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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI ROMA

in sintesi, pagina 2

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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Maccarese (castel San Giorgio o Rospigliosi)

Dal sito www.maredellazio.it   Dal sito www.maccaresespa.com

«Il castello, detto anche di San Giorgio, o Rospigliosi, sorge lungo l’Arrone ed è centro del villaggio rurale di Maccarese, il cui toponimo, che origina da Vaccarese o Vaccaritia, rivela la secolare vocazione agricolo-pastorale di questo territorio. Come la villa Sacchetti-Chigi a Castel Fusano, anche questo castello è in realtà un palazzo fortificato: furono infatti i Mattei, nel Cinquecento, ad aggiungere agli angoli i quattro massicci bastioni che lo caratterizzano in senso militare. Nel ‘600 il castello si connotò sempre più come villa, che nel XVIII secolo i Rospigliosi, nuovi proprietari, ampliarono, restaurarono ed abbellirono nei decori interni. Al principe Camillo Rospigliosi si deve anche, nel 1761, la costruzione nel giardino della cappella dedicata a S. Giorgio».

http://www.riservalitoraleromano.it/libretto-riserva-150.pdf


Maccarese (torre Maccarese o Primavera)

Dal sito www.maccaresespa.com   Dal sito www.sullaviadelletorri.it

«Il nome 'Primavera' che riguarda l'intera area circostante la Torre, deriva con molta probabilità dal microclima particolarmente favorevole a cui la zona è soggetta. è qui che viveva la mandria di bufale degli antichi proprietari della zona, i Rospigliosi, prima della vendita della proprietà. Proseguendo sul sentiero sterrato è possibile distinguere sulla destra una costruzione circolare, oggi inserita in un bel centro agricolo, e trasformata in abitazione: si tratta dell'antico procoio delle bufale. Oltrepassato il caseggiato ci appare la massiccia mole della Torre Primavera. Alta 15 metri e a pianta quadrata subì sempre nel Cinquecento un restauro che modificò la parte inferiore rendendola a sperone e rinforzò gli angoli con l'inserimento di blocchi di travertino. Fu voluta come molte altre torri d'avvistamento, da Pio IV (1559-1565), per sventare il pericolo delle incursioni saracene che affliggevano frequentemente le popolazioni costiere, come quella avvenuta a Maccarese nel 1748, rappresentata dal pittore Adrien Manglard in un dipinto proveniente dalla collezione Rospigliosi del castello di San Giorgio e attualmente conservato al Museo di Roma. L’ambiente naturale è purtroppo deturpato dalla presenza del depuratore di Fregene. Fu comunque in occasione dei lavori di installazione di questo impianto, avvenuti nel 1977, che fu rinvenuta una nave romana che localizzerebbe in quest'area l'antico porto di Fregenae. Per chi è amante delle escursioni la zona si presta ad una interessante passeggiata a piedi: dalla torre ci si avvia verso il depuratore, si entra nella pineta adiacente e si gira a destra fino a raggiungere il greto dell’Arrone, il piccolo fiume che nasce dal lago di Bracciano e che segna in questo tratto il confine nord di Fregene. Non c’è un tracciato e l’esplorazione richiede un poco di spirito d’avventura, ma la bellezza ancora abbastanza selvaggia delle rive e la possibilità di sostare nei capanni da pesca con i tradizionali bilancioni sospesi, ripaga ampiamente dello sforzo compiuto».

http://web.tiscali.it/lorywildweb/torre_di_maccarese_o_primavera.html


MaGLIANO ROMANO (castello Orsini)

Dal sito http://terrediveio.eu   Dal sito www.samoitalia.com

«Il paese, di origine medievale, è situato su un rilievo posto a controllo del fosso delle Valli e della valle Nocchia. I primi riferimenti a Magliano Pecorareccio risalgono a documenti dell'XI sec., dove sono menzionati una massa Maiana ed un fundus Maiani (forse eredi di un fundus Manlianus di età romana) di proprietà del Monastero di S. Paolo fuori le mura. Il castello sorse più tardi ed appartenne con alterne vicende (dal XIII al XV sec.) ai Conti di Anguillara ed agli Orsini. Nel 1241 subì le distruzioni dei viterbesi nella guerra contro i romani; nel XVI sec. fu teatro di un noto fatto di sangue: vi furono condotti e trucidati i presunti complici di Girolama Farnese, moglie di Giuliano d'Anguillara, che fu a sua volta uccisa nel castello di Stabia a Faleria. Successivamente il borgo divenne proprietà prima della famiglia dei Cesi (1590), poi dei Borromeo (1659), quindi fu venduto al Cardinale Flavio Chigi (1661), ed infine (1862) passò agli Arnaldi che ancora oggi ne sono i proprietari. Nel 1907 il nome del paese fu modificato con Regio decreto in Magliano Romano. A pianta rettangolare, è organizzato su due assi viari principali (via del Duomo e via Oscura) lungo i quali sono allineate piccole case, alcune delle quali mostrano lo stemma degli Anguillara. Alle due estremità si dispongono a nord la chiesa di S. Giovanni Battista ed a Sud il castello. Di origine medievale il fortilizio ha subito una massiccia trasformazione nel tardo Cinquecento, secondo uno stile vicino alle opere del Vignola. Notevoli il portale bugnato d'ingresso, lo scalone monumentale interno, i camini del piano nobile».

http://api.culturalazio.it/terrediveio/MaglianoRomano_borgo.aspx


Mandela (castello Del Gallo)

Dal sito www.cmaniene.it   Dal sito http://castelliere.blogspot.it

«Il nome del paese, Mandela, non è altro se non quello con cui il villaggio era noto in epoca romana. ... Poi il paesino fu noto semplicemente come Cantalupo. Negli atti della burocrazia pontificia è riportato affiancato il nome Bardella (tranne che nel periodo 1676-1680 in cui il paese è invece citato come Cantalupo di Madama); alcuni invece hanno considerato Cantalupo e Bardella come se fossero due diversi centri, due castelli. Nel 1843 il paese era ancora citato con entrambi i nomi associati. Si ignora il motivo per cui si tornò ad utilizzare l'originario nome Mandela dopo l'unità d'Italia. ... Seguendo il tipico e medievale fenomeno dell'incastellamento, i farfensi incastellarono la collina di Bardella e fortificarono il piccolo borgo di Cantalupo, approfittando della crisi in cui versava l'Abbazia di San Cosimato a cui quest'ultimo borgo apparteneva. Con la morte di Alberico nel 954 infatti, per il complesso di S. Cosimato era iniziato un periodo di decadenza. Non essendo più appoggiato, aveva dovuto rinunciare a molti possedimenti che il defunto gli aveva dato sottraendoli all'Abbazia di Subiaco ed a cui erano tornati per decisione pontificia. Così, non avendo più forti risorse, il monastero di S. Cosimato era divenuto facile preda delle mire dei potenti signori confinanti tra cui i Crescenzi Ottaviani; poi nel 1081 il pontefice Gregorio VII lo aveva incluso tra i possedimenti dell'abbazia di S. Paolo fuori le Mura ma anche Tivoli aveva allungato le mani ed aveva occupato e fortificato il complesso di S. Cosimato. Tornando al predetto incastellamento sul rialzo di Bardella, esso era costituito da un maschio (torre) di pianta quadrata che dominava lo spiazzo delimitato da una cinta muraria in cui trovavano collocazione vari edifici utilizzati per la difesa del castrum. Immediatamente a ridosso di tale cinta muraria erano poche case, con una chiesa dedicata a San Pietro, che come di consuetudine allora, aveva anche un piccolo ospedale. Il borgo di Cantalupo era vicinissimo: bastava oltrepassare il ponte levatoio che permetteva di superare il fossato. ... Durante il pontificato di Celestino III (1191-1197) Cantalupo e Bardella furono dati in pegno agli Orsini (ne furono signori fino alla metà del secolo XVII). Verso la fine del Quattrocento però l'importanza strategica della posizione geografica cominciò a diminuire senza contare che pure le sorti degli Orsini subirono un tracollo. Il risultato fu che Bardella decadde. ...». [Durante il XIX secolo il paese ormai fortificato fu ceduto ai Prosperi e poi ai Del Gallo di Roccagiovine (1835) che ne sono gli attuali proprietari].

http://www.tibursuperbum.it/ita/escursioni/mandela/Storia.htm


Marcellina (resti del castrum Marcellini)

Dal sito www.lazionascosto.it   Dal sito www.tumblr.com

«Il nostro territorio è interessato in modo massiccio da un fenomeno basato su un tipo di economia prevalentemente chiusa e da un incastellamento spontaneo. è tuttavia possibile riportare le varie fondazioni castrali a due principali caratteri: quello laico e quello ecclesiastico, cosa che, come nel caso del Casale di Torrita pose i primi in contrasto con il potere della Chiesa. Tra i "castra" menzioniamo il Castrum Marcellini, oggi quasi completamente distrutto, il già ricordato Casale Torrita, il Castrum Montis Viridis (erroneamente chiamato e riportato sulle carte topografiche come "Marcellina Vecchia") ed il Castrum Saracineschi, per non citare gli altri innumerevoli insediamenti limitrofi. Il primo riferimento storico relativo a Torrita è costituito da un documento del 1030 della diocesi di Tivoli, in cui è citato "il Castello chiamato Turrita", i cui ruderi si trovano nella stessa località a circa 2,5 Km. a S-O dell'abitato di Marcellina. Nulla si sa sull'origine e sulle vicende del Castello fino al sec. XIII; nella seconda metà del 1200 era di proprietà di un certo Lorenzo di Rinaldo di Tivoli, successivamente passò al monastero di S. Paolo fuori le Mura ed alla casata degli Orsini. In località Collevecchio, a N-O dell'attuale abitato, sorse un altro villaggio, il Castrum Marcellini, del quale oramai sono rimasti solo pochi ruderi consistenti in una fatiscente e bassa cinta muraria e scarsi resti, a livello del terreno, della torre. La prima citazione di tale insediamento è contenuta in una bolla del 1153 di papa Anastasio IV, dalla quale risulta anche il nome del signore del feudo, Gregorio de Marcelliniis. Della nobile casata romana dei Marcellini, che furono per almeno tre secoli feudatari della zona, il Comune ha conservato non solo il nome, ma anche lo stemma con le sei rose d'argento in campo azzurro e l'aquila bicipite. La nascita dell'attuale Marcellina va ricollegata direttamente al monastero di S. Maria in Monte Dominici ed indirettamente alla distruzione del Castrum. Secondo la tradizione, infatti, il Castrum Marcellini fu distrutto dalle milizie dei monaci di S. Paolo fuori le Mura, che vennero a contesa con i de Marcellinis. Questo fatto è generalmente reputato importante in quanto potrebbe aver determinato lo spostamento di un notevole numero di persone dall'antico villaggio alle adiacenze del Monastero di S. Maria in Monte Dominici, e costruire o più verosimilmente infoltire il nucleo abitato circostante ad esso. è verosimile, infatti, che data l'importante posizione topografica dell'Abbazia di S. Maria e la sua continuità storica con il tessuto economico di età romana, come si vedrà in seguito, essa costituì sempre un forte polo di gravitazione. ...».

http://www.comune.marcellina.rm.it/oc/oc_p_elenco.php?x=&


Marino (castello Frangipane o Torre Orsini)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito it.wikipedia.org

«Piazza Giacomo Matteotti è una storica piazza principale della città di Marino, in provincia di Roma, nell'area dei Castelli Romani. Vi prospettano l'ottocentesco Palazzo Matteotti, Palazzo Capri, le torri rotonde della Rocca Frangipane e dagli anni sessanta al centro della piazza è stata collocata la famosa fontana dei Quattro Mori, protagonista del "miracolo delle fontane che danno vino" durante la Sagra dell'Uva. In età romana, sotto la parte settentrionale della piazza sorgeva una cisterna idrica che riforniva probabilmente il municipium di Castrimoenium, collocato nei pressi dell'attuale centro storico di Marino. Sulla cisterna sorse poi, attorno alla fine dell'XI secolo, la Chiesa di Santa Lucia che oggi è adibita a sede del Museo Civico Umberto Mastroianni. Con l'espansione urbanistica del castello tra XII e XIII secolo, sul luogo oggi occupato dalla piazza venne edificata la Rocca Frangipane, primo fortilizio di Marino, che sorgeva nel punto più alto dell'altura del castello, a quota 371 m s.l.m.. La Rocca divenne molto probabilmente la residenza dei feudatari durante i loro soggiorni a Marino: tra gli altri occupanti, possiamo ricordare la beata Giacoma de Settesoli, amica di San Francesco d'Assisi. La Rocca dominava l'accesso a Marino dalla via Maremmana, ovvero in direzione di Grottaferrata, Frascati, Rocca di Papa, Castel Gandolfo ed Albano Laziale: per questo ancora oggi quella zona è chiamata in dialetto marinese 'a Porta. Nel corso del XVI e poi nel XVII secolo Marino fu oggetto di un grande piano di risanamento urbanistico voluto dalla famiglia Colonna: i resti della Rocca Frangipane, la cui funzione militare era ormai venuta meno, vennero rasi al suolo e venne creato lo spiazzo che oggi costituisce la piazza. Il suo nome era piazza della Porta, in ricordo dell'antico accesso al castello. Dell'antica Rocca rimasero in piedi solo tre torrioni rotondi: uno è stato inglobato alla fine del XIX secolo nel complesso di Palazzo Matteotti; un altro oggi in luce fino al 1944 era inglobato in un edificio, distrutto dai bombardamento anglo-americani; un terzo torrione è sempre stato visibile nella parte occidentale della piazza. Tra il 1881 ed il 1884 venne costruito Palazzo Matteotti, come nuova sede municipale: e tale funzione rimase al palazzo fino al 1916, data in cui il Comune si trasferì nella più prestigiosa sede di Palazzo Colonna. Negli anni '70 del XIX secolo venne anche compiuto Palazzo Capri».

http://it.wikipedia.org/wiki/Piazza_Giacomo_Matteotti_%28Marino%29


Marino (torre di guardia, torre d'Ammonte, mura)

Torre Porta Sagra, dal sito it.wikipedia.org   Dal sito it.wikipedia.org

«L'abitato era cinto da mura, sulle quali circa ogni cinque metri si apriva una torre quadrata. Parte della cerchia muraria rimane quasi intatta al termine di via Paolo Mercuri, rione Castelletto, e all'inizio di via Giuseppe Garibaldi, mentre si delinea l'antico andamento della cerchia riadattata a civile abitazione sul fronte della case di Corso Trieste, piazza San Barnaba e su tutto il fronte dell'abitato verso il Bosco Ferentano, nell'area delle cosiddette Coste. Tre porte si aprivano sicuramente nella cerchia muraria: - Porta Romana; posta alla fine della Strada Nuova, oggi via Roma, edificata nel 1546, distrutta nel 1908 per ragioni di traffico, collegava direttamente Marino a Roma attraverso la via Castrimeniense: sotto di lei passa il rettifilo che da Borgo Garibaldi e dagli ex-Giardini Colonna conduce con l'occhio alla facciata di Palazzo Colonna. Sulla porta si leggeva questa iscrizione, ricollocata dal Comune negli anni trenta in prossimità del sito originario: «HIC TIBI TUTA QUIES / ET QUAE CUPIT OTIA VIRTUS / DEFICIETQ[UE] NIHIL SI MENS NON DEFICIT AEQUA / MDLXXXXVI»; - Porta Giordana; posta alla fine di via Paolo Mercuri e distrutta nel XIX secolo per ragioni di traffico, si suppone che venisse edificata dal feudatario Giordano Orsini, che nel XIV secolo ampliò la cinta muraria, inglobando la parte di abitato che ancora oggi viene chiamata le Camere Nove; - 'A Porta; dovrebbe essere in effetti Porta Napoletana, perché posta sulla via postale per Napoli, tuttavia i marinesi la chiamarono sempre 'a Porta, e continuano tutt'ora a chiamare in questo modo piazza Giacomo Matteotti, che occupa l'area della Rocca Frangipane che dominava questa porta, varco della via Maremmana che conduceva anche a Castel Gandolfo, Albano e Frascati. Il Tomassetti, in La Campagna Romana antica, medioevale e moderna, vol. IV, ipotizza l'esistenza di un sistema fortificato trecentesco a valle, lungo il corso del Marana delle Pietrare: questo sarebbe testimoniato dalla Torre d'Ammonte, caratteristica torre quadrangolare trecentesca presente nella vallata a protezione delle cave di peperino, del Santuario dell'Acquasanta e del fontanile pubblico, e da alcuni tratti di muro presenti più a valle».

http://comuni.360gradi-lazio.it/rm/marino


Mazzano Romano (palazzo baronale degli Anguillara)

Dal sito www.mazzanoromano.info   Dal sito http://mazzanoromano.blogolandia.it/

«Il Fundus Mazanus nel 945, con la decadenza della Domusculta Capracorum, fu concesso dai Conti di Tuscolo al monastero di S. Gregorio al Celio, che rimase proprietario del feudo sino al 1526, quando il paese venne acquistato dalla potente famiglia degli Anguillara. Nel 1599 Flaminio Anguillara vendette Mazzano al Cardinale Lelio Biscia e nel 1658 il feudo passò, per eredità, alla nobile famiglia dei Del Drago che lo amministrarono fino alla riforma fondiaria dell’Ente Maremma. Il Palazzo Anguillara è maggiormente conosciuto con la denominazione di “Tocchi”, famiglia che recentemente ne ha posseduto una parte considerevole. Un passaggio di proprietà è attestato nel 1599 quando gli Anguillara vendono il loro possedimento di Mazzano Romano al cardinale Lelio Biscia per estinguere un’ipoteca che gravava su Calcata. Da quel momento i Biscia erigono una nuova residenza, il palazzo con l’arco ubicato sulla destra di Piazza Umberto I, per cui si deduce che l’abitazione degli Anguillara sarà venduta ad altri proprietari, e dal catasto del 1715 si definisce l’antica residenza signorile “Palazzo Vecchio”. La facciata che si erge su Via Roma si presenta imponente, con i suoi complessivi cinque piani dalla strada e le piccole finestre riquadrate. Girando attorno al palazzo lo scorcio più interessante è dato sicuramente dalla facciata interna su Via delle Scuole, con il portale sovrastato dalla loggetta a due piani con pilastrino centrale. Sulla parete della loggia restano le tracce di un affresco decorativo, mentre si scorgono le coperture a voltine a crociera del primo piano e a cassettoni del secondo. Anche in questo caso, come per il castello di Faleria, l’interno dell’antica residenza Anguillara non è visitabile».

http://www.culturalazio.it/sites/risorse/Raccolta%20Documenti/ItineRari_-_CalcataMazzanoFaleria.pdf


Molara (resti del castello)

Dal sito www.parchilazio.it   Foto Tre Monti, dal sito www.montecompatriproloco.it

«Molara è una località situata in parte nel comune di Grottaferrata e in parte nel comune di Monte Compatri, in provincia di Roma, nell'area dei Castelli Romani. Molara era un antichissimo castello al XV miglio della Via Latina, oggi Via Anagnina, posto ai piedi del Tuscolo, nell'area dell'antico abitato di Roboraria, 516 metri slm. La prima citazione del castrum Molariae è del 1090, contenuta nel Chronicon Sublacense, e viene ricordato il passaggio in dote del castello da Agapito dei conti di Tuscolo ad Annibale Annibaldi. Da questo momento Molara diventerà la roccaforte della famiglia Annibaldi sui Colli Albani. Successivamente nel 1254 il cardinal Riccardo Annibaldi accolse a Molara papa Innocenzo IV, e nel 1266 Carlo I d'Angiò assieme a 25.000 uomini si fece ospitare dallo stesso cardinale nel castello. Nel 1328 Molara subì un assedio da parte dell'imperatore Ludovico il Bavaro, e dovette arrendersi dopo tre giorni, l'11 giugno, per mancanza di viveri. Nel 1423 Paoluzzo Annibaldi, avendo ucciso Savello Savelli, subì la confisca del castello di Molara, che andò per i 5/6 alla Camera Apostolica e per 1/6 ai Savelli. Sennonché in breve se ne impadronirono i Colonna, dato che il castrum Molarie il 1° febbraio 1427 è citato tra i beni dati al cardinal Prospero Colonna dallo zio papa Martino V, con la bolla Etsi Prudens. Fra alterne vicende, il glorioso castello passò dagli Annibaldi ai Colonna; ma nel 1463 papa Pio II così parla di Molara: "Molaria deserta iacet" (Pio II, Commentarii). Lo stesso si dice nel 1504, quando Annibaldi e Savelli si dividono la proprietà del castrum dirutum di Molara. Nel 1575 Molara è ancora degli Annibaldi, ma alla fine del XVI secolo passa agli Altemps, quindi nel 1613 ai Borghese e nel XVIII secolo agli Aldobrandini. Nel 1762 il cardinale vescovo di Frascati Duca di York, visitando Monte Porzio Catone e trovandosi a passare tra i resti di Molara, trovò una popolazione misera di vecchi e bambini attorno alle cave di pietra di Molara, prive di supporto religioso e di istruzione, e alcuni bambini andavano nudi; altri abitanti vivevano in spelonche "come le belve", tanto che "privi delle cose necessarie desideravano più la morte che la vita". Dal 1941 al 1944 nella vallata di Molara venne costruito un aeroporto militare tedesco. La frazione di Molara dista circa 2,5 chilometri dal comune di Monte Compatri cui essa appartiene ed è situata a 550 metri sul livello del mare».

http://wikipedia.sapere.virgilio.it/wikipedia/wiki/Molara_%28Grottaferrata%29


Monteflavio (castello di Montefalco)

Foto di Roberto Ardigò, dal sito http://it.db-city.com   Foto di Roberto Ardigò, dal sito http://it.db-city.com

