarche.it

«A metà del Viale Verdi, sulla sinistra, si costeggiano le possenti mura del vecchio castello e, sulla destra, si erge a pochi metri dalla strada, la mole della casa-torre detta Rocca di S. Filippo. Di questo curioso e possente edificio non si hanno molte notizie, soprattutto per quanto riguarda le sue origini e la sua costruzione. Almeno nel suo primo nucleo originale, che doveva essere costituito dalla sola torre centrale, risale forse alla prima metà del sec. XIV. Negli antichi documenti (pergamene presso l’Archivio di Stato di Fermo) si parla della rocca, ch’era nel punto più alto del paese, e di altre torri costruite, da costruire e demolite ma, come già detto, niente di specifico si trova su questa “Rocca di S. Filippo”. Con ogni probabilità fu fatto costruire da qualche signorotto locale e poi fu ampliato e utilizzato dai fermani per potervi ospitare la truppa posta ad custodiam, come si diceva allora, di Sant’Angelo. La più antica notizia che specificatamente si riferisce a questa rocca risale alla metà del secolo XVII, quindi ad epoca molto più tarda rispetto alla sua edificazione, e si tratta di un libro stampato nel 1650 in cui si dice: “alle mura verso la montagna sopra la strada publica, e di passo per Roma vi era (si come dalle vestigie si vede) una fortezza, quale al presente è ridotta in una colombara de’ Signori Angelini”. Questa costruzione, forse anche impropriamente definita rocca, è posta al di fuori delle mura castellane, ma a poca distanza da esse, ed in posizione dominante sia la strada per Falerone che quella verso Fiastra. ... La costruzione è probabile sia stata eseguita in due tempi: da prima il torrione centrale con la relativa merlatura di coronamento e poi la struttura quasi quadrata appoggiata tutto attorno al torrione primitivo e coperta a tetto spiovente. La torre centrale merlata che oggi vediamo è frutto di un probabile intervento di rifacimento ottocentesco, che risulta evidente anche da altri particolari. La denominazione di Rocca S. Filippo è successiva al 1711, anno in cui il sacerdote Giuseppe Angelini, della famiglia dei proprietari e canonico della cattedrale di Fermo, fece edificare vicino alla rocca la chiesa, ancora oggi esistente ma sconsacrata (sul suo soffitto si vedono ancora i resti di cassettoni lignei che lo rivestivano), intitolata appunto a S. Filippo Neri. Purtroppo le troppe manomissioni e le ingiurie del tempo, assieme all’uso che sia in passato che in presente s’è fatto e si fa dell’edificio, hanno lasciato segni evidenti sul fabbricato, corrompendone le magnifiche antiche forme».

http://www.comune.santangeloinpontano.mc.it/wp-content/blogs.dir/55/FileStore/pubblicazioni/Guida.pdf


Sant'Angelo in Pontano (torre Civica)

Dal sito www.appartamentivacanzeitalia.it   Dal sito www.comune.santangeloinpontano.mc.it

«La torre dell’orologio si erge lungo la salita che dalla piazza centrale conduce al paese alto e al castello. Merita senz’altro, per vederla da più vicino, recarsi in alto, dietro di essa. Lungo la via che si deve percorrere per arrivarci, si vedono sulla destra alcuni portali quattrocenteschi in cotto di antiche abitazioni. Giunti alla torre ci si trova in un piccolo piazzale circondato da un muretto di protezione in mattoni dal quale si può godere una splendida vista panoramica di tutta la vallata dell’Ete Morto. ...  Il più antico documento (una pergamena esistente presso l’Archivio di Stato di Fermo) in cui si parla di una torre a Sant’Angelo in Pontano, diversa dalla rocca del girone, risale al 1397. Tale documento attesta che essa era stata fatta costruire “de novo” insieme ad alcune case da Vanni di Cecco Corradi, potente personaggio santangiolese che, sul finire del secolo XIV, ebbe anche molta autorità a Fermo. La torre, che evidentemente era posta a baluardo del girone dal lato meridionale, ne completava la difesa assieme alla rocca esistente dal lato opposto verso levante. Essa acquisì ancor più importanza difensiva dopo il 1448, cioè dopo che tutto il castello venne chiuso con mura: ai suoi piedi infatti sorgeva la Porta di Piazza, la principale delle tre aperture attraverso le quali si entrava all’interno del castello, e dalla torre la Porta era facilmente difendibile. Quando lo Stato Pontificio si stabilizzò politicamente e si consolidò l’autorità del governo papale, finirono i pericoli di assalti e scorrerie di eserciti mercenari e di bande di fuoriusciti cospiratori e la torre perse le sue funzioni difensive e di guardia. Per il fatto che si ergeva in posizione dominante sia il castello, sia la zona di piazza, venne ben presto utilizzata per l’installazione di un pubblico orologio. La prima macchina del tempo dovette esservi installata nel 1593 ...  Negli anni 1791-92 furono fatti grandi lavori di rinforzo alla base della torre ed ai muraglioni circostanti ad essa per assicurarne la stabilità. Dai documenti risulta che si demolì la torre stessa “fino alla seconda fascia” ricostruendone di nuovo tutta la parte alta, così come la si vede oggi, con le sue celle campanarie e con il coronamento ornamentale ad archetti posto alla sommità. Fu anche sistemato il piazzale dietro la torre, munendolo di idonei muretti di protezione».

http://www.comune.santangeloinpontano.mc.it/wp-content/blogs.dir/55/FileStore/pubblicazioni/Guida.pdf


Sefro (resti del castello Varano)

