Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Lazio ® Provincia di Frosinone

TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI FROSINONE

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

Fermando il puntatore del mouse sulla miniatura di ogni foto, si legge in bassa risoluzione (tooltip) il sito da cui la foto è tratta e, se noto, il nome del suo autore: a loro va riferito il copyright delle immagini.


  = click image to enlarge / clicca sull'immagine per ingrandirla.
= click also image to enter / puoi entrare nella pagina anche cliccando sull'immagine.
= click image to castelliere.blogspot / clicca sull'immagine per castelliere.blogspot.
= click image to wikipedia / clicca sull'immagine per wikipedia.


AcQUAFONDATA (resti dei castelli di Acquafondata e Casalcassinese)

Foto di Fabrizio Di Meo, dal sito http://casalcassinese.jimdo.com   Dal sito www.lazionauta.it

«Le prime notizie di stanziamenti abitativi nel luogo risalgono attorno al 1019 quando si costruì un castello ad opera dei Conti di Venafro i quali nel 1086 lo vendettero all’abbazia di Montecassino. Nel 1806, per volere di Gioacchino Murat, passò a far parte della Terra di Lavoro. Il nome Aqua fundata compare per la prima volta nei documenti cassinesi. Dopo l’Unità d’Italia, il suo territorio fu luogo di eventi legati al Brigantaggio. ... Da vedere: resti dei castelli di Acquafondata e Casalcassinese (sec. XIV)».

http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=78%3Aacquafondata&catid=34&Itemid=940&lang=it

«Prima della donazione del conte Ugo negli anni tra il 1018 e il 1031 i conti Venafrani costruirono un Castello dopo che furono scacciati da Acquafondata e vi si fortificarono sia per sorvegliare da esso le mosse dei Normanni sia per prepararsi a rientrare nel territorio perso. Un ricordo del Castello di Casale è del 1122 e lo troviamo in Pietro Diacono nel corso della narrazione dell’attacco ai Castelli di Acquafondata, Viticuso e Casale ad opera del conte di Venafro Pandolfo VI. Nel 1123 Pandolfo VI fece atto di sottomissione all’abate e così si ristabilì l’autorità di Montecassino in tutta la zona dopo anni di scorrerie che misero a ferro e fuoco la Terra Sancti Benedicti costringendo l’abate a radunare il suo esercito. L’Universitas civium di Casale nacque soltanto nel XIII secolo a seguito dell’arrivo di abitanti di Vallerotonda che iniziarono ad abitare il luogo».

http://casalcassinese.jimdo.com/origini/


Acuto (borgo, mura, torri)

Dal sito www.comune.acuto.fr.it   Dal sito www.comune.acuto.fr.it

«L’abitato è suddiviso in due parti: il centro storico ed un nucleo di più recente costruzione nelle vicinanze di un vasto bosco. Le notizie più antiche risalgono al Medioevo e mostrano il castello di Acuto strettamente collegato con Anagni, mentre il nome della località compare nei documenti sublacensi nell’anno 1051, per il possesso benedettino di due chiese rurali. Il borgo dipese dalla città di Anagni fino al XII secolo quando venne ceduto al vescovo diocesano, il quale, a sua volta, concesse il castrum in enfiteusi a signori locali fra cui i Caetani ed i Conti. Sul piano demografico il paese ebbe probabilmente un incremento con la scomparsa del vicino castrum Vici Moricini, entrato in crisi nel periodo dell’abbandono dei villaggi, la cui popolazione può essersi concentrata soprattutto in Acuto. Il rapporto con Anagni fu sempre molto sofferto poiché avvennero liti secolari fra le due comunità per i confini, per la spartizione delle risorse e soprattutto per l’uso del pingue territorio anagnino da parte di emigranti stagionali acutini. In qual che caso sembra che il comune di Anagni considerasse sottoposto il piccolo castello limitrofo, come nel 1478, quando, concedendo agli acutini il diritto di erbatico, li obbligò a servirsi dei mulini anagnini. Nel 1556, durante la guerra di Campagna, la cittadina venne occupata dagli spagnoli ma ben presto tornò a seguire le sorti delle terre soggette allo stato pontificio fino a quando, neI 1870, entrò a far parte del regno d’Italia. L’antico centro storico, posto in cima al monte, è all’interno di un circuito murario che doveva essere costituito da case fortificate, come è possibile ipotizzare dalla presenza di torri circolari attualmente inglobate negli edifici. ... La Chiesa di Santa Maria Assunta è la principale del paese. Si presenta imponente per la mole dell’intero edificio e per l’abside, che è la riutilizzazione di una delle torri appartenenti alla cinta muraria».

http://www.laciociaria.it/comuni/acuto.htm


  • Acuto (castello vescovile)

    Dal sito www.comune.acuto.fr.it   Dal sito http://castelliere.blogspot.it

    «Il castello sorge proprio nel punto centrale del paese, in posizione dominante sulla porta d'ingresso e il borgo, rettilineo di circa duecento metri. La costruzione originale risale intorno all'anno Mille; la struttura attuale è solo una parte dell'antico castrum. Il portale d'ingresso, preceduto da doppia scalinata laterale, conduce a un atrio spazioso, da cui si accede ai due piani, abitati fino ad anni recenti (conti Giannuzzi Savelli). Edere e rampicanti ricoprono l'intera facciata. Un torrione rotondo di tre piani, anch'esso abitabile, chiude la facciata sul lato destro. Fissando un appuntamento, è possibile accedere all'interno del castello. Un balcone panoramico domina il paese».

    http://www.geosearch.it/s_5956/Acuto/siti-storici-culturali/Castello-di-Acuto.php (a cura di Luigi Jadicicco)


    Alatri (palazzi medievali)

    Palazzo Conti-Gentili, dal sito www.tg24.info   Palazzo Gottifredo, dal sito www.lazioturismo.it

    «Palazzo Conti-Gentili. Il Palazzo Conti-Gentili, edificio gentilizio che risale al XIII secolo, compone uno dei lati della piazza Santa Maria Maggiore, ed è saldato su di un fianco alla chiesa degli Scolopi, con la quale condivide gran parte della sua storia recente: per oltre due secoli è infatti stato sede del Collegio delle Scuole Pie, retto dal 1729 ed il 1971 dalla comunità religiosa dei Padri Scolopi. Non conosciamo i primi proprietari del palazzo, sono noti però quelli successivi, i Tuzi e i Conti. Della struttura duecentesca, e del profondo porticato terreno che la connotava, non rimane che il grande portale archiacuto d'ingresso. La veste attuale del prospetto si deve infatti ad un'opera di ammodernamento dei piani inferiori voluta dall'allora proprietario Giovanni di Francesco Tuzi, detto Turco, nel 1532, cui fece seguito la ristrutturazione degli ordini superiori intrapresa dall'erede Carlo di Francesco Conti, che tra il 1580 ed il 1583 trasformò lo stabile in un'elegante dimora rinascimentale. Passato al Comune nel 1721 per volontà testamentaria del nobile Giuseppe Conti e della consorte Innocenza Gentili, subì ulteriori trasformazioni che adeguarono l'intero complesso al nuovo ruolo di Palazzo degli studi. La storica Biblioteca del Palazzo conserva testi di storia locale ed antiche pergamene, tra cui una copia membranacea degli Statuti alatrini del 1582. Presso le antiche sale del Liceo-Ginnasio si trova inoltre un piccolo museo che vanta tra l'altro una pregiata sfera armillare priva di un sistema planetario interno firmata da Giacomo Lusverg a Roma nel 1669. La grande meridiana presente sulla facciata del palazzo è opera di Angelo Secchi, ed è stata realizzata nel 1867. L'orologio permette di determinare, nei limiti compresi tra le ore dieci e le ore sedici, sia il "tempo vero", evidenziato dai segmenti rettilinei, sia il "tempo medio", individuato dalle figure a forma di otto. Attualmente nel Palazzo hanno sede il Liceo Classico, erede del Collegio, il Liceo Linguistico e il Socio-psico-pedagogico, e - al piano terreno - la biblioteca comunale Luigi Ceci, l'anagrafe, il centro studi Pietrobono e il cineauditorium. Nel 2005 vi è stata istituita una sede distaccata della Facoltà di Giurisprudenza dell'università di Roma La Sapienza, il seminario giuridico Riccardo Orestano.
    Palazzo Gottifredo. Concepito nella più totale autonomia dalle consuete forme tipologiche dell'architettura medioevale alatrina, questo edificio, imponente nella sua altezza, è stato costruito intorno alla metà del XIII secolo come residenza del cardinal Goffredo di Raynaldo, ricco feudatario alatrino e dotto diplomatico pontificio durante gli anni della lotta anti-imperiale. Il disegno del palazzo è espresso dalla fusione tra due robuste case-torri, diverse per stile ed epoca di costruzione, collegate fra loro da un ampio corpo longitudinale, che si snoda con un profilo sfaccettato per gran parte del corso Vittorio Emanuele. Le notevoli difformità stilistiche sono rese evidenti, oltre che dalla diversa ornamentazione dei due ingressi principali, anche e soprattutto dalla diversa disposizione delle aperture superiori: assai irregolari e rade nella più antica torre angolare, alquanto ordinate e strutturalmente più organiche nei restanti corpi di fabbrica. L'interno è in parte compromesso dal crollo delle grandi arcate ogivali che sostenevano il settore centrale della copertura.
    Palazzo comunale. L'edificio originario venne innalzato nella prima metà del XII secolo, e fu in seguito ristrutturato nel 1395 e poi nel 1558. Tra il 1863 e il 1870 ha assunto le attuali forme neoclassiche per opera dell'architetto Raffaele Boretti. L'orologio che ne coronava la facciata è andato distrutto sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
    Palazzo Grappelli. Si tratta di un possente edificio risalente al XIII secolo, munito di torre (Torre Grappelli). Noto anche come Palazzo Patrassi o Patrassi-Grappelli, dal nome dei primi proprietari, fu un importante punto di riferimento per la vita politica della città durante l'età comunale. Nel XVII secolo venne ampliato per volontà di Paolo Grappelli. Così lo descrisse il Gregorovius: "Un'ampia corte interna, belle scale in pietra, un salone magnifico, dove era stato eretto un teatrino, molte stanze con soffitti dipinti e pareti adorne di affreschi, ed infine in mezzo ad alcune costruzioni laterali in pessimo stato, una torre in rovina rivelava che un tempo vi era una fortezza". Alla famiglia alatrense dei marchesi Grappelli appartiene il celebre jazzista Stéphane Grappelli.
    Palazzo Amore e Stampa. Risalente anch'esso al XIII secolo, il Palazzo Amore e Stampa deve l'attuale aspetto alla radicale ristrutturazione del 1855. L'aspetto originario dell'edificio ci è suggerito dalle bifore tamponate e dagli arcate ogivali al piano terreno.».

    http://it.wikipedia.org/wiki/Alatri#Palazzi_storici


    Alatri (porte)

    Nella foto di Fabiosbaraglia la porta San Francesco, dal sito it.wikipedia.org   Nella foto di Fabiosbaraglia la porta San Benedetto, dal sito it.wikipedia.org

    «Il centro storico è tutto interno all’antico circuito murario megalitico che, nel lato meridionale, è stato allargato per con sentire l’espansione medioevale della città. Nel circuito, così come appare oggi, sono aperti sei varchi, di cui uno di recente, che immette direttamente alla piazza Santa Maria. Le porte antiche sono denominate San Benedetto, San Francesco, San Nicola e San Pietro perché vicine, o corrispondenti, alle omonime chiese, ancora esistenti o distrutte. L’ultima delle porte, l’unica che non ha un nome religioso è la Porta Portati che è fortificata per mezzo di un torrione posto di traverso rispetto alle mura. La Porta San Benedetto è piccola e non consente il passaggio al suo interno dei veicoli, è costruita con pochi grandi massi ed è l’unica a presentare un monolite per architrave. Porta San Francesco è stata ricavata, nell’Ottocento, aprendo un varco attraverso le antiche mura megalitiche, secondo il progetto dell’architetto Subleyras. Essa presenta un largo vestibolo costruito per aumentarne le capacità difensive. Non lontano è la Chiesa di San Benedetto. La Porta San Nicola è uno degli accessi medioevali alla città dalla parte orientale: attualmente è diruta e presenta tracce consistenti delle trasformazioni ottocentesche, realizzate su disegno del Subleyras. Porta San Pietro è rivolta a nord, verso il colle San Pietro ove sorgevano l’omonima chiesa e il convento.. Attualmente presenta imponenti mura laterali composte da macigni, a rammentare l’antica porta ernica denominata Bellona. Ai suoi lati si notano alcuni bassorilievi, probabilmente simboli fallici».

    http://www.laciociaria.it/comuni/alatri.htm


    Alvito (castello Cantelmo)

    Dal sito www.hotelalfieri.com   Dal sito www.aquinosindaco.it

    «Il Castello Cantelmo di Alvito è un'antica fortezza posta sulla cima di un colle sovrastante la piana d'Alvito, che si sviluppa in direzione nord-est sud-ovest, dove è pure l'abitato di Castello, frazione intramoenia di Alvito e centro di fondazione dell'attuale città, uno dei primitivi abitati sorti dopo il disfacimento della benedettina Civita di Sant'Urbano. Dagli anni novanta è di proprietà del Comune di Alvito, che sta provvedendo a ricostruirlo nelle parti andate, col tempo, distrutte, e a riconsolidare quanto rimasto, per promuovervi incontri culturali e manifestazioni sociali. È anche conosciuto col nome di Castello di Alvito, benché amministrativamente si indichi in tal senso l'intera frazione alvitana in cui è sito il maniero. Ancora alla fine del XIX secolo il castello doveva apparire grossomodo integro delle sue strutture e conservare tutta l'imponenza originaria. Diversi terremoti del XX secolo e anni di abbandono però causarono il crollo e la perdita degli elementi architettonici più vistosi, dal maschio alle merlature. La struttura architettonica è costruita secondo i modelli dell'economia militare e non ha subito interventi di restauro filologico o manieristico come successo ad altre strutture simili e conserva quindi tutte le forme medievali. Gli elementi principali sono i sistemi difensivi, disposti progressivamente da un perimetro esterno al centro e l'edificio in cui risiedevano i castellani. Una prima cerchia muraria alta cinque metri circonda tutta l'area su cui si è sviluppato il castello, di forma trapezoidale, ricavata spianando la cima del colle; alle prime mura, che si innalzano per cinque metri, corrispondeva un fossato profondo altri cinque nel lato che dà verso il centro abitato. Una seconda cerchia muraria proteggeva l'edificio vero e proprio, protetto da quattro muraglioni a scarpa, con quattro torri angolari alte 14 metri e larghe 11 di circonferenza alla base e 9 alla cima. Al centro della seconda cerchia si ergeva un edificio quadrangolare, il maschio, che si innalzava per 11 metri più in alto rispetto al resto del castello: al lato sud dell'edificio dovevano trovarsi le stanze della nobiltà, mentre nei restanti locali risiedeva la servitù e le guardie. Una torre ottagonale ne proteggeva l'accesso.