«...Visibili sull’altura prospiciente il paese sono le rovine dell’antico castello di Montefalco: un muraglione di cinta, una torre ed una serie di costruzioni, piccolo nucleo abitativo. Potrebbe essere sorto intorno all’anno Mille, arrampicato com’è in una posizione quasi inaccessibile ed inespugnabile, aperto ad ovest verso i monti degradanti nella vallata del Tevere e protetto a nord e ad est dalle cime del Gennaro e del Pellecchia. Fu costruito probabilmente durante la fase dell’incastellamento dall’abbazia di Farfa o da qualche altro monastero. Le fonti documentarie su questo sito sono scarne: nel 1259 è il monastero di San Paolo in Roma ad acquistare “turrim et cassagium Montis Falci” insieme al Castello di Riano dalle famiglie dei Vezzosi e dei Pezzati. È da notare che non si fa cenno, all’interno del documento, ad eventuali abitanti, proprietari, coloni o servi della gleba. Verosimilmente, quindi, nel 1259 Montefalco è già diroccato e disabitato. Una successiva annotazione la si trova nel “Registrum iurisdictrionis episcopatus sabinensis” del 1343 che, nel censire le chiese e i castri della diocesi sabina riporta il “castrum montis falci diruptum” e annota la presenza nello stesso luogo delle chiese di San Martino e San Biagio. La storia di Monte Falco si identifica con la storia dell’infeudamento della Sabina da parte delle potenti famiglie patrizie romane quali i Crescenzi e i Savelli ma soprattutto da parte degli Orsini che dominarono quasi interamente la regione: già nel 1191 avevano acquistato i diritti feudali su Vicovaro, Vicenza, Roccagiovane, Percile, Civitella, Monterotondo, San Polo, Montelibretti e Neroli. ...».

http://www.maas.ccr.it/ProgettoRinasco/inventarionline/html/roma/Monteflavio.html (a cura di Angela Barberi e Maria Teresa De Nigris)


Montelibretti (castello Barberini)

Dal sito http://cartoline.delcampe.it   Dal video www.youtube.com/watch?v=phyLsZKeurA

«Il castello sorse su di un antico castrum detto dapprima Mons Brictorum o de Brectis. I primi signori proprietari, di cui si ha notizia, furono nel XII secolo la famiglia longobarda dei conti d’Aquino. Avutolo da Nicolò II per contrastare la famiglia dei Crescenzi passò ai Signorili, ai Margani e Boccamazzi, per giungere nel XIV sec. agli Orsini che unendolo nel XVI sec. ad altri feudi confinati formarono un vero stato, lo stato di Montelibretti. Nel 1644 gli Orsini cedettero tutti i feudi della zona a Taddeo Barberini che ne adattò il castello alle nuove esigenze residenziali ergendovi un palazzo baronale. Nel 1811 passò ai Colonna Sciarra. Dette proprietà furono espropriate in danno del principe Maffeo Barberini Colonna Sciarpa, in favore della Banca d’Italia nel settembre 1900. Rivendute nel 1905 al senatore G. Bombrini, che, a sua volta, li rivendette al duca Pietro Lante della Rovere nel 1909. Oggi il castello ci appare con una struttura molto compatta, 2 torri perimetrali sono intercluse nei muri edificati nel XVII secolo, rendendolo più vivibile. Il porticato d’accesso al palazzo baronale è inserito tra queste due torri; una terza la più imponente, si trova sul lato nord, posta a controllo dell’accesso del paese. Anch’essa e stata adattata per esigenze residenziali e coperta con un tetto a falde. Una quarta torre si trova nel borgo ma è crollata quasi completamente. Nel territorio di Montelibretti sorgeva anche un altro castello detto di Montemaggiore. Nel fondo di monte Majo già spettante all’abbazia di Farfa vi si insediò Cinzio di Paternò capitano di Bonifacio IX che, per tramite del figlio, lo cedette agli Orsini. Integrato nello stato di Montelibretti seguì le vicende degli altri beni della famiglia. Tuttavia alla fine XVI secolo si fece dirupo e ne restano attualmente pochissime vestigia (castellaccia o castellovecchio). Nel territorio di Montelibretti si ergevano altre strutture difensive; sicuramente vi era una torre di avvistamento in località Moletta; si possono ancora vedere parte delle mura e parti dei solai. In località Castellana doveva esserci un piccolo fortilizio con una torre di avvistamento, adatti successivamente ad esigenze agricolo-residenziali (forse castrum normannorum) alcune parti sono ancora visibili, altre sono state incorporate o rimosse per far posto a moderni edifici. In località detta di Santa Maria Spiga sopra il rio Moscio e la vecchia Nomentana vi era un importante fortilizio. Oggi sono ancora visibili un muro perimetrale e le basi di una torre. Identificato dallo storico J. Coste con quello di Castrum Caminata, ebbe vicende alterne, prima possesso di San Giovanni in Argentella poi sotto le varie famiglie romane, per poi essere abbandonato. Sicuramente per l’insalubrità dei luoghi della popolazione si fece diruto».

http://www.montelibretti.info/storia_nostro_territorio/04.pdf


Monterano (resti del castello o palazzo Altieri)

Dal sito www.canino.info   Dal sito www.lazionascosto.it

«Il castello sorge nella parte più alta dell'abitato, probabilmente nacque già come roccaforte nel secolo VIII, quando Monterano era sede vescovile, ma si ridusse sicuramente più volte in stato di rudere subendo varie ricostruzioni e rimaneggiamenti; lo testimoniano i resti di finestre ad arco a sesto acuto, probabilmente bifore, e varie feritoie che, dopo la costruzione del porticato, si sono venute a trovare all'interno del fabbricato. I recenti scavi promossi dal Comune di Canale hanno permesso di portare alla luce la vera pianta del castello: in questa si nota come il piano terra è suddiviso chiaramente in due zone: una di servizio (scuderia, deposito, cucine, dispensa e cantina) e l'altra a disposizione del principe (sale, corridoio); al piano nobile sono ben riconoscibili la sala con il camino centrale e ampie finestre che davano sulla piazza, nonché una serie di stanzette; quando il Principe risiedeva a Monterano, l'ultimo piano in genere era riservato alla servitù. Ma questo accadde per pochi anni perché il principe Altieri preferì risiedere nel più comodo palazzo di Oriolo. Anche gli Orsini non avevano mai abitato nel castello di Monterano. Le torri che cingevano il Castello furono costruite in sassi, prima o subito dopo la comparsa della polvere da sparo; ipotesi questa avallata dalla convinzione propria dell'epoca, che le torri a pianta circolare garantivano una maggiore inespugnabilità da parte del nemico. Convinzione caduta sotto i colpi delle armi da fuoco che modificarono non solo i costumi ma anche l'architettura dell'edificio. Successivi lavori di ristrutturazione e modifica risalgono al 1679 allorché il principe Altieri, già soddisfatto della costruzione della Chiesa di S. Bonaventura, pensò bene di affidare al Bernini anche la sistemazione del Castello, il quale si arricchì così anche di un portico in finto rudere che imitava il vicino acquedotto e la fontana. È possibile presupporre la forma del Castello così come era stato voluto dal principe Altieri alla fine del ‘600, dal dipinto che ne fa il Barberi nonché dall'analisi dei ruderi - ancora oggi visibili, poiché ben conservati - e dal registro delle uscite del fattore di Monterano. Dall'ultimo documento citato, conservato nell'archivio degli Orsini, si deduce come l'interno del Castello fosse formato da due piani con stanze sovrapposte, da un salone per ricevimenti e un corridoio. Da notare che le aperture ad arco del porticato sono sfalsate rispetto alle aperture del fabbricato preesistente, tipico accorgimento scenografico questo a cui il Bernini ricorse per accentuare la prospettiva e quindi la profondità del porticato, visto il poco spazio a disposizione. In questo modo otteneva una dilatazione dello spazio per chi lo osservava dal basso della piazza. A differenza delle due torri circolari, il materiale usato per la costruzione del Castello e la torre quadrata era essenzialmente costituito da blocchi regolari tufacei».

http://www.canino.info/inserti/tuscia/luoghi/monterano/castello.htm (a cura di Giacomo Mazzuoli)


Monterotondo (rocca Orsini Barberini)

Dal sito www.geoplan.it   Dal sito www.tesorintornoroma.it

«Il primo nucleo della rocca sorse tra l'XI e il XII secolo sui colli orientali della valle del Tevere. Appartenuta agli Orsini fino al 1626, la rocca fu ceduta insieme al feudo ai Barberini e, trasformata in dimora signorile, divenne proprietà del marchese del Grillo e successivamente dei Ludovisi Boncompagni. L'antico edificio a pianta quadrangolare con torrioni angolari quadrate e piccole torri intermedie, è sovrastato da un imponente maschio trecentesco, danneggiato in parte dal terremoto del 1915. Il cortile interno è ingentilito da un portico del Quattrocento, impostato su pilastri ottagonali in travertino, che oggi risultano murati. Dopo essere stata divisa tra Giacomo e Lorenzo Orsini, nell’ala nord della rocca venne realizzato, agli inizi del Cinquecento, un edificio dalle forme rinascimentali insieme ad una galleria mentre il cortile venne abbellito con l'inserimento di un pozzo. Due grandiose scalinate danno l'accesso al piano nobile, le cui sale sono decorate da affreschi che alcuni studiosi attribuiscono a Girolamo Siciolante, altri alla scuola degli Zuccari. Nelle scene principali sono narrati i miti di Adone e, in altri ambienti, sono rappresentate scene allusive alle guerre contro l'impero Ottomano, a cui vi parteciparono membri della famiglia Orsini. Allo stesso periodo risale lo “stanzino della soffitta indorata” usata come camera da letto da papa Urbano VIII Barberini e nella quale, nel Settecento, furono aggiunti i simboli del marchese del Grillo ed un affresco con la veduta di Monterotondo. Nel 1627 Carlo Barberini, in seguito all'elevazione del borgo a ducato, trasformò il lato sud orientale della rocca in un moderno edificio con una nuova facciata palazziale».

«L’attuale palazzo Orsini-Barberini venne completato nel Seicento su una preesistente rocca di antichissima costruzione, dal quattrocento proprietà degli Orsini. Originariamente doveva avere una pianta a forma di quadrangolo regolare con torri angolari quadrate e torrette medie su almeno due lati. Quasi al centro del cortile, contornato dai corpi di fabbrica, c’era il mastio, alto circa 40 metri, che oggi termina con un novecentesco coronamento. Tali caratteristiche ne fanno un’opera di architettura rara nel Lazio, dove parrebbe in anticipo rispetto a tipologie correnti nel secolo successivo.  Le quattro sale affrescate che oggi possiamo ancora ammirare al piano superiore di Palazzo Orsini-Barberini con ogni probabilità si devono ai lavori di “ingentilimento” avviati da Franciotto Orsini (cugino di papa Leone X e a sua volta cardinale) agli inizi del ‘500. Seguendo un ordine cronologico, i primi affreschi che vanno considerati sono quelli della seconda stanza ed ispirati al mito di Adone, opera realizzata da Girolamo Siciolante da Sermoneta (1521-1580 circa) intorno agli anni 1553-1555. Probabilmente la committenza dell’opera è della discendenza di Giacomo Orsini anche se alcuni documenti lasciano presupporre una commissione degli affreschi dovuta all’altro ramo, quello di Lorenzo. Il mito di Adone, che ha le sue origini in Medioriente, rimanda all’apporto dato da alcuni componenti della famiglia Orsini alla lotta contro gli infedeli (probabilmente Oliverotto, della famiglia di Valerio, ramo Lorenzo). Il mito narra che Mirra, figlia di Cinica, innamoratasi del suo stesso padre riesce a sedurlo e a giacere con lui senza farsi riconoscere. Quando Cinica si accorge del terribile inganno tenta di uccidere la figlia incestuosa ma Zeus, impietositosi della sorte di Mirra, la trasforma in albero per sottrarla alle ire paterne. Dalla corteccia di questo albero nascerà il bellissimo Adone che diverrà l’amante di Afrodite e di Persefone, dea degli Inferi. L’episodio della morte di Adone è narrato nell’ultimo pannello affrescato. Qui troviamo un altro particolare interessante che dimostra l’intento celebrativo sotteso a questa decorazione: nella scena, il putto accanto ad Adone morente è rappresentato nell’atto di cogliere un fiore che da bianco latte si va trasformando in rosso intenso. Il mito racconta che, nel momento del trapasso di Adone, tutti gli anemoni si tinsero di rosso con il sangue della sua ferita. Nel pannello del Siciolante, però, il fiore raccolto dal putto è evidentemente una rosa, quella stessa rosa che designa gli Orsini sugli stemmi di famiglia. La sala è coperta da un soffitto a cassettoni di qualità eguagliabile ai migliori esempi romani, decorato con grottesche e trofei con armi turche in ricordo delle spedizioni compiute nel Cinquecento dagli Orsini contro i turchi».

http://www.tesorintornoroma.it/Itinerari/La-Via-Nomentana-e-la-Via-Salaria/Monterotondo-Rocca-Orsini-Barberini

http://www.provincia.roma.it/percorsitematici/abc/i-luoghi-di-abc/20096


Montorio Romano (palazzo baronale)

Dal sito http://beni-culturali.provincia.roma.it   Dal sito www.comunitamontanativoli.org

«Montorio è situato su un poggio dei monti Sabini tra la valle dell Aniene e il Turano. Grazie al clima salubre è meta di villeggiatura nel periodo estivo. Le prime notizie risalgono all’ 857, quando l’imperatore Ludovico II nel possesso del fundum Montem Aureum (fondo Montorio) il monastero di S. Maria in Farfa. Il paese rimase proprietà dell'abbazia farnese fino a metà del ’300 quando, con il venir meno della protezione dei monaci, ebbero inizio le lotte per il suo dominio. Il paese fu oggetto di successivi baratti, dispute, affitti, vendite, con gravi disagi per i suoi abitanti. La famiglia più importante nella storia di Montorio fu quella dei Savelli che, tra alti e bassi, mantenne il possesso del feudo fino al 1577, quando lo cedette agli Orsini che se ne disfecero nel giro di pochi anni. Nel XVII secolo passò ai Barberini e quindi a Maffeo Barberini Colonna di Sciarra, ultimo signore di Montorio. Il paese può essere idealmente distinto in tre zone: Il nucleo più antico, costituito dal palazzo baronale e dalla sua corte, chiamato "Montaterra"; il caratteristico borgo arroccato intorno al palazzo, "u buriu"; la parte nuova che si estende sulla collina antistante sino ai piedi del monte Calvario. Il palazzo baronale, detto anche Palazzo Corte, la cui facciata è caratterizzata da tre diversi ordini di finestre, fu dimora dei signori del paese fin dalla sua trasformazione da fortezza a dimora signorile del XVI secolo. ...» - «La struttura decorativa di questa residenza signorile, denominata Palazzo Corte, stilisticamente sembra appartenere al secolo XVIII. Essa è posteriore alla decorazione interna dell'edificio, risalente al XVI secolo. La sistemazione del Palazzo Baronale, che sostituì come dimora dei signori del paese il vecchio castello, dovette iniziare già nel secolo XVI. Dopo la metà del XVIII secolo e per un periodo abbastanza lungo, il feudo passò a Matteo Barberini Colonna di Sciarra che ebbe stabile dimora nel Palazzo Corte. Si può supporre, visto anche l'esame stilistico della facciata, che l'aspetto attuale fu determinato proprio in questo periodo».

http://www.comunitamontanativoli.org/comuni.asp?id=27 - http://www.romaepiu.it/palazzo-baronale-2/


Moricone (castrum, palazzo Savelli)

Palazzo Savelli, dal sito www.facebook.com/palazzo.savelli.3?fref=photo   Palazzo Savelli, dal sito www.salutepiu.info   Il castrum, dal sito www.salutepiu.info

«Il borgo antico di Moricone è posto sul monte omonimo da cui prende il nome, rivolto verso la valle del Tevere. Il piccolo centro storico – forse facilitato proprio la sua dimensione raccolta – sta conoscendo una nuova vita. Ciò grazie sia alla ripavimentazione che al restauro di molte delle abitazioni da parte di vecchi e nuovi proprietari. ... Sulla piazza si fronteggiano i due maggiori edifici storici: l’antico castrum – che oggi ospita anche l’ottocentesca chiesa parrocchiale – ed il più recente castello o “palazzo baronale” edificato intorno al XVI secolo dalla famiglia feudale dei de Palumbaria strettamente imparentata con i Savelli. ... Il castrum, dal XIX secolo, è in parte occupato dalla chiesa parrocchiale della SS. Assunta, la quale conserva un “Salvatore” opera di Antoniazzo Romano (1430-1510). Lo trovate nella cappella di sinistra a metà navata. La collocazione in alto ed il vetro lo rendono di difficile godibilità, ma così è. La pala d’altare è di Corrado Giaquinto. Il resto dell’edificio, restaurato nel 1992, accoglie la biblioteca e l’archivio storico del Comune di Moricone. I principi Borghese concessero l’uso dell’edificio – ormai privo di impiego militare – alla moriconese suor Maria Colomba di Gesù, al secolo Paola Maria Geltrude Serantoni (1701-1781), che vi fondò l’ordine monastico delle Oblate di Santa Chiara e vi istituì un educandato. Successivamente subentrarono le suore di Nostra Signora del Rifugio in monte Calvario. Il palazzo baronale, più recente, dall’altra parte della piazza, è un edificio austero, così all’esterno come all’interno. Evidentemente pensato più per funzioni di presidio del territorio che come residenza signorile. ...».

http://www.salutepiu.info/moricone-visita-e-storia/#!prettyPhoto[pp_gal]/4  (a cura di Fabrizio Sciarretta)


Morlupo (castello Orsini)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito http://protprev.casaccia.enea.it

  

«Fondato forse nel X secolo da una colonia di Capenati fuggiti alla distruzione della loro città, il castrum Morilupo nel 1038 apparteneva all’Abbazia di San Paolo. Divenuto feudo nel 1293, venne assegnato in dote ad Anastasia figlia di Guido di Montfort. Il castello attuale fu ricostruito dopo che quello precedente andò distrutto nel 1433 per volere di papa Martino V, intenzionato a punire il ribelle Ulisse Orsini che si era rifugiato. L’edificio si trova in fondo alla Via del Corso ed è posto come sbarramento di protezione dell'ingresso al Rione Mazzocca, in quanto detto rione è naturalmente protetto dagli altri lati da profondi e scoscesi dirupi. Esso era certamente munito di un mastio, dalla cui sommità si poteva scorgere il sistema di Torri di vedetta verso la Flaminia e la Tiberina. Nel XVI secolo Antimo Orsini volendo lasciare un segno evidente della sua signoria sul paese fece eseguire dei lavori di trasformazione del castello. Tali lavori terminarono nel 1598, il prospetto principale domina completamente la piazza castellana e su ciascun architrave è inciso il nome Antimus Ursinus. Secondo il progetto di una residenza principesca rinascimentale, troviamo una pianta con un lessico architettonico di derivazione sangallesca ampiamente diffuso nel Lazio. Gli ambienti, perfettamente simmetrici, sono disposti intorno ad un cortile quadrato con un lato porticato dal quale si accede alla scala principale. Anche gli ingressi sono simmetrici e rivolti l'uno verso la piazza principale (piazza Giovanni XXIII), l'altro verso il borgo. Con il rifacimento della Porta Romana venne anche attuata la ristrutturazione della torre, unica testimonianza dell’antico castello, di forma poligonale a sperone verso l’esterno ed ellittica dalla parte che guarda la corte interna. Essa venne definitivamente unita al castello mediante la creazione di un passaggio coperto. Sul nuovo portale vennero raffigurati il leone rampante degli Orsini-Aldobrandeschi ed il lupo che tiene fra le fauci un gallo, simbolo della comunità di Morlupo. Pochi anni dopo, nel 1613, gli Orsini vendettero il feudo alla famiglia Borghese e da questo momento il Palazzo perse la sua importanza, non più abitato dal feudatario, divenne la residenza del Governatore e fu in gran parte utilizzato come granaio. Nel 1652 venne realizzata la scala sulla Piazza, a destra dell'ingresso principale».

http://castelliere.blogspot.it/2011/07/il-castello-di-sabato-9-luglio.html


Nazzano Romano (castello Savelli)

Dal sito www.facebook.com/unfiumedistorie   Dal sito www.pianopiano.info

«La prima menzione del castello di Nazzano è riportata in una bolla di papa Gregorio VII tra il 1073 ed il 1085 in cui il Castellum Nazanum passa dai monaci benedettini dell’abbazia di Farfa a quelli di San Paolo di Roma. A seguito delle lotte causate dagli scontri tra le truppe di Enrico V e quelle di papa Pasquale II si deve probabilmente la parziale devastazione del primo nucleo del castello, parzialmente ricostruito dal 1198 da papa Innocenzo III. A partire dal 1332 il feudo di Nazzano passa a Jacobo de Sabellis che rimase nelle mani di questa famiglia fino alla metà del Quattrocento quando, a seguito dell’assassinio da parte delle milizie di Giacomo Savelli del luogotenente dei monaci di San Paolo, il castello viene confiscato da papa Nicolò V. Alla morte di Nicolò V il castello viene venduto dal nuovo pontefice, Callisto III ai monaci di San Paolo per finanziare la crociata contro i turchi e rimane di proprietà dei monaci fino alla metà del XX secolo. Il fortilizio sorge nella parte più alta del borgo, addossato direttamente alla roccia viva tufacea, ampiamente scavata per ottenere un fossato perimetrale. Le fasi costruttive del castello sono chiaramente riscontrabili in due epoche storiche, quelle del Tre e Quattrocento e pertinenti alla proprietà Savelli la prima e la seconda ai monaci. Il castello è composto da una pianta quadrata con cortile centrale e due torri esterne, una verso l’abitato con funzione di guardia e l’altra aperta invece verso la valle del Tevere di avvistamento a controllo del fiume. Si accede al castello attraverso un massiccio rivellino che anticamente comprendeva un ponte levatoio in legno, oggi scomparso. Le robuste mura esterne di spessore variabile in pietra locale precedute da un breve fossato, presentano una scarpa verso il basso e culminano con profonde merlature nella sommità. Sono presenti lungo il paramento esterno delle mura oltre ad uno stemma in travertino dei monaci di San Paolo anche delle feritoie tre-quattrocentesche e delle aperture per bocche da fuoco del XVI-XVII secolo. All’interno si trova una cappella realizzata sotto papa Callisto III, dove sono ancora visibili resti di affreschi».

http://www.castellidelazio.com/castellodinazzanoromano.htm


Nerola (castello Orsini)