Dal sito http://digilander.libero.it/Sefro   Dal sito www.costruzioni-spa.it

«Il Castrum Sefranum. Gli statuti del 1423 descrivevano un centro abitato di modeste dimensioni, che era il cuore del paese e si distribuiva intorno al Castrum, mentre era attribuita una maggiore importanza alle tre contrade, tuttora esistenti, di Casii, Saxorum e Paghi et Gori, soprattutto nella determinazione delle magistrature. Oggi non mancano le moderne edificazioni, ma il paese ha mantenuto l’antica divisione in tre terzieri e ha conservato alcuni caratteri propri dell’epoca medievale. Fra i terzieri in cui fu diviso il comune di Sefro si annovera Sassi (Saxorum), nel quale tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, fu costruito in posizione piuttosto centrale il Castrum Sefranum. Questa fortificazione muraria con torre, portico e altri edifici veniva utilizzata dalla popolazione di Sefro, al pari di tante altre nei dintorni, come presidio militare di difesa contro eventuali nemici e, in caso di attacco, svolgeva la funzione di rifugio per la comunità. Gli edifici che compongono il castello sono in pietra calcarea bianca, con archi a sesto acuto e a tutto sesto e la loro disposizione farebbe pensare al fatto che Sassi fosse il primitivo castrum di Sefro, e che gli edifici circostanti non sarebbero stati altro che un borgo della stessa contrada. Gran parte degli edifici che costituiscono la contrada, nonostante le ristrutturazioni degli anni passati, presentano caratteristiche antiche, come gli edifici uniti a schiera, le viuzze strette, gli archivolti e diversi sottopassi, che li inseriscono inequivocabilmente nel periodo medievale.  Anche il castello, come la Pieve, in epoca medievale aveva una funzione importante, poiché non solo costituiva un essenziale strumento di difesa, ma permetteva anche la crescita della popolazione e la nascita di altre attività artigianali. Nel periodo che vide protagonisti i Da Varano di Camerino, il Castello fu sicuramente una loro proprietà e oggi di tale struttura medievale, impropriamente chiamata Castello dei Varano o Torre dei Varano, rimangono alcuni resti per mezzo dei quali è ancora possibile distinguere la struttura dell’opera fortificata. ... Il Museo della civiltà contadina. Attualmente all’interno di alcune stanze della fortezza è ospitato il Museo della Civiltà Contadina, nato grazie al lavoro e alla passione del suo ideatore, il sig. Florindo Ferretti, che continua anche oggi ad occuparsene. La collezione del museo è costituita da una varietà di oggetti caratteristici legati al mondo agreste e da una vasta serie di utensili comunemente usati nelle case e nei campi risalenti al 1800 e ai primi anni del 1900. Gli oggetti sono sistemati in ordine preciso e occupano completamente le pareti. Grazie ad un contributo, richiesto dal Comune di Sefro per il completamento della struttura museale, da qualche anno è stato allestito un altro piccolo spazio in cui sono state collocate le attrezzature più ingombranti».

http://www.marcamontana.it/it/i-comuni-di-marcamontana/sefro/1681-il-castrum-sefranum


Serravalle di Chienti (resti del castello)

Dal sito www.comune.serravalledichienti.mc.it   Foto di Alberto Gagliardi, dal sito http://rete.comuni-italiani.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Vito Cassano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100006252105008)   Foto di Vito Cassano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100006252105008)   Foto di Vito Cassano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100006252105008)

«Situato all’imbocco della valle del fiume Chienti in un punto di passaggio cruciale tra la catena appenninica e il versante adriatico, il centro abitato occupa una porzione di territorio tra le catene dei monti dominate a sud dal massiccio del Monte Prefoglio (m. 1322 s.l.m.) e a nord da quello del Monte Maggio (m. 1236 s.l.m.), lungo l’asse viario della S.S. 77 “Val di Chienti”. Già in epoca repubblicana (III-II sec. a.C.) l’area risulta strutturata lungo un asse viario con edifici adibiti a punto di sosta e di alloggio (mansiones) sull’itinerario di collegamento tra l’altopiano plestino e il territorio camerte. In età tardo-antica la zona è direttamente interessata dalle rovinose incursioni e dai passaggi di truppe degli eserciti invasori che attraversarono la penisola a partire dal V-VI secolo, come i Goti, i Bizantini e i Longobardi. Questi ultimi rivitalizzarono il tracciato viario come arteria interna al Ducato di Spoleto nella direttrice della “Via della Spina”. è con l’età comunale che Serravalle diventa una fortezza strategicamente importante per Camerino, in quanto situata all’incrocio delle zone di influenza dei comuni di Nocera, Spoleto e, soprattutto, Foligno. I tre castelli di Serramula, Tufo e Serravalle, sorti tra il XII e gli inizi del XIII secolo, entrano a far parte del sistema difensivo dello stato camerte nel 1240 in seguito alla donazione da parte del cardinale Fieschi (futuro papa Innocenzo IV) in piena guerra tra guelfi e ghibellini. In particolare la fortezza di Serravalle, i cui resti sono visibili nella frazione Castello, era stata realizzata a sbarramento della strada e, attraverso due porte fortificate, esercitava l’imposizione di un pedaggio per merci e viandanti. Numerosi sono gli episodi storici legati alla fortezza camerte nel passaggio di truppe per tutto il XIV e XV secolo. Il castello di Serravalle, l’unico di cui ancora si possono ammirare le vestigia, era costituito da un perimetro esterno a forma di quadrilatero irregolare dominato da 5 torri, di cui 3 allineate sul lato orientale della strada che da Castello saliva verso l’altopiano. Una di queste si conserva ancora in alzato dopo un intervento di restauro moderno».