    Dagli anni Novanta il castello è di proprietà del comune di Alvito, che sta provvedendo a ricostruirlo nelle parti andate, col tempo, distrutte, e a riconsolidare quanto rimasto. I primi interventi risalgono al 1994 e sono stati affidati dalla provincia di Frosinone all'architetto Giulio Rossetti, che ha curato la ricostruzione, con le pietre originarie, di parte delle torri, delle merlature e dei principali ingressi, ripulendo gli accessi e restaurando le volte principali. Alcuni ambienti sono ancora in fase di ricostruzione. La struttura ospita nel periodo estivo una manifestazione culturale denominata Castello Reggae, in cui diversi musicisti si esibiscono con composizioni e performance di ispirazione caraibica, con gli strumenti e i suoni tipici della musica reggae, dello ska e del rhythm and blues. In uno dei cortili interni è stata installata una voliera. Edificato alla fine del secolo XI dai conti D’Aquino per un impegno preso con l’abbazia di Montecassino che desiderava un avamposto a guardia dell’accesso nord della valle. Ricordato nei Registri Angioini come edificio militare (nel 1293 era tenuto in perfetto assetto di guerra, con abbondanti munizioni e considerevoli provviste alimentari), dopo il terremoto del 1349 che lo distrusse venne riedificato e assunse anche funzioni di palazzo feudale, dimora dei Cantelmo. L’impianto, di notevole estensione, è attualmente ridotto ad un rudere, in cui sono comunque leggibili avanzi di possenti mura strombate, resti di bastioni e torri. A pianta pentagonale, ha tre torri cilindriche che guardano verso i tre lati della valle, di cui quella di sud-est conserva tracce di antiche merlature».

    http://www.comune.alvito.fr.it/2011/jhome/index.php?option=com_content&view=article&id=66&Itemid=49


    Alvito (mura, porte)

    Resti delle mura e Porta Ricciuti, dal sito www.comune.alvito.fr.it   Porta San Biagio, dal sito www.comune.alvito.fr.it

    «Cinta Muraria. Coeva alla rocca, scende dal castello allargandosi a comprendere il sottostante borgo (la valle) e il Peschio. È conservata in molti tratti, nonostante che la costruzione della rotabile per il castello e per la provinciale Sferracavalli la abbia interrotta in molti punti. Aveva quattro porte nella valle, due al Peschio e due al castello. Porta del Lago. Arcata a sesto acuto, era la seconda porta che immetteva nel borgo, dal versante nord, in prossimità del punto in cui la cinta muraria si congiungeva con la fortificazione del castello. Porta del Mercato Vecchio o Vado Grande. Ancora esistente l’arco a sesto acuto. Era l’accesso importante da sud-ovest dalla strada per Atina, che passava in prossimità della chiesa rurale di S. Rocco. Era inoltre il passaggio obbligato per il mercato, che si svolgeva fuori le mura sin da epoca antichissima nel giorno del sabato. Porta Ricciuti. Una delle due porte che si aprivano nelle mura all’altezza del Peschio, immetteva nella strada omonima che si congiungeva a valle alla strada di S. Donato. È ad arco a tutto sesto e presenta tracce di un affresco nell’intradosso. Porta San Biagio. Era la porta di accesso alla città medioevale dalla strada di Vicalvi e Sora. Era a sesto leggermente acuto. Poiché minacciava di crollare, è stata riedificata con le pietre originali opportunamente numerate».

    http://www.comune.alvito.fr.it/2011/jhome/index.php?option=com_content&view=article&id=77&Itemid=51  (e ss. anche per i riferimenti bibliografici).


  • Alvito (palazzo Gallio o Ducale, palazzo Elvino)

    Palazzo Ducale, dal sito it.wikipedia.org   Palazzo Elvino, dal sito www.comune.alvito.fr.it

      

    «Palazzo Gallio (o Palazzo ducale) è la sede del Municipio di Alvito. Prende il nome dalla famiglia Gallio, originaria di Cernobbio, che infeudò Alvito e buona parte della Valle di Comino dal 1595 al 1795. Il palazzo sorge nell'odierna Piazza Guglielmo Marconi, alla confluenza tra Corso Mario Equicola e Corso Gallio. Vi ha anche sede, con accesso a parte, nel lato destro dell'edificio che dà su Piazza della Vittoria, il G.A.L. "Versante laziale del Parco nazionale d'Abruzzo". Fu costruito, in più volte, dal 1596 alla metà del Seicento. In particolare, secondo lo storico Domenico Santoro, i lavori del palazzo vennero ultimati da Francesco Gallio nel 1633. Da piazza Marconi vi si accede attraverso un porticato detto “le logge” - fatto costruire da Tolomeo II Gallio, figlio di Francesco, intorno al 1668 - alla sinistra del quale è stata posta, nel 1907, un'iscrizione lapidea in memoria di Mario Equicola. Nell'androne si sviluppa un affascinante coevo scalone: alla sua a metà, si legge un'ulteriore epigrafe volta a ricordare i 21 alvitani che, nel 1839, acquisirono il palazzo per donarlo alla municipalità come sede dell'amministrazione civile e giudiziaria. ... Alla fine della scalinata si trova l'ex “Sala del Trono”, con soffitto a padiglione, oggi splendida cornice di forma rettangolare del Teatro comunale di Alvito. Sulla destra, invece, si accede sia agli uffici dell'amministrazione comunale, sia all'antica “Galleria”, che ospita le assise del Consiglio comunale. Questo lungo e ristretto salone, in cui spicca un bel camino settecentesco, è contornato da dipinti realizzati da allievi della scuola di Luca Giordano.

    Il palazzo Elvino, o palazzo Elvino-Panicali, è un edificio storico della città di Alvito, costruito nel XVI secolo per volere del vescovo Berardino Elvino, con pregevoli architetture del XVII secolo. Il vescovo Bernardino Elvino, nato ad Alvito nel 1504, andò sin da giovanissimo a Roma per intraprendere la carriera ecclesiastica; dal 1520 fu preposto della chiesa di San Martino di Alvito e nel 1534 divenne anche segretario di papa Paolo III e poi vescovo di Anglona, tesoriere apostolico e quindi nunzio apostolico in Spagna e Germania. Guadagnato un cospicuo patrimonio, riuscì ad edificare nel quartiere inferiore di Alvito uno dei più imponenti palazzi rinascimentali della città, che da lui prese il nome, il cui completamento probabilmente deve datarsi al 1560, secondo un'iscrizione orizzontale presente sulla facciata, incisa in una modanatura di pietra. ... Il palazzo è edificato nel rione Ospedale, ad una delle estremità meridionali del tracciato murario. Si sviluppa su quattro piani, due seminterrati, che si affacciano sulla piana d'Alvito, più altri due che danno anche sul centro cittadino, dov'è anche l'ingresso principale, un portale pugnato. Le finestre che danno verso l'abitato di Alvito sono dotate di storiche inferriate, già citate dal Castrucci».

    http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Ducale_%28Alvito%29 - http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Elvino


    Amaseno (castello dei Conti Ceccano-d'Angiò)

    Dal sito http://amasenoblog.blogspot.it   Dal sito http://digilander.libero.it/amabanda/italia/Amaseno

    «Nella parte più alta del centro abitato di Amaseno è ubicato il Castello; fino al 1937 l'edificio conservava i maestosi ruderi della torre mastra, che vennero eliminati per far posto al serbatoio per l'approvvigionamento idrico dell'abitato. Nel corso degli anni, ha subito innumerevoli rimaneggiamenti poiché abitato dalla popolazione locale. Le originali parti di muratura visibili, daterebbero la sua costruzione al XIII secolo circa. Nella parte Sud del Castello ancora oggi possiamo notare delle feritoie, dette "occhi", ricavate tra due blocchi di calcare utilizzate per lo scolo delle acque. Ad oggi e possibile ancora ammirare la ripida scalinata interna, realizzata con robusti conci di calcare squadrati e sagomati. La veduta d'insieme del Castello è molto imponente anche se, essendo stato utilizzato come abitazione, due orrendi balconcini ne deturpano l'armonia. Fino a metà parete, circa, si può vedere come la muratura del basamento sia inclinata, tipo il tronco di una piramide; sopra l'enorme parete è ancora visibile una torretta. Alla metà del XV secolo il castello di S. Lorenzo, venne donato dalla regina Giovanna II di Napoli ai Conti di Ceccano. La tradizione popolare narra che la regina Giovanna usava soggiornare del tempo nel suo castello di Amaseno. Si racconta che fosse di carattere ribelle, sfrontato e libertino e che non disdegnava la compagnia dei giovani locali o di quella delle sue guardie. Quando stanca di queste sue relazioni clandestine intendeva liberarsi, per non avere problemi, improvvisamente si perdeva traccia di questi suoi uomini. Da qui le più macabre leggende sulla presunta sparizione di questi giovani. Non vi è castello senza l’immancabile passaggio segreto, dunque dai sotterranei del castello, si dice, che un cunicolo portava fuori dalle mura di cinta, in località Spinetti. ...».

    http://digilander.libero.it/amabanda/italia/Amaseno/EDIFICI_STORICI/Castello.htm


    ANAGNI (abbazia fortificata di Santa Maria della Gloria)

    Dal sito www.tesoridellazio.it   Dal sito www.ciociariaturismo.it

    «Il complesso degli edifici rappresenta ciò che è rimasto del monastero della Gloria sorto nei primi decenni del XIII secolo per opera del cardinal Ugolino, nativo di Anagni, vescovo di Ostia e futuro papa col nome di Gregorio IX (1227-1241). Precedentemente il fratello di Ugolino, Adenolfo Conti, desiderò costruire una cappella in Anagni da affidare ai Francescani e donò loro un appezzamento di terreno, il fondo Arenzano, con torre annessa. La cappella rimase incompiuta per la morte di Adenolfo. Venne successivamente ultimata dal fratello Ugolino che la dedicò a S. Martino e la concesse a quei frati. Contemporaneamente stava facendo costruire su un fondo attiguo chiamato Monte d’Oro, un monastero che dedicò alla Vergine Assunta in Cielo. L’anno di fondazione del monastero è incerto, ma si colloca nell’arco di tempo compreso tra il 1212 e il 1219. Successivamente il cardinale Ugolino ritenne opportuno unire le due chiese in un unico complesso trasferendo i Francescani, dopo averli provveduti di un’altra sede, in una località anagnina che per quel motivo è tutt’oggi chiamata S. Francesco. Dall’unione dei due complessi nacque così l’Abbazia di Santa Maria della Gloria, e per volere di Ugolino (ora Pontefice con il nome di Gregorio IX) fu affidata all’ordine monastico dei Florensi. Con la morte di Alessandro IV, avvenuta nel 1261, l’Abbazia cominciò a risentire della diminuita protezione del papato; cominciarono le imposizioni di pagamento delle decime che fino ad allora erano state risparmiate. Inoltre, le insidie continue ai suoi ricchi beni e la lenta diminuzione dei suoi monaci ne accelerarono la fine. La decadenza si accentuò con il pontificato di Bonifacio VIII e con l’ascesa della famiglia Caetani che, nel 1297 acquista molti terreni di proprietà del monastero. Nel 1411, venne data in commenda e nel 1739 in enfiteusi a Leonardo Martinelli di Anagni. I nuovi proprietari ridussero il complesso a abitazione per se e per i coloni addetti ai lavori della terra; in pratica l'intero possedimento divenne un'azienda agricola e l'intero complesso venne adattato a casale rurale, residenza del proprietario, dei coloni, magazzino e stalla del bestiame. L’edificio è oggi costituito da vari corpi di fabbrica in pietra tufacea di colore giallastro. Lo stile dell’intera costruzione è un romanico sobrio che effonde un senso di mistica severità perfettamente aderente allo spirito dello scomparso ordine monastico. Da alcuni anni gli edifici sono stati acquistati dal Comune di Anagni; attualmente costituisce una suggestiva scenografia per le rappresentazioni del Festival del Teatro Medievale e Rinascimentale».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=3623&Itemid=1234&lang=it


    ANAGNI (mura, porte)

    Porta Santa Maria, dal sito www.camminideuropa.eu   Porta Cerere, dal sito www.liceoleoniano.it

    «Anagni, l’antica Anagnia, capitale della confederazione delle città del popolo ernico e città sacra, si eleva sopra una collina affacciata sulla Valle del fiume Sacco. Città antica, conserva vestigia erniche negli scavi di S. Cecilia, imponenti resti romani nelle mura che circondano il centro storico e ville dell’evo antico in più luoghi dell’agro, ma è soprattutto caratterizzata dai grandi monumenti medievali, epoca d’oro di Anagni, e da una facies settecentesca. In età arcaica il nucleo urbano della città doveva essere limitato alla parte più elevata della collina e raccolto ai piedi dell’Acropoli, area questa dove oggi si trovano la Cattedrale e piazza Innocenzo III. Delle fortificazioni di questo periodo rimangono poche tracce lungo il versante meridionale, databili non oltre la fine del V o l’inizio del IV secolo a. C. In età romana la cinta muraria venne ampliata, costruendo una cerchia continua di mura in blocchi di travertino squadrati e disposti per testa e per taglio, in opus quadratum di tipo “serviano”. Questo ampliamento può essere datato tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a. C. Purtroppo nel corso dei millenni la cinta muraria di epoca romana ha subito diversi rimaneggiamenti. Dalle invasioni barbariche fino al XVI secolo restauri o addirittura ricostruzioni rendono alcuni tratti delle mura di difficile datazione. L’esempio più possente di mura antiche lo troviamo nell’emiciclo degli Arcazzi di Piscina datati tra la fine del III e la metà del II secolo a.C., tre enormi pilastri liberi (cioè distaccati dalla parete) che si innalzano per una altezza di più di quindici metri dal suolo, dando vita a quattro imponenti archi a tutto sesto, di cui quello di sinistra è il più grande. I pilastri si distanziano notevolmente tra di loro e sulla testa di uno dei blocchi in pietra, posto nella sesta fila del pilastro centrale, è scolpito un simbolo fallico. Probabilmente si tratta di un’opera di contenimento e di terrazzamento anche con funzione difensiva. Anticamente, sulle mura si aprivano numerose porte di accesso alla città, in seguito demolite o trasformate. Attualmente gli archi di accesso sono tre: Porta Santa Maria (anticamente detta degli Idoli); l’ottocentesca Porta Cerere e, sul lato sud Porta San Francesco (detta in antico Porta del Sole)».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=389&Itemid=344&lang=it


    ANAGNI (palazzi storici)

    Palazzo di Bonifacio VIII, dal sito www.paesionline.it   Palazzo della Ragione, dal sito www.settemuse.it

    «Palazzo della Ragione. Il palazzo comunale, costruito dall'architetto bresciano Jacopo da Iseo nel 1163 venuto ad Anagni qualche anno prima per costituire la Lega Lombarda, è formato dalla giustapposizione di due preesistenti edifici collegati tra loro da un imponente portico su cui poggia la grande Sala della Ragione. Sulla facciata nord si possono ammirare la graziosa Loggetta del Banditore e gli stemmi della Città insieme a quelli della famiglia Orsini e della famiglia Caetani (la famiglia di Bonifacio VIII). Palazzo di Bonifacio VIII. Importante dal punto di vista storico ed architettonico è il palazzo detto "di Bonifacio VIII", nel quale, si narra, il pontefice fu pubblicamente umiliato da Sciarra Colonna durante il duro confronto tra il papa e l'inviato di Filippo il Bello, Guglielmo di Nogaret (l'episodio è passato alla storia come "lo schiaffo di Anagni", anche se probabilmente si trattò di uno "schiaffo" morale piuttosto che di vere percosse fisiche). Casa Barnekow. Molto interessante è Casa Gigli, un palazzo medievale che ricorda quelli di Palermo. Fu comprata e ristrutturata, verso la metà del XIX secolo, dal pittore svedese Albert Barnekow ed è oggi conosciuta come Casa Barnekow. Si ritiene che la casa possa aver ospitato Dante Alighieri durante una sua permanenza in città».

    http://it.wikipedia.org/wiki/Anagni#Architetture_civili


    ANAGNI (torri)

    Torre del Piano, dal sito http://illaziodeimisteri.wordpress.com   Torre del Piano, dal sito www.eccolanotiziaquotidiana.it

    «Nei dintorni di Anagni è possibile vedere la serie di torri poste lungo la Casilina, che appartengono ad un sistema difensivo romano, riutilizzato in epoca medioevale. Fra queste c’è la Torre del Piano, con annessa chiesa medioevale, oggi riutilizzata in altro modo, e la Torre di Tufano che contiene un mulino e che conserva elementi di fortificazione e difesa, tra cui bocche cannoniere, del Cinquecento. Allo stesso sistema difensivo doveva appartenere la Torre di San Giorgio, i cui resti si possono individuare dalla spianata avanti la cattedrale. Si tratta di una torre, con annessa chiesa e recinto fortificato, posta verso la sommità delle colline erniche, al confine settentrionale di Anagni. Monastero benedettino ai tempi di Bonifacio VIII (anche se l’intero complesso era molto più antico), era decorato con affreschi oggi del tutto depauperati. Decadde a rango di chiesa rurale ed infine a semplice beneficio fino a quando venne concesso alle cistercensi della Carità. Espropriato dopo il 1870 e venduto al l’asta, divenne ricettacolo di greggi e di recente è stato totalmente devastato».

    http://www.laciociaria.it/comuni/anagni.htm


    Aquino (resti del castello dei Conti di Aquino, casa e torre di san Tommaso)

    Dal sito www.comune.aquino.fr.it   Dal sito www.menteantica.it

    Le foto degli amici di Castelli medievali

    Foto di Stefano Benedetti (https://www.facebook.com/stefano.benedetti.9)   Foto di Stefano Benedetti (https://www.facebook.com/stefano.benedetti.9)   Foto di Stefano Benedetti (https://www.facebook.com/stefano.benedetti.9)