Dal sito www.regioni-italiane.com   Dal sito www.castelloorsini.it

«Situato nei pressi della Via Salaria a Nerola, pochi chilometri a nord di Roma, il Castello degli Orsini domina a perdita d'occhio, dalla sua posizione elevata, la fertile campagna della Sabina fino alla valle del Tevere ed ai verdi monti Lucretii. Costruito nel X secolo sui ruderi di un'antica fortezza Sabina, dopo essere stato un baluardo inespugnabile da Saraceni ed Ungari il castello fu concesso in feudo a Francesco Orsini sul finire del XIII secolo. Ampliato e rafforzato risultò sempre più inespugnabile e fra le sue mura prosperò per secoli la potenza degli Orsini, accrescendo la sua influenza nelle vicende di Roma e del Papato. Teatro di sanguinose lotte per tutto il Medioevo, il Castello fu rafforzato più volte con l'aggiunta di torrioni bassi e di una poderosa torre cilindrica. Conquistato dai Borgia e ritornato successivamente agli Orsini, il Castello passò dopo varie peripezie nelle mani dei Barberini e dei Lante della Rovere. Durante il Risorgimento, nel 1867, un reparto di Garibaldini, guidato da Menotti Garibaldi, asserragliato nelle torri resistette all'assalto delle truppe pontificie. La battaglia fu persa, ma numerose tracce di pallottole restano a testimoniare l'episodio sulle antiche mura del terrazzo che sovrasta il paese. Riportato all'antico splendore tramite accurati lavori di consolidamento e restauro, il Castello è oggi teatro di manifestazioni, ricevimenti e convegni: le guerre e le contese dei nostri tempi. ...».

http://www.castelloorsini.it/index.php?option=com_content&view=article&id=48&Itemid=40&lang=it


Nettuno (borgo medievale)

Dal sito www.romeartlover.it   Dal sito http://flickr.com

«È certamente la parte più suggestiva della città, tutta racchiusa nelle possenti mura, con vie strette e ombrose su cui affacciano i severi palazzi delle potenti famiglie che dominarono su Nettuno. Fuori della porta d'accesso al borgo si trova la Fontana di Nettuno, simbolo della città, realizzata in travertino nel 1882 da Ottavio De Angelis. Entrati nel borgo s'incontra Palazzo Doria Pamphilj, oggi sede di un istituto scolastico, al cui interno ancora si conservano pregevoli affreschi di Pier Francesco Mola (1612-1666), pittore sensibile ai modi di Pietro da Cortona e del Guercino, che nella resa pittorica del paesaggio espresse la nota più originale della sua vena artistica. Degni di nota sono anche il massiccio Palazzo Baronale dei Colonna e la chiesa collegiata dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista, che si vuole sorta sull'antico, tempio di Nettuno, completamente riedificata su progetto di Carlo Marchionni (1702-1786) tra il 1736 e il 1749. Particolarmente suggestivo è il camminamento di ronda sul versante esterno delle mura, con splendido colpo d'occhio sul litorale tirrenico e sul Forte Sangallo. Nel Borgo (secolo X-XI) si respira aria di Medioevo, e il sapore antico è così attuale che, nelle notti di luna, con un po' di fantasia si possono vedere avanzare antiche bellezze nettunesi nei loro ricchi costumi rossi. Il Borgo è ombroso e fresco d'estate; tutte le porte delle case aperte e fuori dai ristoranti e pizzerie sedie tavoli sono conquistati dai villeggianti che in questa oasi si riposano dalla giornata movimentata. Graziose bifore e stemmi di antiche famiglie gentilizie, frammenti di case d'epoca romana si possono trovare percorrendo le strette viuzze che si snodano all'interno del Borgo aprendosi in inaspettati e incantevoli slarghi e piazzette, o in magnifiche vedute sul mare, sono le caratteristiche più suggestive del Borgo, custode degli affetti e delle antiche usanze dei nettunesi».

http://www.proloconettuno.it/sito/nettuno/monumenti.htm


Nettuno (forte Sangallo o Borgia)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.inliberuscita.it

  

«Fortezza rinascimentale della città di Nettuno. La costruzione si trova subito a ridosso del mare del litorale di Nettuno ed è considerata tra le fortezze maggiormente intatte ed esempio di conservazione perfetta, grazie specialmente all'architettura con la quale fu concepita nel rinascimento, a quelle regole di sicurezza dettate dalla potenza di fuoco militare in continua evoluzione. A volere la realizzazione, agli inizi del cinquecento (esattamente tra il 1501 e il 1503) di questa fortezza a difesa dello strategico porto di Nettuno, fu Cesare Borgia per conto del padre, a quell'epoca pontefice (Alessandro VI), commissionando l'opera a Giuliano da Sangallo cui disegni però furono riesaminati dal fratello ed architetto Antonio da Sangallo il vecchio (da cui prende il nome), sono invece opera di Pompeo Colonna, nemico del papa, tutti gli stemmi araldici del maschio scalpellati in marmo ed in pietra, compreso il rilievo dello stemma dei Borgia ben visibile su di una porta nella parte destra del maschio, collegata tramite un ponte retrattile col sistema a catena che collega il camminamento. Il castello era difatti considerato punto militare strategico in quanto uno degli ultimi avamposti nelle vicinanze di Roma. Il progetto del castello si sviluppa su una pianta quadrata, di rigida geometria a rispetto delle regole architettoniche dell'epoca, del perimetro di 168 metri ed ognuno dei quattro lati è alto quasi cinque metri costituito da un incastro di pietre arenarie con rivestimento da laterizi, ed in quello rivolto verso il porto si trova un imponente maschio, in un cortile interno regolare dalle arcate a tutto sesto al cui centro vi è il pozzo. Attorno al perimetro vi è un ampio fossato ed a ciascuno degli angoli si erge l'orecchione, bastione cui nome proviene dalla robusta e particolare forma formato da due camere di livello e lungo i quali sono presenti le postazioni militari di difesa e le troniere che garantivano anche il tiro di fiancheggiamento. Un piccolo ponte levatoio protetto da una garritta fa da entrata a questa splendida cornice medievale suddivisa su tre piani».

http://www.litoraleonline.it/cose-da-vedere/musei-e-monumenti/forte-san-gallo-castello-medievale-di-nettuno


Nettuno (palazzo baronale Orsini Colonna)

Dal sito www.romeartlover.it   Dal sito www.proloconettuno.it

«Il palazzo degli Orsini, nell’interno del borgo medievale, è stato per cinquecento anni la sede del potere feudale e civile di Nettuno. Fu costruito sul finire del 1300 come rocca cittadina da Nicola Orsini sul gradino di 7 metri che divideva l’abitato antico in due parti. In tempi successivi è venuto in possesso dei Principi Colonna e della Camera Apostolica: per questo è anche conosciuto come Palazzo Colonna o Palazzo Camerale. L’iscrizione accanto all’ingresso di Piazza Marconi ricorda la sua erezione, e va letta come: ROCCA DELL’ECCELLENTISSIMO SIGNORE NICOLA / ORSINI DI NOLA / PALADINO IN TUSCIA / CONTE DI SOLETO / SIGNORE DEL CASTELLO DI NETTUNO. Nello stemma sottostante sono composti i quattro simboli araldici ai quali aveva diritto Nicola Orsini. L’altro stemma, alto sulla stessa facciata, risale al tempo del dominio dei Colonna e testimonia il potenziamento delle fortificazioni cittadine da parte di Marcantonio Colonna, lo sfruttamento della solfatara di Tor Caldara e, probabilmente, l’ampliamento e la trasformazione della primitiva rocca. La struttura compatta del palazzo è articolata solo nella parete nord, dove due grandi arcate, ciascuna alleggerita da una bifora centrale, sono limitate da due torri laterali. Questo profilo monumentale è oggi scarsamente visibile per la chiusura prospettica, causata dall’elevazione delle case addossate alle mura perimetrali dell’abitato antico. All’incontro delle due arcate era murata in origine l’iscrizione di Nicola Orsini. L’ingresso originario doveva avvenire da Piazza Colonna, in corrispondenza del grande finestrone bugnato, tramite una scala lignea amovibile. Nell’interno, da un lungo androne voltato si accede ad unica scala che serve le due ali del palazzo: la zona di rappresentanza, segnata dalla presenza di un ampio salone, e la zona domestica. L’edificio, suddiviso in appartamenti, è oggi di proprietà privata. Al tempo del dominio della Camera Apostolica deve invece risalire la costruzione e la sistemazione del Palazzo Camerale Nuovo che prospetta su Piazza Mazzini, collegato all’edificio vecchio con un arco su Vicolo Colonna».

http://www.nettunocitta.it/OPERE/nettuno%20la%20sua%20storia/CAPITOLI/011%20gli%20edifici%20antichi.htm (a cura di Giancarlo Baiocco)


Nettuno (palazzo Pamphilj)

Dal sito www.litoraleonline.it   Dal sito www.proloconettuno.it

«Si trova al centro del Borgo Medievale. Il primo nucleo risale presumibilmente al 1600, col nome di "Casino Cesi". è proprietà della famiglia Cesi fino al 1648. Il 30 settembre di quell'anno viene venduto da Federico Cesi, duca d'Acquasparta a Camillo della famiglia dei Pamphilj, originari di Gubbio, il quale lo amplia con una serie di acquisti di edifici contigui, fino a conseguire la forma attuale nel 1648-50. Per le suppellettili e attrezzature che vi sono contenute al momento dell'acquisto, si ritiene che fosse destinato all'attività vitivinicola, molto praticata nella zona, per l'esistenza di ottimi vitigni. Lo zio di Camillo è Giovan Battista Pamphilj, papa con il nome di Innocenzo X. Altri palazzi della famiglia sono a Roma il palazzo in piazza Navona (sede dell'ambasciata brasiliana), il palazzo in via del Corso (sede della galleria Doria - Pamphilj e dell'archivio di famiglia), la villa Bel Respiro; a Frascati la villa Aldobrandini-Belvedere; i palazzi di Valmontone e di Albano. La fortuna dei Pamphilj è favorita dalla madre di Camillo, Olimpia Maidalchini e dalla moglie Olimpia Aldobrandini, già vedova di Paolo Borghese. Oggi vi si può ammirare un pregevole ciclo di affreschi di Pier Francesco Mola (Coldrerio 1612-Roma 1666). Nel timpano delle finestre è scolpito il simbolo della famiglia: la colomba pamphiliana con il ramo d'ulivo e sugli stipiti il giglio. Sul portone d'ingresso è posto l'emblema gentilizio di Camillo e Olimpia Pamphilj-Aldobrandini, i tre gigli, la colomba con il ramo d'ulivo, la banda contromerlata con la stella a otto punte. Vi è un piano terreno, con circa trenta locali e il piano nobile, derivato dall'aggregazione di vari ambienti, dominati dalla Galleria. Il palazzo di Nettuno sale agli onori della cronaca, quando Giovan Battista Pamphilj-Aldobrandini vi ospita la corte pontificia, qui convenuta da domenica 21 a giovedì 25 aprile 1697, per procedere alla visita tecnico-estimativa del porto di Anzio. ... Nel 1847 il palazzo passa a Francesco Borghese-Aldobrandini, generale di Napoleone Bonaparte, che poi sposerà Adele de la Rochefoucauld (ad Adele sarà intitolata la Villa costruita ad Anzio). Con l'avvento dei Borghese, per l'opera benefica di Adele, il palazzo viene affidato alle Suore Francesi della Croce per dirigervi una scuola, ora retta dalla Chiesa Collegiata dei SS. Giovanni Battista ed Evangelista».

http://www.comune.nettuno.roma.it/turismo/visitare.php?visitare=15  (da C. Puccillo, Anzio delle delizie. Le dimore nobiliari, 1997)


Nettuno (torre Astura)

redazionale

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Angela Santaniello (https://www.facebook.com/angela.santaniello.12)


Nettuno (villa Borghese)

Dal sito www.villabellaspetto.it   Dal sito http://anzionettuno.info   Dal sito www.ilcastelloborghese.it

«Viene costruita, con il nome di Villa di Bell'Aspetto, nel 1648, ad opera del cardinale Vincenzo Costaguti (1612 - 1660), appartenente a una famiglia di banchieri originari di Genova, che si stabilisce a Roma nel 1585. Il fratello, cardinale Gianbattista (1636-1704), realizza a Roma la Cappella di S. Carlo ai Catilinari e la villa a Porta Pia. Il palazzo di famiglia in Roma affaccia su piazza Mattei, via della Reginella e piazza Costaguti. Nel 1697, il cardinale Costaguti vi ospita il papa Innocenzo XII, nella sua visita al palazzo Pamphilj di Nettuno. Tra gli ospiti illustri che la frequentano, figura la regina Cristina di Svezia. La villa rimane proprietà dei Costaguti fino al 1818, anno in cui il marchese Luigi la vende a Giovanni Torlonia. Subito dopo viene venduta a Camillo Borghese. Capostipite di questa famiglia, originaria dei Borghi di Siena, i cui simboli araldici sono l'aquila e il drago, era Marcantonio I (1504 - 1574), valente giureconsulto. ... Il parco viene disegnato verso il 1840. Successivamente Marcantonio realizza gli ampliamenti, ristrutturando il palazzo nel modo in cui si vede oggi. Nel 1895, Paolo rischia di perderne la proprietà per una procedura fallimentare. Interviene il fratello Giuseppe, che ricompra la vista all'asta e la immette nella dote della figlia Genoveffa. Quando Genoveffa sposa il cugino Rodolfo (1880-1963), figlio di Paolo, la villa ritorna nella linea primaria della famiglia. Il 19 agosto 1899, Paolo vende allo Stato italiano le collezioni artistiche della Galleria e del Museo di famiglia, pur di conservare la proprietà degli immobili. Dal matrimonio di Rodolfo con Genoveffa nasce Steno. Dopo la morte di Genoveffa, Rodolfo sposa, in seconde nozze Giulia Frascara, da cui nascerà Giovannangelo, l'attuale proprietario. Rodolfo è, dunque, il proprietario della villa nel 1903, quando Gabriele D'Annunzio vi trascorre l'estate e l'autunno, con la figlia Cicciuzza (Renata Montanara Albissola) e con Eleonora Duse e vi compone La figlia di Jorio e altre liriche. Nel patrimonio della villa entrano, poi, l'arredo e la biblioteca provenienti dal viceré di Napoli (famiglia Statella, per parte della moglie di Giuseppe, la madre di Genoveffa). Segue un periodo in cui la villa è tenuta in locazione da diverse famiglie.

Per un certo tempo il parco è stato aperto al pubblico, previo pagamento di un biglietto d'ingresso. In due stagioni si sono avuti più di 1.200 visitatori. Le visite venivano sospese nel periodo del taglio del fieno e della caccia alle quaglie. Nel 1925 è sottoposta a vincolo panoramico dal Ministero della pubblica Istruzione e ospita la visita di Benito Mussolini. Nel 1944, durante la testa di ponte di Anzio-Nettuno, nelle segrete della villa prende stanza il quartier generale avanzato del 6° Corpo della V Armata americana. Nel 1978 Steno Borghese cede gratuitamente al Comune di Nettuno quattro ettari di parco, della zona a monte, da destinare a verde pubblico, mentre il parco e la villa sono riconosciuti e vincolati come monumento nazionale. La struttura architettonica dell'edificio conserva un impianto severo rimasto pressoché inalterato nel corso dei secoli, riflette l'essenzialità degli interni privi di qualsiasi partito decorativo, mentre gli arredi con la ricca biblioteca provengono dal Palazzo Statella a Napoli. L'austera predominanza del pieno sul vuoto ne fa un esempio di palazzo mastio, dove è difficile rilevare particolarità architettonico-stilistiche. Il portale d'ingresso è su stipite a bugne con mascherone in chiave di piattabanda, con il rilievo delle tre stelle del cardinale Costaguti. Nel parco sono rimasti il castelletto e una torre ottagona (torre dei venti o torre del forno), con volta a cupola, provvista di oculo. Alla fine del settecento, Marcantonio III dedicava alla villa queste righe: "Chiunque tu sia, o straniero, purchè uomo libero. Non temere qui punto le catene delle leggi. Passeggia dove vuoi, cogli ciò che desideri, ritirati quanto ti aggrada. Tutto qui è disposto per il godimento degli stranieri prima ancora che per il proprietario" (dal volume Anzio delle delizie - Le dimore nobiliari, di Cesare Puccillo, Centro Studi Neptunia, agosto 1997)».

http://www.litoraleonline.it/cose-da-vedere/musei-e-monumenti/villa-borghese-a-nettuno


Olevano Romano (castello Colonna)

Dal sito www.comune.olevanoromano.rm.it   Dal sito www.escursioniciociaria.com

«Olevano Romano, un'oasi di tranquillità in posizione panoramica, territorio di eccellenza del Vino Cesanese. Il caratteristico Borgo Storico è ubicato sul monte Celeste, ai margini del complesso montuoso prenestino-lepino-ernico, al confine fra la provincia di Roma e quella di Frosinone. Di particolare interesse Storico è la Chiesa di S. Margherita, risalente al IX secolo d.c., più volte restaurata ed ingrandita e sotto il cui altare è conservato il corpo di S. Vittore. Nel cuore del Borgo troviamo il nucleo medioevale con il palazzo baronale (di proprietà privata), i resti del castello ancora dominati dall'antica torre e la chiesetta di S. Maria di Corte, costruita da Oddone Colonna nella prima metà del '300. Si consiglia di salire sulla torre baronale da dove si può ammirare tutta l'Alta Valle del Sacco. ... Il centro di Olevano Romano affonda le sue radici in epoca anteriore al medioevo e testimonianza è data da una evidente archeologica monumentale di grande rilievo: si tratta dei resti della poderosa cinta muraria in opera poligonale, realizzata in grossi blocchi rozzamente squadrati in pietra locale, d'incerta datazione ma riferibili ad epoca anteriore alla romanizzazione del territorio. Diviene "castrum" in pieno medioevo: compare con tale appellativo in un atto di vendita, stipulato nel 1232 fra Oddone Colonna, nuovo signore di Olevano e Papa Gregorio IX (1227-1241). Risale a questo periodo la costruzione del Castello, edificato sull'alto sperone di roccia calcarea a difesa del borgo. Dopo i Colonna il feudo passò prima al Comune di Roma che nel 1364 emanò gli Statuti della città e poi,agli Orsini per concessione di papa Bonifacio IX».

http://www.escursioniciociaria.com/ita/olevano-romano-prov-di-roma


Ostia (castello di Giulio II)

a cura di Marisa Depascale

  

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Valentino Privitera (https://www.facebook.com/valentino.privitera)   Foto di Valentino Privitera (https://www.facebook.com/valentino.privitera)  ---  Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)

Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)   Foto di Massimo Ardillo (https://www.facebook.com/massimo.ardillo)


OSTIA (Tor di Valle)

Dal sito www.agroromano.net   Dal sito www.google.com/maps

«Si trova nell’area sud della città, a ridosso del fiume Tevere. La zona è caratterizzata dalla sua locazione, in un’ansa ristretta del fiume Tevere e dalla presenza dell’Ippodromo Tor di Valle. Sulla Via Ostiense si trova ancor oggi, restaurato (vi sorge una chiesa evangelista e un bar) un casale-torre noto come Turris della Vallora più tardi Palazzetto di Torre della Vallore, indicando come Vallore quegli ampi prati posti nell’ansa del Tevere (attuale Ippodromo). Il casale, che presenta tracce di fortificazione, è prospiciente ad un ponte romano del II secolo a.C. perfettamente conservato. Il ponte è visibile soltanto dall’adiacente pista ciclabile, in quanto è nascosto dalle strutture della via del Mare, che scorre proprio sopra di esso. La circostante tenuta di Tor di Valle era immensa ed i proprietari erano più di uno, ma ognuno prevalentemente la utilizzava a pascolo. Fino ai primi anni del XIX sec. apparteneva in gran parte al Collegio Germanico. Sull’area sono sorti il complesso dell’ippodromo e la prima centrale di Cogenerazione e Teleriscaldamento».

http://iltaoaroma.altervista.org/tor-di-valle/


OSTIA (Tor San Michele)

Dal sito www.turismoroma.it   Foto di Alessandro Colombi, dal sito www.ia-ostiaantica.org   Dal sito http://digilander.libero.it/agronauta

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Antonio Minelli (https://www.facebook.com/antonio.minelli.77)

«Lo straripamento del Tevere nel 1557 comportò un notevole mutamento nelle condizioni del nostro territorio, spostando il corso del fiume verso settentrione e provocando un avanzamento della costa, nei pressi del suo delta, di oltre un chilometro. Il sistema difensivo locale subì ingenti danni che determinarono la decadenza della rocca di Giulio II, venutasi a trovare troppo distante dal fiume e quindi non più in grado di assolvere le sue funzioni doganali. Notevole era in quegli anni la paura di incursioni da parte dei pirati, che spinse il pontefice Pio IV ad incaricare l'architetto Francesco Laparelli della revisione di tutto il sistema difensivo costiero. Il ruolo di presidio fortificato del Tevere fu quindi assunto dalla medioevale Tor Boacciana, una delle più importanti vedette costiere della zona, in attesa che venisse edificato, presso l'idroscalo di Ostia, il maschio di Tor San Michele. La costruzione della struttura, progettata da Michelangelo Buonarroti, ebbe inizio nel 1559 e fu terminata nel 1568, durante il pontificato di Pio V, da Giovanni Lippi, che subentrò a Michelangelo dopo la sua morte. L'edificio a pianta ottagonale ha un'altezza di 18 metri ed un perimetro di 96, è totalmente casamattato e dislocato su tre livelli, ognuno comprensivo di otto vani con volta a crociera. Originariamente era circondato da un fossato con un doppio sistema di ponti levatoi. La peculiarità della torre è costituita dalla terrazza, sede della piazza d'armi, il cui massiccio cornicione sporgente è sostenuto da beccatelli in muratura. La pavimentazione di tale terrazza è obliqua, per permettere un migliore scorrimento dei proiettili incendiari e vanta un'apertura circolare del diametro di otto metri. La struttura è stata soggetta a vari restauri nel corso degli anni. Nel 1930 ha visto l'aggiunta di finestre sulle mura esterne. Adibita a faro per un lungo periodo, è stata poi occupata dai tedeschi ed in seguito dagli americani durante la seconda guerra mondiale».

http://www.comune.roma.it/pcr/it/xiii_schede_territ_34.page


Ostia (torre Boacciana)

a cura di Marisa Depascale


Palestrina (palazzo Colonna Barberini)

Dal sito www.bta.it   Dal sito www.visitpalestrina.it

«Per la sua storia, il suo stato di conservazione e la sua posizione, Palazzo Colonna Barberini è certamente uno dei più importanti monumenti di Palestrina.
Fatto costruire dalla famiglia Colonna nell’XI sec. sui resti del santuario della Dea Fortuna Primigenia, il palazzo fu distrutto due volte insieme alla città: nel 1298, per ordine di papa Bonifacio VIII, e nel 1437, ad opera di Papa Eugenio V. Ricostruito tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, nel 1630 fu venduto dai Colonna alla famiglia Barberini insieme all’intero feudo prenestino. I Barberini intrapresero una serie di lavori sul palazzo, tra cui la realizzazione della chiesa di Santa Rosalia. Dopo la seconda guerra mondiale, il palazzo venne in parte acquistato dallo Stato, che nel 1956 lo trasformò nel Museo Archeologico Nazionale di Palestrina. Il palazzo fu costruito dai Colonna riutilizzando le strutture superiori del santuario della Dea Fortuna Primigenia intorno al 1050, periodo in cui la famiglia Colonna si insediò a Palestrina. L’edificio subì una prima distruzione nel 1298, quando Palestrina, dopo un assedio durato quasi un anno, fu rasa al suolo per ordine di Bonifacio VIII, in conflitto con i Colonna che si erano opposti alla sua elezione. Di questo periodo è un documento di sottomissione al papa, dal quale si deduce che il palazzo, avendo due torri ai lati, svolgeva la funzione di fortezza militare, in una posizione di dominio della città e della campagna sottostante. La città fu presto ricostruita, e con essa la residenza dei Signori di Palestrina. Una seconda rovinosa devastazione arrivò nel 1437, quando papa Eugenio IV, entrando in discordia con i Colonna, diede ordine al cardinale Vitelleschi, capo delle truppe pontificie, di muovere su Palestrina. Il successore di Eugenio IV, papa Niccolò V restituì ai Signori prenestini il feudo e acconsentì alla ricostruzione del palazzo e della città. La ricostruzione avvenne tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento. Durante questo periodo Francesco Colonna fece aggiungere al centro della scalinata semicircolare il pozzo ottagonale fiancheggiato da due colonne. Sembra che intorno al 1450 abbia soggiornato nel palazzo Leon Battista Alberti, il famoso umanista e architetto.