http://www.comune.serravalledichienti.mc.it/?page_id=518


Spindoli (ruderi della rocca)

Dal sito www.comune.macerata.it   Dal sito http://spazioinwind.libero.it/shakan

«La rocca di Spindoli è la costruzione più articolata di Fiuminata. Fu fondata presumibilmente nell'XI sec. anche se è citata per la prima volta in un documento degli inizi del XIV: dalla documentazione dell'epoca risulta che appartenne a Giovanni Varano di Rodolfo e ai suoi discendenti. Abbandonata nel XVI sec., andò progressivamente in rovina anche ad opera degli abitanti di Spindoli che demolirono la cinta muraria per riutilizzarne il materiale da costruzione. Della struttura originaria restano oggi parte del palatium, la torre (più recente) e resti della cinta muraria, in origine lunga m 260».

http://www.qsl.net/ik6cgo/dci/mc030.htm


Tolentino (castello della Rancia)

Dal sito www.portaleturismo.provincia.mc.it   Dal video www.youtube.com/watch?v=LQpgGICEMZs

  

«Sulla pianura situata alla sinistra del fiume Chienti, a 7 chilometri da Tolentino, s'innalza, maestoso e suggestivo, il Castello della Rancia ricostruito nel sec. XIV sulle strutture di una preesistente grancia cistercense. Il castello, di forma quadrangolare, è composto da una cinta merlata rafforzata da tre torri angolari. A difesa dell'ingresso principale del castello si eleva una delle torri a cui si accedeva mediante un ponte levatoio, sostituito in seguito da uno in muratura. Il mastio, nucleo originario della preesistente grancia, è alto circa 30 metri ed è costituito da quattro piani, di cui i primi tre sono voltati a crociera. Al secondo piano, fornito di un ampio camino e raggiungibile tramite una scala a chiocciola in pietra, si trovava l'alloggio del granciario e poi del castellano. Il piano seminterrato del mastio, illuminato da due alte feritole a bocca di lupo, fu un tempo usato come prigione come indicano i grossi anelli in ferro infissi alle pareti. Su due lati adiacenti della corte, provvista al centro di una profondissima cisterna, si innalzano due porticati con archi a tutto sesto sorretti da pilastri cilindrici in laterizio. Al primo piano un altro porticato affianca un ampio salone, probabilmente la parte del castello che aveva funzione di residenza. Dal cortile si accede a una cappellina barocca eretta dai Gesuiti. Testimonianze non confermate sostengono l'esistenza, al centro del cortile, di un'altra cisterna dove sembra vennero sepolti molti dei caduti durante la Battaglia della Rancia nel 1815. Secondo la tradizione esisterebbe inoltre una galleria medievale che dovrebbe congiungere il Castello alla Basilica di S. Nicola. ...

Il Castello della Rancia deve il suo nome alla preesistente grancia cistercense, dipendenza dell'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra. Intorno al 1350 Rodolfo II da Varano di Camerino, capitano generale della Chiesa nella Marca, intuendo l'importante funzione militare di una fortificazione a difesa della valle del Chienti e della Strada Romana estromise i monaci, si impadronì della grancia e la trasformò in castello. L'imponente costruzione fu condotta a termine nel 1357 per opera dell'architetto Andrea Beltrami da Como. Nel 1581 il Castello fu ceduto da Gregorio XIII ai Gesuiti che lo trasformarono, essendone cessata la funzione difensiva, in grande fattoria ed ospizio per i viaggiatori. Successivamente entrò in possesso della famiglia dei marchesi Bandini che, due secoli più tardi, lo cedettero al Comune di Tolentino. Nel corso degli anni ebbe ospiti, tra gli altri, Pio Il nel viaggio da Roma ad Ancona, dove morì (1464, Giovanna d'Austria (1573), Margherita duchessa di Parma (1580), Cristina di Svezia (1655) e, nel 1782, Pio VI di ritorno da Vienna; in quell'occasione venne eretto un arco trionfale tuttora esistente di fronte all'imbocco della strada che conduce al castello. Fu anche centro di numerose battaglie: nel 1377 fu conquistato dai condottieri John Hawkwood (Giovanni Acuto) e Lucio von Landau; nel 1406 vi si acquartierò Braccio da Montone nella campagna contro Fermo; nel 1442 vi fu stipulata una tregua tra Francesco Sforza, che ritentava la conquista della Marca, e Nicolò Piccinino al servizio del Pontefice. Il 2 e 3 maggio 1815 fu teatro della Battaglia della Rancia, in cui le truppe austriache comandate dal generale Bianchi sconfissero Gioacchino Murat, re di Napoli, che tentava di unificare l'Italia in quella che fu definita la prima battaglia del Risorgimento italiano».

http://www.incastro.marche.it/incastro/tolentino/castello.STM - http://www.incastro.marche.it/incastro/tolentino/storia.STM


Tolentino (ponte del Diavolo)