    «Il primo nucleo del castello dei conti di Aquino è sorto su un grande sperone di roccia al centro di due laghi, in un sito che fronteggiava la sottostante città romana, e siccome si volle accrescere la difesa del nuovo abitato, si pensò di fortificare il Castello Pretorio con tre torri, di cui una grandissima ad est, che ancora troneggia sull’abitato di Aquino e due più piccole, poste l’una a nord e l’altra a sud del castello fortificato. Questo avvenne nell’VIII-IX secolo, a seguito dello stanziamento dei longobardi in agro di Aquino; gli stessi primi “signori” aquinati erano longobardi e diedero origine alla dinastia ed alla Contea di Aquino di cui Aquino fu centro di potere e che ben presto divenne uno dei feudi più importanti dell’Italia meridionale. Quando San Tommaso nacque, probabilmente intorno al 1225, la città di Aquino era al centro di una vastissima contea cui dava il nome e di cui facevano parte tutti i paesi che oggi la circondano. A capo della contea era il padre di Tommaso, il conte Landolfo, fedelissimo dell’imperatore. L’importante fortezza-castello, in cui dimorò per alcuni giorni nel XIII secolo anche l’imperatore Federico II imparentato con la stessa famiglia di San Tommaso, fu florido fino al XV secolo quando, dopo varie e cruenti vicissitudini, la città di Aquino entrò a far parte dei possedimenti dei duchi Boncompagni. San Tommaso, nonostante l’opposizione del padre, abbracciò la vita monastica e la forza e il frutto di questa vocazione sono universalmente noti. Proprio il suo destino di monaco studioso e predicatore lo portò a viaggiare per l’Italia e l’Europa e a lasciare il suo paese natale, ma nella sua terra possiamo trovare i segni tangibili della sua storia ed un’interessante mostra permanente, didattica ed iconografica, inaugurata in occasione del Giubileo del 2000 ed ospitata all’interno dell’edificio denominato “la casa di S. Tommaso“, che permette ai visitatori di riscoprire questa fondamentale personalità. Con il tempo le antiche strutture attorno al nucleo centrale del castello, divennero residenze di abitazione, dove si concentrarono larga parte degli abitanti di Aquino, dando origine a quello che oggi viene definito il “borgo medievale”, tra le quali spicca un nobile palazzetto denominato oggi “Casa di san Tommaso” costituito da due piani, con due portali al piano terra e due raffinatissime bifore al piano superiore che resistono ancora nel tempo, caratterizzando l’immagine stilistica-architettonica del borgo medievale di Aquino. La secolare tradizione, vuole che san Tommaso sia nato proprio all’interno del castello duecentesco, negli ambienti che ancora oggi si chiamano “Casa di san Tommaso”. Il borgo medievale, con il resto del palazzo dei conti di Aquino, subirono la loro ultima drastica trasformazione con i bombardamenti dell’aprile-maggio del 1944. Dopo di allora il “borgo medievale” cominciò a spopolarsi. Oggi il comune di Aquino e il Ministero dei Beni Culturali hanno ripristinato questi storici luoghi, caratterizzati soprattutto dalla grande torre che dalla cima dell’antichissimo costone, domina tutta la piana sottostante conosciuta col nome di “Vallone d’Aquino” che è lambita dall’autostrada del sole, la grande arteria italiana, da cui si gode di tale scenario».

    http://www.sbap-lazio.beniculturali.it/index.php?option=com_content&view=article&id=159&Itemid=143


    Arce (Torre Sant'Eleuterio o torre di Campolato o Torre Saracena)

    Dal sito www.comune.arce.fr.it   Dal sito www.comune.arce.fr.it

    «La torre, situata lungo il fiume Liri, in località Campostefano è detta anche torre di Campolato o del pedaggio o, impropriamente, torre saracena. Restano della costruzione la torre a pianta quadrangolare e ruderi dell’edificio annesso.  La torre è ben conservata, come sono conservate le sue pietre squadrate, le mensole alla sommità che sostenevano il tavolato per il passaggio di vedetta, il cunicolo verticale segnato da pietre sagomate e la caratteristica cornice rettangolare adornata da tre scudi sovrapposti, di cui il primo in alto è lo stemma della casa d’Angiò che regnò nello Stato Napoletano tra il XIII e il XV secolo. La torre costituiva un presidio militare posto a controllo del traffico sul fiume Liri. Un ponte metteva in comunicazione il territorio di sinistra con quello di destra del fiume, al confine tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio. Al tempo dei romani, nel territorio circostante, esisteva un villaggio chiamato Laterium, nel Medioevo detto Campolaterio e quindi Campolato o ponte di Campolato. Della torre troviamo menzioni per la prima volta in una bolla del 1431, con cui Papa Eugenio IV chiede all’Abate di Montecassino di accogliere alcuni ribelli pentiti che avevano occupato molti paesi del Regno e dello Stato Pontificio, tra cui Arce e il suo “Forte” di torre Campolato. Un’altra menzione è dell’anno 1463, quando il Papa fece occupare Arce, Fontana, Santopadre e la “torre di Campolato”,che concesse ad Aldo De’ Conti in vicariato perpetuo. Del complesso della torre facevano parte anche il ponte e un’hostaria, nell’elenco dei beni del Ducato di Arce affittato nel 1584 dai Boncompagni ai fratelli Nardelli di Santopadre. Nel 1800 proprietario della torre era il comune di Arce, che, nel 1854, concesse in fitto l’intero complesso, ormai privo dell’antica importanza di natura doganale, di pedaggio e militare. Qualche utilità recava la costruzione per i suoi vani da adibire ad alloggio e l’hostaria come modesta attività ristoratrice. Questo complesso sarà bonificato e restaurato per restituire ad Arce un capitolo della sua storia, troppo importante per poterlo abbandonare al suo degrado, troppo importante perché i rovi e le edere che lo assediano ne oscurano la memoria».

    http://www.menteantica.it/torre_medievale.htm (a cura di E. Patriarca)


    Arnara (castello dei conti di Ceccano)

    Dal sito www.escursioniciociaria.com   Dal sito www.iz0ewj.it

    «La più antica notizia sulla Rocca di Arnara si trova nella Cronaca di Fossanova dell’anno 1121, in cui si legge che essa, feudo dei Conti di Ceccano, resistette alle truppe del papa Callisto II e dei Normanni, suoi alleati nella lotta contro l’antipapa Gregorio VIII, sostenuto dall’imperatore Enrico V. Tra le tante notizie che si hanno del castello, importante è quella annotata nella Cronaca di Fossanova dell’anno 1143, in cui si dice, senza indicarne la ragione, che la torre di Arnara cadde; forse tale caduta si può far risalire alla contesa tra il re Ruggero II d’Altavilla e il papa Innocenzo II, ma molto più probabilmente fu dovuta a causa naturale, forse un terremoto, come può far supporre la muratura di restauro, nella quale si apre una finestra arcuata romanica, ricostruita di maggior spessore rispetto alla muratura esterna. Il crollo del Mastio di Arnara forse, insieme alla morte di Innocenzo II e del suo alleato Goffredo conte di Ceccano, avvenute tutte nel 1143, facilitò certamente la vittoria di Ruggero II che, conquistata Ceprano, nel 1144 invase la Campagna senza difficoltà. Alcuni anni dopo, nel 1165, il castello restaurato e parzialmente rinnovato nel suo apparato difensivo, resistette alle truppe normanne. Per alcuni decenni non compare più il nome di Arnara, che ricompare solo nel 1224, nel testamento del Conte Giovanni, per cui il feudo passa al figlio primogenito Landolfo. A seguito di una serie di guerre di eredità, con esito sfavorevole, costrinsero i Conti di Ceccano a vendere gran parte dei loro beni e nell’archivio Colonna risulta che nel 1344 Pietro Colonna di Agapito lascia con testamento alcune proprietà in Arnara. Nel 1470 il Castello compare nel testamento di Antonio Colonna, principe di Salerno, assegnato al suo figlio naturale Girolamo. Da allora fu tenuto dai Colonna fino all’inizio di questo secolo. Il castello di Arnara consta di una serie di ambienti di varia epoca racchiusi in un circuito murario, a forma di quadrangolo irregolare e con parti curve, costruito in tufo sul ciglio dello sperone di roccia. L’ingresso al complesso di costruzioni si apre sul lato Nord-est della cinta; a destra di esso, sull’angolo settentrionale, si innalza il torrione principale o mastio. Naturalmente della primitiva torre longobarda è rimasto ben poco, comunque notiamo che nella parte sud-ovest del Castello, la più elevata nella roccia su cui esso è costruito, vi è una muratura chiaramente diversa dal resto del Castello, questa muratura viene anche detta Muro Longobardo e per la sua struttura e la sua posizione è certamente da considerarsi la più antica. Il muro è formato da grossi tufelli parallelepipedi, molto allungati, squadrati con cura e leggermente bugnati, che ci ricordano i tipi di muratura delle fortificazioni longobarde. I tufelli sono disposti in chiave, formando un angolo a scarpa; essi, inoltre, hanno la funzione di rivestimento della Torre, infatti la base della stessa è in parte tagliata nel tufo del masso roccioso su cui è situato il Castello.

    Certamente la Torre originariamente doveva essere alta almeno quanto le cortine attuali. La Torre a livello corte presenta nel suo interno una cella con pareti scavate nella roccia; la cella è coperta da una struttura a volte ribassate, costruite in epoca più recente della Torre, nella quale si apre una botola che ne costituiva un tempo l’unico accesso. Della Torre si può ancora individuare il perimetro; infatti se prendiamo in esame la pianta dell’attuale Castello notiamo che essa è facilmente individuabile per la sua forma quadrangolare con un vertice allungato. Attualmente a noi resta visibile soltanto la parete settentrionale della stessa poiché gli altri lati sono integrati con le cortine e con le murature del castello. Tuttavia il Mastio che è possibile vedere ora, è solo in parte, formato con le strutture murarie originali, infatti la Cronaca di Fossanova registra che nell’anno 1143 vi fu il crollo della Torre di Arnara per cause naturali. Nel muro ricostruito sul lato meridionale vi è una finestra che per le sue caratteristiche può essere attribuita al secolo XII. Il Mastio subì di nuovo il crollo in epoca imprecisata. Le cortine in base alle feritoie arciere in esse incluse, sono da attribuire al XII secolo. I merli della parte settentrionale, dove non si sono verificate modifiche successive, sono ghibelline. La prima fase di lavori al castello sarebbe quella indicata da un muro a conci rettangolari perfettamente squadrati, probabile base di torre, situata nella parte sud, in zona cioè diametralmente opposta all’attuale mastio: questo resto più antico è stato supposto longobardo dal Salvatori. Tuttavia dall’osservazione del tipo di porte e finestre aperte nelle varie pareti, è possibile capire che due stanzoni disposti ad L su due piani devono essere stati costruiti nei primi decenni del secolo XIII. Una porta interna archiacuta ed un’analoga finestra archiacuta indicano l’esistenza degli stanzoni di età gotica. Una successiva modifica fu forse apportata alla fine del secolo XIII o l’inizio del XIV secolo: si spostò l’ingresso del castello dal lato settentrionale a quello orientale, ma sempre presso il muro longobardo, in verticale. I merli, in gran parte crollati nell’ultimo conflitto mondiale, di origine guelfa furono rifatti nel secolo XV. L’unica grave alterazione subita dopo il XV secolo riguarda il crollo parziale del mastio, che all’origine doveva avere il doppio dell’altezza che ha oggi. Lo spostamento del mastio a nord potrebbe essere stato giustificato, dal fatto che questa posizione era la migliore per sorvegliare la strada verso la via Latina. Vari rimaneggiamenti cinquecenteschi non hanno tuttavia alterato l’aspetto medievale di questo castello. Due scempi esterni minano questo aspetto medievale: un tentativo di costruzione moderna, fermata allo stadio di struttura in cemento armato addossata al castello ed un serbatoio idrico, costruito, con reminescenze storiche, a forma di mastio con tanto di merlatura, deturpano orribilmente la fortificazione e il paesaggio circostante di Arnara».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1396&Itemid=802 (anche per i riferimenti bibliografici)


    Arpino (cortile Farnese)

    Il cortile detto “Farnese”, dal sito www.futouring.it   Il cortile detto “Farnese”, dal sito www.futouring.it

    «è uno dei "luoghi storici" dell'Arpino medievale. Si trova in via Battiloro 13, già via S.Rocco. Era una delle strade che collegava direttamente il quartiere Civita Falconara con la Chiesa di S.Rocco, quando ancora le mura ciclopiche di via Caio Mario non erano state tagliate per consentire il passaggio del corteo di re Ferdinando IV di Borbone in visita al lanificio dei Ciccodicola, situato nel Castello di re Ladislao d'Angiò Durazzo. Datato intorno all'anno mille, è parte di un antico edificio costruito sulle mura ciclopiche che fu palazzo signorile o monastero. Forse abitato dai Dell' Isola, Pietro e Roffredi, zio e nipote entrambi abati di Montecassino in epoche successive ( 1173-1186). è un cortile molto particolare poiché in esso si trovano i resti di numerose sovrapposizioni storiche. Nell'arco di ingresso romanico-borgognone, è posto in basso a sinistra un masso squadrato di pietra bianca compatta, nella parte alta dalla quale si intravede un'iscrizione latina. Studi e rilievi condotti da una laureanda dell'Università di Perugia coadiuvata da un professore esperto nel settore archeologico dell'Università di Roma, ha fatto datare l'iscrizione intorno al II sec. a.C. (periodo di Caio Mario), in quanto presenta la lettera M con le aste divaricate, tipiche di quel tempo. Nella iscrizione sono citati due nomi: Lucio - forse il nome del proprietario dell'edificio cui apparteneva la pietra - e il nome del Dio Apollo; poiché la nostra chiesa di S. Michele risulta costruita su un antico tempio dedicato al dio Apollo e alle nove Muse, la scritta è stata ritenuta pertinente. ...».

    http://www.arpinoturismo.it/index.php?Itemid=35&id=101&option=com_content&task=view (a c. di Giuliana Maggiani e Abramo Tancredi Fossa)


    Arpino (resti del castello di Ladislao o rocca di Civita Falconara)

    Dal sito www.frosinonemagazine.it   Dal sito www.futouring.it

    «Adagiata su di un sistema collinare che si erge improvviso sulla vallata, Arpino offre il suo profilo inconfondibile al visitatore che vi giunge. Man mano che ci si avvicina alla cittadina, circondata da una campagna prospera di uliveti secolari, si fa più netto il contorno imponente del Castello di Ladislao con la chiesetta della Madonna di Loreto, e si distinguono le sagome degli edifici sulle quali svetta il campanile barocco di S. Maria di Civita. Siamo sul versante sinistro della Media Valle del Liri, prossimi alle estreme propaggini dell’Appennino centrale. ... Dopo l'anno Mille Arpino fu dominio normanno con Roberto, duca di Caserta. Nel XIII sec., con l'arrivo nell'Italia meridionale degli Svevi, subì drammatiche distruzioni ad opera di Federico II (1229) e di Corrado IV (1252). Quest'ultima incursione, culminata in un rovinoso incendio, cancellò molte delle antiche vestigia romane conservate nella città e costrinse la popolazione superstite a rifugiarsi nella vicina località fortificata di Montenero. Con la conquista del Regno di Napoli da parte degli Angiò, nel 1265, Arpino conobbe una significativa ripresa. A questo periodo risalgono infatti molte opere di fortificazione, tra le quali i torrioni e i castelli di Civitavecchia e di Civita Falconara. Nel corso del XIV secolo fu feudo della famiglia degli Etendard e dei Cantelmi. Nel 1409 il re di Napoli Ladislao d' Angiò-Durazzo le concesse il privilegio di città demaniale, sottraendola così alla giurisdizione feudale. Il sovrano vi stabilì anche una guarnigione militare, che si insediò nel castello ancora oggi denominato "Castello di Ladislao" sovrastante la rocca di Civita Falconara. Il re trascorreva lunghi periodi nel castello arpinate, punto strategico per la difesa dei confini settentrionali del Regno. ...».

    http://www.hobbymagazine.altervista.org/SITO%20VIAGGI/Idee%20di%20viaggio/Arpino.pdf


    Atina (mura poligonali, mura medievali, porta di Santa Maria)

    Dal sito www.valcomino.com   La porta di Santa Maria, dal sito www.escursioniciociaria.com