Il palazzo si distingue dalle altre costruzioni romane erette su antichi monumenti per la scelta consapevole della sua forma, che rappresenta una sintesi voluta tra antico e moderno, un felice prodotto della progettazione rinascimentale che influenzò addirittura il Bramante, il quale ne ripropose l’aspetto del Belvedere del Vaticano. Nel 1630 i Colonna vendettero la città e il palazzo a Carlo Barberini, fratello di Urbano VIII, per 775.000 scudi. L’edificio fu fatto ristrutturate da Taddeo Barberini, e assunse la forma attuale nel 1640, anno in cui il cardinale Francesco, fratello di Taddeo, vi collocò il celebre mosaico del Nilo. Dopo pochi anni fu edificata su progetto dell’architetto Francesco Cortini l’adiacente chiesa di Santa Rosolia, commissionata dal figlio di Taddeo, il principe Maffeo Barberini. La chiesa conservò fino al 1939 la Pietà di Palestrina, scultura attribuita a Michelangelo Buonarroti, attualmente esposta nella Galleria dell’Accademia di Firenze. Nel 1977 una copia della Pietà fu collocata nella navata sinistra della Cattedrale di Sant’Agapito, Duomo di Palestrina. In alcune sale del palazzo si conservano degli affreschi attribuiti alla scuola degli Zuccari. Al primo piano, nella sala a sinistra dell’atrio, è possibile ammirare una volta in cui è raffigurato, al centro, il Parnaso con Apollo tra le nove Muse, mentre ai lati sono ancora visibili il carro di Venere tirato da colombi e quello di Giunone tirato da pavoni. Al secondo piano, le pitture delle sale IX e X sono composte da una serie di quadri con scene mitologiche (Polifemo), bibliche (Sodoma e Gomorra), storiche e mitologiche (cavallo di Troia, Pirro, Orazio, Colchide, Attilio Regolo, Muzio Scevola ecc.). è inoltre da segnalare una veduta di Palestrina all’inizio del XVII, dove in particolare è visibile anche il palazzo baronale senza ancora l’aggiunta del corpo centrale. Sullo stesso piano, nell’area occidentale, si trova la cosiddetta sala dei Trofei (sala XII), decorata quando il palazzo era ancora proprietà dei Colonna, poiché lo stemma di famiglia compare ancora nelle mensole dei sottotravi e sulle pareti, ricoperto da quello dei Barberini. La decorazione di questa sala fu eseguita in due tempi: in origine doveva essere composta da un fregio sulla parte alta delle pareti, con riquadri di paesaggi alternati a pannelli con motivi di tradizione classica; in un secondo tempo fu dipinta la parte sottostante con una serie di trofei con armi alternati a cariatidi e telamoni sorreggenti un baldacchino frangiato. Nella sala che segue, oltre a un camino in marmo cinquecentesco, è da notare una porta, oggi murata, che dava accesso all’appartamento di Urbano VIII, rimasto di proprietà della famiglia Barberini. La porta ha stipiti e architravi in pietra, e un soprapporta nel quale è scolpito un disco solare, insegna dei Barberini».

http://madebyloko.com/workinprogress/nearrome/mappa/palazzo-colonna-barberini


Palestrina (porta del Sole, porta San Martino)

Porta del Sole, dal sito www.coidsrl.it   Porta San Martino, dal sito http://viaggi.virgilio.it

«Porta del Sole, realizzata nel 1642 per volere di Taddeo Barberini in sostituzione della precedente Porta San Giacomo, prende il nome dallo stemma araldico della famiglia visibile sull’architrave, nonché dalla sua posizione sul lato orientale delle mura. Oggi – come in passato – rappresenta uno dei punti nodali di accesso al centro storico di Palestrina. Gli scavi del 2005 hanno condotto alla scoperta di un tratto delle mura urbiche in opera poligonale di calcare appartenente ad un rifacimento della cinta difensiva databile al III secolo a.C. In basso è visibile anche lo stipite in tufo dell’antica porta. Verso la metà del II secolo a.C. il muro difensivo venne sfruttato per costruire una rampa basolata che andava ad addossarsi al muraglione in opera quadrata di tufo; questa rampa andò ad arricchire e integrare tutto il complesso monumentale dei cosiddetti propilei (poco più in basso), segnando un momento di ulteriore rifacimento delle mura difensive sul lato meridionale della città. Nonostante la fase urbanistica medio-repubblicana sia poco conosciuta, sappiamo che nell’immediato suburbio, appena fuori Porta del Sole, esisteva un santuario dedicato a Giunone “Palotsca” (della palude) che aveva un culto associato ad un’altra divinità italica: Turpenus Pater. ... La Porta di San Martino si apre nella cinta medievale di Palestrina, costruita per lo più sulla linea di quella antica in opera poligonale e quadrata. La porta, infatti, corrisponde quasi esattamente al principale accesso occidentale alla città già in età antica, che, seppur murato, è ancora visibile oggi nel muraglione in opera quadrata che si conserva alla sua destra e che proteggeva la città su questo lato. Le parti tufacee in Opus Quadratum del circuito difensivo delle fortificazioni costituiscono la fase più tarda (III-II sec. a.C.) delle mura originarie, queste ultime realizzate in opera poligonale e pietra calcarea e risalenti all’epoca tardo-arcaica (inizi V sec. a.C.). Attraversata Porta S. Martino, proseguendo lungo il corso Pierluigi, si raggiunge piazza della Liberazione, sotto la quale si conservano le fondazioni di un tempio a pianta rettangolare datato all’età tardo-repubblicana. L’edificio, caratterizzato da una cella centrale con ante prolungate, aveva una doppia fila di quattro colonne sulla fronte e sei sui lati lunghi. Alle spalle era privo di colonnato. L’impostazione planimetrica trova un confronto stringente con il Tempio C di Largo Argentina a Roma nella sua fase del III sec. a.C.».

http://www.archeopalestrina.it/la-porta-del-sole-e-le-fortificazioni - ...porta-san-martino


Palo LAZIALE (castello Odescalco-Orsini)

Dal sito www.exclusivevent.it   Dal sito www.castelloodescalchi.com   Dal sito www.castellidelazio.com

  

«l primi documenti in cui si menziona un "Castellum" e un "Castrum" Pali risalgono al 1254 e al 1330 quando Palo appare, rispettivamente, come proprietà dei Normanni e dei Monaci di S. Saba. Costruito molto probabilmente sotto il pontificato di Pio Il Piccolomini, nominato Papa il 19 Agosto 1458, il Castello, in seguito alle lotte baronali del XV sec. che videro implicata la casata Orsini, fu diroccato ed è "dirutum" quando, nel 1509, Prospero D'Acquasparta lo vendette in nome di Giulio Orsini a Donna Felice Orsini della Rovere, con la sua Tenuta, per la somma di 9. 000 ducati. Notevoli restauri furono eseguiti, tra il 1513 e il 1521, per volere di Leone X che soleva dimorare nel Castello durante le sue partite di caccia nel bosco di Palo. Le iscrizioni insigni lasciate sui soffitti, sulle finestre e sulle porte ne sono una testimonianza più che eloquente. In un volume dell'Archivio della Tesoreria Apostolica, dove sono annotate le spese private di Leone X, si legge che il Papa si servì, per i lavori a Palo, dell'opera di Giulian Leno e Gian Francesco da Sangallo. Durante il decennio 1560-70, il Castello di Palo fu tra le fortificazioni costiere che subirono notevoli modificazioni ad opera del programma di riordinamento difensivo dello Stato pontificio. È in questi anni che il Castello, con ogni probabilità, fu dotato di una fronte bastionata come quello di Bracciano. Nel 1563, infatti, Pio V stabilì che fossero rafforzate le torri litoranee e in un documento del 1567, intitolato Breve sumario delle torri che si hanno da fare, elenca, tra quelle che devono essere costruite oppure restaurate, Astura, Civitavecchia, Ostia, Palo e S. Severa. Nel 1573 Paolo Giordano l Orsini vendette il Castello al Cardinale Alessandro Farnese per 25. 000 scudi, ma ritornò poco dopo agli Orsini ai quali lo restituì, nel 1589, il granduca di Toscana Ferdinando dei Medici. A sostenere le spese per la Tenuta erano i fratelli Flavio e Lelio Orsini, proprietari di Palo nell'ultimo decennio del XVII sec., che, pressati dai creditori, si rivolsero alla Congregazione dei Baroni per ottenere il riconoscimento dei loro diritti e furono costretti da quest'ultima a vendere il Castello, con tutte le sue pertinenze e diritti, a Livio I Odescalchi per il prezzo di 120.000 scudi. La vicinanza con Roma e la particolare posizione amena sul mare fecero di Palo un luogo di piacevole soggiorno per il proprietario che prese subito a cuore il riassetto del Castello ed in particolare la sistemazione accessoria esterna al Palazzo.

Nel 1713 Livio I muore senza lasciare eredi diretti. Il suo successore Baldassarre I venderà, nel 1715, il Castello, insieme alla Tenuta di Palo, al genovese D. Grillo, duca di Giuliano. Il Castello di Palo subì, in seguito, le sorti del patrimonio del Duca di Giuliano e alla sua morte passò al marchese di Trevico, Carlo Loffredo, suo erede testamentario. La lontananza dal luogo e gli oneri per la manutenzione della stessa Fortezza spinsero quest' ultimo a cedere il castello a Livio II Odescalchi, figlio di Baldassare nel 1715. Negli anni 1792-93 gli avvenimenti maturati in Francia facevano temere un attacco contro lo Stato Pontificio con possibili sbarchi sul litorale laziale. Rapidi accordi intercorsero fra la Segreteria di Stato e il Tesoriere Generale per approntare sollecitamente un piano di difesa, che comportava un immediato dislocamento di truppe ed armamenti. Il piano, redatto il 14 ottobre 1792 da mons. Ruffo, prevedeva l'assegnazione alla guarnigione di Palo di ben 250 uomini, oltre agli ufficiali, i sottufficiali e quattro artiglieri. Le guarnigioni pontificie rimasero nel castello fino a quando una perizia del 1846 ci permette una ricostruzione abbastanza dettagliata dello stesso Forte. Nel 1849 venne proclamata la Repubblica Romana e papa Pio IX, esule a Gaeta, sollecitò l'intervento delle forze cattoliche europee per aiutarlo a rientrare a Roma. I Francesi, sbarcati a Civitavecchia, nell'aprile del 1849, stanziarono una guarnigione a Palo. Negli anni successivi si assiste al declino dello Stato Pontificio e alla fine del potere temporale dei Papi, segnato, nel 1870, dalla Presa di Roma. Le fortificazioni costiere, tra cui quella di Palo, che per tanti secoli avevano svolto, pur fra molte difficoltà, il loro dovere di vigilanza a servizio del Pontefice, persero tale funzione. Così, in una descrizione del 1880, il Guglielmotti riporta del Castello di Palo: "Come dal primo ingresso, così dal resto dell'edificio potete riconoscere ogni membro sviato dall'architettura militare alla civile: gli alloggiamenti ridotti a sale, i quartieri a cucine, le batterie a gabinetti; e sulla piazza alta del ballatojo, non più intorno alle armi e ai pezzi le sentinelle ma gli ospiti avventurosi intorno alle seggiole e ai trespoli, quando spira più dolce la brezza marina". Possessore del Castello è in questo periodo Ladislao I, figlio di Livio III, sotto il quale il Castello, con il rifacimento derle finestre del fronte settentrionale, assunse l' aspetto attuale. Oggi il castello continua ad essere abitato dalla famiglia Odescalchi».

http://www.castelloodescalchi.com/ (Da Alsium a Ladispoli di Federico Castellano e Annamaria Conforti)


Palombara Sabina (castello Savelli Torlonia)

Dal sito www.comune.palombarasabina.rm.it   Dal sito https://www.facebook.com/pages/Castello-Savelli-di-Palombara-Sabina

  

«Il castello Savelli Torlonia è una struttura difensiva sita a Palombara Sabina, in provincia di Roma. Il castello è sito nel punto più alto del cocuzzolo dove si sviluppa il centro abitato: le vie a spirale che lo attraversano partono dal castello e lo collegano direttamente con le vie principali che vanno a Roma, la Via Salaria e la Via Tiburtina. Nel registro sublacense risulta menzionato in un documento del 1064: il nucleo originario, probabilmente, è stato edificato dagli Ottaviani, ramo dei Crescenzi: era a pianta quadrata e vasto circa un ettaro. Nel 1180 vi viene arrestato l'antipapa Innocenzo III. Nel 1250 i vecchi conti proprietari del castello lo cedono a Luca Savelli, nipote di papa Onorio III, da cui il castello prende parte del nome. Dopo questo passaggio di proprietà, tra il Duecento ed il Trecento vi si praticano numerosi rimaneggiamenti e ampliamenti, in particolare attorno alla torre di guardia medievale, mentre il camminamento del Muro del Soccorso, un camminamento fortificato, subirà drastiche modifiche nella seconda metà del Quattrocento. Nel 1310 il castello diventa sede di un tribunale per il giudizio dei Templari. Nel Cinquecento, Troilo Savelli fa ricostruire il castello, rinforzandolo e facendo affrescare le stanze interne e la cappella. Dal Seicento fino alla metà del Novecento, infine, continua a cambiare proprietari, finché nel 1971 viene venduto al Comune di Palombara. Attualmente, il castello è sede di una biblioteca e di un museo naturalistico. Con ben 132 ambienti su un'area di 10.000 metri quadrati, si tratterebbe del castello più grande del Lazio. Malgrado i ripetuti ed estesi ampliamenti praticati nel corso dei secoli, comunque soprattutto fra il Duecento e il Trecento, il castello mantiene ancora oggi l'aspetto medievale poiché sono state sempre impiegate le stesse tecniche edili, nonché gli stessi materiali. La struttura del castello appare molto complessa e ricca di edifici annessi, il tutto dominato dall'alta torre di guardia in muratura con coronamento a caditoie. Gli affreschi visibili tuttora nelle sale interne sono quelli riconducibili alla volontà di Troilo Savelli e sono opera di Baldassarre Peruzzi, suo conoscente. Fra le varie pitture del castello si ricordano quelle nello studio, dove vi è una serie di ritratti di eroi romani, tra cui Attilio Regolo, con ogni ritratto segnato da frasi di elogio del personaggio ritratto e separati da teste di buoi marroni su sfondo verde. Sempre nello studio, il soffitto è decorato da affreschi grotteschi costituiti da disegni di putti che sovente si trasformano in foglie di acanto. In un piccolo studiolo separato vi sono delle allegorie delle arti liberali: astronomia, musica, retorica, aritmetica, geometria e dialettica».

http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Savelli_Torlonia


Palombara Vecchia (resti del borgo-castello di Castiglione)

Dal sito www.salutepiu.info   Dal sito www.controluce.it

«Percorrendo la S.S. 636 da Palombara Sabina a Moricone, dopo circa 500 metri dal bivio con la strada che sale al centro di Palombara, si stacca sulla destra una stradina asfaltata. Chi proviene da Moricone troverà questa stradina sulla sinistra, 500 metri prima del bivio per Palombara. Percorrendo questa strada, stretta e alquanto ripida, si giunge ad un primo bivio dove si dovrà girare a destra e ad un secondo dove si dovrà svoltare ancora a destra. La strada, con il fondo a tratti in pessime condizioni è lunga circa 1,4 chilometri e termina all’altezza di una piazzola. Parcheggiata l’auto, si prosegue a piedi e ad una biforcazione si prende a sinistra. Giunti ad una barra d’ingresso, la si supera e a pochi passi troviamo l’ingresso ai ruderi. Davanti ai nostri occhi si presentano subito le grandi mura del castello posto al centro dell’insediamento. Questo bellissimo esempio di castrum medievale, il più interessante di tutta l’area dei Monti Lucretili, è sorto probabilmente sui resti di una villa romana e risale alla seconda metà del XII secolo. Il primo documento ufficiale dove troviamo la presenza di Castiglione (o Castrum Castillonis) è datato 1276 dove un ricco proprietario terriero, Rinaldo di Palombara, compare come proprietario del castrum e delle terre limitrofe. Si presume che Rinaldo fu anche il fondatore del primo nucleo del castello con annesse le costruzioni adibite a ricovero e a deposito di vari materiali. Alla fine del XIII secolo il castrum passa di proprietà venendo acquisito da Giacomo Savelli salito al soglio pontificio con il nome di Onorio IV. La famiglia Savelli tenne la proprietà fino agli inizi del XIV e a seguire, per circa un secolo, passò di mano più volte tra i Della Valle e gli stessi Savelli. Le ultime notizie di Castiglione come centro abitato le abbiamo fino ai primi anni del 1400 e nel 1419 risulta come un castello disabitato. Costruito molto probabilmente in un unico breve periodo, il castello presenta quasi intatta la sua cinta muraria che, munita di bellissimi merli, racchiude un’area di circa 1200 metri quadri. All’interno di questa piccola cerchia si possono osservare le rovine del vecchio insediamento e, sul lato nord, una grande cisterna costruita con il materiale recuperato dai resti della preesistente villa romana. Tra le particolarità di questo centro, abitato per pochissimo tempo, è la presenza sin dall’XI secolo di una pieve rurale, usata come romitorio, dedicata a San Martino e rimasta in uso fino alla fine del 1600, quando il castrum era già disabitato da due secoli. Il territorio intorno al castello è invece caratterizzato da particolari terrazzamenti costruiti in epoca romana per livellare quei terreni che presentavano un forte declivio. Questa grande opera serviva per rendere meglio coltivabili le scoscese pendici del Monte Le Carbonere e non è da escludere che questi terrazzamenti venissero utilizzati anche durante il periodo in cui intorno al castello fervevano le attività sia agricole che pastorali».

http://www.lazionascosto.it/castiglione_di_palombara.html


Passerano (castello)

Dal sito http://omp-040.openmark.it/territorio/   Foto di Gengis, dal sito https://plus.google.com

«Il pittoresco castello di Passerano si erge su di un'alta rupe dalle pareti tagliate a picco che domina l'ampia vallata che si estende tra i due fossi dell'acqua Nera (o del Pantanello) e di Passerano (o della Val Inversa), circa al km 8,000 della Maremmana II. Passerano è comunemente identificato con l'antica Scaptià, una delle più rustiche tribù dell'antica Roma. Dove sorge il castello, invece, esisteva la villa romana Ashby, alla quale sono fatte risalire le tracce nei muri perimetrali del castello. L’ingresso è segnato da vetuste querce lungo il fosso della Val Inversa. Entrando si costeggiano latomie abbandonate di pozzolana, quindi si giunge nel piazzale dell’azienda agricola che fa parte della tenuta omonima. I fabbricati rurali intorno al piazzale danno un’idea dell’aggregato di casette rustiche che nel medioevo dovevano concentrarsi ai piedi del castello e sul poggetto a Nord, separato da un taglio e traforato da vani rupestri utilizzati come stalle e ricoveri. Un arco in posizione eminente, su una lunga scalinata, con a sinistra i resti di un baluardo, immette nel piazzale superiore sotto il palatium turrito. Dal piazzale un elegante portale bugnato ad arco immette in un cortile cinto da mura merlate fiancheggiante l'intera rupe oblunga del castello fino al torrione pentagonale sud, che fa da pendant al palatium. Qui è un altro portale bugnato attribuibile come il primo all'epoca dei Colonna, o dei Pallavicini; il recinto murario invece è costituito di un tratto risalente al XIII secolo (proprietà di S. Paolo), con regolare cortina a bozzette rettangolari c.d. “saracinesca”, e di parti aggiunte posteriormente, tra cui le due torrette rotonde ad angolo sotto il maschio ellittico. La parete della rupe solo a Nord è rivestita di muro, per il resto mostra la viva roccia su cui poggia il recinto del giardino pensile. Questo presenta tre tipi di murature: “Saracinesca” al centro, in blocchi quadrangolari (lato cm. 40) di tufo lionato verso Sud e a sassi irregolari nell'elevato. Dal piazzale parte una rampa sostenuta da un arcone che sale al piano nobile, che presenta da un lato il possente maschio ellittico, dall'altro una robusta torre quadrata (coronamento ad archetti di restauro) impostata sul palatium vero e proprio; questo prospetta sulla Maremmana con una parete finestrata e una guardiola (a difesa della rampa) sorretta da un arco a tromba. Il lato verso il giardino pensile è stato invece alquanto modificato dai restauri del Quintieri (1968): gli archetti pensili sono stati eliminati, la vela sulla torre campanaria della cappella sostituita con un coronamento merlato e spostata sul vano ascensore costruito accanto al maschio; vi è stato anche un generale rifacimento dei merli guelfi su tutti i muri di cinta.