Dal sito www.industriadelturismo.com   Dal sito www.comune.tolentino.mc.it

«Il ponte, eretto nel 1268 su disegno di Mastro Bentivegna, unico nella sua forma per tutto il corso del Chienti, ha cinque arcate centinate sorrette da possenti piloni, con torre-barriera quadrangolare, merlata alla guelfa. La sua denominazione di “Ponte del Diavolo” deriva da una leggenda comune a tanti ponti sparsi per l’Europa. Una lapide moderna è affissa alla parete della torre, al posto di quella originale, per la quale fu utilizzato il fondo di un sarcofago romano. (Parte della lapide è ora conservata nel lapidario presso la basilica di San Nicola). Nel 1524, per deliberazione del Comune, fu innalzata sullo spigolo del pilone centrale un’edicola sacra che tuttora rimane, con un affresco che rappresenta la Vergine con il Bambino. Il 30 giugno 1944, durante la seconda guerra mondiale, le truppe tedesche in ritirata fecero saltare l’arcata centrale del ponte che in seguito venne ricostruita nella forma originaria. Di fronte all’arco della torre del ponte si erge la porta del ponte dalla quale ha inizio l’imponente cinta muraria».

http://www.comune.tolentino.mc.it/?page_id=37


Tolentino (porte, mura)

Dal sito www.viaggiareincamper.freehosting.com   Foto di Paolo D'Amato, dal sito www.eurekabooking.com

«Dalle stampe antiche notiamo che Tolentino era un borgo sicuro e difeso dalla sua posizione, l’intera collina alluvionale fu chiusa entro la cerchia delle mura, lungo la quale c’erano 7 porte. Una delle posizioni naturali di difesa che rafforzava il lato più meridionale della cinta muraria è stato il torrione d’angolo, chiamato ”di San Catervo”. Cilindrico, il torrione s’imponeva alla sommità del poggio con tutto il suo potere di difesa nel contesto della città murata. Entro la cerchia delle mura la città era suddivisa in quartieri: San Catervo, parte sud-est; Santa Maria, parte sud-ovest; San Martino, parte nord-ovest; San Giovanni, parte nord-est. Tolentino si distingueva urbanisticamente tenendo presenti le porte e le 4 chiese più importanti dell’epoca: San Catervo, S. Maria, San Martino, San Giovanni, intorno alle quali si riscontrava un più denso aggregamento urbano. Per una distinzione approssimata era sufficiente congiungere per un verso Porta da Capo con Porta del Ponte, per l’altro Porta Adriana con Porta Marina. Non sappiamo se essi si distinguessero socialmente e se, oltre che per essere più centrali, i primi due fossero anche i più signorili, mentre gli altri due trovandosi alla periferia di ogni interesse economico, hanno fatto registrare i massimi affollamenti ed hanno attirato le categorie sociali più povere, sono state le zone dall’edilizia più scadente. Una ipotesi è che i quartieri fossero divisi dalla linea di mezzeria della strada pubblica, per cui si era in quartiere o nell’altro col semplice spostamento di pochi centimetri; la mezzeria veniva segnata da una fascia di mattoni posti di taglio ed inserita nell’acciottolato, aveva ancora valore nel sec. XVIII».

http://digilander.libero.it/corteostorico/tolentino_medioevale.htm


TORRE DEL PARCO (castello da Varano)

Dal sito www.iluoghidelsilenzio.it   Dal sito www.iluoghidelsilenzio.it   Dal video www.youtube.com/watch?v=kLXtn_UVBls

«Il nome proviene dalla corruzione di “varco” (per la funzione di controllo sul ponte) in “barco”, poi in “parco”. Fu chiamata anche Torre del ponte, il quale ancora si conserva ed ebbe qualche funzionalità anche durante l’ultima guerra. Ma Giovanni Da Varano che la costruì come uno dei perni dell’Intagliata la chiamava “Salvum me fac”. Più tardi fu anche detta Torre dei Bilancioni. Lo stemma dei Da Varano è tuttora murato in alto sul lato di tramontana. Se dapprima, sull’incrocio delle strade, Salvum me fac fu tenuta a tutto punto per la difesa, nello scorcio della signoria, servì per incontri diplomatici a mezza strada senza salire a Camerino, o disturbare i riposi della signora a Lanciano. I Pallotta di Caldarola l’acquistarono e ne ebbero il titolo di conti di Torre del Parco. Oggi la costruzione ha una possanza nuda e imperiosa; basso il casolare ad angolo retto con un lato lungo la sponda cupa e fonda del Potenza; massiccia la torre, sfondata nel tetto e nei pavimenti, da cielo a terra; l’edera si abbarbica rigogliosa dall’angolo verso la Prolaquense. Trasformata in casa colonica, l’antica residenza mostra ancora sopra gli archi ribassati di un paio di porte fregi in cotto con scattanti cacce al cervo».

http://www.docartis.com/Marche/Camerino/private/Camerino_Torri%20e%20Castelli.htm


Treia (mura, porte)