    «L’area è di particolare interesse, in quanto in epoca preromana e romana questo sito costituiva l’Arx, difesa da una estesa cinta muraria in opera poligonale di cui sono visibili ancora oggi ampi tratti relativi a due circuiti: uno esterno che comprende il Monte Morrone, il Monte Prato e il Colle, ed uno interno a difesa della collina stessa. Si può parlare di Atina come dell’estremo e forse più importante baluardo Sannita a difesa delle vie di accesso al Sannio provenienti da Cassino e da Sora. Nel medioevo e fino al terremoto del 1349, il colle continuò ad essere utilizzato in funzione di difesa quale castrum. Sono ancora visibili i resti della rocca, della torre maestra e della torre a gola pentagonale. LE MURA MEDIEVALI DI CANCELLO. Le fortificazioni medievali di Cancello erano poste a difesa del passo tra la Terra di San Benedetto e lo Stato di Alvito e servivano ad impedire l’ingresso verso meridione all’esercito nemico. La prima menzione a livello documentario riguardante il passo risale al 1140 quando è nominato nello strumento di Ruggero II. Se in questa prima testimonianza esso è strettamente collegato ad una funzione doganale, nelle successive prevale l’aspetto militare: nel 1193 lo sbarramento era dotato già di una porta e di proprie fortificazioni, mentre nel 1412 fu testimone dell’eroica resistenza del re Ladislao contro l’esercito di Luigi II. Nel 1660 appariva come” fortissima ed alta muraglia, con le sue torri, nel cui mezzo vi è una porta detta cancello che con porta ferrata serrava l’intrata a sicurezza dello stato.” Attualmente i resti consistono in una porta a tutto sesto e dal tratto murario che si inerpica sul pendio di monte Prato, dotato di due torri circolari. Nel 1349 il primitivo borgo medievale di Atina fu distrutto da uno spaventoso terremoto. A seguito di ciò gli atinati abbandonarono il castrum di Santo Stefano e si trasferirono sul Colle turris - sito di un precedente nucleo fortificato - secondo i nuovi canoni urbanistici importati dai Cantelmo. Nella seconda metà del XIV secolo fu costruita una nuova cinta muraria munita di numerose torri che, insieme al fossato, assicuravano la difesa della città. Delle tre porte di cui era fornita rimane solo la Porta di Santa Maria, che mantiene ancora la sua struttura originaria a sesto acuto ribassato».

    http://www.comune.atina.fr.it/index.php?id_sezione=3219


    Atina (palazzo ducale Cantelmo)

    Dal sito www.comune.atina.fr.it   Dal sito www.escursioniciociaria.com

    «Il Palazzo Cantelmo, detto anche palazzo ducale, fu costruito dopo il terremoto del 1349, nello stesso luogo dove era posta la rocca dei d’Aquino. Attualmente è sede del comune. Ha avuto nel corso del tempo diversi restauri. La facciata presenta 2 torrioni, di cui solo il destro è compiuta, bifore gotiche e rosoni. Sul portone d’ingresso è raffigurato un bassorilievo romano. All’interno è presente la cappella di Sant’Onofrio. A pianta quadrangolare, presenta, sugli spigoli del lato est, due torri a base rettangolare. I dettagli della facciata principale, posta su piazza Saturno, ci fanno capire immediatamente lo stile gotico del tempo nel quale fu costruito. Al centro c’é un portale d’ingresso alto 5 m. racchiuso in un caratteristico arco acuto realizzato in blocchi di travertino. Al di sopra dell’arco è posto un fregio romano del periodo imperiale. Ai lati si notano una statua di togato con testa non pertinente databile al II sec. d.C. e una iscrizione romana con fregio dorico. Le tre bifore al piano nobile sono originali dell’epoca di costruzione del palazzo; sotto ognuna di esse è posta una piccola feritoia. Il palazzo, oggi monumento nazionale e sede municipale, custodisce al suo interno alcuni ambienti rimasti quasi intatti, come ad esempio la cappella dedicata a Sant’Onofrio. Quest’ultima, di forma rettangolare absidata, conserva decorazioni pittoriche parietali del XIV secolo raffiguranti la Madonna col Bambino e san Giovanni Battista, Cristo in gloria e i santi Onofrio, Giovanni evangelista e Michele arcangelo. All’interno del salone di rappresentanza, si può contemplare un imponente mosaico a tessere bianche e nere rinvenuto in Via Virilassi nel 1946, rappresentante quattro guerrieri armati. Il palazzo, dopo aver conosciuto i fasti della potenza medievale, era decaduto sotto il principe di Maddaloni Diomede Carafa che lo aveva spogliato delle sue opere più belle. Così deturpato servì da abitazione per maestri da campo, luogotenenti e capitani della casa ducale. In seguito fu adibito a carcere mandamentale, mentre il salone fu restaurato, agli inizi del 1900, dal “primo magistrato cittadino” Giuseppe Visocchi e trasformato in teatro e sala conferenze. Ancora oggi esso è sede di mostre, conferenze e manifestazioni varie. Al centro dell’edificio è posto il cortile interno, oggetto dell’ultimo restauro del 2009, caratterizzato dalla presenza della pavimentazione antica e della scala modificata nel dopo guerra».

    http://valledicomino.com/place/palazzo-ducale-cantelmo-di-atina


    Ausonia (castello)

    Dal sito www.comune.ausonia.fr.it   Dal sito http://213.203.143.153/c060012/hh/index

    «In posizione strategica fra Gaeta e Montecassino, il Castrum Fractarum risentì della sua posizione di confine tra il Ducato di Gaeta e i possedimenti dell’Abbazia di Montecassino, passando negli anni prima all’uno e poi all’altro. Esso ebbe sicuramente funzione militare ma anche residenziale per i capitani di stanza a Fratte (l’attuale Ausonia). Riconoscibili sono la torre emergente, distaccata dal complesso ed ubicata al centro dell’edificio, una torretta d’angolo, accanto alla via S. Michele, che in un recente restauro ha rivelato il corpo di una statua leonina (il leone-guardia della Terra di S. Benedetto), usata come materiale di costruzione durante il medioevo. Approfondimento: il castello di Fratte (antico nome di Ausonia) è stato costruito al confine fra i domini dei Longobardi e dei Bizantini, come Forte (phrakte) nel 700-800 d.C. Come fortificazione militare appartiene alla categoria delle “piccole fortificazioni” (o fortellitium), la cui importanza era data soprattutto dalla posizione strategica (controllo della via che portava da Formia a Montecassino). La prima registrazione scritta (con cui Fratte entra nella storiografia) è una donazione del 1025 che il conte di Traetto fece a Pietro delle Fratte. Da allora numerosissime sono le vicende storiche di questo castrum che passa progressivamente da funzioni militari e di avvistamento a funzioni di polizia ed amministrative locali. Nel 1491 un inventario redatto alla morte di Onorato II descrive lo stato del castello, che appare in decadenza. Il capitano Andrea De Nardillo di Fondi e cinque suoi compagni vivevano e presidiavano il forte con poche e scarse risorse innalzando la bandiera dei Caetani (usata e vecchia), e difendendo il paese dai nemici. Un altro inventario (l’apprezzo del 1690) documenta come il castello apparisse con stanze dirute, cortile scoperto, cisterna, scalinata che accede alla loggia scoperta, sopra la torre con due stanze accessibili con scala a mano, in testa la loggia, nei quattro angoli che circondano la torre centrale quattro torrette di difesa esterna, una con orologio a campana. Con il tempo le originarie funzioni militari sono sostituite da funzioni di polizia: nel fortellitium si radunavano gli uomini in arme col capitano che sceglieva le guardie preposte al controllo del mercato in occasione della festa della Madonna del Piano, Ottava dell’Assunzione. Nell’800 il castello si degrada sempre più e dal 1842 cessa la sua funzione militare e viene adibito a cimitero, dotato di cappella mortuaria. Alla fine della II Guerra mondiale il castello subisce ulteriori danni. Nei primi tempi della ricostruzione postbellica viene utilizzato come discarica di materiali edili e, in un vano ricavato da una torre crollata viene ricavata un’aula scolastica. Oggi il castello presenta due torri superstiti attorno al maschio ed il muro di cinta che si sviluppa con le case-torri fino alla Porta di Sopra».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=530%3Aausonia&Itemid=1613&lang=it (a cura di Antonio Riccio)


    Belmonte Castello (torre, borgo medievale)

    Dal sito www.escursioniciociaria.com   Foto di gabrylabico, dal sito http://wikimapia.org

    «Belmonte Castello è situato al centro di una valle tortuosa e stretta che collega la valle di Comino con il cassinate; il centro storico è arroccato sulla sommità di un rilievo ai cui pendii si sta sviluppando un nuovo centro abitato, mentre frazioni e case sparse si trovano per tutto il territorio. Il nome ha origine dal latino bellus mons a cui nel 1862 fu aggiunto il termine Castello. Non si hanno notizie di antichi insediamenti locali, anche se sono state ritrovate due iscrizioni latine; probabilmente il territorio di Belmonte nell’antichità fu popolato, ma non ci sono rimaste tracce rilevanti. La storia del piccolo centro comincia solo intorno al Mille. Sappiamo che il territorio nel 990 apparteneva al ducato di Capua per passare poi ai d’Aquino signori di Atina. Nel 1350 passò ai Cantelmo e nel 1464 ai Carafa; nel 1496 ai Borgia, e poi ai Navarro, ai Cardona, ai Laudato ed ai Gallio. Alla fine del Settecento passò al demanio regio e nel 1806 con le leggi sulla feudalità venne definitivamente liberato dai gravami feudali. Nel Medioevo c’era la Chiesa di San Benedetto de Chio (o Clia), i cui resti esistono ancora nella località San Venditto, cenobio benedettino cassinese strettamente legato all’altra istituzione monastica di San Nicandro in Atina. Di San Benedetto si ha notizia fino al Quattrocento. ...  Belmonte è sempre stato un piccolo paese ed una solida fortificazione, legato al la valle di Comino ed in particolare ad Atina. Ancora oggi è possibile riconoscere la cinta muraria, con le sue tre porte principali e il luogo ove sorgeva il castello, distrutto durante l’ultima guerra. è ancora in sito l’alta torre. Belmonte non è mai stato comune autonomo; fino al 1819 era considerato un casale di Atina. In seguito passò alle dipendenze di Terelle: solo nel 1851 gli fu riconosciuta l’autonomia comunale. Il paese fu più volte devastato dai terremoti e semidistrutto nella seconda guerra mondiale, forse l’avvenimento storico più importante di Belmonte. ...».

    http://www.laciociaria.it/comuni/belmonte_castello.htm


    Boville Ernica (mura, porte, torri, palazzi)

    Torre Cometti, dal sito www.iloveroma.it   Mura urbane con torrione, dal sito www.menteantica.it

    «La cerchia muraria è rimasta totalmente in piedi: l’abitato del centro storico è quasi del tutto delimitato dal circuito medioevale, che solo in alcuni luoghi è stato superato da nuove abitazioni. Esistono ancora 18 torri, alcune circolari altre quadrate. Una di esse, massiccia e di maggiori dimensioni rispetto alle altre, posta alle spalle della Chiesa di San Pietro Ispano e collegata al Palazzo Filonardi, sorto sul luogo del castello, si ritiene fosse il maschio del borgo. La posizione di alcune torri circolari, oggi interne ma collegate da mura alla cerchia esterna, fa pensare ad un doppio circuito difensivo, o ad un’addizione dovuta all’espansione del borgo. C’è qualche scrittore locale che parla di una terza cerchia, osservando la conformazione delle strade interne e ricordando le mura abbattute alla fine del l’Ottocento. Nel circuito murario si aprono tre porte: San Francesco, Santa Maria e San Nicola. Il centro storico conserva la suggestione dei piccoli paesi formati da una fitta rete di stradine, vicoli, piazzette e angoli che sembrano delineati da un inconsapevole architetto. Sul corso si affacciano i principali palazzi e San Michele, la chiesa più importante. L’ingresso al paese è rappresentato dal piazzale Granatieri di Sardegna dove sorgono il monumento che ricorda la battaglia del 1861 fra soldati del regno d’italia e borbonici e una fontana con una caratteristica “conca” ciociara in pietra. Sulla balaustra del piazzale è stata collocata una pietra che indica la direzione dei numerosi paesi che si possono vedere da Boville. Porta San Nicola rappresenta l’ingresso monumentale al centro storico; il portale settecentesco, rimaneggiato nel 1865, ricorda l’architettura di Porta Romana di Veroli. Porta San Francesco è l’altro antico e notevole ingresso di Boville. Si tratta di una porta rimasta allo stato tardomedioevale e ingloblata nel Convento francescano, posto alla sua sinistra. Al di sopra del varco si eleva una robusta torre quadrata, posta a difesa; sul suo fianco destro proseguono le mura. Nel corso del Cinquecento e del Seicento sono sorti diversi palazzi di pregevole architettura. Il Palazzo Filonardi è la trasformazione dell’antico Castello di Boville ... Il Palazzo Simoncelli si eleva lungo il corso Umberto I, eretto dall’omonimo prelato bovillese utilizzando costruzioni preesistenti, con una facciata a tre ordini. L’edificio incorpora la Chiesetta di San Giovanni Battista ove è stato scoperto recentemente un affresco del Domenichino. Il palazzo, già sede del Monastero delle benedettine di clausura, oggi è residenza municipale; la Chiesa di San Giovanni ospita manifestazioni culturali».

    http://www.laciociaria.it/comuni/boville_ernica.htm


    Boville Ernica (palazzo o castello Filonardi)

    Dal sito www.prolocobovilleernica.it   L'ingresso al castello, dal sito www.prolocobovilleernica.it

    «Si accede al castello attraverso un portale di pietra tufo locale. Sovrapposto al portale una trifora con archi rotondi sostenuti da colonne e pilastrini con base e capitelli ionici. Superato il portale si entra in piazza San Pietro dove si può ammirare il Castello Filonardi ora Monastero delle Suore Benedettine. Il Palazzo fu costruito da Ennio Filonardi per la villeggiatura della Corte Pontificia nell’anno 1532 e lo dedicò a papa Paolo III. Fu abitato dalla Famiglia Filonardi fino agli inizi del ‘800, successivamente il palazzo passò alla Propaganda Fide, quindi alla Famiglia Alipradri e nel 1912 alle Monache Benedettine. Il 30 agosto 1912 le suore benedettine si trasferirono in questo castello, abbandonando il palazzo Simoncelli distrutto da un incendio. In piazza San Pietro sulla destra, possiamo ammirare il portale anch’esso in pietra di tufo locale, ad arco rotondo con chiave, con ai lati due colonne su piedistalli che sostengono una cornice con architrave e fregio in cui è incisa la seguente epigrafe: DOMVM NATALI IN SOLO AEDIFICATAM ENNVS FHILONAR. CARD. VERVLAN PAULO III PONT. MAX. BENEFACTOR AD. VOLUPTARIOS SECESSUS. DEDIC. MDXXXII. Negli archivolti triangolari dell’arco sono scolpiti due angeli che reggono nastri, spighe e fiori , mentre nei due piedistalli delle colonne sono scolpiti gli stemmi del card. Filonardi e trofei d’armi. Il portale per le sue caratteristiche può attribuirsi alla scuola di Giuliano e Antonio Sangallo, ma la tradizione lo vuole attribuito al Vignola. Il salone di rappresentanza è al primo piano del palazzo. Nella parete d’ingresso si eleva un maestoso camino in pietra di tufo locale, ma di straordinaria bellezza risulta essere il pavimento in cotto nei cui mattoni sono impressi alternativamente i simboli dei Farnese e dei Della Rovere. Anche la costruzione del salone risale al XVI secolo e si attribuisce al Vignola».

    http://www.prolocobovilleernica.it/Giotto%20e%20palazzo%20Filonardi/Castello%20Filonardi.html


    Broccostella (torre)

    Dal sito www.ciociariaturismo.it   Dal sito www.comune.broccostella.fr.it

    «Fu edificata sicuramente nel Medioevo in un sito frequentato già in epoca romana: le prime notizie risalgono, infatti, al 702, quando venne conquistata da Cisulfo, duca di Benevento; successivamente, intorno al 1062, fu occupata dai normanni. Trovandosi al confine tra lo Stato della Chiesa e il regno di Napoli, ricoprì un ruolo strategico durante le lotte tra Papato e Impero e nel 1230 fu devastata dalle truppe di Federico II di Svevia. Dopo essere stata amministrata direttamente dalla Santa Sede, nel 1445 passò sotto il dominio dei Cantelmo, divenuti duchi di Sora; in seguito fu governata da varie famiglie di feudatari, tra cui i Della Rovere, i Boncompagni, che l'acquistarono nel 1579, e i Ludovisi, che la tennero fino al Settecento. Nel 1798 subì il saccheggio delle truppe rivoluzionarie francesi. Il toponimo, che è stato semplicemente Brocco fino al 1954, appare menzionato nelle Rationes Decimarum della Campania (1308-1310): la prima parte dall'antroponimo latino Brocchus, la seconda dal nome del capoluogo comunale. Il patrimonio storico-architettonico annovera la chiesa di San Michele Arcangelo, il suggestivo centro storico dall'aspetto tipicamente medievale e i resti del castello e della torre di avvistamento che testimoniano l'importanza strategica rivestita dall'abitato durante il Medioevo».