Già ai primi del '900 invece il maschio su cui è murato lo stemma dei Colonna con la data 1536, era coperto, secondo una soluzione molto innaturale, con due falde di tetto displuviate. Quanto all'epoca, il nucleo del palatium deve risalire al primitivo impianto del castello, mentre il maschio insieme alle altre torri circolari, può essere datato agli inizi del Cinquecento e attribuirsi a un generale piano di ristrutturazione e abbellimento voluto dai Colonna (sono elemento guida gli eleganti marcapiani a cornice tonda e i rinforzi a scarpa). L’interno, abitato fino a qualche anno fa dalla marchesa Sciarra, erede Quintieri, non presenta particolarità di rilievo, tranne la cappellina e una grande sala) mentre, estremamente suggestivo è il giardino pensile che, chiuso da un recinto merlato, si estende dal palazzo alla torre pentagonale dall’altissima scarpa. Al centro del lato sulla Maremmana è una torre circolare (sec. XV) con coronamento merlato a sporto. ... Nel periodo in cui Passerano fu del monastero di Subiaco, sembra che servisse anche come prigione del comune di Roma (rinchiusi nel castello-prigione citiamo l'antipapa Maurizio da Burdino ovvero papa Gregorio VIII, Brancaleone Degli Andalò senatore di Roma, Giacomo Dei Sordi). Nel 1433 il castello fu venduto da Martino V per il poco reddito che dava, così passò a Giovanni Colonna. Nel 1433 il castello era di Sveva Orsini, vedova di Stefano Colonna (ucciso per mano del nipote Salvatore) e, nel 1436, il cardinale Vitelleschi tolse la proprietà con forza a Lorenzo Colonna. Ai Colonna il possesso del castello ritornò nel 1445 con la conferma di papa Niccolò V a Stefano Colonna junior. Nel 1523 Onofrio Orsini ne acquistò una parte dallo stesso Stefano. Nel 1622 Pierfrancesco Colonna vende Passerano al cardinale Ludovisi, il quale lo vendette poi ai Rospigliosi nel 1670. La famiglia Rospigliosi conservò la proprietà fino al 1923. Negli ultimi tempi è di proprietà della regione Campania».

http://api.culturalazio.it/montiprenestini/gallicano-nel-lazio.aspx


PERCILE (palazzo baronale)

Dal sito http://comune.percile.rm.gov.it   Dal sito http://comune.percile.rm.gov.it

«Le prime notizie su Percile sono riportate nella vita di S. Silvestro I, pontefice dal 314 al 335; Anastasio il Bibliotecario (antipapa nell’anno 855) nomina il “fundum Percilianum in territorio Sabinensi”. A partire dal sec. X i nobili locali favorirono la costruzione di centri fortificati sulle alture per il controllo della regione: Roccagiovine, Licenza, Civitella, Percile, Castel del Lago, Petra Demone, Spogna. Queste rocche delineavano il confine fra le diocesi di Sabina e di Tivoli. Con la sottomissione di quest’ultima, da parte di Ottone III, Farfa, quale Abbazia imperiale, venne a beneficiare di una larga zona di possedimenti tiburtini. Nel 1011 circa 1500 moggi di terreno coltivabile vennero donati da Ottone, conte di Sabina, figlio di Ottaviano con il consenso della moglie Doda, figlia di Rainaldo conte dei Marsi. è proprio la donazione dell’anno 1011, scritta da Guido abate di Farfa e riportata nel Regesto farfense n. 650, il più antico documento su Percile. Nel 1110 il castello di Percile, con le sue pertinenze, venne donato dal nobilis vir Beraldo figlio del conte Crescenzio e dalla moglie Domenica all’Abbazia di Farfa, oggetto della sua spettanza da Azo di Guerrone nel 1033. Con la Bolla di Urbano IV, del 1262, il castello è confermato all’Abbazia. Dopo quella data passò agli Orsini. Con atto datato 5 maggio 1275 Matteo Rosso fu Napoleone, Giangaetano, Orso e Giacomo figli di Matteo donano i loro beni in Percile a Giacomo, Napoleone, Fortebraccio e Francesco Orsini figli di Giacomo. Bonifacio IX, con Bolla del 1400, accordò a Giacomo Orsini, conte di Tagliacozzo una riduzione delle tasse del sale e del focatico sul feudo di Percile insieme ad altri castelli. In data 16 luglio 1596 venne approvato dal cardinale Benedetto Giustino, per ordine di Clemente VIII, lo Statuto già predisposto sotto la giurisdizione degli Orsini ma entrato in vigore quando il feudo era stato venduto alla famiglia Degli Atti di Todi. Il 5 febbraio 1608, con istrumento Bulgarini, Alessandro De Aptis ed i figli Angelo e Antimo cedono il castello a G. Battista e M. Antonio Borghese. La signoria dei Borghese si mantenne fino all’abolizione della feudalità. Al castello di Percile, rappresentato dal palazzo Borghese e dall’adiacente Chiesa di S. Lucia, simbolo dei due poteri, si affiancano le vicende di Castel del Lago che sorgeva nel territorio dei “Lagustelli” ...».

http://www.cmaniene.it/comuni/percile


PISONIANO (torrione)

Dal sito www.comunitamontanativoli.org   Dal sito www.tibursuperbum.it

«Tutti gli storici che hanno trattato di Pisoniano affermano che l'origine ed il nome del paese sia derivato da una villa del famoso console Lucio Calpurnio Pisone, implicato nella congiura contro Nerone, esistita nei dintorni del paese. Non è quindi improbabile l'opinione comune degli storici, confermata sempre dalla viva e perenne tradizione popolare, che proprio nella località chiamata ora "Rotte" ("Le Grotte") sorgesse la villa del famoso console Pisone il quale ivi si rifugiò dopo la congiura e da questo poi abbia preso il nome il paese. La presenza di questa villa fece denominare "Vicus Pisonis" tutto il nucleo abitato ivi esistente (villa patrizia ed alloggi annessi per il numeroso personale di schiavi e liberti). Successivamente testimonianze storiche accompagnano la crescita, le modificazioni e le vicende del paese lungo il Medioevo, sopratutto come feudo sublacense. Dal "Castrum Pisciani" del XIII secolo si passa alle tragiche vicende del saccheggio del 1484 da parte del Riario e dopo varie e molteplici vicissitudini, Pisoniano, insieme ad altri feudi, fu ceduto dal contestabile Marcantonio Colonna alla famiglia dei Massimi che lo tennero fino al 1572 quando lo cedettero al nobile prelato di Camera Apostolica Girolamo Theodoli unitamente a S. Vito e Ciciliano. I Theodoli eressero il loro palazzo munendolo di un torricello a scopo difensivo che dette al rione adiacente il nome di Castelluccio. Il torrione è crollato il pomeriggio del 2 novembre 1969».

http://web.tiscali.it/pisoniano/paese.htm


Poli (palazzo dei Conti)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito http://spazioinwind.libero.it/danilobrugnoli

«Il Palazzo, a forma quadrangolare, si eleva su un blocco tufaceo, ed è formato da due costruzioni: una più antica, posteriore, verso levante, e l’altra, anteriore, verso ponente, più moderna, entrambe riunite ed aventi un unico portone, preceduto da un portico. Il Palazzo risulta articolato all’interno nella successione di un androne ornato di grottesche, di un cortile, con pitture e con un fontanone, dal quale si accede all’appartamento di Torquato I; dall’androne parte un’ampia scalinata, coperta a volta, che porta in un ballatoio, con pareti e volte dipinte, che dà accesso al piano nobile, con alcuni ambienti decorati ad affresco e con la cappella privata. La zona più antica, verso levante, conserva le mura e le finestre della Rocca medioevale, costruita all’epoca della signoria degli Oddoni, a partire dalla fine del secolo XI; quella più moderna, a ponente, fu edificata quando la Rocca venne ridotta a Palazzo baronale, nel secolo XVI, con i lavori compiuti da Lotario II Conti e terminati, poi, da don Giuseppe Lotario Conti, nel Settecento. Le due costruzioni sono unite ed hanno un unico portone d’accesso, con bel portale tardo-rinascimentale, probabilmente eretto nel 1592, come si deduce dall’iscrizione. A tale periodo si deve anche la formazione della piazza antistante e del loggiato che corre lungo tutto il lato occidentale; ulteriori lavori si ebbero sia ad opera di Innocenzo XIII, che restaurò ed abbellì il Palazzo, che di Giuseppe Lotario Conti, il quale nel 1720 eseguì grandi lavori di restauro nella piazza e nel Palazzo baronale. Il dominio dei Conti sul Palazzo durerà fino al 1808, quando, con la morte di Michelangelo Conti, privo di eredi, si estingue la famiglia ed il Palazzo, come il paese di Poli, passerà prima al duca Francesco Sforza Cesarini e poi a Giovanni Torlonia. Attualmente l’edificio si presenta piuttosto deteriorato nelle murature sia esterne che interne, mentre gli affreschi avrebbero bisogno di un immediato restauro. Il Palazzo è sede del Comune, che occupa i locali del pianterreno, mentre il resto del complesso è adibito ad abitazione privata. ... L’architettura del palazzo presenta numerose analogie con quella di villa Catena, che fu residenza di campagna dei duchi di Poli, a partire dal secolo XVI, epoca in cui venne edificata (Gordiani, pp. 196-197)».

http://spazioinwind.libero.it/danilobrugnoli/poli/palazzoConti.htm


Poli (villa Catena)

Dal sito http://digilander.libero.it/agronauta   Dal sito www.romaepiu.it

«I primi lavori documentati alla Catena (nome forse derivato dal suo essere inserita in una catena di colli, oppure da una catena che, all’ingresso della chiusa, impediva l’accesso alle carrozze) sono quelli promossi intorno al 1563 da Torquato Conti (1519-1572). Il “palazzo dei principi”, la costruzione più antica, è difeso da torrette d’angolo, e ancora oggi rimane l’antico terrazzamento a valle, difeso da avancorpi ad angolo acuto, la cui forma è ripresa nelle due torrette a valle del palazzo, mentre quelle a monte sono di disegno diverso. All’esterno il palazzo non ha subito modifiche, mentre, all’interno, c’è stata una ristrutturazione recente, anche nella distribuzione degli ambienti. Una lettera di Annibal Caro a Torquato Conti del 6 giugno 1563 indica con esattezza le fontane e i giochi del giardino, la qual cosa fa supporre che a quella data l’edificio fosse già stato costruito. La sua topografia corrisponde a quella della facciata est della villa Rospigliosi di Maccarese e al progetto per il “palazzo in fortezza” degli Strozzi a Lunghezza. Il Caro intervenne certamente nei lavori del giardino, che dovettero prolungarsi fino al 1564. In quest’anno, egli, in una sua lettera, presenta a Torquato Conti l’architetto Giovanni Antonio Dosio, presente a Roma tra il 1567 e il 1569, al servizio della famiglia Conti; ciò fa ipotizzare che egli possa aver lavorato anche in questa villa. Inoltre, nella lettera del Caro del 1563, si parla di un certo mastro Teodoro, che lavora alla villa. Altri lavori al giardino furono effettuati da Appio III, nipote di Torquato (1596-1666), che apportò modifiche ai viali e aumentò il numero delle fontane. Giuseppe Lotario compirà, tra il 1683 e il 1698, i riscatti di terreni che gli permetteranno di ampliare la villa, che all’epoca di Torquato doveva avere un’estensione abbastanza limitata. Tra il 1699 e il 1703 egli fece realizzare le palazzine gemelle dette “Case Nuove”, ad uso di scuderia, rimessa per il fieno e granaio. ... L’edificio viene chiamato, già nel 1713, “Casino del Cardinale”, dato che tale era divenuto Michelangelo Conti, e, dal 1721, “Casino (o Palazzo) del Papa”, con l’innalzamento dello stesso al soglio pontificio, con il nome di Innocenzo XIII».

http://spazioinwind.libero.it/danilobrugnoli/poli/VillaCatena.htm


POMEZIA (Torre Maggiore)

Foto di Angelo Gambella (https://www.facebook.com/angelo.gambella)   Dal video http://www.youtube.com/watch?v=Fy0x0swHyM8&feature=player_embedded   Dal video http://www.youtube.com/watch?v=Fy0x0swHyM8&feature=player_embedded

«Il monumento storico si trova nelle campagne di Santa Palomba, in territorio di Pomezia (Roma) e si distingue con i suoi 34 metri di altezza, che fanno della Torre una delle più imponenti fortificazioni della campagna romana. Il sito medievale è costituito da una cinta muraria merlata, da un edificio religioso e dalla torre. Inizialmente costruito sui resti di un complesso romano nei pressi delle antiche vie Ardeatina e Satricana, nell'VIII secolo venne dotato di una domusculta dedicata a S. Edistius, culto locale di un soldato martire ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano. Il complesso venne ricostruito nel XII secolo dalla famiglia dei Savelli. La torre attualmente appare lesionata sin dalla parte apicale. Da tempo Tor Maggiore è a rischio crollo e sembrano ben pochi gli interventi messi in atto per scongiurare un simile evento. Recentemente è stato avviato l'iter burocratico per riconoscere il vincolo sui terreni adiacenti, poiché finora Tor Maggiore è tutelata soltanto come monumento medievale».

Testo di Angelo Gambella.


Pratica di Mare (castello Borghese)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito http://weekendout.it

«Si erge in posizione dominante all’interno di un borgo molto piccolo (secondo l'Istat nel 2001 contava solamente 17 abitanti) di cui seguì le vicende. Il borgo ed il castello sono collocati nella campagna limitrofa al litorale romano, nei pressi dell’antica città di Lavinium e a circa 5 km dal mare. Le prime notizie su una forma di fortificazione risalgono al VII-VIII secolo, poi confermate in documenti relativi alla menzione di un Castrum Pratica. Il borgo, probabilmente fortificato, venne concesso da papa Mariano I tra l’882 ed l’884 ai monaci di San Paolo di Roma a cui rimase, come attestato da una bolla di papa Gregorio VII, sicuramente fino alla fine dell’XI secolo e, con fasi alterne fino alla prima metà del Trecento. Inizialmente fu costruita una torre fortificata alta circa 40 metri ed attorno a questa venne sviluppato il castello. Di tale torre non vi è più traccia, essendo stata distrutta durante la seconda Guerra Mondiale. Nel 1385 il castello passò di proprietà all’Abbazia di Grottaferrata ma già scaduto nel suo ruolo strategico, infatti nei documenti di cessione era nominato come casale. Con lo spostamento della sede papale da Roma ad Avignone, borgo e torre vennero contesi tra numerose famiglie nobili romane, fino a passare nel 1432 ai Capranica e nel 1526 ai principi Massimo. A tale periodo risale l’ambizioso progetto di una rifondazione del borgo, firmato da Antonio da Sangallo il Giovane, che interessò sicuramente anche il primo manufatto castellare tre-quattrocentesco. Altri rimaneggiamenti furono probabilmente realizzati dopo l’emanazione della bolla papale di papa Pio V del 1567, che comandava delle fortificazioni costiere a seguito delle frequenti scorrerie piratesche lungo la costa tirrenica, una delle quali, nel 1588 ad opera di pirati algerini, interessò anche il borgo di Pratica di Mare. In tale occasione vi furono saccheggi e vennero rapite 103 persone. Nel 1617 il castello ed il borgo passarono ai Borghese che provvidero a ristrutturare l’edificio e contribuirono al mantenimento del borgo. Oggi il castello, situato al centro del borgo, ha una forma pentagonale irregolare e l’aspetto di un palazzo baronale. Era circondato da un robusto muro di cinta di cui oggi rimangono solo alcuni resti lungo il versante occidentale a fianco della via Laurentina. Un ultimo importante restauro del castello si ebbe nel 1981, seguito dalla bonifica della tenuta gravemente colpita dalla malaria. Attualmente è proprietà di un membro di un ramo collaterale della famiglia Borghese».

http://castelliere.blogspot.it/2012/06/il-castello-di-sabato-9-giugno.html


Riano (castello Boncompagni-Ludovisi, già dei Cesi e dei Ruspoli)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.comune.riano.rm.it

«Nel Medioevo ai baroni era necessario il castello e quindi la milizia che lo difendesse insieme ai suoi possessi. La campagna romana era piena di castelli che, abbandonati dopo il periodo medioevale, furono distrutti dagli agenti atmosferici. Quello di Riano è uno dei castelli rimasti in piedi. Esisteva fin dall'undicesimo secolo, infatti nel 1151 apparteneva a Guido, figlio di Leone dei Borbonesi da cui discendono gli Orsini. La struttura: edificato in cima al colle sulla roccia e nella piazza principale del borgo consta di tre torri rotonde con feritoie. Si entra per un portone prospiciente la piazza, una scala con gradini di mattoni murati a coltello, porta ai piani superiori. Al primo piano c'è una sala centrale con grandi finestre mentre su una parete si aprono varchi che portano ad altre camere per alloggiare. Al piano terreno vi è la cappella per le funzioni religiose dove si conservano dei dipinti bellissimi dello Zuccari; seguono le scuderie, altri ambienti per dispense e magazzini e la cisterna per raccogliere l'acqua piovana discendente dai tetti. Ai piedi della torre che si trova a destra della piazza, una camera con finestra protetta da una robusta inferriata serviva da prigione. Attorno al castello, sul lato nord, un alto muraglione, con sopra uno sterrato, dove si schierava la milizia per la difesa. Questo muraglione è stato restaurato dal Genio Civile nel 1958, tra questa l'abitazione del signorotto e della sua famiglia, in tempi moderni divenne abitazione di privati. In seguito il principe Boncompagni vi aveva collocato l'asilo infantile, ma poi fu tolto perché vi pioveva e i tetti minacciavano di crollare. Sul lato est della piazza si trova la chiesa parrocchiale e sul lato ovest il palazzo baronale che, restaurato nel 1958-59, da allora ospita al piano superiore il municipio. Tutte le abitazioni dei servi e dei contadini erano entro le mura di cinta del castello quando il paese contava circa 700 anime».

http://www.comune.riano.rm.it/index.php?option=com_content&view=article&id=33&Itemid=179


Rignano Flaminio (resti del castello di Morolo o torre Busson)

Dal sito www.ammappalitalia.it   Dal sito www.castellidelazio.com

«Gli imponenti resti di questo castello sorgono in una zona di grande pregio ambientale, a poca distanza dalla via Flaminia, al di sopra di uno sperone roccioso che domina alcuni piccoli torrenti. Il nome di Murolo dovrebbe provenire dalla corruzione del nome di Mauroro, presente in un documento stilato da Ottone III e datato al 996. Apparteneva originariamente ai monaci del monastero dei SS. Alessio e Bonifacio. Peraltro un castrum è anche ricordato in un altro documento del XIII secolo nella stessa zona. Il fortilizio passò successivamente ai Tasca nel 1449, ai Muti nel 1573, agli Scapucci nel 1591 ed infine nel 1611 a Marcantonio Borghese. Il castello consta di una torre a basa quadrata realizzata nel Trecento realizzata in tufo per oltre 20 metri di altezza divisi in tre piani. A questa vi si affiancò alla fine del XV secolo un edificio di due piani di cui rimangono solo alcuni resti, tra i quali una sala con camino. Il sito venne abbandonato nel corso del XVIII secolo» - «Alla confluenza dei fossi di Valle Castagna e di Monte Casale, vi è il Castello diruto di Morolo (detto ora “Torre Busson”, forse dal nome di un antico affittuario o proprietario), raggiungibile dalla via Flaminia imboccando all’altezza del chilometro 36,100 (sulla sinistra provenendo da Roma) una stradina campestre. Una località Mauroro era già citata in un diploma di Ottone III del 996. Il Castello passò poi ai Savelli e, ridotto a casale, fu dei Tasca (1449), dei Muti (1573), degli Scapucci (1591), finché nel 1611 fu acquistato da Marcantonio Borghese insieme a Rignano. Rimane una torre a base quadrata ed i resti di un palazzo rinascimentale a due piani».

http://www.castellidelazio.com/castellodimorolo.htm - http://www.prolocorignano.info/#!luoghi-dinteresse/c8ho


Rignano Flaminio (rocca Savelli o Borgia)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Torrione dei Savelli, dal sito http://nuke.rignanoflaminio.it

«Una prima Rocca (situata di fronte all'antica Chiesa Parrocchiale dei SS. Vincenzo e Anastasio), detta anche Torrione dei Savelli, ora diroccata. L'altra, costruita tra Tre e Quattrocento sempre dai potenti feudatari della famiglia romana dei Savelli (detta percio Rocca dei Savelli), sorge nella piazza principale del paese, all'entrata dell'antico borgo a difenderne l'ingresso. Nel 1501, come documentato da un'iscrizione, la struttura venne parzialmente ristrutturata da Luca Savelli con l'aggiunta di alcune bocche da fuoco. Nel 1502 venne espropriata da papa Alessandro VI Borgia che la dono a Giovanni Borgia, suo parente. Alla morte del pontefice, il feudo torno ai Savelli che lo tennero fino al 1607, quando venne ceduto ai Borghese. Nel XII secolo passò ai Muti e ai Cesi e poi, nel secolo successivo, nel 1799 ai Massimo, diventando ducato. La poderosa struttura di forma rettangolare presenta murature in grandi blocchi di tufo locale preceduta da un ampio fossato, colmato agli inizi del Novecento».