Dal sito www.marche.beniculturali.it   Dal sito www.marche.beniculturali.it

«Ripetutamente attaccato durante le invasioni barbariche, gli abitanti dell'antico municipio romano di Treia, fondarono sulle alture su cui oggi sorge la città tre insediamenti fortificati che presero il nome di Cassero, Elce e Onglavina, toponimi rimasti ancora oggi nella dominazione urbana. Lo sviluppo architettonico ed urbano di questi antichi castelli che poi costituirono l'unico centro urbano che assunse il nome di Monticulum (X secolo circa) è andato completamente perduto a causa della crescita cittadina protrattasi nei secoli, che però non ha influenzato le caratteristiche urbanistiche della città, che segue la morfologia del luogo, allungandosi particolarmente lungo la sua dorsale nord-sud. Le cronache testimoniano diversi interventi alle strutture fortificate cittadine, allo scopo di prevenire attacchi, soprattutto di carattere politico, a causa delle lotte laceranti tra guelfi e ghibellini. Seppure tra continui rimaneggiamenti ed alterazioni, sono giunte sino a noi nove porte urbiche ed alcuni tratti della cortina muraria, che in alcuni suoi punti dispone di basamento a scarpa in pietrame; fra quelle di maggiore interesse architettonico va citata la Porta Vallesacco. Disposta verso Nord, presenta un fornice con arco a sesto acuto ed una torre di rinfianco a protezione della porta stessa. La porta e la torre di rinfianco sono tuttora munite del coronamento di piombatoi, mentre la merlatura è andata completamente perduta. Completamente in laterizio, la superficie muraria presenta ancora intergo il sistema di feritoie necessarie per la difesa. Da notare infine, la presenza di un arco tamponato a sinistra della porta di accesso, con cui avrebbe avuto funzioni di passaggio tra la porta principale, che qui mantiene integro l'alloggiamento della saracinesca, e la torre laterale. Di richiamo culturale sono anche le altre porte, come Porta S. Giuseppe, con fornice ed arco a sesto acuto, di cui abbiamo perso il coronamento aggettante, Porta Cassara (dall'antico Castello del Cassero), completamente ricostruita nel XVIII secolo e che pertanto non presenta più caratteri militari, ma un arco a tutto sesto incorniciato da paraste che sostengono un cornicione. Ugualmente ricostruita nel XIX secolo è la Porta degli Elci o Romana con dei richiami neomedievali per alcuni elementi, in particolare l'arco a sesto acuto. Non rimangono elementi architettonici se non l'arco di ingresso per le Porte Palestro, Mentana e Garibaldi, mentre ha assunto caratteri settecenteschi la Porta Nuova o delle Scalette, munita di rampe scalinate nel XVIII secolo a causa dei suo forte dislivello. In prossimità della Porta San Michele o Palestro, sul luogo ove presumibilmente sorgeva il Castello dell'Onglavina, è situata la cosiddetta Torre dell'Onglavina o San Marco, a pianta esagonale, con basamento a scarpa e coronamento merlato».

http://www.marche.beniculturali.it/index.php?it/258/treia-mura-urbane


Treia (torre Onglavina)

Dal sito http://fotoalbum.virgilio.it/mauroflamini   Dal sito www.marche.beniculturali.it

«Unico resto del castello, eretto nel secolo XII, è una torre merlata poligonale esposta all'estremo sud della cinta muraria di Treia, su uno sperone che domina la valle, munita di difesa piombante. Dall'interno si notano quattro notevoli feritoie strombate. La torre fu restaurata e rinforzata nelle merlature negli anni '50. A pochi metri dal lato aperto della torre si nota un rudere circolare di non chiara identificazione».

http://www.qsl.net/ik6cgo/dci/onglavina.htm


Treia (villa Valcerasa o villa Ruspoli

Dal sito www.iluoghidelsilenzio.it   Dal sito www.beniculturali.marche.it

«Villa Valcerasa (detta anche Villa Ruspoli) di imponenti dimensioni (circa 15.000 metri cubi su una superficie coperta di 1240 mq) è costituita planimetricamente da un corpo centrale, destinato all’abitazione patrizia, e da due rami di cui uno è costituito da una cappella gentilizia e quello opposto mascherato da un prospetto a questa speculare, da un fabbricato compositivamente e strutturalmente più rozzo, verosimilmente di epoca e destinazione diversa. Anteriormente un piccolo bosco di allori , ligustri e piante di alto fusto , in forte pendenza e tagliato da una gradinata che inquadra la villa, ricorda la ben più estesa “Selva di Valcerasa“, che ospitava il romitorio del Beato Pietro Marchionni. La tesi finora più convincente per un’attribuzione di paternità del complesso di Valcerasa ad Andrea Vici si fonda sulla qualità dei rapporti che legava la famiglia Grimaldi all’architetto di Arcevia e sulle numerose opere da questi portate a compimento nella zona di Treia e dintorni. ... Il complesso a Passo di Treia affonda le sue origini al tredicesimo secolo e sono legate alla storia di Beato Pietro da Treia, uno dei primi seguaci di San Francesco il quale si ritirò in eremitaggio nella fitta selva di Valcerasa dove avvenne il suo primo miracolo. Proprio lì fu costruito successivamente un convento di frati per opera dei seguaci di Angelo Clareno. Nel Quattrocento quel complesso conventuale si trasformò in ospizio, luogo di sosta e di riposo soprattutto per i viandanti da o per Loreto. Ad accrescere la fama di Valcerasa come luogo di accoglienza contribuì il fatto che, ad un certo punto, l’ospizio cominciò ad essere frequentato da personaggi illustri quali il papa Nicolo V nel 1449, il papa Pio II nel 1464, il papa Paolo III nel 154, il Legato della Marca, Bartolomeo Rovarello, nel 1472, il duca di Ferrara, Alfonso d’Este, nel 1460, il duca di Calabria, Giovanni d’Angiò, nella seconda metà del Quattrocento, e la duchessa di Camerino, Caterina Cybo, nel 1523. Sotto papa Pio V nel 1568 il cenobio di Valcerasa fu consegnato ai Minori Osservanti che lasciarono il convento nel 1629. I treiesi lo destinarono a lazzaretto e a tutti i casi di mali contagiosi. La struttura fu poi venduta alle Monache di Santa Chiara che nel 1632 chiesero al vescovo di Camerino il permesso di demolire la struttura salvando la Chiesa e la sacrestia. Nel 1722 la famiglia Grimaldi comprò gran parte della località e nel 1739 sistemò e dedicò la Chiesa alla Vergine Madre di Dio. La costruzione della Villa Valcerasa e delle sue dipendenze sembra essere iniziata poco prima del 1794 e continuata negli anni fino ad arrivare al 1808, data in cui il Fisco demaniale incamerò le proprietà di Valcerasa al fine di rivenderle ai privati. La Villa fu ristrutturata , ampliata e migliorata nelle sue caratteristiche compositive tra il 1816 ed il 1835. Altri lavori risulta comunque siano stati eseguiti tra il 1866 ed il 1871, debitamente elencati nel registro di amministrazione della famiglia Grimaldi, ma dell’architetto direttore dei lavori non viene mai fatto il nome».