    http://www.escursioniciociaria.com/ita/broccostella


    Campoli Appennino (borgo, mura)

    Dal sito www.camperweb.it   Dal sito www.menteantica.it

    «Il borgo, nella sua struttura, presenta chiare origini medievali, conservando l’originaria cinta ed all’interno le case-torri ed i caratteristici vicoletti. Il circuito murario è intervallato da una serie di torrette di avvistamento, sovrastate dalla possente mole del torrione medievale. La piazza principale si apre a balcone sul Tomolo, caratteristica e profonda voragine carsica con le sue verdi balze e la vegetazione spontanea. Per la particolare dislocazione del paese, la composizione dell’abitato più antico segue l’irregolare conformazione del territorio disponendosi a ferro di cavallo lungo il bordo della dolina. Per questa disposizione è estremamente difficile seguire un itinerario ben definito, tuttavia si consiglia il seguente percorso:uscendo dalla piazza principale del paese, Piazza Umberto I, si prosegue diritto, fiancheggiando il palazzo comunale, si riscende gradatamente vicolo Chiaie fino in fondo dove si svolta a sinistra e si percorre interamente il vicolo da cui è possibile ammirare i vecchi caseggiati ed i vari affacci alle mura di cinta; si esce infine nei pressi di Porta Suso, che apre verso occidente, da cui si ammira lo splendido panorama di Sora e una torretta delle mura di cinta. Da qui, proseguendo a sinistra, ci si trova di fronte a due archi ed imboccando via Campo dei Fiori, si possono ammirare alcuni portali e caratteristici scorci panoramici. Discendendo un’ampia scalinata, si percorre il Borgo Loreto (Vernolfo). Al termine ci si trova di fronte al Parco della Rimembranza, una collinetta sovrastata da un baldacchino architettonico (Calvario) eretto a protezione della croce, che ricorda la missione predicata a Campoli da San Gaspare del Bufalo nel 1824. La visita del centro storico si completa in via F. Cirelli, da cui è possibile osservare un bel tratto delle mura di cinta e da cui si diparte un dedalo di vicoletti, spesso angusti, che caratterizzano la parte più antica e suggestiva del paese, quella retrostante il palazzo comunale».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1089%3Acampoli-appennino-centro-storico-e-mura-medievali...


    Campoli Appennino (torre quadrata)

    Foto di AndreaDB, dal sito www.avventurosamente.it   Dal sito www.parcoabruzzo.it

    «Nella parte più alta del paese, a quota 650 slm, si eleva la bellissima torre di Campoli. Costruita su una preesistente base quadrata del IX secolo dal feudatario Landolfo d’Aquino, anticamente di proprietà della nobile famiglia dei Clary, da loro restaurata ed abbellita, fu loro donata dal duca di Alvito. La torre domina, con i suoi 25 metri di altezza, la parte più alta del paese. Un tempo doveva esservi una piccola cappella e sulla sommità la terrazza. Un leone rampante è scolpito sulla pietra della prima finestra in basso. La base è troncoconica e misura m. 12 di lato; le pareti sono di spessore molto considerevole e nella parete est, vi è una scala a chiocciola, che giunge fino a tre quarti circa dell’altezza della torre. La parte superiore si raggiungeva presumibilmente con una scala in legno, di cui non restano tracce. Nel primo piano a sinistra si trova la prigione ed il trabocchetto, mentre le stanze superiori hanno tutte un soffitto in legno, non originale. Di particolare pregio le orlature del paramento murario sovrastante; non esistono più tracce della merlatura. Esternamente nella parete sud, sovrastante la prima finestra in basso, si vede scolpito nella pietra un leone rampante. Simile leone si osserva pure nella chiesa parrocchiale, entrando a destra nell’antica Cappella dei Conflitti. Davanti alla torre sorge attualmente la chiesa di San Salvatore, edificata nel 1664 e successivamente passata alla famiglia Giovannangeli, di cui, a destra dell’altare, si vede la tribuna. Alla stessa famiglia apparteneva anche il contiguo palazzo».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1090&Itemid=734


    Casalvieri (castelletto Casal Zincone, torre di Casal delle Mole)

    Foto di Marco Cinelli, dal sito www.fiumemelfa.it   La torre, dal sito https://veneravmg.wordpress.com

    «...Il primo documento scritto è datato 1017 e tratta della donazione di una fontana a Montecassino. Nel 1191 Casalvieri fa parte del casato dei Pagani, ma pochi anni dopo viene ceduta da Federico II a papa Innocenzo III. Da allora il territorio, seguendo le sorti delle lotte feudali, cambiò spesso signore: svevi,papato, angioini. Nel 1458 il paese, controllato da Bernardo d’Aquino, passa presto ai Cantelmo che ne sono poi privati dal Ducato di Sora, per finire di nuovo alla Chiesa nel 1463 e poi a Leonardo della Rovere (1472). Nel 1580 subentrarono i Boncompagni, Duchi di Sora. Alla fine del settecento passò ai Borboni fino all’Unità d’Italia. Attualmente Casalvieri vive di agricoltura, allevamento e terziario. Tuttavia è rinomata per una singolare produzione: palloncini gonfiabili decorati, esportati in tutto il mondo. ... Molto particolare è il ‘castelletto’ Casal Zincone in località Casal delle Mole, che all’apparenza sembra un maniero del ‘500. Purtroppo non si hanno notizie sulla storia di questo interessante edificio, oggi abbandonato a se stesso. Sempre in località Casal delle Mole, sul ciglio della strada, si può notare ciò che resta di una torre medioevale a pianta quadrata, oggi parte di una abitazione. ...».

    http://www.ecoturismogoledelmelfa.it/italiano/pagine/casalvieri.html


    Casalvieri (castrum, cinta muraria)

    La porta di accesso, dal sito www.kijiji.it   La porta di accesso, dal sito www.classitaly.com

    «A partire dal XI secolo, il castrum di Casalvieri si sviluppò sulla collina della Chiana a guardia del Tracciolino e del passo che dalla Valle del Liri immetteva nella Val di Comino. Nella parte più alta della collina, sul sito dell'attuale palazzo Boncompagni, venne costruito il maschio, che assieme a quattordici torri e alla cinta muraria garantiva un efficace sistema difensivo. L'interno dell'abitato si presentava organizzato da tre strade principali: Via di mezzo (oggi Via Manlio Zincone), Via di Sopra (Oggi Via dell'Arco)e Via di Sotto (oggi Via San Nicola). L'accesso avveniva attraverso Porta Maggiore a oriente e Porta San Giovanni a occidente. Nel 1215, con Schiavi (Fontechiaro) e Casale (Casalattico), fu donato da Federico II a Innocenzo III con la bolla di Spira. Nel corso del XIV secolo Casalvieri divenne proprietà dei Cantelmo di Alvito. Nel 1439 papa Eugenio III, imparentato ai conti di Alvito, lo aggregò alla contea di Arpino assieme a Gallinaro e Casalattico. Dal 1472 seguì le vicende del Ducato di Sora. Del medievale Casa Selberi restano poche interessanti tracce come la cinta muraria e due torri, posizionate agli angoli nord e ovest» (a cura di Giancarlo Venditti di Sora).

    http://www.classitaly.com/comuni/index.php?pagina=18&id_g=5466


    Cassino (Rocca Janula)

    Dal sito www.dipiudipiu.it   Dal sito www.tripadvisor.it

    «La prima impostazione si pensa debba risalire ai tempi dell’abate Aligerno (949-986) e doveva consistere in una cinta fortificata che soltanto successivamente, durante il governo dell’abate Mansone (986-989), fu rafforzata ed ampliata. Nel XII secolo il nucleo fortificato fu occupato dai popolani di Sangermano che si erano ribellati ai monaci dell’Abbazia. Soltanto nel 1123 per merito dell’Abate Gerardo i monaci riuscirono a riconquistarla ed immediatamente fu restaurata e potenziata nei suoi impianti difensivi. A tali lavori si deve l’edificazione della poderosa torre pentagonale o mastio. Con l’avvento dell’imperatore Federico II, si assistette ad una iniziale demolizione di parte delle murature della rocca che subito dopo, nel 1227, venne riedificata e potenziata dallo stesso Imperatore allorché ne comprese la favorevole posizione strategica. Altri importanti lavori di potenziamento furono eseguiti negli anni 1231, 1235 e 1239. Con la fine della dinastia sveva, la rocca passò in proprietà agli Angioini e da quel periodo seguì le sorti di tutti i feudi della zona, in continuo ballottaggio tra lo Stato Pontificio e le potenti signorie che contrastavano agli abati il governo del feudo. Soltanto nel 1742 la Rocca Janula venne inserita tra i beni demaniali e quindi cadde in rovina per abbandono. Nel 1910 si pensò di fare i primi lavori di restauro, ma le lungaggini burocratiche hanno impedito un proprio ripristino delle opere più deboli che le ultime vicende belliche hanno ridotto allo stato di rovina. Si trattava di un ampio complesso di mura fortificato comprendente all’interno da un’ampia cerchia di mura anche il primitivo borgo di Cassino. L’organismo architettonico era diviso in due parti; una alta, la rocca vera e propria, ed una bassa, degradante verso le pendici della cortina, la quale costituiva l’intero perimetro murario difensivo del borgo. Il castello aveva due ingressi; uno verso l’abitato di Sangermano, sul lato sud-ovest, ed un altro probabilmente a nord. L’ingresso verso Cassino, di cui rimasero poche tracce giunte fino ai giorni nostri, doveva avere la difesa garantita da un massiccio torrione cilindrico che si trovava alla sua sinistra (oggi del tutto scomparso). Anche la precisa posizione dell’ingresso su lato nord, causa le distruzioni della guerra e la successiva rigogliosa rinascita della vegetazione, andò irrimediabilmente perduta. Sparito è anche il tracciato della cerchia muraria di ampliamento a difesa del borgo, del tutto interamente distrutta dal pesanti bombardamenti di artiglieria e aerei nel periodo gennaio-maggio 1944. I resti denotavano, prima dell’ultima fase di restauro iniziata negli anni scorsi, una tecnica costruttiva assai raffinata, che si esplicava attraverso la messa in opera di un paramento murario composto da filari di pietra calcarea in blocchi regolarmente squadrati. Tali caratteristiche costruttive fanno propendere per la datazione al XIII secolo e quindi alla possibilità di annoverare questa fortificazione tra le opere federiciane più importanti del basso Lazio».

    http://digilander.libero.it/historia_militaria/roccajanula.htm


    Castelnuovo Parano (castello Parano)

    Dal sito www.comune.castelnuovoparano.fr.it   Dal sito www.ciociariaturismo.it

    «Nel 1059 l'Abate di Montecassino Desiderio, a difesa delle continue scorribande degli oppidani Frattenses, abitanti dell'odierna Ausonia, e dei minturnesi, con l'appoggio del duca Adenolfo V di Gaeta eresse un castello a scopo difensivo ma anche con l’intento di controllare la viabilità sottostante al monte Perano, di estrema importanza per il collegamento tra Cassino e l'area marittima. Possesso quasi sempre dell'abbazia, Castrum Novum è indicato nella porta bronzea della basilica, fatta realizzare dall'abate Desiderio per riportarvi tutti i possedimenti. Le vicende storiche del sito furono tali da renderlo sino al terzo decennio del XV secolo legato alla Terra di San Benedetto ad esclusione di brevi periodi, soprattutto nel corso del XIII sec. Si ricordano le occupazioni da parte di Adenolfo di Spigno nel terzo decennio e del conte Diopoldo verso la fine del secolo stesso. In epoca federiciana, nel 1229, l'imperatore diede Castrum Novum in possesso ai signori di Aquino, ma questi, nell'anno successivo, per mutate condizioni politiche lo restituirono all'Abbazia. Nel 1421 Braccio da Montone, in appoggio alla regina Giovanna II con l'aiuto di Ruggero Gaetani occupò Castelnuovo. Dopo sei anni la vertenza con l'abate Pirro Tomacelli si chiuse con l'acquisizione del paese al Gaetani e con l'assegnazione della giurisdizione spirituale all'abbazia. Del castello attualmente non si conservano molte strutture. È comunque possibile una lettura dell'insediamento, anche se probabilmente l'aspetto attuale potrebbe non essere più quello originale, vista la sicura necessità di interventi soprattutto per l'evento sismico del 1349, riconoscibili in una piccola torre laterale circolare con scarpata alla base. L’edificio, ormai diroccato, sorge al centro del paese. La sua planimetria si sviluppa a spirale intorno ad una torre a pianta quadrata, di cui si è conservato in alzato un lato, circondata da una cinta muraria che assume forma allungata in modo da sfruttare le caratteristiche del terreno e creare all'interno la possibilità di una residenzialità non esclusivamente militare. Si tratta di una tipica rocca con recinto allungato e corpo residenziale. Osservando gli avanzi castellani, si nota la quasi totale assenza di finestre e feritoie».

    http://castelliere.blogspot.it/2011/09/il-castello-di-sabato-24-settembre.html


    Castro dei Volsci (borgo, porte)

    Porta della Valle, dal sito www.comune.castrodeivolsci.fr.it   La torre e la porta dell'Orologio, dal sito www.tesoridellazio.it

    «...Continuando il percorso storico è d'obbligo ricordare la comunità benedettina che edificò il monastero di San Nicola (542-552 d.C). Maestranze legate ai canoni bizantini affrescarono in seguito (XII sec.) le pareti, con episodi tratti dalla vita del santo. All'anno 1000 circa, quando i pericoli dei saccheggi e le devastazioni resero difficile la permanenza nei fondovalle, risalgono il trasferimento della comunità del Casale e la fortificazione dell'altura che oggi ospita Castro dei Volsci. Il circuito della primitiva cinta muraria è leggibile nell'andamento anulare della moderna "via Civita"; entro queste mura fu eretta la chiesa madre di Cristo, intitolata a S. Oliva. Quattro sono le porte di accesso al centro abitato: la Porta della Valle, la Porta di Ferro e la Porta dell'Ulivo, permettono l'accesso a un circuito più esterno, la porta dell'Orologio consente invece di entrare nella seconda cerchia muraria più interna. Chiunque s'addentra nel borgo medievale valicando "Porta della Valle", viene investito da un'atmosfera magica e rarefatta: tra viuzze strette e tortuose, lastricate in cotto e fiancheggiate da casette un nuda pietra, con archi, botteghe medievali e portali bugnati, si aprono acuti varchi che conducono ai resti della Rocca di S. Pietro, appartenuta ai Colonna. Qui, i tragici eventi della Seconda Guerra Mondiale, mirabilmente immortalati nel film di Vittorio De Sica "La Ciociara", sono ricordati nel "Monumento alla Mamma Ciociara". A Castro dei Volsci, inoltre, tra le mura di nudo sasso, il 22 marzo 1921 nacque Nino Manfredi, attore tra i più noti e importanti della cinematografia italiana».

    http://www.comune.castrodeivolsci.fr.it/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/56


    Castro dei Volsci (resti della rocca di San Pietro)

    Dal sito www.comune.castrodeivolsci.fr.it   Dal sito http://castrodeivolsci.italiavirtualtour.it