http://www.montelarco.it/Rignano/RignanoVedere.htm


Riofreddo (castello Colonna-Del Drago)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.riverflash.it

«Il Castello è stato costruito su di un precedente avamposto di epoca romana che dominava la via Tiburtina Valeria. Attraverso i secoli ha subito vari rimaneggiamenti ed è stata proprietà di diversi casati: Colonna, Orsini, Del Drago, Pelagallo. Il Muratori riporta un atto di investitura di Poli ed altri castelli data da Adriano IV nel 1157 ad un barone del castello di Riofreddo. Il Presutti crede possa trattarsi di un Colonna. Nel 1227 si fa menzione di un Landolfo Colonna "miles Rivifrigidi et Rubiani Dominus". Bonifacio VIII tolse quel feudo ai Colonna nel 1292 per darlo agli Orsini. Il Castello tornò agli antichi feudatari dopo la morte del papa (1303) e venne affidato ad Antonio Colonna di Riofreddo, il quale venne assalito nel suo castello da Giovanni Antonio Orsini conte di Tagliacozzo e da Cola di Montanea. Dopo l'aggressione, il Colonna si rivolse ad Eugenio IV perché nominasse un castellano in Riofreddo e il papa scelse, per tale ufficio, Rossello Rosselli chierico di camera. I Colonna di Riofreddo si estinsero intorno al 1459. Tra gli ultimi eredi nacquero molte liti per il castello, conteso lungamente dai Caffarelli. Antonio, membro di questa famiglia sposò Ludovica Colonna di Riofreddo e Giacomo Randolfo Colonna nel suo testamento dell'8.8.1459 ordinò che i suoi esecutori proseguissero "causam recuperationiscastris Frascati" destinando il suddetto Castello a sua nipote Ludovica Colonna, revocando la precedente donazione del Castello di Riofreddo. Paolo II ordinò che Riofreddo fosse consegnato a persona di sua fiducia fino a definizione della vertenza (1470). Alessandro VI interruppe il processo attribuendo il feudo alla Abazia di Subiaco. Alla morte del pontefice la lite fu ripresa e nel 1520 fu stipulato a Marino un atto di concordia circa il possesso di Riofreddo tra i figli di Ascanio Colonna ed i Caffarelli, mediante la cessione del castello Turano in Abruzzo. Intorno alla metà del XVI secolo il Castello di Riofreddo fu venduto a Del Drago e Gregorio XV nel 1622 l'eresse a Marchesato. Il castello nell'anno 1820/21 risulta dal Catasto Gregoriano casa di villeggiatura di proprietà del Marchese Del Drago Urbano fu Gio' Batta; nel 1832 lo stesso Urbano Del Drago venne insignito del titolo di principe dal papa Gregorio XVI. In una nota dall'Archivio dei Baroni risulta che il marchese Del Drago a Riofreddo, data la situazione di pericolosità in cui versava la campagna Romana a causa della presenza di briganti e malviventi, reintegrò la Camera per la spesa delle brigate messe nel suo feudo per la difesa. Il definitivo declino del Castello avvenne negli anni 60, allorché gli ultimi proprietari, marchesi Pelagallo, lo trascurarono per gli alti costi previsti per la manutenzione e la conservazione del bene».

http://www.castellodeldrago.it/storia


Riofreddo (castello Garibaldi)

Dal sito https://media-cdn.tripadvisor.com   Dal sito www.facebook.com/mudecu/   Il plastico del castello, dal sito www.facebook.com/mudecu/

  

«Il Museo delle culture 'Villa Garibaldi', nel comune di Riofreddo (provincia di Roma), testimonia la presenza e l'incontro di identità culturali diverse, in un paese che, sin da tempi antichi, è terra di confine e, grazie alla via Valeria, antico tratturo pastorale e via consolare romana, è un importante crocevia di traffici. Queste caratteristiche hanno favorito, accanto all'economia agro-pastorale, attività artigianali, commerciali di trasporto ed altri servizi. La sede del museo è il castello, speculare al castello Colonna, fatto costruire alla fine del 1800 da Ricciotti Garibaldi, figlio del Generale Giuseppe Garibaldi e di Anita Ribeiro Da Silva, e da sua moglie Harriet Constance Hopcraft. Il museo si è costituito inizialmente nella parte donata dalla nipote di Ricciotti, Annita Garibaldi Jallet, in memoria del padre Sante Garibaldi; la parte rimanente è stata acquistata dal comune di Riofreddo ad altri discendenti di Ricciotti, grazie ad un finanziamento regionale. Il museo comunale di Riofreddo è compreso nel Sistema Museale Territoriale inserito nell'Unione dei Comuni della media valle dell'Aniene ('Unione Medaniene'). Medaniene è sostenuta dalla regione Lazio e dalla provincia di Roma e comprende i seguenti comuni: Anticoli Corrado, Arsoli, Cineto Romano, Riofreddo, Roviano, Vallinfreda, Vivaro Romano» - «Il plastico del castello Garibaldi rappresenta l’edificio prima dell’acquisto e del restauro da parte del Comune dell’ala corrispondente alla seconda torre, quando era ancora proprietà dei figli di Ezio. Questa ala, allora diruta, è qui ricostruita in base ai rilievi architettonici compiuti nel 2000. La parte del castello, corrispondente alla prima torre, è stata invece donata all’amministrazione comunale da Annita Garibaldi Jallet, figlia di Sante, successivamente alla quale viene iniziato il restauro dell’edificio. I lavori vengono ripresi successivamente, in una prima fase, nel 1999-2000 e nel 2004 in una seconda fase, per allestirvi un museo demoetnoantropologico, con i contributi dell’Unione Europea e della Regione Lazio».

http://www.mudecu.it - http://www.gabo.it/riofreddo/museo/villa_garibaldi.htm


Rocca Canterano (resti delle fortificazioni)

Dal sito www.camperlife.it   Piazza di Corte, dal sito www.cmaniene.it

«Rocca Canterano sorge sulla cresta di una rupe inaccessibile che guarda il versante dell’Aniene. Il paese presenta un duplice paesaggio; dalla Via Sublacense si distingue, in lontananza. solo una scoscesa parete rocciosa coronata da una fila di casupole che si stagliano, sull’orizzonte, con un profilo netto e dentellato. Sul versante opposto l’aspetto è più complesso: l’aggregato urbano si mostra addossato alla costa di un monte dal quale emerge la chiesa, alcuni fabbricati di rilievo ed una molteplice schiera di casette che riempiono ogni spazio seguendo le stradine che s’intrecciano fra loro. In basso, vicinissima, gli si affianca Canterano da cui prende il nome. Più in alto invece, sulla fine del monte, si adagia Rocca di Mezzo, frazione di Rocca Canterano, che anticamente costituiva il diciassettesimo castello dell’Abatia Nullius di Subiaco. La formazione dei tre centri, quali si presentano ancor oggi, risale al Medioevo ma la loro antica origine è più remota. Prima di giungere a Rocca Canterano, nel punto in cui la strada diverge, a sinistra, per andare verso Rocca di Mezzo, tre resti di epigrafi latine, murate come per formare un piccolo monumento, recano la seguente spiegazione: “Frammenti di lapidi romane attestanti l’antica origine di Rocca Canterano e Rocca di Mezzo”. ... Nel secolo scorso vari studiosi, riferendosi esclusivamente ai documenti del Regesto Sublacense. del Chronicon e del Regesto della Chiesa di Tivoli, tentarono di individuare l’anno di fondazione di Rocca Canterano. Un documento datato 20 agosto 867 nomina solo il “montem qui vocatur cantorano”, quindi quelli successivi indicano il fundus, il casale fino alla formazione del castellum che corrisponde all’odierno Comune di Canterano. Nella bolla di papa Giovanni XVIII del 1005, Canterano è detto casale, fondo prossimo al Monte Pietra dove dovevasi costruire un castello. Nella bolla di Paolo II diretta all’abate Giovanni il castello risulta costruito; si nomina infatti il “Castrum Cantoranum cum Rocca sua”. Rocca Canterano non fu però la sola fortificazione sorta lungo i monti Ruffi perché più in alto sono ricordate altre rocche. In un documento dell’anno 1121-1145 vengono enumerati i beni che l’abate Pietro di Subiaco avrebbe dovuto restituire ai Tiburtini. Si nomina: “Rocca de monte de Grofo – Rocca de medio – Roccam de Cantorano et ipsum Cantoranum”. La Rocca di monte Grufo, chiamata contemporaneamente Rocca Martino (Rocca Martini et Rocca de Mesu et Rocca Cantorani), è ubicata sempre nell’odierno territorio del Comune di Rocca Canterano e corrisponde ai ruderi che, in località fonte Martino in prossimità di Rocca di Mezzo, sovrastano il paese di Marano. Una serie di rocche, dunque, rispondenti ad un preciso sistema di fortificazioni realizzate per la difesa ed il controllo del territorio. Questi centri nascono sotto l’impulso dell’abbazia di Subiaco e ne seguono le sorti, fino alla formazione degli attuali Comuni, ma le origini di queste comunità affondano in un passato più remoto».

http://www.cmaniene.it/comuni/rocca-canterano


Rocca di Cave (castello Colonna)

Dal sito http://host.uniroma3.it   Dal sito http://beni-culturali.provincia.roma.it   Dal sito http://beni-culturali.provincia.roma.it

«Situata sulla cima di un monte, Rocca di Cave presenta una struttura prettamente medioevale. L’edificazione della Rocca fu iniziata nel secolo IX, con funzioni difensive contro le invasioni saracene. Contemporaneamente sorse un borgo operoso che si organizzò intorno alle chiese di S. Nicola e S. Maria, oggi scomparse, e a quella più antica di S. Pietro, inglobata nella Rocca. Insieme diedero origine al complesso edilizio dei "Santi Tre" che si ritrova nelle fonti storiche fino al secolo XII. Nel 970 papa Giovanni XIII concesse il feudo per tre generazioni alla sorella, la senatrice Stefania. Il suo discendente, Pietro Colonna, pretese di mantenerne il possesso, fortificandolo e dando così inizio alle lotte tra la Chiesa ed i Colonna. Nel 1236 Rocca di Cave divenne possedimento degli Annibaldi, prendendo definitivamente l’attuale nome. Agli inizi del XV secolo tornò sotto il dominio dei Colonna che ne mantennero la proprietà fino al 1816. La Rocca fu fondata nel IX secolo con funzione di difesa contro le invasioni dei Saraceni; ha una pianta esagonale irregolare con quattro torri angolari di forma poligonale. Al centro si trovano il mastio, in origine alto il doppio, e i resti dell’ antica chiesa di S.Pietro, copertura con volta a crociera» - «Più che costruita, l’imponente massa della Rocca sembra calata direttamente dal cielo. Un granitico esagono privo di leziose merlature, strategica macchina da guerra con fini di ‘architettonica difesa’, il castello di Rocca di Cave è un vero gioiello di edilizia militare. Due pareti parallele orientate ad Est e ad Ovest, con torri ai vertici, si raccordano alle altre quattro pareti, convergenti due a due, per consentire il tiro incrociato contro gli eventuali assalitori. Centodieci metri di perimetro con uno spessore a decrescere dal metro e mezzo della base agli ottanta centimetri del vertice, che in altezza oggi varia dagli 8 ai 13 metri ma all’origine era il doppio. Al centro svetta il ‘Mastio’, massiccia torre circolare, ultimo baluardo oltre al quale c’è solo la morte, ma dove oggi si studia la vita, quella lontana, dell’universo dal quale, secondo la teoria del Big Bang, veniamo. In cima al ‘Mastio’ la cupola dell’osservatorio astronomico e sotto, al coperto, una sala conferenze che ospita astrologi, studiosi e studenti in visita guidata. Nelle sale del castello il Museo Geopaleontologico Ardito Desio e il Centro Studi di Meteorologia Edmondo Bernacca».

http://www.comunitamontanativoli.org/comuni.asp?id=23 - http://www.provincia.roma.it/sites/default/files/Rocca%20di%20Cave.pdf


Rocca Priora (castello baronale Savelli)

Dal sito www.oocities.org   Dal sito http://castelliere.blogspot.it

«Rocca Priora è il più alto e il più isolato dei Castelli Romani. Le sue origini sono molto remote, come risulta dai numerosi reperti archeologici trovati sul posto. Sembra che il paese occupi il sito dell'antica città di Corbio che fu a lungo oggetto di contese tra Equi e Romani come ci viene confermato dall'episodio di Cincinnato che lasciò il lavoro dei campi per riprendere Corbio agli Equi, fatto compiutosi in sole 24 ore. Il paese fu completamente distrutto dal Console Romano Orazio Pulvillo. Alla fine del secolo XI, diventa un castrum ben organizzato dipendente da una famiglia feudataria famosa, i Conti del Tuscolo. Con esattezza non sappiamo quando la potente famiglia degli Annibaldi s’insignorisse del castello, certo ebbero il loro primo ingresso quando Annibale degli Annibaldi sposò una figlia di Agapito, Conte di Tuscolo. Nel 1353 Rocca Priora fu rasa al suolo per mano del Tribuno Cola di Rienzo. I Savelli, che avevano ereditato una Rocca sconnessa e disastrata per le varie guerre ed incursioni, operarono vari interventi riparatori nel nucleo del borgo con importanti edificazioni: quali il palazzo baronale, la Chiesa dell’Assunta, le fortificazioni murarie e la porta principale. Il monumento più grandioso di Rocca Priora è il Palazzo Baronale, oggi sede del Comune, che quando poi i Savelli decaddero per motivi economici andò in rovina. Solo nel 1880 l’Amministrazione Comunale decise di intervenire affidando l’incarico all’Architetto Conte Francesco Vespignani affinché sui ruderi del vecchio maniero ricostruisse integralmente il castello in stile XV secolo. L’edificio affaccia sul Belvedere da dove si può osservare un meraviglioso panorama lo sguardo spazia sulla vastissima vallata ecco il gruppo di Monte Gennaro sopra Tivoli, Palombara Sabina, la catena dei monti Tiburtini, i Prenestini, i monti Ernicie l'antica valle del fiume Sacco».

http://www.comune.roccapriora.roma.it/oc/oc_p_elenco_nofoto.php?x=1311e07b20bc38dc4a6f08201996c717#0


Roccagiovine (castello Orsini)

Dal sito www.romaepiu.it   Dal sito www.romaepiu.it

«Salendo la strada tortuosa che porta a Roccagiovine, dopo l’ultima curva, si scorge il castello degli Orsini, che domina maestoso il paese. Le mura del castello conservano una lastra di marmo con un bassorilievo di epoca romana, testimonianza dell’esistenza in quest’area di un tempio, dedicato alla dea Vacuna, divinità benefica della campagna, cantata da Orazio, Ovidio e Plino il Vecchio. Edificato nel corso del XIV secolo, il castello, dal 1821 divenne proprietà, dopo diversi passaggi di proprietà, dei marchesi del Gallo. Prima di loro, i signori del feudo furono gli Orsini che nel 1315 acquisirono il possesso, dal Monastero dei S. Cosimato di Vicovaro, fino al 1632. Giovanni, il primo signore della famiglia, dettò gli statuti per Roccagiovine. Roccagiovine fu la culla anche di un forte movimento repubblicano all’indomani, nel febbario 1849, del rovesciamento dello Stato pontificio. Qui un giovane di benestante famiglia, Giuseppe Ruffini, si mise a capo della “rivoluzione” e il giorno di San Giuseppe in un castagneto, con i suoi “seguaci” scelse e sradico l’albero più alto portandolo in paese come l’Albero della Libertà. Il suo nome compare ancora in una targa apposta sulla fontana, donata al paese da Alessandro del Gallo e posta nello stesso posto dove era l’Albero della Libertà».

http://www.cmaniene.it/comuni/roccagiovine


Roccasecca (ruderi del castello)

Foto di Francesco Frigida, dal sito http://viaggimedievali.com   Foto di Francesco Frigida, dal sito https://roccasecca1435.wordpress.com

«I ruderi di Roccasecca si trovano nel comune di Roiate, in Provincia di Roma. L’antico borgo si trova a 882 metri sul livello del mare, su una delle ultime propagini della catena montuosa dei Monti Ernici occidentali. La sua fondazione risale al IX secolo e fu distrutto in una battaglia nel 1435. Oggi ne rimangono pochi ruderi, numerosi sono ricoperti dalla folta vegetazione. Il mistero e leggenda sono elementi che regnano tra questo antico abitato. Ci sono alcuni posti che fanno parte del nostro passato, luoghi dove a distanza di secoli regna la leggenda e il mistero. Antichi borghi pieni di storia, dimenticati da molti e ricoperti dal tempo come l’antico paese di Roccasecca, oggi situato nel territorio comunale di Roiate. è arroccato a 882 m.s.l.m. su un’aspra e ripida montagna che prende il nome dall’antico centro abitato. Il paese ha avuto origine grazie ad alcune famiglie dei villaggi di Affile e Roiate che durante le invasioni saracene (secolo IX d.C.), si andarono a rifugiare su questo rilievo per trovare un sicuro riparo. Nell’epoca medioevale è stato oggetto di numerose battaglie per il possesso, tra ricchi signorotti e le forze ecclesiastiche locali. La sua fortificazione secondo alcuni documenti risale al 1073. Mentre l’anno della sua distruzione risale al 1435. Roccasecca, era mal vista dai paesi vicini, data la sua ottima posizione strategica. Da alcuni viene descritta come un falco che dominava la valle. I vassalli di Affile approfittando della situazione di semi anarchia che regnava sui territori della chiesa nella metà del XV secolo, si allearono con Roiate e Ponza (attuale Arcinazzo Romano) per distruggere il “falco”. I numerosi soldati dei tre eserciti ebbero la meglio sulle esigue forze del piccolo castello, il quale contava soltanto un centinaio di abitanti. In poco tempo distrussero e saccheggiarono tutto, uccisero chiunque tentava di opporsi. Vennero derubati gli edifici pubblici e sacri come ad esempio la chiesa di S.Maria in Arce. La popolazione sopravvissuta venne suddivisa e condotta nei tre paesi vincitori. Da questa battaglia deriva il detto locale “Ponza, Afile e Rujate so tre cani arabbiati”. Oggi di Roccasecca rimangono pochi resti, ricoperti dalla terra che ha portato il vento e dalla vegetazione, sono ancora ben visibili parti delle mura di cinta e i numerosi basamenti delle abitazioni, permettendo al visitatore di capire la disposizione di ogni singola struttura all’interno del borgo. L’antico castello avrebbe bisogno di un ottimo lavoro di pulizia e di accurati scavi archeologici per riportate alla luce ciò che la natura con i secoli ha nascosto. Un luogo che fa parte della storia di questa bellissima terra e merita senza alcun dubbio di essere conservato nei migliori dei modi. Roccasecca è facilmente raggiungibili a piedi in pochi minuti, grazie a un sentiero segnato. Nonostante ne restino pochi ruderi, il luogo è cosi selvaggio e avvolto in un alone di mistero che sa regalare moltissime emozioni a chi lo visita».

http://viaggimedievali.com/2014/01/31/roccasecca-un-paese-scomparso  (a cura di Francesco Frigida)


ROMA (casa dei Cavalieri di Rodi)

Dal sito www.sovraintendenzaroma.it   Dal sito www.sovraintendenzaroma.it

«Il complesso architettonico della Casa dei Cavalieri di Rodi è il risultato di una plurisecolare stratificazione di monumenti sull’area che in età imperiale ospitava il Foro di Augusto. Questa zona fu interessata dai lavori di demolizione che fra 1924 e 1932 portarono all’apertura di Via dei Fori Imperiali, comportando la scomparsa delle strutture medioevali del monastero di San Basilio e di quelle cinquecentesche del Convento delle Domenicane della SS. Annunziata. Nel 1466 il papa Paolo II affidò al nipote cardinale Marco Barbo l’amministrazione del priorato dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, un ordine ospedaliero che all’inizio del Duecento aveva occupato proprio la chiesa e il monastero dei monaci basiliani, sorto fin dal IX secolo sopra il Tempio di Marte Ultore. Il card. Barbo promosse una serie di restauri che conferirono all’edificio l’aspetto che in parte si può ammirare ancora oggi: furono probabilmente utilizzate le stesse maestranze che lavoravano al vicino Palazzo della Repubblica di Venezia. Attraversati il salone d’onore con le bandiere dell’ordine e l’arengario per i discorsi, la sala della loggetta con la ricomposizione dell’attico dei portici del Foro di Augusto, alcune sale con antichi soffitti in legno, sculture e dipinti di varie epoche, si accede all’ariosa loggia a otto arcate affacciata sui Fori. Le pitture ad affresco, purtroppo molto deteriorate dall’esposizione agli agenti atmosferici, raffigurano medaglioni con imperatori e paesaggi popolati da piante e animali di specie diverse e sono attribuite ad artisti della cerchia di Andrea Mantegna. Dal 1946 la Casa è concessa in uso al Sovrano Militare Ordine di Malta: al santo patrono dei Cavalieri, Giovanni Battista, è dedicata la cappella ricavata nell’atrio di una dimora di età romana» - «La facciata sullo slargo presenta una cornice romanica a dentelli e una finestra a croce del Quattrocento. La parte centrale, coperta da una volta rinascimentale, è stata adattata nel 1946 a "Cappella di San Giovanni Battista". Da una delle porte, ai piedi della scala, si entra nell'atrio porticato augusteo, mirabilmente conservatosi ad arcate e pilastri in travertino».

http://www.sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/roma_medioevale_e_moderna... - http://www.060608.it/it/cultura-e-svago/beni-culturali...