http://www.cronachemaceratesi.it/2015/09/12/villa-valcerasa-in-stato-di-abbandono-futuro-nel-cuore-interroga-il-comune/703371/


Urbisaglia (porta Piave, porta Trento)

Dal sito http://libri-fumetti.delcampe.it   Dal sito www.camperlife.it

«Le mura di Urbisaglia medievale erano interrotte da due porte ogivali, Porta Piave (già denominata Porta Fiastra perché si affaccia sulla valle del Fiastra) e Porta Trento (già Porta Entogge, dalla valle del torrente Entogge). Quest´ultima, con una ghiera in cotto, è ad arco acuto e parzialmente interrata. Imponente il fornice che delimita uno spazioso vano con volta a botte. Le porte avevano la funzione di isolare il paese durante la notte e quando scoppiavano casi di epidemia. In questo caso restava aperta solo Porta Piave (Fiastra), nella quale le guardie cittadine dovevano effettuare severissimi controlli ai forestieri che si presentavano, sotto la rigida responsabilità di due deputati eletti dal Consiglio Comunale. Ancora visibili all´interno della porta i cardini per la chiusura e, a destra della fonte, un piccolo sportello in metallo appartenente al sistema di illuminazione stradale ad olio istituito nell´800: all´interno dello sportello, tenuto chiuso a chiave, veniva agganciata la catena che sosteneva la lampada; la catena veniva sganciata quando si doveva abbassare la lampada per rifornirla d´olio. Le porte erano difese da torrioni, alienati dal Comune nel sec. XIX ed abbattuti per edificare le abitazioni dei nuovi proprietari. Sulle porte erano collocati, per tradizione, gli stemmi del papa regnante e della comunità, raffigurante San Giorgio che uccide il drago».

http://www.urbisaglia.com/turista/arte-e-cultura/urbisaglia-medievale/porta-trento-e-porta-piave/


Urbisaglia (rocca)

Dal sito www.camperlife.it   Dal sito www.parks.it

«La Rocca è posta nell´angolo occidentale del tracciato delle mura della città antica. La sua posizione, dominante l´intero spazio cittadino, fa ipotizzare che qui fosse localizzato l´arce o il Campidoglio. Tracce consistenti di agglomerati in calcestruzzo di epoca romana sono ancora oggi visibili all´interno della Rocca. In questo luogo si rifugiò la popolazione nel periodo successivo alla caduta dell´impero romano, quando ci fu il ritorno alle alture per motivi di sicurezza, dando origine al Castro de Orbesallia. Già i documenti del XII secolo ci testimoniano la presenza di una fortificazione, più volte rimaneggiata e riadattata nei secoli a causa dei continui scontri fra Urbisaglia e Tolentino. La Rocca, nelle sue forme attuali, fu terminata nel 1507, dopo due secoli di dominazione tolentinate, per prevenire ribellioni della cittadinanza insofferente al suo potere. Nella costruzione dell´edificio sono state applicate le tecniche caratteristiche delle fortificazioni concepite dopo l´avvento della polvere da sparo: i torrioni e le cortine sono provvisti di una forte scarpatura e, a livello del piano di calpestio, sono presenti le bombardiere dove venivano piazzate le bocche da fuoco. La Rocca ha forma di trapezio, con lati disuguali e quattro torrioni agli angoli. Questa forma asimmetrica risponde alle funzioni che Tolentino attribuiva alla Rocca: difesa da un eventuale attacco dall´esterno e, nello stesso tempo, controllo e repressione di una eventuale ribellione interna. L´ingresso originario si apriva nella torre di guardia posta sotto al mastio. Vi si accedeva per mezzo di una scala di legno che, in caso di pericolo, poteva essere ritirata. L'ingresso era comunque protetto dal prospiciente torrione settentrionale e dal sovrastante mastio. L´interno della Rocca è in parte occupato dai ruderi delle precedenti fortificazioni. Nei torrioni sono situate le troniere per effettuare il tiro diretto e fiancheggiante. In particolare, all´interno del torrione sud, si scorgono le tracce delle mura romane, e fra il torrione sud e quello est si nota una sorta di caditoia che probabilmente serviva da latrina. Il Mastio, che ha subito vari rifacimenti dal XII al XV secolo, conserva all´interno tre vani, adibiti ad abitazione della guarnigione. Attualmente ospita un’esposizione di oggetti e prodotti che richiamano le attività produttive e commerciali del paese. I camminamenti di ronda, ancora percorribili, erano forniti di caditoie e feritoie per il tiro ficcante e piombante. Dall´alto della Rocca si apre un magnifico panorama che spazia dai Monti Sibillini fino al mare, e una vista d´insieme sul borgo di Urbisaglia».

http://www.urbisaglia.com/turista/arte-e-cultura/urbisaglia-medievale/la-rocca


USSITA (resti del castello)

Dal sito www.facebook.com/pg/lacasadellafotografia/photos/?tab=album&album_id=909471205802481   Dal sito www.facebook.com/pg/lacasadellafotografia/photos/?tab=album&album_id=909471205802481