    «...Con la conquista romana, molte colonie vennero dedotte in questa valle fertile, in cui si snoda l’asse viario principale di epoca romana, costituito dalla via Latina, che collegava Roma con l’Italia Meridionale con un percorso diretto ed agevole, attraversando proprio il territorio di Castro dei Volsci e collegando anche i vari centri posti a destra e a sinistra del fiume Sacco. Nelle vicende storiche della valle, Castro proprio per la sua centralità, si inserisce sin dalla preistoria con rinvenimenti di età paleolitica, databili all’industria litica di 700.000 anni fa. Il periodo volsco è testimoniato dai resti del circuito in opera poligonale di “ Monte Nero”. La conquista romana è attestata dai numerosi siti archeologici denunciati sul territorio, tra di essi il primo studiato ed edito è proprio quello del Casale, che testimonia il vissuto nell’area dall’età repubblicana all’alto medioevo. è proprio questo sito che fa di Castro dei Volsci un centro di notevole importanza archeologica ben oltre i confini locali. L’interpretazione delle strutture portate in luce, denuncia l’abbandono del sito nel IX sec. d.C., quando per il fenomeno legato all’incastellamento, la comunità del Casale si sposta sulla rocca di Castro dei Volsci, che da quel momento nasce come borgo medievale. Il periodo che va dall‘anno 1000 al 1816, vede il paese di Castro dei Volsci legato alle alterne vicende politiche delle varie famiglie nobiliari a cui fu affidata come castellania, pur rimanendo patrimonialmente appartenente alla Chiesa romana, come rocca con particolari funzioni strategiche nella provincia di Campagna. Nel periodo in cui trionfava l’ideale teocratico e si stava operando una profonda riorganizzazione del dominio temporale della Chiesa, Castro per la sua posizione di confine, a cavallo tra Stato Pontificio e Regno di Napoli, rientra nelle “munitiones” che i vari papi cercavano di mantenere “ad manus suas”, attraverso fidati castellani. L’abitato era sorto nelle vicinanze del monastero di S. Nicola, edificato dai Benedettini nell’anno 1000, in seguito per scopi difensivi l’abitato fu circondato da una cinta muraria che permetteva l’accesso alla rocca attraverso tre porte più esterne: Porta della Valle, Porta di Ferro, Porta dell’Ulivo ed al cuore della città attraverso la Porta dell’Orologio, la quarta e più interna. Numerosi furono gli attacchi subiti, sin dal 1165, anno in cui la rocca fu assaltata dalle truppe del Barbarossa, sino a tutto l’800 con le scorrerie legate al brigantaggio. Oggi sono visitabili sia la chiesa di S. Nicola con affreschi del Vecchio e del Nuovo Testamento del XI sec., sia le quattro porte con la relativa cinta muraria, ma anche molto di più si può ammirare passeggiando per il centro storico, ad es. botteghe medievali, vicoli caratteristici, figure apotropaiche, passatempi scolpiti nella roccia ecc… Importante fortezza a difesa dello Stato Pontificio, vede passare al suo governo personaggi di rilievo dell’amministrazione papale sino al 1409, anno in cui per la prima volta compare la famiglia Colonna. Anche per questo periodo le sorti del paese sono alterne e legate alle burrascose vicende dello scisma d’Occidente. ...».

    http://www.comune.castrodeivolsci.fr.it/oc/oc_p_elenco_nofoto.php?x=


    CAstrocielo (resti della rocca dei conti d'Aquino, o castello di Castro Cielo in Asprano)

    Dal sito www.aquinosindaco.it   Dal sito http://illaziodeimisteri.wordpress.com

    «Il Castello di Castro Cielo in Asprano fu eretto dai profughi di Aquino, quando questa città fu distrutta dai Longobardi. Si spopolò col passato pericolo longobardo, anche perché mancava di acqua. Fu ricostruito dai Conti d’Aquino per creare lassù una roccaforte contro Montecassino, con cui spesso, gli aquinati erano in guerra. Nel 1020 e nel 1030 risultava già molto popolato. Questo ripopolamento forzato non durò però a lungo, per le difficoltà abitative su Monte Asprano: mancanza di acqua e distanza dai campi da lavorare. Il Castello fu alle dipendenze dei Conti d’Aquino, nei primi anni del Mille. Troviamo che, nel 1004, Landolfo Conte di Aquino, contestualmente ai conti di Pontecorvo, donò una terra sita in Castro Cielo a tale Martino e altri intestatari. Nel 1137 Rainaldo, ex abate di Montecassino, per riconquistare l’Abbazia, si era fortificato sul Castello di Castro Cielo. Nel 1153 il Castello di Castro Cielo era ancora possedimento dei conti di Aquino, i quali vi mandarono il comandante di esercito Garciano. Verso la fine del XII secolo, l’imperatore Enrico VI confermò all’Abbazia di Montecassino la contea di Aquino con Castro Cielo, Arce, Castroforolo (Santopadre), Pico. Nella prima metà del XIII secolo, tra gli anni Trenta e Quaranta, il castello di Castro Cielo tornò ai conti di Aquino, riconquistato dalle armi di Filippo d’Aquino. Nel 1231 il castello figura tra le quattro roccaforti più importanti nella zona di confine tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio, insieme ad Atina, Rocca d’Evandro, Roccaguglielma. In quest’anno, infatti, l’imperatore Federico Il, per mantenere il suo stato di “pace armata” contro papa Gregorio IX, pensò bene di fortificare i suddetti castelli, compreso Castro Cielo. ... Al presente, del Castello di Castro Cielo non rimangono che alcuni tratti di mura perimetrali e qualche porzione di bastione: resti che, pur nella loro esiguità, conferiscono al sito un particolarissimo aspetto, dal sapore di eternità storica nono stante la contraddicente precarietà testimoniata dai segni delle vistose distruzioni. Un paesaggio d’altri tempi, entro cui l’immaginario storico riproduce scene di guerra, rimbombanti d’armi e di zoccoli d’acciaio, con frammiste grida di guerrieri, per i pendii di Monte Asprano, fino a scendere e a collegarsi in sequele di combattimenti nei sottostanti castelli di Colle San Magno e di Roccasecca e nelle soggiacenti pianure. è un panorama meraviglioso: a Sud e ad Ovest la catena dei monti Aurunci e Ausoni; i Lepini, gli Ernici, nel lontano orizzonte; nel mezzo l’intera ampia pianura della valle del Sacco - Liri - Garigliano. Una pianura ben livellata, come se il verde delle campagne avesse sostituito l’azzurra superficie del preistorico lago di questo entroterra. A Est e a Nord il dominante Monte Cairo, con lo stupendo morbido gioco delle rincorrenti vette montuose di Colle San Magno. Nello scoscendimento, verso Castrocielo, i brevi ed aspri tratti di vegetazione sono oggi ancora praticati da ardimentose capre; più cauta mente gruppetti di pecore non si scostano troppo dal sito più agevole al pascolo. Sul crinale di Monte Asprano, a Mezzogiorno, lo sguardo incontra il sottostante castello di Roccasecca, di manzoniana memoria, che ancor oggi sembra contendere il primato al maniero di Castro Cielo».

    http://www.laciociaria.it/comuni/castrocielo_castello.htm


    Ceccano (castello dei Conti)

     

    a cura di Antonio Nalli

    Le foto degli amici di Castelli medievali

    Foto di Castello dei conti de Ceccano (https://www.facebook.com/CastelloDiCeccano)   Foto di Castello dei conti de Ceccano (https://www.facebook.com/CastelloDiCeccano)   Foto di Castello dei conti de Ceccano (https://www.facebook.com/CastelloDiCeccano)   Foto di Castello dei conti de Ceccano (https://www.facebook.com/CastelloDiCeccano)


    Ceccano (castel Sindici)

    Dal sito www.ceccanoonline.it   Dal sito www.prolococeccano.it

    «Questo gioiello di architettura, costruito a modello di un maniero medievale con la tipica merlatura, è opera del Conte Giuseppe Sacconi, artista famoso anche per aver progettato il monumento a Vittorio Emanuele II a Roma. Fu costruito nel 1800 da Stanislao Sindici ed è un classico esempio di castello in stile neogotico-scozzese, tutto realizzato in pietra viva con circa mille metri quadrati coperti e uno splendido parco che lo circonda per quasi tre ettari. Nei sotterranei adibiti a cantina Stanislao Sindici produceva pregiati vini che vennero apprezzati in Italia e all’estero. Il castello ha anche ospitato nelle sue stanze ospiti illustri, tra i quali il poeta Gabriele d’Annunzio. Attualmente sono in programma una serie di opere destinate alla rivalutazione e al rilancio di questo prezioso monumento cittadino sul piano storico-culturale e ambientale tra le quali la costituzione di un museo archeologico, quella di un centro culturale polivalente e di un Progetto Natura per il rilancio del verde pubblico. Nel 2010 una parte della rupe del parco del Castello, separata dallo stesso dalla circonvallazione Aldo Moro, è stata demolita per lasciare posto ad alcuni fabbricati residenziali e privando il Centro Storico della Città di un suggestivo e caratteristico scorcio».

    http://www.ceccanoonline.it/it/i-luoghi-di-ceccano/castel-sindici.html


    Cervaro (castrum Cerbari)

    a cura di Livio Muzzone


    Civitavecchia (torre di Carnello detta "di Cicerone", acropoli)

    Dal sito www.hobbymagazine.altervista.org   Dal sito www.arpinoturismo.it

    «Una passeggiata davvero suggestiva è quella che conduce ad Arpino, antico centro volsco, la città patria del condottiero Caio Mario, di Marco Tullio Cicerone e di Marco Vipsanio Agrippa, genero dell’imperatore Augusto. Storia e leggenda si intrecciano nelle vicende di Arpinum, ma ancor più in quelle della Civitas Vetus, l’Acropoli di Civitavecchia raccolta entro una barriera di mura poligonali risalenti probabilmente al VI-V secolo a.C. Le grandiose mura di Arpino, che in origine si estendevano per circa 3 Km e di cui 1,50 km sono ancora intatte, si dipartono da Civitavecchia all’altezza di 627 metri e scendono giù per il declivio fino ad abbracciare e chiudere la città nell’altra minore altura di Civita Falconara. Esse sono costituite da enormi monoliti di puddinga, materiale i cui banchi sono in vicinanza del sito arcaico.Restaurate nell’età sannitica, poi romana e medioevale con l’aggiunta di torri e di porte, dimostra una serie ininterrotta di vicende storiche. La porta principale, l’antico ingresso dell’Acropoli è il famoso “arco a sesto acuto”, che rievoca in maniera determinante gli archi di Tirinto e Micene. Si tratta di una porta ad ogiva di tipo “Sceo”( cioè di un ingresso che obbligava gli eventuali attaccanti a mostrare, privo di scudo, il lato destro del proprio corpo), consta di una struttura a secco priva d’architrave formata da una serie di massi poligonali connessi a secco e convergenti verso l’alto ai quali con una opportuna scalpellatura è stato dato un profilo ogivale. Questo prodigioso monumento è alto 4,20 metri ed è formato da blocchi sovrapposti che si restringono verso la cima, tagliati obliquamente sul lato interno, secondo una tecnica antichissima risalente al VII-VI secolo a. C. Oltrepassata la porta, troviamo altre testimonianze della Arpino arcaica, risultanze forse di un remoto castello, come la massiccia mole della torre di Cicerone così denominata perché alcuni ruderi romani nel borgo sono considerati come resti della casa del grande oratore, la cisterna che assicurava il rifornimento idrico e tracce di muraglioni. A fianco dell’arco a sesto acuto incontriamo un gioiello settecentesco: la chiesa della SS. Trinità, unico edificio di culto con pianta a croce greca presente in Arpino, fatta costruire nel 1720 dal Cardinale Giuseppe Pesce, maestro e rettore della Cappella Pontificia. Ancora oggi è di proprietà privata».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=390&Itemid=345


    Colle San Magno (borgo, torre civica)

    Dal sito www.comunecollesmagno.org   Dal sito www.ciociariaturismo.it

    «Il piccolo borgo di Colle San Magno si presenta oggi con le imponenti mura e le torri volute dai signori di Aquino. Delle massicce porte, poste a difesa del centro dalle incursioni nemiche, rimangono solo alcuni blocchi di pietra pertinenti gli stipiti. Il centro storico si sviluppa intorno alla torre dell’antico palazzo, edificata intorno al 1200-1300 e ristrutturata dopo il terremoto del 1984, ed alla chiesa parrocchiale. Il dedalo di vicoli e stradine che si affiancano alla via centrale, le scale esterne delle case e piccole tracce di vita contadina tradiscono le origini medievali del paese. Percorrendo le viuzze di Colle è possibile scoprire piccoli angoli suggestivi su cui si aprono bellissimi archi trecenteschi. La piazza principale, piazza Umberto I, antico ritrovo dei collacciani, accoglie la fontana artistica del 1928, realizzata assieme alla costruzione dell’acquedotto comunale».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1156&Itemid=756


    Colle San Magno (resti del castrum Coeli)

    Dal sito www.archeologiamedievale.it   Dal sito www.icastelli.it

    «Il piccolo borgo di Colle San Magno si presenta oggi con le imponenti mura e le torri volute dai signori di Aquino. Delle massicce porte, poste a difesa del centro dalle incursioni nemiche, rimangono solo alcuni blocchi di pietra pertinenti gli stipiti. ... Il Monte Asprano, dopo l’edificazione del castello sulla cima, ebbe due denominazioni: nella parte più bassa, quella di Sant’Angelo (montem qui S. Angeli) dalla grotta dell’Arcangelo S. Michele, e quella più alta di Castrocielo (montem qui Castro Coeli... vocatur). Il castello di Castrum Coeli domina, dalla cima del Monte Asprano, la Media Valle del Liri; esso aveva una funzione strategica: di controllo delle città di Aquino e di Roccasecca. Da questo sito proveniva il primo gruppo di abitanti che nell’XI secolo fondò il centro di Colle San Magno. Probabilmente oggetto di contesa tra Capua ed Aquino, passò, poco prima dell’anno mille, tra le proprietà di Montecassino. Dal XVI secolo il sito è in stato di abbandono e presto la restante parte degli abitanti si sposta verso Colle San Magno. Dell’imponente castello che sovrastava la valle, rimangono tutt’oggi il mastio, alcuni tratti della rocca con poche torri; tra queste spicca a nord quella rivolta verso Roccasecca. In questa si possono riconoscere due fasi: nata inizialmente a pianta rettangolare, vi è poi stata aggiunta una seconda torre semicircolare. Dai sondaggi effettuati appare che il sito era sorto originariamente intorno ad un edificio fortificato, a pianta rettangolare, a cui, successivamente, furono aggiunti due contrafforti. Questo primo nucleo fu circondato da una seconda cinta muraria, priva di torri, ma con numerose feritoie. Dal materiale ritrovato appare che il castello fu abitato ininterrottamente tra il tardo XII ed il XV secolo. Nel 1300 fu costruita sul Monte Asprano la chiesa dedicata a Santa Maria Assunta in Cielo. Situata ad ovest della breve spianata, a pochi metri dal castello di Castrum Coeli essa divenne parrocchiale comune per gli abitanti di Palazzolo e di Colle San Magno. Quando la popolazione di Castrocielo lasciò il castello, il parroco se ne andò a risiedere nel Colle, in quanto era meno distante dalla parrocchiale. Per ricordare il luogo di culto delle due comunità nel giorno Lunedì di Pasqua, ogni anno si svolge l’“inchinata delle Madonne”».

    http://www.comune.collesanmagno.fr.it/index.php?option=com_content&view=article&id=63&Itemid=12


    Esperia (castello di Roccaguglielma)

    Dal sito www.aquinosindaco.it   Dal sito www.marketing.territoriale.it

      

    «Roccaguglielma è il nome della roccaforte medievale che domina l'abitato del comune di Esperia, nonché nome storico del capoluogo comunale, oggi detto anche Esperia superiore. Roccaguglielma è ubicata sul Monte Cecubo, alla sommità di un costone roccioso. La fortificazione sorge a 500 m s.l.m. a strapiombo sull'abitato da cui è raggiungibile. L'area, che è visitabile, è di proprietà del demanio. La nascita della rocca.  Fu costruita intorno al 1103 probabilmente dove giacevano strutture più antiche per volere del normanno Guglielmo di Blosseville (spesso trascritto Glossavilla). Egli fondò anche l'abitato a piedi del castello, difeso con una cerchia di mura rinforzate da 12 torri con tre porte (di Caporave, di Santo Spirito e di San Bonifacio); l'abitato aveva anche una cinta interna, anch'essa con tre porte (di Portella, di Santa Croce e del Morrone). Attualmente le fortificazioni sono in gran parte diroccate. Il castello era collocato in modo da controllare il passo montano che congiunge direttamente Pontecorvo ed Aquino con Gaeta, senza passare per il territorio non normanno di Montecassino. Alleato con i castelli di Campello, Pico, Rivomatrice e San Giovanni Incarico formò per qualche decennio un piccolo potentato indipendente detto dei cinque Castelli de Foris, circondato da territori cassinesi. Nei secoli la collocazione strategica di Roccaguglielma e del suo feudo ne fece un territorio spesso conteso. Tra le famiglie nobili che ne presero possesso si ricordano gli Spinelli, che nel XIV sec. realizzarono molte opere edilizie, i della Rovere e i Farnese, Nel 1497 e nel 1503 Roccaguglielma e il suo territorio subirono pesanti distruzioni a opera del capitano spagnolo Gonsalvo di Cordoba. Il periodo più florido fu tra il XVI e il XVII sec. Nel 1636 il feudo fu devoluto alla camera regia. Nel 1654, a seguito di un violento terremoto, si ebbe una nuova devastazione. Gli anni della nella Repubblica Partenopea furono di grande diffusione locale del brigantaggio, che aveva forte presa sulla popolazione rurale spesso in funzione anti-napoleonica; agirono sul territorio l’itrano frà Diavolo periodo napoleonico e poi, nel periodo post-unitario, Chiavone. Sotto il governo di Gioacchino Murat, si realizzò una nuova sistemazione amministrativa del territorio: Roccaguglielma fu separata dalle attuali frazioni di Esperia inferiore e Monticelli che costituirono il comune di San Pietro in Curolis. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1867, Roccaguglielma e San Pietro si fusero e presero il nome di Esperia. Oggi vicino al Castello sorge una chiesetta dei Padri Trinitari dedicata alla Santa Vergine, costruita nello stesso luogo dove sorgeva l'antica cappella del castello».