Roma (casa-torre di Ettore Fieramosca)

Dal sito www.romaspqr.it   Dal sito www.romasegreta.it

«La casa-torre nell'angolo tra piazza S. Cecilia e piazza dei Mercanti presenta al pianterreno colonne di spoglio coronate da capitelli ionici e collegate da archi di laterizio che denotano l'esistenza di un originario portico, successivamente tamponato, sostenuto da un pilastro d'angolo. Alla sommità del corpo in angolo, la parete in tufelli mostra una decorazione ad archetti ogivali ciechi, su beccatelli marmorei, che delimitavano forse una loggetta. La cortina è di colore variabile dal giallo al marrone. Il complesso, databile alla seconda metà del XIII secolo, sembra essere il risultato di una fusione di più edifici medianti passaggi e scale di collegamento, nonostante le differenze d'altezza e i dislivelli tra i piani. La casa-torre viene detta di Ettore Fieramosca, ovvero del nobile capuano protagonista della famosa disfida di Barletta. La fantasiosa attribuzione nasce da una scena dell'Ettore Fieramosca di D'Azeglio. In realtà noi sappiamo che l'edificio fu di proprietà dell'Ordine degli Umiliati, che nel Trecento si stanziò nel convento annesso a S. Cecilia, svolgendovi attività relative alla lavorazione della lana. Il movimento degli Umiliati, sorto in Lombardia verso la metà del sec. XII, si proponeva di vivere "a modo della Chiesa primitiva", perseguendo cioè l'ideale della povertà volontaria, mostrato da Cristo e dagli Apostoli, senza possedere nulla personalmente, traendo i mezzi di sussistenza dal proprio lavoro e costituendo comunità di uomini e donne che vivevano in continenza. Presto si chiarirono due tendenze: una che fu accusata di eresia per non aver riconosciuto l'autorità suprema della Chiesa di Roma, e che darà origine alla setta dei Poveri Lombardi, l'altra che si inserì invece pienamente nei ranghi della Chiesa costituendosi in Ordine religioso con una Regola che fu approvata da Innocenzo III nel 1201. Tale Regola prevedeva: il rifiuto del lusso, il lavoro manuale, l'astensione dall'usura, la donazione del superfluo ai poveri. L'Ordine decadde nel sec. XV».

http://www.romaspqr.it/ROMA/Torri/Torre_fieramosca.htm


Roma (Casal de' Pazzi)

Foto di Alvaro de Alvariis, dal sito www.flickriver.com   Dal sito http://blog.libero.it/romaditutti

«Su via Zanardini al n. 19, in prossimità della via Nomentana su una balza collinare che domina il Fosso della Cecchina, e protetta da un alto muro di cinta, è il Casal de' Pazzi il cui nome deriva dalla famiglia fiorentina, proprietaria, almeno nel 1474, della tenuta. Il casale, recentemente adattato a villa signorile, conserva ancora oggi il suo aspetto medievale di complesso fortificato, caratterizzato da due torri di diversa altezza, di cui quella occidentale, in tufelli misti a scaglie di selce, finestre rettangolari, cornice marcapiano e merlatura ghibellina, potrebbe riferirsi a un casale-torre del XIII secolo, trasformato e riutilizzato dai Pazzi sotto il pontificato di Sisto IV. Numerosi frammenti di decorazione scultorea e architettonica sono conservati presso il casale. All'incrocio con la via Nomentana, sulla destra, troviamo il termine lapideo della vecchia via Casal de' Pazzi, ricalcata qui da via G. Zanardini, costruita negli anni Venti ai tempi dei miglioramenti agrari effettuati nella Tenuta di Aguzzano, e chiamata via di Bonifica n. 31».

http://www.romaoltrelemura.it/It21CasaldePazzi.htm


Roma (Castel Sant'Angelo)

Dal sito www.romainunclick.it   Dal video www.youtube.com/watch?v=s9iJW7wYICE

«All'altezza di ponte Vittorio Emanuele II, sulla riva destra del Tevere, si trova la possente struttura di Castel Sant'Angelo. L'opera originale era diversa da quella che vediamo oggi: la primitiva costruzione era infatti destinata ad ospitare le tombe dell'imperatore Adriano e della sua famiglia: la costruzione iniziò nel 135 d.C. e fu portata a compimento da Antonino il Pio. Sotto l’impero di Aureliano, la costruzione fu trasformata in castello; nell’XI secolo fu aggiunta la torre; nel 1277 divenne proprietà del Vaticano e vi furono aggiunti gli appartamenti pontifici. Nel Medioevo i papi lo trasformarono in una solida fortezza, costruendo un nuovo piano in muratura sopra al cilindro e la merlatura caratteristica dei castelli sopra il muro di cinta. Fu costruito anche un lungo passaggio fortificato (il “passetto”) che collega il castello ai Palazzi Vaticani. Dopo il sacco di Roma del 1527, fu allestito all’interno del Castello un appartamento privato, ove il papa avrebbe potuto rifugiarsi in caso di nuova invasione: la raffinatezza degli interni dell’appartamento contrasta fortemente con l'architettura militare del complesso. La fortezza ospitava anche le prigioni pontificie. Il castello prese il suo nome durante il papato di Gregorio Magno nel VI secolo d.C. quando, durante una grave pestilenza che aveva colpito la città di Roma, apparve sulla sommità della fortezza un angelo che riponeva la sua spada nel fodero: questa immagine fu interpretata come segno della fine del castigo divino. Si possono visitare tutti gli ambienti, dalla prigione agli appartamenti del papa a tutte le numerose sale ricche di decorazioni di del Vaga, Romano, Gatti, Signorelli, da Montelupo, Bramante, Beccafumi e Lotto. Di fronte all'ingresso del castello, si trova il bel Ponte di Sant'Angelo, che attraversa il Tevere e collega il castello al centro della città. Il ponte è decorato da due file di statue di angeli (opera del Bernini e dei suoi allievi), che si concludono con le statue rinascimentali di San Pietro e San Paolo».

http://guide.travelitalia.com/it/guide/roma/castel-sant-angelo


ROMA (castello Barberini a San Vittorino)

Foto di Croberto68, dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.controluce.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Valentino Privitera (https://www.facebook.com/valentino.privitera)

«S. Vittorino Romano è una località di interesse storico-culturale, ubicato nel punto d’intersezione crocevia delle due arterie autostradali che collegano Milano con Napoli e Roma con Pescara a circa trenta chilometri dal centro di Roma, immerso tra il prosperare verdeggiante della Campagna Romana e i confini amministrativi del comune di Roma. L’area circostante racchiusa principalmente nel panorama dimesso del borgo, è di evocazione basso medievale e rappresenta un piccolo modello di insediamento abitativo in funzione dell’insieme dei fenomeni connessi alla distribuzione della popolazione. ... L’interno del Borgo è tutt’oggi costituito da una quantità trascurabile di antiche case contigue tra loro, una Chiesa di modeste dimensioni delicata al Santo proto martire protettore del luogo - i cui resti dell’immagine sono dipinti nella parete di fondo - , ed un Castello pressoché disabitato e malridotto, a pianta quadrangolare, un tempo posizionato a difesa dell’abitato cittadino con funzione di residenza signorile. ... Il castello di proprietà Barberini, fin dal 1635 - a loro si devono i lavori di ristrutturazione dell’edificio e il differimento della fonte idrica per esigenze di pubblica utilità all’interno del borgo che immette all’interno dell’insediamento -, è accessibile mediante un ponte di pietra (è ipotizzabile che in passato fosse a struttura mobile per garantire la difesa dell’edificato che sormonta un piccolo fossato scavato nel terreno in basso a sinistra) in cui emerge nel portale d’ingresso lo stemma marmoreo con il simbolo delle api della famiglia. ... L’ingresso dell’insediamento è affiancato dall’emergere delle due torri quadrangolari merlate risalenti al XII secolo. ...

L’accesso del Castello era stato concepito e posizionato (dov’è tutt’oggi) sul lato orientale dell’edificio attraverso un ingresso che sembra risalire al XVII secolo, per un ponte costruito sull’antico fossato; è fiancheggiato da una torre a pianta quadrata. Sul lato sud orientale era costruito un portale in tufo appartenente al XVI secolo incastrato in seguito tra case. La porta aveva arco a tutto sesto bugnato, e pilastri dorici. Molto rimodernato, poco rimane delle pareti e delle torrette in blocchetti di tufo (XIII sec.) del recinto, oggi appare come un piccolo villaggio. A dispetto delle profonde alterazioni subite dalla struttura nel corso del tempo, attribuite indistintamente ad opera delle guerra, delle devastazioni, degli agenti termici e dell’avanzamento del degrado, il complesso posizionato con andamento ellittico su un dirupo roccioso e scosceso, fornisce l’impressione di serbare il caratteristico iniziale stile medievale di costruzione, dispiegato com’è su un’area di circa 150 per 100 metri. ... Nell’epoca di transizione e passaggio tra il medioevo e il rinascimento (o prima epoca moderna) le sorti del castello furono legate ai destini dei vicini Castelli di Corcolle (struttura che si ipotizzi edificata sui resti dell’antica città di Querquetula) e di Passerano. Nel 1519 la tenuta fu acquisita dalla famiglia Del Drago, fino al 1630 quando passò definitivamente ai Barberini. ...».

http://www.controluce.it/giornale-rubriche/giornale/rubrica-storia/item/13012-s-vittorino-e-il-castello-barberini.html


Roma (castello Borghese della Crescenza o di Torcrescenza)

Dal sito www.residenzedepoca.it   Dal sito www.castellotorcrescenza.com

«Immerso in un parco secolare alle porte di Roma, il Castello di Torcrescenza risale alla seconda metà del XV secolo dove sorgeva un'antica torre del 1100. Guida naturale al castello sono un suggestivo viale nel bosco di querce, pini e allori in cui all'imbrunire fanno capolino famiglie di fagiani ed istrici, ed il viale di rose mellandine, in fiore da maggio a novembre. Il Castello ha ispirato artisti come Claude Lorrain che lo ritrasse nel 1648 in un dipinto esposto al Metropolitan Museum di New York, e Nicolas Poussin che lo dipinse più volte nei suoi paesaggi. è anche conosciuto come il castello delle mimose perché a febbraio si tinge d'oro. Oggi è la residenza di Donna Sofia Borghese, la quale con amore ha fatto rivivere questo luogo... l'importanza del cedro del libano suggella l'armonia del posto. è un giardino composito dove si esaltano sia precisioni di un disegno formale con le fontane che incanalano l'acqua scendendo da un vascone all'altro, seguendo il percorso a gradini così da creare giochi d'acqua, sia la fantasia di un giardino mediterraneo. Sofia ha creato la zona delle piante succulente arrivate dalla Sicilia dal giardino del Biviere. Sempre ricordandosi della terra della sua infanzia ha voluto profumare le sue piante grasse con una collezione di piccoli agrumi antichi in vaso che d'inverno ricovera in una serra. Questa idea è nata da un quadro di Joseph Heinz del 1625 che rappresenta il giardino all'italiana di Villa Borghese dove vi sono piccoli alberi di agrumi per consentire alle dame di cogliere i frutti facilmente. Imitando il giardino segreto di villa Borghese s'incontrano iris, anemoni o fiori del vento, myosotis e collezioni di narcisi e tulipani storici. Nel giardino non mancano le piante aromatiche, ornamentali e le rose. Dal ponte levatoio si entra nel castello e si giunge al chiostro con le sue quindici colonne ottagonali in peperino ricoperte di ficus pumila. Questo luogo ha un particolare fascino romantico che incanta il visitatore».

http://www.grandigiardini.it/scheda.php?id=149


Roma (castello Caetani dell'Appia)

Il Mausoleo di Cecilia Metella e il Palazzo Caetani, dal sito www.parchilazio.it   Palazzo Caetani, dal sito www.laboratorioroma.it

«La posizione elevata della tomba di Cecilia Metella, che consentiva contemporaneamente il blocco della via Appia Antica nonché il controllo dell'arco sudorientale delle Mura, del ponte sull'Almone e di un tratto della via Latina, fece sì che essa, sin dal periodo bizantino, venne utilizzata come luogo fortificato, e questa riutilizzazione ha permesso la sopravvivenza del monumento. è tuttavia nel X secolo che il luogo assunse una grande importanza strategica; in quel periodo si sviluppava, nella campagna romana semi-abbandonata, il fenomeno del feudalesimo suburbano; parallelamente, la necessità che i baroni avevano di controllare la campagna e le vie di comunicazione provocò la costruzione un po' dovunque di torri di difesa, spesso edificate su edifici romani in rovina (come nel caso appunto del castello di Cecilia Metella). Nel 1080 la zona era di proprietà dei conti di Tuscolo, i quali inglobarono il mausoleo in un fortilizio che scavalcava la via Appia Antica, realizzato con la tipica tecnica costruttiva dei in blocchetti di peperino (proveniente dalla zona della città di Marino) parallelepipedi. Il sepolcro ebbe il ruolo di "maschio" angolare, mentre il recinto era protetto da sedici torrette rettangolari munite di finestre, delle quali otto sono ancora in piedi (potrebbe appartenere a quel periodo il muraglione che si vede nel perimetro esterno del castello dalla parte della Caffarella, sormontato da un grande arco di scarico cieco). All'interno del mausoleo, sul lato Est, si riconosce un grosso muro a speroni, probabilmente costruito dai conti di Tuscolo se non ancora prima, mentre sul lato Ovest si vede una piccola cisterna, fondamentale in caso di assedio. Gli ingressi del castello, in corrispondenza del passaggio della via Appia Antica, erano costituiti da archi in muratura e potevano essere sbarrati con delle porte a doppio battente (dal lato della strada opposto al mausoleo si vede uno stipite del XVII sec.). La fortezza aveva un duplice scopo: in primo luogo controllare sia porta S. Sebastiano, che era uno dei punti deboli delle Mura, sia la via Appia Antica, che conduceva ai possedimenti dei Conti nel Lazio meridionale; in secondo luogo controllare, proteggere e amministrare la proprietà circostante, comprendente il Circo di Massenzio e la tomba di Romolo. La fortificazione forniva quindi, oltre ad una notevole potenza offensiva, anche una base economica, per mezzo delle coltivazioni, dell'allevamento, e dell'imposizione di un pedaggio su chi attraversava il castello per passare da una parte all'altra della via Appia Antica. Finché i conti di Tuscolo ne rimasero proprietari, il castello sfruttò in minima misura le sue potenzialità belliche, mentre per la maggior parte del tempo esso ebbe un pacifico ruolo di centro amministrativo e residenziale per il conte e la sua famiglia.

Con la decadenza dei conti di Tuscolo il castello di Cecilia Metella entrò in una fase turbolenta, proprio per la sua posizione appetibile per gli altri baroni, e minacciosa per la città di Roma. Grazie alla elevazione al pontificato, papa Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1235-1303) ebbe l'occasione di impadronirsi più o meno legalmente della tomba di Cecilia Metella e dei terreni intorno, che furono quindi ceduti ai suoi parenti. In questo periodo il castello raggiunse la massima potenza e il massimo splendore, arrivando a contenere più di 50 costruzioni (tra stalle e case per la guarnigione e per i lavoratori), alcune chiese per le necessità spirituali, e naturalmente il palazzo baronale. Il mausoleo venne rinforzato con la creazione di un ballatoio superiore di legno, del quale restano la risega nel muro, alcune mensole di marmo e le finestrelle a bocca di lupo per il tiro con le balestre; il ballatoio era sormontato dal camminamento di ronda col parapetto contornato da merli ghibellini. All'esterno dei merli si riconoscono degli anelli di marmo che servivano a reggere, negli spazi tra merlo e merlo, degli sportelli movibili a scopo di protezione. Costruito dai Caetani a ridosso del mausoleo, il palazzo, orlato anch'esso di merli ghibellini, presenta la stessa tecnica costruttiva (struttura quadrangolare e blocchetti di peperino parallelepipedi) delle torri medievali della Caffarella, così come delle costruzioni di vario genere commissionate dai Caetani nel Lazio. Il luogo era come al solito occupato da sepolcri di vario genere, come si vede anche dalla forma curva del muro esterno dal lato della via Appia Antica, probabilmente dovuta alla presenza di un sepolcro circolare; in uno scavo condotto nel 1985 lì dove ora è collocata la guardiania sono stati trovati un sarcofago di terracotta con all'interno, accanto ai frantumi dello scheletro, un corredo costituito da 16 monete di bronzo, che fanno risalire la sepoltura al primo quarto del IV sec. d.C. La famiglia Caetani è ricordata dalla targa marmorea con le "onde" scolpite affissa sul portone del palazzo. All'interno, in stanze illuminate da bifore di marmo e affrescate con motivi floreali, il barone si occupava degli affari, risiedeva con la famiglia e conduceva la vita sociale. Con la costruzione del palazzo si completò il sistema difensivo del castello: il ballatoio superiore del mausoleo poteva infatti essere raggiunto esclusivamente dalla sommità del palazzo, per mezzo di un ponte levatoio che era proprio sopra l'attuale portone di ingresso. A metà altezza del tamburo cilindrico si riconosce la piccola porta riquadrata negli stessi blocchi di rivestimento, e la scala che sale al ballatoio. In caso di assedio, si creava una triplice possibilità difensiva: prima il castello con le sue 16 torri, poi il palazzo, e infine il mausoleo, ultima risorsa per una difesa necessariamente di breve durata».

http://www.romaspqr.it/roma/Altri%20Monumenti/Castello_caetani.htm


Roma (castello dei Monti di Leva o castrum Montis Olibani)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.unigre.itwww.info.roma.it

«Sorge su un pianoro alto 500 metri, sulla sinistra della pianura pontina, circondato da una folta vegetazione. Il nome deriva dal termine olibanum, che significa incenso; infatti, di proprietà ecclesiastica dall'alto medioevo, i proventi di questa tenuta erano destinati a comperare l'incenso per tutte le chiese di Roma. La menzione più antica del castello si ha in un documento del 1330, dove viene citato appunto un Castrum Montis Olibani. Nel 1541 il complesso era di proprietà della famiglia Della Valle che lo cedette successivamente ai Palosci; nel 1552 passò invece al Cardinale Federico Cesi. Il fortilizio, complemente restaurato nei secoli XVII e XVIII con la trasformazione in casale e la conseguente costruzione di una stalla, un porcile ed un forno, che sono ancora visibili, era difeso da una torre di guardia, denominata in età moderna “VII Torre”. Malgrado i rifacimenti, ancora in un disegno del Catasto Alessandrino (1660) appaiono ben visibili gli elementi del fortilizio medievale, con il casale-torre circondato da un antemurale che inglobava piccole torrette. Le trasformazioni dei secoli passati, ma ancora più i meno nobili interventi moderni, hanno reso quasi irriconoscibile il sito dell’antico castello, mentre circa 500 metri a nord la “VII Torre” conserva ancora la sua connotazione rurale, svettando su una collina in completa armonia con l’ambiente naturale che la circonda. Oggi appare mozzata e dotata di tetto; nei fori delle sue antiche impalcature nidifica una folta comunità di uccelli».

http://castelliere.blogspot.it/2011/09/il-castello-di-venerdi-30-settembre.html


Roma (castello del cardinal Silj)

Dal sito www.aesperta.com   Dal sito www.castellosilj.com

«Il Castello del Cardinal Silj sorge su un'importante area archeologica posta nei pressi della villa che fu di Livia, moglie di Augusto. L'attuale costruzione venne edificata secondo criteri neo gotici tipici del revival neo medievale, con corpo quadrato e porticato su sesto acuto con torre centrale. Dopo essere stata una delle più celebri residenze nel periodo romano, alla fine degli anni '50, per il Castello si apre una stagione di fasti e splendori, quelli del cinema e delle sue atmosfere. Il produttore cinematografico Franco Cristaldi acquistò l'area provvedendo al suo recupero e alla realizzazione di un parco straordinario di 17 ettari. Oggi Castello Silj si presenta ancora come un set che fa da sfondo a incontri, serate di gala, cerimonie e congressi e che è riccamente dotato di una varietà di spazi, sia interni che esterni, funzionali e attrezzati, in grado di ospitare grandi e piccoli eventi».

http://www.castellidelazio.com/castellocardsilj.htm


Roma (castello della Castelluccia)

Dal sito www.lacastelluccia.com   Dal sito www.lacastelluccia.com

«Il castello sorse sulle rovine di un'antica villa romana. Costruito tra il XII ed il XIII secolo dalla nobile famiglia Cancellieri, che discendeva dalla famiglia Orsini. A metà del XIII secolo , il castello passò alla famiglia Muti. Verso la fine del XIV secolo Castello venne ceduto alla famiglia Cenci. Nel 1420 il castello passò ai del Bufalo e alla famiglia Cancellieri. All'inizio del XVI secolo La Castelluccia di nuovo tornò ad essere proprietà degli Orsini ma solo per circa 20 anni, trascorsi i quali tornò agli originari proprietari, la famiglia Cancellieri, fino al 1590, quando la famiglia Muti ne prese nuovamente il possesso. Verso la fine del XVI secolo il Castello apparteneva alla nobile famiglia Azzolino che, dopo aver dato inizio al progetto di farne una casa per inquilini, coniò la frase 'borgus novus'. Nel 1660 il castello crebbe e di conseguenza venne diviso tra due nobili famiglie: quella di Angelo Celsi e quella di Antonina Celsi. Verso la fine del XVII secolo il castello nella sua interezza fu acquistato dalla famiglia romana dei Giustiniani. All'inizio del XVIII secolo il castello divenne proprietà del conte Mantemarte, il quale, per pagare i suoi debiti di scommesse, cercò di venderlo, senza successo, alla contessa Rospigliosi. Nel 1704 le autorità confiscarono e cedettero il castello al principe Livio Odescalchi a risarcimento di un debito non pagato. Nella seconda metà del XVIII secolo il principe Odescalchi cedette il castello alla famiglia Azzolini. Nel 1852 La Castelluccia fu acquistata dal principe Boncompagni, uno dei più famosi nobiluomini nella storia romana recente. Nel XIX secolo il castello infine divenne casa del leggendario tenore Francesco Marconi. Nel 1930 il complesso fu di proprietà del conte Ettore Manzolini di Campoleone».

http://www.castellidelazio.com/castellodellacastelluccia.htm


Roma (castello della Cecchignola)

Dal sito https://www.facebook.com/pages/Castello-della-Cecchignola   Dal sito www.castellodellacecchignola.it

  

«Oggi ospita la sede dell'Università dei Marmorari di Roma, vanta una storia antica e annovera tra i proprietari, importanti famiglie romane che nel corso dei secoli, col contribuito di architetti come il Vasanzio, hanno determinato il gusto ed i molteplici stili che tutt'oggi conserva. Nell'insieme il complesso è caratterizzato da diverse epoche costruttive. Il periodo romano rintracciabile nella base della torre principale e soprattutto nelle mura, in cui sono inglobate, attraverso il riuso dei materiali, parti di molte strutture romane, come ad esempio basoli di antiche strade, probabilmente reperiti proprio nella vicina via Ardeatina antica. Ci sono ampi riferimenti al periodo medioevale, al periodo barocco ed a fasi relative al XIX secolo. Il complesso si articola attorno a due ampie corti costituite dal casale, dalla torre e dalle aggiunte ottocentesche. Nella corte più esterna vi è una chiesetta con la facciata caratterizzata da elementi decorativi in stile barocco e all'interno da decorazioni neoclassiche. Nella torre (alta 45 metri) sono chiaramente visibili tre o quattro periodi e tecniche costruttive diverse. La prima parte, la base, è romana ed è rinforzata con speroni medievali ad opera mista ed incerta composta da tufi e da basoli in selce. La seconda parte, di elevazione medioevale, è in tufelli orizzontali tipici del XIII secolo e le imbotti delle sue finestre hanno cornici in marmo bianco di riuso romano. La terza, costruita probabilmente tra il XVIII e il XIX secolo, è un'ulteriore sopraelevazione in tufi ben squadrati e si allarga con mensole in peperino che ricordano la torre del Mangia a Siena. L'ultima parte della torre (che conteneva una cisterna d'acqua) fabbricata in mattoni giallastri è del 1891, data che è possibile leggere sulle ceramiche raffiguranti lo stemma Torlonia, murate nella chiave degli archetti ogivati sulle porte più alte. Il casale e la torre si presentavano fortificati da mura ancora parzialmente visibili. I merli sulle mura sono guelfi ma le immagini ritrovate su disegni antichi li rappresentano ghibellini. La struttura così fortificata costituiva un complesso sistema difensivo rafforzato da una serie di torrette di vedetta, disposte sulle colline circostanti, solo in parte ancora esistenti.