CROLLATA PER IL sismA del 30 ottobre 2016

«Lungo la strada si nota, al di là della valle, il Cimitero di Castelmurato, sovrastato dalla torre dell’antico castello quattrocentesco, quasi completamente demolito agli inizi del XX secolo per consentire la costruzione del nuovo cimitero. Resta solo la “Turris Capitis”, completamente restaurata ed una breve porzione della cinta muraria. Dalla strada si vedono i resti dell'antico castello di Ussita, la cui costruzione, voluta da Rodolfo Varano, risale al 1380. All'epoca, il castello, con la sua cinta muraria di forma trapezoidale, che oggi ospita il cimitero, difeso da cinque torri e da un fossato esterno, rappresentava un efficace deterrente contro eventuali attacchi nemici. Il più illustre personaggio di Ussita è il Cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato del Vaticano che svolse un ruolo primario nella Conciliazione Lateranense. Diede inizio, nel 1927, alla costruzione del Palazzo del Comune, al cui interno si conservano opere d’arte del pittore Paolo da Visso e di altri artisti dell’epoca».

https://www.facebook.com/pg/lacasadellafotografia/photos/?tab=album&album_id=909471205802481


VALCIMARRA (fortificazioni)

Dal sito www.turismo.caldarola.sinp.net   Dal video www.youtube.com/watch?v=BABb6ufOJwk

«Valcimarra deve la sua origine alla strada romana che dalla Maddalena di Muccia scendeva alla "statio" di Pievefavera. Nel medioevo la necessità di difesa e di collegamento al sistema castellare, portò alla costruzione di una torre, ancora esistente, e di una porta abbattuta nel 1510. Poco distante da Valcimarra e proseguendo verso Roma, si incontra Bistocco; la torre sovrastante collegava alle altre della valle ed era pertanto di notevole importanza. In alto, sulla destra del Chienti, dominano i ruderi dell'abbadia Saxi Latronis ed il bianco della chiesa della Madonna del Sasso. Il santuario della Madonna del Sasso nasconde, secondo la leggenda, l'antro della Sibilla Cimaria; annesso alla chiesa vi è un romitorio. Al secondo '400 appartengono i due affreschi dell'interno: la Crocifissione e Madonna con Bambino. L'affresco relativo alla crocifissione fa pensare ad un pittore anonimo noto come il Maestro di Patullo. L'Abbadia Sancti Benedicti de Crypta Saxi Latronis richiama ad un costume molto diffuso in tutta Europa nell'alto medioevo (già nel sec. VIII si parla di "latrones manentes" e di "latrones vagantes"): il rifugio di piccoli feudatari, spodestati dalla povertà in cui erano caduti. Il titolo rimase al luogo anche quando si trasformò in monastero. I pochi documenti disponibili attestano che i Benedettini abitarono il monastero e tutto fa pensare che nella seconda metà del 1200 il convento fosse indirizzato verso la riforma cistercense. La distruzione del fabbricato, chiesa compresa ancora però individuabile, rendono difficile qualsiasi ipotesi».

http://www.turismo.caldarola.sinp.net/valcimarra.htm


Vallecanto (ruderi del castello Varano)

Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it   Dal sito http://sirpac.cultura.marche.it

«Su un promontorio che sporge verso la valle del Fiastrone, ai piedi della frazione di Vallecanto, sono ancora visibili i ruderi di un’antica fortezza, voluta dai Varano, che si può far risalire al ’400. Il castello conserva una porta d’ingresso con arco in pietra bianca, le mura di cinta, parzialmente intatte, con le loro feritoie, e le fondamenta dei quattro torrioni ai lati, due verso il fiume e gli altri due verso il M. Ragnolo».

http://www.sibillini.net/IL_PARCO/Cultura_Territorio/Castelli/acquacanina.htm


Vestignano (castello di Vestignano)

Dal sito www.qsl.net   Foto di Enrico Pighetti, dal sito www.geolocation.ws

«In zona circondata da boschi, Vestignano conserva ancora possenti mura con torrione cilindrico e torrette a base quadrata, vie strette, case basse, con tetto spiovente, archivolti e sottopassaggi. I Longobardi che occuparono la zona nell'VIII sec. costruirono un tempio al loro protettore S. Giorgio. Di questa costruzione restano i dipinti del catino absidale, la duecentesca scultura di S.Martino riportata sopra la porta d'ingresso, parti di muro nell'angolo destro di chi guarda il presbiterio ed il cippo di quarzite dell'altare. Il castello fu poi assegnato al Monastero di Casauria da Ludovico II ed in epoche successive ai Varano (1468), al Vicariato di Summonte (1538), al terzierio di Sossanta (1563). Il paese coincide con il castello: una sola porta d'ingresso, finestratura e rocchette agli angoli, il tutto cinto da mura cui fa cerniera un torrione cilindrico e varie torrette a base quadrata. Straordinaria è l'evocazione castellare nell'ingresso. I possenti edifici tagliati da porte e piccole finestre sono impostate su grandi archi o, appena entrati, da un'alta galleria sopra le arcate della via. ricerca fa anche scoprire una cerchia muraria Su una lunetta appena l'ingresso, Nobile da Lucca affrescò a colori vivi la Vergine e i Santi protettori della gente. è un piccolo dipinto dei primi anni del '500 che richiama forse certe testine affioranti nella chiesa "extra moenia" del castello».

http://www.turismo.caldarola.sinp.net/vestignano.htm


Visso (centro storico)