    http://it.wikipedia.org/wiki/Roccaguglielma


    Falvaterra (borgo medievale)

    Dal sito www.lazionauta.it   Dal sito www.apt.frosinone.it

    «Visto dall’alto il centro storico si presenta con i tetti in coppi che lo avvicinano ad un borgo toscano, su di essi svetta la torre campanaria con l’orologio. Mentre il visitatore che proviene da Ceprano il paese appare, attraverso una fitta vegetazione, su un colle circondato da mura. L’ingresso del paese è annunziato dal suo nome artisticamente composto con pietra calcare che si staglia sul lastricato nero che elegantemente prosegue fino alla piazza centrale del paese Piazza Umberto I, chiamata in passato e tuttora conosciuta come Piazza Valle, e nelle strade principali, alternato dalla raffigurazione di una stella bianca. è una piazza abbastanza vasta, con decorosi edifici ed una fontana dove una volta le donne andavano ad attingere l’acqua con le caratteristiche “cannate”. Al centro della fontana una struttura simboleggia la solidarietà e l’amore. A sinistra un elegante porticato usato per i momenti di incontro o di riparo dalle intemperie. Ricavata nel muro bastione del castello medioevale. La descrizione continua... una bella grotta artistica costruita con pietre provenienti dalle numerose grotte carsiche, rievoca l’apparizione della Madonna di Lourdes. Al di sotto una fontana sgorgante acqua dalla bocca di un leone, con vasca di raccolta modellata a forma di conchiglia. A destra osservando il bastione del Castello e, rasentandolo, si giunge a piazza Giulio Piccirilli, semicircolare, sorta su di un torrione della Rocca, al cui centro sorge il monumento ai caduti di tutte le guerre. ... Nel palazzo Piccirilli vi era la Corte dei Colonna e vi risiedeva l’erario; oggi il palazzo accuratamente restaurato, presenta un vecchio frantoio per le olive (montano) ben conservato e al piano superore, si conserva un ambiente che nel periodo del brigantaggio è stato un carcere a disposizione dello Stato Pontificio. Seguendo il vicolo che si apre davanti alla Chiesa, in sensibile e spesso ripido pendio, si percorre a destra la via del Forno Vecchio, così chiamata dal forno dei Colonna ove tutti cittadini erano obbligati a far cuocer il loro pane previo pagamento di una tassa, si rasenta la casa dei Benedetti (1631). Una rampa con parapetto conduce sulla Piazza della Porta che alberata, in primavera assume un aspetto riposante. Di fronte il portale meridionale dell’antica città che conserva i cardini con i battenti che a sera impedivano ai malintenzionati e ai briganti di entrare nel sicuro maniero. Sorpassato l’arco siamo subito al Ponte; qui con ogni probabilità, doveva esserci il ponte levatoio che immetteva al castello, il fossato però è del tutto scomparso. Dal bastione dinanzi alla Porta si ammira un bel panorama sulla vallata del Sacco. All’interno del castello sottopassaggi e gallerie interrotti costituivano ancora un ulteriore sistema di difesa e di contrattacco. ... Proseguendo si rasenta una parte una parte delle mura castellane e si continua per la via del Muro Rotto (oggi via Roma) ... Verso il termine di via Roma troviamo da un lato casa Amati con ripida scala esterna in pietra e a sinistra un torrione del castello già sede dell’ex Comune. Sulla strada che porta fuori dal centro verso la provinciale per Pastena si trova la sede dell’attuale Comune, che elegante nella struttura e negli interni, si affaccia sulla vallata sottostante e gode della panoramica dei monti Ausoni».

    http://www.lacittadifondi.it/mondoaurunco/modules.php?name=MondoAurunco&page=falvaterra.html


    Falvaterra (castello Colonna)

    Foto di Antonio Grella, dal sito www.aironeinforma.it   Dal sito www.escursioniciociaria.com

    «Tracce storiche del paese in forma documentale esistono solo a partire da dopo l'anno Mille quando il borgo era soggetto al potere della famiglia dei de Ceccano, legati alla potente abbazia di Montecassino. Intorno al 1100 Falvaterra faceva parte del feudo del vescovo-conte di Veroli che la cedette alla famiglia Pagani nel 1178. Nel 1301 Adenolfo Pagani la vendette a Pietro Caetani, nipote del pontefice Bonifacio VII. La famiglia Caetani governò, con alterne vicende, Falvaterra sino a quando, nel 1504, Re Ferdinando il Cattolico tolse ad Onorato Caetani ed affidò a Prospero Colonna le terre appartenenti allo Stato della Chiesa comprendenti anche Falvaterra. La famiglia Colonna la governò per molto tempo con un intermezzo sotto la corona spagnola. Nel 1549 Ascanio Colonna, che era molto amato dal popolo di Falvaterra, si dimostrò così favorevole a questa terra che, oltre a tante donazioni, le concesse, per privilegio, la nobilissima insegna della sua Casa. Il popolo di Falvaterra si gloriò di tanto favore e subito aggiunse all’incudine, sua antica impresa, la colonna, sia per dimostrare la saldezza dell’affetto della casa Colonnese verso di esso, sia per significare la costanza della sua servitù verso di essa. Il pessimo rapporto dei Colonna con il Papa costituì uno dei motivi scatenanti della guerra del 1556 tra il papa ed il re di Spagna, intervenuto in loro difesa. Nel novembre di quell'anno le truppe spagnole al comando del Duca d'Alba penetrarono negli Stati del papa ed assediarono ed occuparono i Castelli del territorio papale tra i quali quello di Falvaterra che, unico, aveva resistito per nove giorni all'assedio e solo a seguito della completa disfatta delle milizie papali si arrese spontaneamente. Nel 1801 il pontefice Pio VI rientrò in possesso del suo Stato e Falvaterra tornò sotto la Signoria dei Colonna. Altro intervallo si ebbe con l’Impero Napoleonico tra il 1809 ed il 1815; infine, nel 1816 i Colonna rinunciarono ai diritti feudali e Falvaterra rientrò sotto il diretto dominio dello Stato della Chiesa. Del castello attualmente rimangono pochi e manomessi resti, tra i quali un tratto di cinta muraria merlata ed una torre semicircolare, restaurata purtroppo ad intonaco. Il portale meridionale dell’antica città conserva i cardini con i battenti che alla sera impedivano ai malintenzionati e ai briganti di entrare nel sicuro maniero. Sorpassato l’arco si arriva subito al Ponte, in corrispondenza del quale, con ogni probabilità, doveva esserci il ponte levatoio che immetteva al castello, ma il fossato è del tutto scomparso. All’interno del castello gallerie e sottopassaggi interrotti costituivano ancora un ulteriore sistema di difesa e di contrattacco».

    http://castelliere.blogspot.it/2011/07/il-castello-di-sabato-16-luglio.html


    Ferentino (palazzi storici)

    Il palazzo Consolare, dal sito www.proloco.ferentino.fr.it   Il palazzo dei Cavalieri Gaudenti, dal sito www.proloco.ferentino.fr.it

    «Il Palazzo Consolare o Palazzo dei Consoli (ex Palazzo Comunale) è una tipica costruzione del XII secolo, con una splendida loggia a bifore e la torre guelfa con la campana (scarana) che annunciava la cessazione delle attività lavorative al termine della giornata. Elegantissimi sono le colonnine e i capitelli. è rimasto integro il Bargello (carcere) delle donne, mentre quello degli uomini è stato distrutto nel corso dell'ultimo restauro. Il Palazzo dei Cavalieri Gaudenti è un grandioso edificio di architettura gotica, fondato nel sec. XIII. L'edificio ha pianta rettangolare ed è costituito da un lungo porticato a cinque arcate a sesto acuto, ora murate, di cui una fa angolo con la piazza della vicina chiesa ed è alleggerito, al primo piano, da quattro bifore in buono stato di conservazione. I Cavalieri Gaudenti giunsero a Ferentino favoriti da Gregorio da Montelongo, Ferentinate e amico di Gregorio IX, dopo averli contattati, nel 1240, durante il periodo della sua legazione a Milano, Piacenza, Bologna e Brescia. Il Palazzo di Innocenzo III, vicino al Palazzo dei Cavalieri Gaudenti, ha un'ampia entrata con arco a sesto acuto, che immette in un atrio e quindi in un piccolo cortile; anch'esso risale al XIII secolo. è noto che Innocenzo III prediligesse Ferentino, come sono note le sue prolungate visite nella nostra città. Si conserva, in detto Palazzo, un esemplare dello stemma di Ferentino, con giglio bianco in campo rosso. Il Palazzo de Andreis si affaccia su via Consolare e sulla piazza Gramsci, già Saloniei. La loggetta consta di due finestroni con archi a tutto sesto romano e quadrello uguale al raggio, eleganti e snelle le quattro colonnine con capitelli».

    http://www.proloco.ferentino.fr.it/iti_rom.htm e ss.


    Ferentino (porte)

    Porta Maggiore o Casamari, dal sito www.proloco.ferentino.fr.it   Porta Stupa, dal sito www.proloco.ferentino.fr.it

    «Porta Sanguinaria, tra le più imponenti e più ricche di interesse della città deve il suo nome forse alle cruenti battaglie combattute in questo luogo strategico, oppure dal fatto che da questa porta venivano condotti i condannati a morte per essere giustiziati, anche cristiani. Porta Casamari, parte della forte struttura difensiva in un punto nevralgico, costituita da due chiusure per poter meglio ostacolare gli assalitori. (fine I sec. a C.). Porta Pentagonale, dalla sua forma particolare per la mancanza di arco e di epistilio simile a quelle che si trovano lungo le mura delle città di Argo, Tirinto e di Micene. Sembra comunque più che una vera porta una piccola nicchia per il culto religioso. Porta Stupa, stessa epoca di Porta Sanguinara, molto importante poiché permetteva di raggiungere più celermente la zona del teatro. Porta S. Agata, di epoca pelasgica rivestita probabilmente in epoca imperiale, come "Porta Montana" non più per difesa ma con carattere onorario. Porta S. Francesco, con torre quadrangolare per l'avvistamento e la difesa con stesse caratteristiche costruttive di Porta "Sanguinara" e "Stupa". Porta Montana, di origine preromana successivamente abbellita in epoca Imperiale con funzione estetico-costruttiva. Porta S. Croce (fine I sec. a.C. - età sillana) simile a quella di Casamari».

    http://www.menteantica.it/parco%20astro.htm


    Fiuggi (borgo medievale, palazzo Comunale)

    Porte e torre della Portella, dal sito www.hotelcapri.it   La Taverna del castello, nel borgo di Fiuggi, dal sito http://mangia-bevi.com

    «Il borgo medievale di Fiuggi, costruito probabilmente intorno al Mille, è un susseguirsi di vicoli, piazzette, ripide scalinate e case costruite una sull’altra. Dalla piazza, attraverso via V. Emanuele, percorrendo i vicoli del borgo, il turista noterà antichi palazzetti come “Le Case Grandi”, “Martini” e “Alessandri”. Quest’ultimo si riconosce per la presenza di una scala in pietra con a lato un piccolo bastione, che forse anticamente era a guardia della porta Castello. Nel palazzo De Medici si trova il “pozzo delle vergini”, dove secondo la leggenda venivano gettate le ragazze che rifiutavano di assoggettarsi allo ius primae noctis imposto dal feudatario. Dalla piazza Castello si scende nella piazzetta Falconi, così denominata per l’antico palazzo che vi si affaccia. Anche palazzo Falconi custodisce una storia curiosa. Nella vana attesa di Napoleone, che avrebbe dovuto fermarsi proprio qui per una breve sosta, un pittore passò la notte a decorare una stanza con il ritratto del condottiero. Che non passò mai da Fiuggi ma lasciò la sua ombra, come raccontò l’artista, in quella che oggi si chiama la “Sala di Napoleone”. Meritano una visita a sé le numerose chiese del centro storico come la Collegiata di San Pietro, in via Maggiore, la chiesa di Santo Stefano e Santa Maria del Colle, due templi pagani trasformati in chiese intorno al XV secolo. Ancora la chiesa della Madonna della Vittoria e, infine, la chiesa di San Biagio, patrono di Fiuggi. Negli ultimi anni il centro storico è diventato anche un punto d’incontro per gustare dei piatti tipici locali, infatti durante il percorso si incontrano cantine accuratamente sistemate a locanda. ... Il Palazzo Comunale fu costruito nel 1925 in stile rinascimentale in onore del breve periodo, dal 1421 al 1478, in cui Anticoli di Campagna, l’antica Fiuggi, fu libero comune».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1556&Itemid=823&lang=it - ...1557&Itemid=824&lang=it


    Fiuggi (porte, torrione del castello)

    Dal sito www.adnkronos.com   Porte e torre della Portella, dal sito www.relaislefelci.it

    «Porta dell'Olmo. Si trovava sulla "barriera" ed immetteva nella parte più alta del Castello; è stata abbattuta ai primi del 1900 per l’ampliamento della piazza Trento e Trieste (in passato Piazza dell’Olmo per i grandi olmi secolari che vi si trovavano). Al centro della piazza c’era una cisterna che forniva l’acqua al paese. Le sfere di pietra che si trovano ai lati della scalinata della chiesa di S. Chiara, ornavano i lati estremi della porta dell’Olmo. ... Porta della Portella. La porta maggiore, che nell’antica Felcia immetteva nell’arx, era detta "Portella" ed è ancora nota con questa denominazione. è l’unica conservatasi, anche se è stata ristrutturata in epoca comunale insieme alla torre omonima posta a sua difesa. Si ritiene che il termine "Portella" abbia una origine arcaica e preromana e che pure in Alatri, Ferentino e Veroli, stia ad indicare l’accesso più antico all’arx. Porta del Colle. Abbattuta deprecabilmente nel 1960. Sorgeva presso l’attuale piazza Piave che ha al centro una fontana in bronzo del 1907. ... Torrione. Nel perimetro della piazza Castello c’è la Rocca con il torrione di vedetta, oggi campanile della chiesa.».

    http://www.fiuggi.org/storialuoghi.htm


    Fontana Liri (ruderi del castello Succorte)

    Dal sito www.comunefontanaliri.fr.it   Foto di Fernando Campagna, dal sito https://picasaweb.google.com

    «La costruzione del Castello Succorte, con funzioni difensive e di controllo sulla valle sottostante, risale alla metà dell'anno Mille. Intorno ad esso si sviluppò il borgo, attuale Fontana Liri Superiore. Tra le strutture ancora in piedi si segnala la torre principale che svetta sulle case circostanti, mentre dal portale con arco a sesto acuto nel 1983 fu trafugato un rilievo con uno stemma che raffigurava un'aquila. Dal grande salone proviene un affresco ora conservato nel palazzo comunale».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5120%3Afontana-liri-castello-succorte&Itemid=1613&lang=it


    Fontechiari (torre Boncompagni)