Il primo documento che contiene notizie del castello è una bolla del 1217 di Onorio III Savelli, in cui è registrato il nome "Piliocti vel Cicomola" e ne attribuisce la proprietà al monastero di Sant'Alessio sull'Aventino. I due nomi, Cicomola e Pilocta (l'attuale Tor Pagnotta), potrebbero indicare che il latifondo nel XIII sec. fosse molto più esteso o comunque tale da comprendere al suo interno più fondi. Il termine Cicomola diventa nel secolo successivo Cicognola e dal XVI sec. si trasforma nell'attuale toponimo di Cecchignola. Da documenti risulta esistere una Cecchignola "nuova"; ciò sottende al fatto che esista anche una fabbrica di più recente costruzione e che essa, realizzata come struttura organizzata e deputata allo sfruttamento agricolo, sia da collegarsi all'originaria tenuta di Pilocta. Nel 1377 parte dell'originaria tenuta è ancora in possesso dei monaci di Sant'Alessio. La proprietà , nel 1458, fu venduta dalla famiglia Capizucchi al cardinale Bessarione; nel 1463, la stessa veniva affittata dal maggiordomo del cardinale al figlio di Pietro Casali e a Giovanni de Foschi. Intanto, qualche anno dopo, nel 1467, il cardinale sottoscriveva il suo testamento lasciando in eredità l'intera tenuta alla cappella di Sant'Eugenio nella basilica dei Dodici Apostoli di Roma. Ma, quest'ultima poco dopo la morte del cardinale, nel 1477 circa, se ne privò vendendola a Pietro Margani. La tenuta restava, dopo varie vicissitudini, per oltre cento anni alla famiglia Margani, (vedi lo stemma sull'architrave in marmo bianco esistente nel cortile del castello) che la cedeva nel 1584 a Tiberio Ceuli. Dopo soli 26 anni il Ceuli, in regime fallimentare, vendeva la tenuta ai Barberini. Nel 1617 la proprietà passava al cardinale Scipione Caffarelli Borghese, nipote del papa regnante Paolo V, che l'aveva acquistata da Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII. Proprio in questo periodo, grazie alla famiglia Borghese, verranno realizzati considerevoli lavori di risistemazione del complesso. Essi si devono a più maestranze, che operano tra il 1618 e il 1619, quando Paolo V decise di bonificare la zona trasformandola in un luogo di delizie estive. Così si dà inizio ai lavori per la realizzazione del grande parco nel fosso della Cecchignola, le cui acque alimentavano la peschiera di forma ovale. ...».

http://www.universitadeimarmorari.it/storia_castello.html


ROMA (castello della Magliana o palazzetto di Innocenzo VIII)

Foto di northernsky7007, dal sito www.geolocation.ws   Dal sito http://digilander.libero.it/agronauta/magliana1.htm

«Residenza papale di campagna iniziata da Sisto IV intorno al 1480 e ultimata da Leone X. Sorto in prossimità del Tevere in una zona fertile e ricca di selvaggina, decadde a fine '600 a causa della malaria e, dopo l'acquisto nel 1959 da parte dell'Ordine Sovrano di Malta, fu restaurato e affiancato dall'ospedale S. Giovanni Battista per motulesi (Julio Lafuente e Gaetano Rebecchini, 1960-61) che ingloba la massiccia scuderia. Varcato l'ingresso al cortile del castello, protetto da un avancorpo merlato, si ha a sin. il nucleo più antico del complesso, con portichetto a tre arcate su pilastri ottagonali; in alto, quattro finestre sormontate da architravi con iscritto il nome di Innocenzo VIII. A lui si deve anche l'inizio dei lavori della fabbrica principale, disposta ad angolo retto e lievemente aggettante, proseguiti, su un progetto di Giuliano da Sangallo non fedelmente seguito, dal cardinale Francesco Alidosi per papa Giulio II; belle finestre a croce mozza con il nome di quest'ultimo pontefice si aprono al piano nobile, retto nel lato di fondo da un portico a cinque arcate. L'ala che chiude la corte all'estremità d. fu forse disegnata da Bramante: aperta al primo piano da una loggia ad arcate, racchiudeva al piano terra, dietro la parete in cui si aprono otto nicchie, la cappellina di S. Giovanni, già decorata nelle lunette di affreschi staccati nel 1860 (tra questi, il Padre Eterno di Raffaello oggi al Louvre). La fontana al centro del cortile è circondata da una vasca quadrangolare in travertino aggiunta a metà '500, con iscrizioni e stemmi di Pio IV. Nell'interno, al salone voltato a botte lunettata del piano terra corrisponde, al primo piano, la sala delle Muse, con affreschi piuttosto guasti e un monumentale camino di Giulio II».

http://www.touringclub.com/monumento/lazio/roma/castello-della-magliana-.aspx


Roma (castello della Spizzichina)

Dal sito www.castellodellaspizzichina.it   Dal sito www.villecastelli.com

«La storia del Castello contribuisce a creare quell'aura affascinante che gli appartiene: nacque nel Medioevo come parte di una serie di fortificazioni e venne costruito con frammenti di monumenti romani, conci di marmo e selce (la torretta ne è un chiaro esempio). Un tempo la tenuta ospitò il Burgus Vetus, un piccolo centro abitato eretto dall'antica famiglia Cancellieri, e molti viandanti e pellegrini, diretti verso il Vaticano, vi trovavano dimora e ristoro per qualche giorno, pagando il tributo della gabella. Tra i personaggi illustri che sostarono alla Spizzichina ricordiamo il Santo Padre Pio VII e san Carlo Borromeo nel 1560. Nel corso degli anni la tenuta vide diversi ampliamenti, come le opere in muratura di epoca barocca, esterne al complesso, le pitture murali e gli arredi interni al Castello; durante il Rinascimento fu costruito il Portico sul Fronte Cassia e l'attuale Cappelletta, situata al piano terra, la cui costruzione fu fortemente voluta dalle famiglie di coloni residenti nella tenuta. La Cappella presenta al suo interno delle pareti non intonacate, che mostrano l'originale struttura delle selci, e il piccolo altare, che ripete le sette virtù teologali nelle sette colonne che sostengono la mensa. Tutti questi elementi rendono unico nel suo genere il Castello della Spizzichina, arricchendolo di incanto e romanticismo; gli interni sono contrassegnati da un arredamento piacevole e raffinato, che si può constatare soprattutto nei due saloni e nell'antico camino monumentale, il quale conferisce un aspetto ancora più invitante e accogliente, mentre la caratteristica taverna dà quel tocco di classe in più al complesso. Senza dimenticare l'eleganza degli esterni, dell'ampio giardino, uno spazio ideale per allestire un rinfresco nelle stagioni più calde, e l'imponenza della Torre, alta circa 10 metri, che si data tra i secoli XI e XII e che, appena varcato l'ingresso della tenuta, risalta subito alla vista per la sua affascinante maestosità».

http://www.castellodellaspizzichina.it/le-antiche-origini-del-castello.html


Roma (castello di Boccea)

Foto di Franco Leggeri, dal sito www.abitarearoma.net   Foto di Franco Leggeri, dal sito www.abitarearoma.net

«Il Castello di Boccea sorge sul “fundus Bucciea” che domina la valle del fiume Arrone e il fondo denominato anticamente “Ad Nimphas Catabasi”, sito al decimo miglio dell’antica via Cornelia. Si accede da una via sterrata all’interno della campagna e, come d’incanto, si vedono i resti del vecchio castello, luogo dove albergano le fiabe e ciò che rimane di una architettura delle allucinazioni per chi ha voglia di emozioni, le grandi emozioni, con un percorso iniziatico alla fantasia. Della vecchia costruzione, oltre ai cunicoli e gallerie, è visibile il Torrione, costruito in pietra selce e mattoni con rinforzi di possenti barbacani, necessari per contenere ed arginare il progressivo cedimento del banco tufaceo che costituisce la base naturale del fabbricato. ... Le prime tracce cartacee documentali del Castello si trovano nella bolla di papa Leone IV, conservata negli archivi vaticani, con la quale si conferma la donazione al monastero di San Martino del “fundus Buccia” e delle chiese dei Santi Martiri Mario e Marta. Il papa Adriano IV nel 1158 confermò alla basilica vaticana il Castello e i fondi di Atticiano, Colle e Paolo. ... Da una bolla di Gregorio IX del 1240 si ha notizia di un incendio che distrusse il Castello e che il pontefice ordinò di prelevare il denaro necessario alla ricostruzione direttamente dal tesoro della Basilica Vaticana. In un lodo del 1270, che tratta di una lite di confini della tenuta,si menziona tra i testimoni Carbone, Visconte del Castello di Boccea. Il Castello subì nel 1341 l’attacco di Giacomo de’ Savelli, figlio di Pandolfo che, dopo averlo preso, scacciò gli abitanti e lo incendiò. Papa Benedetto XII, che era ad Avignone, scrisse al Rettore del patrimonio di San Pietro di ”costringere quel prepotente a risarcire il danno”. Dopo il saccheggio da parte del Savelli il luogo rimase deserto secondo il Nibby mentre il Tomassetti, nella sua opera ci descrive il castello e la tenuta ancora abitato da una popolazione di 600 anime, cifra ricavata dalle quote sulla tassa del sale dell’anno 1480/81, durante il papato di Sisto IV. Della trasformazione da Castello a Casale di Boccea, moderna denominazione, si trova traccia nel Catasto Alessandrino del 1661, dove la costruzione viene indicata come “Casale con Torre”. ... Attualmente il Casale di Boccea è in ristrutturazione con destinazione turistico-alberghiera, con un grande ristorante nel quale troneggia un imponente camino seicentesco in pietra».

http://www.romaregione.net/2012/04/04/roma-il-castello-di-boccea


ROMA (castello di Decima)

Dal sito www.it.classvenues.com   Dal sito http://romanatura.roma.it

  

«Il castello di Decima era una fortificazione altomedievale che sorgeva al decimo miglio della via Laurentina, la strada romana che conduceva a Lavinio, oggi Pratica di Mare. Su un'altura a sud est gli scavi condotti a partire dal 1971 hanno rinvenuto una vasta necropoli dell'VIII-VII secolo a.C., riferibile ad un centro urbano identificato come Politorium o Tellenae, in seguito probabilmente nuovamente fortificato dai Romani come parte del sistema difensivo che difendeva la città nel IV secolo a.C. Il primo documento che fa menzione di un castrum pontis Decimi risale al 1081 e ne conferma il possesso al monastero di San Paolo. Passò in seguito al monastero di Sant'Alessio, in enfiteusi ai Frangipane, e al monastero di San Saba. Nel Cinquecento era proprietà dell'ospedale di Santo Spirito e nel Settecento appartenne al cardinale Ludovico Maria Torriggiani, segretario di stato di papa Clemente XIII, che lo ricostruì nelle forme attuali nel 1768. Si tratta di una struttura chiusa da quattro bracci, con ingresso merlato accompagnato da una torre. Al centro un cortile interno con fontana circolare. All'interno del castello si trova la piccola chiesa di Sant'Andrea apostolo in Castel di Decima. Il sistema fortificato del castello comprendeva inoltre il casale di Perna (con un'antica torre), la mola di Malpasso e la torretta di Decima. Le fortificazioni altomedievali, venute meno le esigenze difensive, furono generalmente trasformate in casali nel Rinascimento. Nei pressi sorgevano due ville romane».

https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Decima


Roma (castello di Isola Farnese)

Dal sito www.castellofarnese.it   Dal sito www.icviacassia1694roma.it

  

«Il Palazzo Baronale è l'edificio più importante del Castello di Isola Farnese a Roma. Edificato dagli Orsini nel XIII secolo e passato nel XVI secolo ai Farnese, deve la sua forma attuale al cardinale Alessandro Farnese. Fu posseduto da: • Paolo Giordano Orsini, primo duca di Bracciano e dalla sua famiglia sin dal XIII secolo; • Alessandro Olgiati, nobile romano, dal 9 ottobre 1560, acquisito al prezzo di 17.250 scudi in qualità di prestanome del Cardinal Farnese; • Cardinale Alessandro Farnese: acquisito il 16 aprile 1567 al prezzo di 16.500 scudi; • Camera Apostolica: il 19 dicembre 1649 Ranuccio II Farnese acconsentì alla incamerazione del Ducato di Castro e tutti i beni e diritti costituenti il ducato vennero ceduti alla Camera Apostolica per la cifra di 1.629.750 scudi; • Marianna di Savoia, duchessa del Chiablese e moglie di Benedetto di Savoia, dal 1820 ed a conferma di un precedente contratto di enfiteusi; • Maria Cristina di Savoia nata di Borbone-Napoli, regina consorte di Sardegna e moglie di Carlo Felice di Savoia, in eredità dal 1824 in seguito alla morte di Marianna di Savoia, sorella del marito; • Famiglia Rospigliosi ... dal 1844; • Famiglia Ferraioli, data di acquisto non precisata; • Famiglia Di Robilant, dal 31 marzo 1961, a rogito Notaio Misurale (rep:164283); proprietà alienata da Carlo Alberto Gentiloni Silverj quale procuratore del padre Stefano Gentiloni Silverj al quale la proprietà era pervenuta in eredità da Natalia De Rossi fu Giovanni Battista vedova Ferraioli giusto testamento olografo in data 27 giugno 1939».

http://www.castellofarnese.it/palazzo.html


Roma (castello di Porcareccia o castello Aureo)

Foto di Franco Leggeri, dal sito www.abitarearoma.net   Foto di Franco Leggeri, dal sito www.abitarearoma.net

«È conosciuto anche come “Castello aureo”, ma il suo nome più famoso, Castello della Porcareccia, deriva dal latino porcaritia, luogo di allevamento di maiali e cinghiali. L’insediamento si trova nella zona che da via Boccea porta fuori Roma ed è collocato su uno sperone roccioso, in posizione strategica. In passato aveva sicuramente funzione di avvistamento. Prima testimonianza scritta dell’esistenza del Castello è una lapide che si trova nella chiesa di Santa Lucia delle Quattro Porte, datata 1002, anno in cui la tenuta della Porcareccia è affidata ai monaci di Monte Brianzo, nel rione Ponte. Più tardi, nel 1192, papa Celestino III dà la cura del fondo agricolo ai canonici di Via delle Botteghe Oscure. Un terzo atto di papa Innocenzo III (inizio del XIII secolo) assegna una parte della tenuta all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito. Dal XVI secolo in poi, l’insediamento passa in mano ai privati: le famiglie Massimo, Borghese, Salviati e Lancillotti. Dal 1932 in poi, proprietaria del Castello è la famiglia Giovenale. Il portale d’ingresso del Castello è dominato dallo stemma di papa Sisto IV. Prima di accedere al cortile interno, è possibile notare, in alto, fori passanti per una grata metallica che, all’occorrenza, veniva calata per impedire assalti e irruzioni di nemici. All’interno della struttura è possibile trovare reperti di epoca romana, come frammenti di capitelli e spezzoni di colonne. Nel piazzale interno c’è, invece, la chiesetta di Santa Maria, la cui costruzione risale al 1693, caratterizzata da un altare in legno impagliato, costruito dai prigionieri austriaci della Grande Guerra, che qui erano stati internati. Nella chiesa celebrava messa anche il giovane prete Angelo Roncalli, il futuro papa buono, Giovanni XXIII, che veniva spesso in questi luoghi per godere delle bellezze naturali. La tenuta della Porcareccia è stata anche antesignana della “guerra delle quote latte”: nel periodo di carestia si dà il massimo sviluppo all’allevamento dei suini per sfamare la popolazione di Roma, come si legge anche in una bolla di papa Urbano V del 1362. Per segnalare la presenza degli animali venivano messi dei campanelli alle loro orecchie e chiunque ne impediva il pascolo incorreva in pene severissime».

http://www.secondopoloturistico.roma.it/in-primo-piano/i-luoghi-inediti-del-secondo-polo-il-castello-della-porcareccia


Roma (castello di Torrenova)

Foto di Giorgio Clementi, dal sito www.trekearth.com   Il castello nel 1900, dal sito http://giardinettis.altervista.org

«Il castello di Torrenova di origine medioevale, sorse nel sito di una villa di età romana appartenuta alla famiglia Pupinia. L’attuale denominazione suggerisce l’esistenza di una torre più antica, forse del XIII secolo, probabilmente denominata Torre Verde e da ricollegarsi al Torianum o Turrianum attestato nell’VIII secolo ed appartenente alla massa Calciana del Patrimonio Labicano. Fu anche detta Turris Iohannis Bovis, Rocca Cenci, Giostra; assunse il nome attuale probabilmente in occasione dei restauri ed ampliamenti ordinati da Clemente VIII (1592-1605) della famiglia Aldobrandini ed effettuati da G. Fontana tra il 1600 e il 1605. Il fondo appartenne agli inizi del XV secolo alla famiglia Palosci; nel corso del ‘400 alcune parti della tenuta furono assegnate a diversi proprietari finché nel 1562 fu riunita nel possesso dei Cenci. A seguito di vicende giudiziarie che coinvolsero quella famiglia il fondo fu acquistato nel 1600 dagli Aldobrandini; nel XVI secolo appartenne ai Borghese che la tennero fino ai primi del ‘900. Il complesso è costituito da un palazzo con merlature di tipo ghibellino, che comprende la torre, e da una chiesa di epoca cinquecentesca. Attualmente non è visitabile, poiché adibito ad abitazioni private. L’edificio è composto da due bracci che si incontrano ad angolo retto; lo spazio così delimitato è chiuso sugli altri due lati da una recinzione che nel tratto sud-est comprende l’ingresso e la torre. Il braccio orientato nord-est, ornato da finestre con eleganti incorniciature, doveva costituire il lato nobile, come anche suggerisce la decorazione del portico a cinque arcate che ne ritma il prospetto sulla corte. A circa 200 metri in direzione nord-ovest dal palazzo si vedono i resati di un ninfeo detto “Bagno della Bella Cenci”. Si tratta di un piccolo ambiente a pianta rettangolare, coperto con volta a botte, il cui ingresso, costituito da un arco, si apre ad est in corrispondenza di un rivo creato artificialmente. Il vano, che sorge sull’isoletta circondata dal canale, è decorato da graffiti e pitture, già estremamente deteriorate alla fine del secolo scorso. All’interno della tenuta di Torrenova fu scoperto nel 1834 un grande mosaico, di epoca tardo imperiale, con raffigurazione di gladiatori in lotta con bestie feroci, che ancora oggi decora il pavimento di un salone del Museo Borghese, ospitato nell’omonima villa. Tutta la zona ha restituito testimonianze di epoca romana; oltre a numerosissimi frammenti di decorazioni architettoniche, relativi soprattutto a monumenti funerari, si rinvennero un bellissimo sarcofago con la raffigurazione del mito di Atteone, conservato al Museo del Louvre, una lastra con Artemide Kourotrophos, oggi a Villa Borghese, e una statua di Helios, anch’essa al Louvre. Infine a nord del Castello di Torrenova fu rinvenuto un mausoleo a pianta circolare, appartenente a P. Valerio Prisco, funzionario imperiale dei primi anni del II secolo».

http://www.comune.roma.it/wps/portal/pcr?contentId=ANC195446&jp_pagecode=newsview.wp&ahew=contentId:jp_pagecode


Roma (castello Scandeluzza)

Dal sito www.hotelditalia.com   Dal sito www.icastelli.it

«Castello Scandeluzza è uno dei più belli ed affascinanti castelli del Agro Romano, appartenente alla nobil famiglia Pellegrini. è situato a Roma, 6 km dal Vaticano. Tanti piccoli tesori di storia e d’arte vi permetteranno di rivivere le leggende di questa dimora. Il Castello è stato restaurato ed al tempo stesso modernizzato ad una vita attuale. Filippo Maria proprietario del Castello Scandeluzza è lieto di aprirvi le porte ed accogliervi in una delle sue Suite di eccellente charme e qualità. Saranno a vostra disposizione grandi sale e camere ornate di affreschi, storiche statue marmoree e antichi camini vi regaleranno uno scenario fiabesco. Un grande giardino con i templi illuminati dalle fiaccole daranno alla vostra accomodazione e soggiorno un tono prezioso ed elegante».

http://www.rentalcastles.com/scandeluzza/scandeluzza_ita.htm


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