Dal sito http://notizie.comuni-italiani.it   Dal sito http://notizie.comuni-italiani.it

gravi danni daI sismI dell'ottobre 2016

«Visso è un incantevole centro montano delle Marche al confine con l’Umbria. La “perla” dei monti Sibillini (è sede del Parco Nazionale) vanta un passato ricco di storia: le imponenti mura, i balconcini medievali, le case, le torri, i palazzi gentilizi rinascimentali, i portali in pietra arricchiti da motti latini e stemmi di famiglia, costituiscono un insieme armonioso e grandioso, se messo in relazione alla limitata estensione del centro storico. Le meraviglie in così poco spazio sono tali, che è impossibile non concordare con il grande storico dell’arte André Chastel, quando dice che “nella costruzione scenografica delle piazze e delle città il genio italico non ha avuto rivali”. Basti vedere, a Visso, la piazza dei Martiri Vissani, dove tutto è compostezza, luminosità, armonia di linee: pura bellezza. La piazza è delimitata da eleganti palazzetti quattro-cinquecenteschi e caratterizzata da due emergenze architettoniche: la Collegiata di S. Maria e la Chiesa di Sant’Agostino. La Collegiata in stile romanico-gotico risale, nel suo impianto originario, al XII secolo. è sovrastata da un elegante campanile a bifore e trifore e abbellita da una facciata con un portale trecentesco finemente lavorato, recante ai lati due fieri leoni. La lunetta racchiude un pregevole affresco quattrocentesco raffigurante l’Annunciazione e attribuito a Paolo da Visso. La chiesa di Sant’Agostino (sec. XIV) ha una facciata a tre cuspidi con portale e rosone; oggi sconsacrata, è sede del Museo che raccoglie opere di proprietà comunale ed ecclesiastica provenienti in gran parte dalle chiese del territorio vissano. Vi sono anche custoditi sei idilli manoscritti di Giacomo Leopardi, tra cui “L’Infinito”. Tutto il centro storico è di grande suggestione, con il profilo dei monti Sibillini a fargli da corona e, all’interno, le antiche torri, le quattro porte che chiudono le mura castellane, i palazzetti rinascimentali ricchi di portali e finestre in pietra chiara lavorata dagli artigiani locali: i celebri “Petraioli Vissani”, alla cui Scuola appartiene il Battistero trecentesco dell’antica pieve attigua alla Collegiata. Tra gli edifici di pregio, il palazzo dei Priori, quello dei Governatori e il palazzo del Divino Amore (trasformazione - quest’ultimo - di un convento francescano del XIII sec. e oggi sede del Parco Nazionale dei monti Sibillini) aggiungono ricchezza a questo borgo che sembra ricamato nella pietra».

http://www.borghitalia.it/html/borgo_it.php?codice_borgo=946


Visso (cinta muraria, resti del castello)

Foto di Alessandro Mezzanotte, dal sito www.fotocommunity.it   Foto dell'Associazione operatori turistici Altonera, dal sito www.paesionline.it

gravi danni daI sismI dell'ottobre 2016

«L'imponente cinta muraria (1210 - 1256) era dotata di 24 antemurali, 4 porte e 4 torrioni. Garantiva il massimo avvistamento e l'estrema difesa la "turris Sanctis Johannis". Sulla cinta muraria si aprono: Porta Santa Maria(1256), restaurata dal 1379 al 1575 fu ricostruita nel 1571 sormontata da un torrione; Porta Pontelato o Nursina (1283) con arco leggermente ogivale in conci di pietra a piè di torre con beccatelli aggettanti per la difesa piombante, collegata da un ponte levatoio con la sponda sinistra del fiume Nera, e Porta Ussitana o Porta San Giacomo (XV sec.) caratterizzata dal fornice ogivale sopraelevato retrostante la guardiola. Torri di guardia - Rocca Lungo la via per Macereto, in una zona che domina la città, si elevano due torri di guardia merlate dell’XI-XII sec., di cui una più alta (25 m.). Quest’ultima è stata restaurata nel 1973 e presenta all’esterno i resti di una scala che portava al primo piano; era utilizzata anche come torre di vedetta sulla valle Ussitana. Sono visibili anche i ruderi di antiche mura che erano protette da quattro torrioni più bassi (uno soltanto è tuttora intatto), che formavano il quadrato della Rocca, dove si era insediato il primo nucleo urbano detto Castel S. Giovanni. In seguito ad un terremoto la popolazione si installò nell’attuale centro urbano estendendo le mura castellane dalla Rocca verso la città fino a fiancheggiare il fiume Nera. Porta S. Maria e’ attualmente la porta principale per l’uscita dal centro storico di Visso. Costruita nel 1256 come indica l’iscrizione su una pietra grezza posta sotto l’arco, fu restaurata da papa Pio V nel 1571, ma ha perduto completamente i caratteri delle porte medievali, perché rimodernata ed ampliata nel 1867. Porta di Pontelato è la più antica porta di Visso, fatta costruire nel 1283 da Gualtiero, uno dei primi Podestà della città, come confermato da un’iscrizione gotica posta su un pilastro della prima arcata. Altre epigrafi attestano i restauri avvenuti nel 1379 da parte di Giovanni da Varano, nel 1466 e nel 1575. La porta è sovrastata da un residuo di torre in conci con una serie di beccatelli, in alto, e nel lato sud presenta un arco ogivale sopra il quale è lo stemma della città (anteriore al ‘400) e quello di Gregorio XIII».

http://www.sibillini.net/il_parco/Cultura_Territorio/Castelli/visso.htm


 

 

  

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