    Dal sito www.ciociariaturismo.it   Dal sito www.fontechiari.org

    «La Torre Boncompagni di Fontechiari è il simbolo di Fontechiari da circa 800 anni. Costruita tra il 1247 e il 1293 dai conti d’Aquino di cui porta lo stemma, sotto la signoria di Andrea II e Tommaso essa è parte integrante della cinta muraria del paese che con in quegli anni assunse definitivamente la forma di villaggio fortificato legato ad una struttura agraria. Alta 25 metri ha base quadrangolare con angoli rinforzati da conci regolari più grossi. Costruita in buon laterizio locale ha un andamento rastremato che le conferisce un aspetto allo stesso tempo elegante e maestoso ed è coronata da 48 beccatelli in pietra. Verso sud ha due piccole finestre rettangolari in asse, al lato ovest fa bella mostra di sé lo stemma dei conti d’Aquino in marmo. Verso la piazza una suggestiva scala esterna in pietra conduce alla stanza del primo piano utilizzata per varie funzioni tra cui, la principale, era quella di amministrare la giustizia. Nel mezzo, una botola chiusa a sportello porta ad un locale sottostante che presenta due cunicoli: uno si dirama in direzione Vicalvi e l’altro sprofonda nel terreno simile ad un pozzo a sezione cilindrica. Parte integrante del sistema di avvistamento e segnalazione dei castelli del Basso Lazio, sotto i Boncompagni divenne simbolo del potere feudale. Attualmente è di proprietà privata della famiglia Viscogliosi».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=9440&Itemid=1613&lang=it


    Frosinone (resti della rocca di Frusino)

    La rocca, dal sito www.homeaway.it   L'arco della rocca, dal sito www.homeaway.it

    «Frosinone fu più volte distrutta durante le invasioni barbariche, e rimase sempre dipendente dalla Roma papale; la sua funzione era principalmente agricola e militare: la rocca respinse, tra l'altro, i tentativi di espansione dei Conti de Ceccano. Nel Duecento saranno gli anagnini a tentare di imporre il loro dominio, ma Frosinone aveva dalla propria l'appoggio papale, che rese inoffensivi i nobili di Anagni. Dal XIII secolo fu saltuariamente sede del rettore di Campagna e Marittima, assieme ad altre città della provincia pontificia come Ferentino, Anagni e Priverno. Agli inizi del XIV secolo la città strinse un'alleanza con la vicina e potente Alatri, impegnandosi ad intervenire con propri rappresentanti al "parlamento" alatrense e a partecipare alle spedizioni belliche dell'alleato, mantenendo le proprie insegne. La città dovette subire un disastroso terremoto nel 1350. Nel Cinquecento fu devastata dai Lanzichenecchi, che vi portarono la peste, immediatamente seguiti da truppe francesi e fiorentine, contestualmente al Sacco di Roma. La rocca, distrutta, venne ricostruita; per alcuni il portale principale sarebbe stato disegnato da Michelangelo. Nuove distruzioni si ebbero con l'occupazione da parte degli spagnoli in guerra contro Paolo IV nel 1556: la sua rocca era strategicamente rilevante per il controllo di tutta la valle del Sacco e per la difesa di Roma. A seguito del trattato di Cave (1557) la residenza dei governatori pontifici della provincia di Campagna e Marittima fu fissata definitivamente a Frosinone. ...  Palazzo del Governo. Collocato nel luogo dell'antica rocca di Frusino, il palazzo attualmente sede della prefettura di Frosinone venne edificato a partire dal 1825 come sede della Delegazione apostolica di Frosinone su progetto dell'architetto Mazzarini e i lavori, eseguiti dall'architetto Antonio Sarti, terminarono nel 1840. Della rocca mantenne il portale, il cui disegno era attribuito dalla tradizione orale al Michelangelo. L'edificio rimase danneggiato dal terremoto del 1915, da un incendio nel 1927 e soprattutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra acquisì l'aspetto attuale, mantenendo essenzialmente la struttura complessiva, con quattro piani e una loggia centrale all'altezza del piano nobile sostenuta da sei colonne doriche, ma privato della torretta dell'orologio che lo coronava. Al suo interno sono presenti arredi di notevole valore provenienti dalla reggia di Caserta».

    https://www.facebook.com/note.php?note_id=46214458172&comments&ref=mf


    Fumone (castello Longhi de Paolis)

    Dal sito www.castellodifumone.it   Dal sito www.castellodifumone.it

      

    «Il primo documento ufficiale in cui compare il nome di Fumone è la “Donazione Ottoniana” quando nell’anno 962 l'imperatore di Germania, Ottone I di Sassonia, donò alla Santa Sede e al suo pontefice Giovanni XII, le città di Teramo, Rieti, Norcia, Amiterno e l'Arx Fumonis. Questa importante donazione dimostra come il Castello di Fumone era allora degno di essere donato ad un papa al pari di notevoli città, e che nel X secolo la fortezza era già famosa e collaudata. Inespugnabile, la Rocca di Fumone fu usata dai papi per oltre 500 anni come antiguardo verso il Mezzogiorno e prigione pontificia per prigionieri politici. Nel 1116, durante la controversia delle investiture e la lotta in Roma tra fazione dell’imperatore Enrico V e quella papale di Pasquale II, vi fu rinchiuso il Prefetto di Roma Pietro Corsi (per importanza la seconda carica dopo il Papa) che aveva stretto alleanza con l’Impero. Nel 1121 il castello di Fumone fu luogo di prigionia e morte di Maurizio Bordino antipapa (con il nome di Gregorio VIII), che anteposto dall’imperatore Enrico V ai papi Pasquale II e Gelasio II, finalmente dopo sette anni venne sconfitto a Sutri e condotto in catene a Fumone da papa Callisto II. Il corpo dell’antipapa fu sepolto nel castello e non venne mai più ritrovato. I tentativi di conquistare la fortezza di Fumone con la forza risultarono vani a chiunque, ivi compresi gli imperatori Federico Barbarossa ed Enrico VI, che falliti gli assedi della Rocca, sfogarono la loro rabbia devastando città e campagne a sud di Roma. Solo papa Gregorio IX nel XIII secolo riuscì, dopo mesi di assedio, a farsi aprire le porte, ma pacificamente e sotto pagamento di forte riscatto. La fortezza di Fumone, data la sua fondamentale importanza strategica, al pari di tutte le Castellanie della Chiesa veniva assegnata dai Papi con un contratto di enfiteusi trigenerazionale (all’incirca 50 anni) a potenti famiglie romane. L’enfiteuta (definito “Custode “) era spesso un importante uomo politico romano, questi nominava un castellano di Fumone di sua scelta,( generalmente un uomo d’armi a cui era delegata la difesa del luogo in sua assenza), costui provvedeva al sevizio di segnalazione di fumo, custodiva i prigionieri politici che il papa vi inviava, manteneva la disciplina militare nella fortezza, provvedeva alla manutenzione e al rafforzamento delle mura e degli strumenti di difesa, e soprattutto difendeva gli interessi della Chiesa in quel vasto territorio. Il guadagno della famiglia Custode che si sobbarcava le ingenti spese di gestione, era non solo economico (la tassa che le città vicine pagavano a Fumone per ricevere i segnali), ma soprattutto il grande prestigio goduto a Roma nel vedersi affidata una così importante fortezza, segno tangibile per la popolazione romana, e per le importanti famiglie aristocratiche sue rivali, di vicinanza al papa e alla politica di questo.

    Tuttavia l’episodio più importante avvenuto nel castello di Fumone, motivo per cui il nome della rocca si ritrova inserito in tutti i libri di storia, avvenne nel 1295 quando vi fu rinchiuso il santo papa Celestino V, che vi morì dopo dieci mesi di dura prigionia. Celestino V (l’eremita Pietro dal Morrone) fu eletto papa all’età di 86 anni dopo 30 mesi di conclavi andati a vuoto. Il suo nome fu scelto per via della santa vita, per la fama che godeva come dispensatore di miracoli, e soprattutto per ragioni politiche, vista la impossibilità per le famiglie cardinalizie dominanti, i Colonna e gli Orsini di trovare un accordo. Ma la scelta dei cardinali di puntare su di lui si rivelò un errore. Celestino V, apparentemente un ingenuo facilmente manipolabile, agì senza tenere in nessun conto gli interessi dei suoi elettori e compì una serie di azioni (spostò la sede del papato da Roma a Napoli, creò 10 nuovi cardinali, dimezzando così il potere di quelli già esistenti, tolse dall’abbazia di Montecassino i monaci Benedettini sostituendoli con i Celestini) che gli portarono l’avversione della Curia romana. Il pontificato di Celestino durò pochi mesi, il suo animo puro entrò presto in contrasto di coscienza con le decisioni politiche che spesso dovevano essere fatte nell’interesse della Chiesa, e dopo un tormentoso travaglio Celestino V rinunciò alla tiara abdicando. Al suo posto venne eletto papa Bonifacio VIII. Il nuovo pontefice resosi presto conto della illegittimità della sua elezione (Celestino V rimane l’unico papa ad aver abdicato) decise di recluderlo in una prigione pontificia di massima sicurezza. Fu così che il sant’uomo venne rinchiuso nel Castello di Fumone e vi morì il 19 maggio del 1296 compiendo nel luogo dove visse 10 mesi, il suo primo miracolo da morto. Da allora il castello, che aveva sempre avuto caratteristiche di natura militare, divenne anche un luogo spiritualmente importante. Nel corso del 1500 il castello di Fumone perse la sua importanza militare e senza più lavori di manutenzione andò decadendo. Fu così che nel 1584 papa Sisto V decise che, essendovi morto Celestino V, il castello andava conservato come memoria storica, e lo affidò ad una famiglia aristocratica romana: i marchesi Longhi. Le ragioni della scelta di Sisto V su questa famiglia furono legate al fatto che il loro antenato Guglielmo, creato cardinale da Celestino V, iniziò a crearne il culto (prese sotto propria protezione tutte le chiese, cenobi, abbazie celestiniane, e soprattutto protesse e foraggiò l’ordine dei Celestini creato da Pietro del Morrone a metà del 1200). Il castello di Fumone nei secoli fu trasformato dalla famiglia Longhi in propria residenza di campagna. Oltre al santuario, i discendenti del cardinale Guglielmo, costruirono il gigantesco giardino pensile, ampliarono il palazzo aggiungendo al mastio la parte seicentesca del Piano Nobile, e settecentesca confinante con il giardino. Da allora ogni membro dei Longhi viene battezzato nella cappella del castello ed educato alla tradizione celestiniana della famiglia. Nel 1990 i marchesi Fabio e Stefano, attuali proprietari del Castello di Fumone, lo hanno aperto al pubblico e secondo lo spirito di sempre e la secolare tradizione aderiscono a tutte le iniziative che vanno nel nome e a favore di S.Pietro Celestino».

    http://www.castellodifumone.it/storia.html


    Isola del Liri (Castellum Insulae o castello Boncompagni-Viscogliosi)

    Foto di Wento, dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.isolaliri.com

      

    «Il centro fortificato è di origine alto-medievale, nel posto in cui dovette esservi stata originariamente una torre. La prima menzione di un Castello ad Isola del Liri risale al 1100, in una bolla pontificia di papa Pasquale II diretta a Goffrido, vescovo di Sora, in cui si cita un Castellum Insulae. La fortificazione era un baluardo posto a difesa della piana di Sora e concepito come primo baluardo a difesa della città, probabilmente proprietà diretta della diocesi. Con la nomina dei Della Rovere a duchi di Sora il castello divenne parte integrante del patrimonio ducale, residenza ducale e sede principale delle attività politiche dei signori di Sora nella valle del Liri. Qui nel 1496 i Cantelmo e i Della Rovere organizzarono una resistenza anti-aragonese per preparare la riconquista del Regno di Napoli a Carlo VIII, con il sostegno del clero locale. I Boncompagni in seguito ne acquisirono i diritti di proprietà. Nel XVII secolo Costanza Sforza trasformò la struttura militare in una residenza signorile, commissionando affreschi di ispiriazione biblica e bassorilievi dei comuni appartenenti al ducato di Sora e curando la realizzazione di un parco».

    http://www.isolaliri.com/isolaliri/guida/castello_boncompagni-viscogliosi.php


    Isoletta (castello distrutto Della Rovere o dei Conti di Celano)

    Dal sito www.multimediadidattica.it   Dal sito www.multimediadidattica.it

    «Il Castello Della Rovere di Isoletta o Castello dei Conti di Celano è un'antica fortificazione militare del Lazio meridionale, nel comune di Arce, oggi distrutto, inserita nel sistema difensivo dell'alta Terra di Lavoro con i castelli Boncompagni-Viscogliosi di Isola del Liri, Rocca Campolato di Arce e Rocca d'Arce. La località di Isoletta, oggi frazione di Arce, in provincia di Frosinone, storicamente era conosciuta semplicemente come Insula o Insula Pontis Solarati. È un centro abitato su un'isola del fiume Liri di medie dimensioni. La prima fortificazione ivi costruita risale al 702, quando i Longobardi di Benevento insediarono qui un presidio militare per le loro scorrerie nella media Valle del Liri (Arpino, Sora). Nel 1046 la località fu aggregata da Riccardo I al patrimonio dei conti d'Aquino. Qui inoltre avevano possedimenti terrieri i conti di Ceccano e l'abbazia di Montecassino. Nel 1139 papa Innocenzo II decretò una guerra contro il re di Sicilia Ruggero d'Altavilla e nell'invadere il Mezzogiorno le sue truppe distrussero Isoletta. Per via di alcune parentele fra i D'Aquino e i Da Celano l'abitato entrò a far parte delle proprietà di questi, nel periodo in cui la famiglia abruzzese era all'apice del suo prestigio politico ed economico. Tommaso da Celano, capo della congiura anti-sveva dei Chiavesignati, dispose e finanziò la costruzione del primo castello di Isoletta e da qui con Ruggieri dell'Aquila organizzò l'assedio di Arce. Sconfitti i Chiavesignati in Abruzzo, i Da Celano furono costretti a cedere tutte le loro conquiste e le proprietà oltre la Marsica (Molise, Lazio meridionale) fra cui Isoletta che divenne un feudo della famiglia locale Spinello. Quando Leonardo Della Rovere divenne duca di Sora, nel 1465, ottenne in concessione Sora, Arce ed Isoletta dove estese la precedente struttura militare e vi costituì un vero e proprio castello. Per un breve periodo il territorio fu sotto l'amministrazione di Guglielmo di Croy, per poi andare ai Boncompagni nel 1579. Dopo la reintegrazione nei beni statali del ducato di Sora i Borboni trasformarono il castello di Isoletta in una fortezza di confine. Divenuta proprietà privata con l'Unità d'Italia, fu distrutto durante il fascismo per far posto ad una abitazione privata».

    http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Isoletta


    Monte San Giovanni Campano (castrum e Palazzo D'Avalos)

    a cura di cortedavalos


    Morolo (resti della rocca dei Colonna)

    Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.internetting.org

    Le foto degli amici di Castelli medievali

    Foto di Valentino Privitera (https://www.facebook.com/valentino.privitera)   Foto di Valentino Privitera (https://www.facebook.com/valentino.privitera)

    «Si trova immersa nel verde nel punto più alto del centro storico dove si può godere di un panorama incantevole. Edificato all'epoca della dominazione longobarda, nei primi decenni del 1200, il castello venne cinto di mura, e nella parte più alta, venne costruita una vasta e munita Rocca. Nel 1216, Tommaso di Supino, sposato a Mabilia Colonna ed alleato di Ruggero Dell'Aquila, Conte di Campagna e Marittima, assalì e distrusse con altri vassalli morolani parte del territorio di Giovanni conte di Ceccano, devastandone campi ed incendiando mulini; quindi si ritirò nel territorio di Castro dei Volsci. Il castello, denominato la "Rocca", e gli abitanti nei pressi di quest'ultimo vennero assaliti dal Conte di Ceccano per vendetta. Da questo evento, forse il più tragico per il popolo di Morolo, si può ricavare che gli abitanti in quel momento erano intorno ai mille. Per entrare a Morolo l'esercito di Ceccano si dice che abbia fatto breccia nel Muro Rotto che dalla piazza scende mediante ripidi gradini. I pochi superstiti compresi i nobili che si trovavano nel castello furono fatti prigionieri ma ebbero salva la vita. In seguito le case si cominciarono ad estendere anche nella campagna. Nel 1385 Fabrizio Colonna allargò i possedimenti familiari, con i beni portati a lui in dote dalla moglie, Nanna di Supino. Salvo brevi intervalli, ossia delle confische volute dai papi Alessandro VI, Paolo III e Paolo IV, dal 1422 la storia di Morolo rimase legata ai potenti Colonna. La guerra tra il papa Paolo IV ed il re di Spagna Filippo II sconvolse negli anni 1556-1557 tutto il Lazio e di conseguenza anche Morolo che dovette subire la decadenza economica e sociale che afflisse l'intera regione. Nei secoli XVII e XVIII, cominciò il lento ed inesorabile declino della Rocca, ormai venuta meno al suo ruolo difensivo, mentre, i principi Colonna a più riprese, allentarono i vincoli feudatari fino a quando, nel 1908, rinunciarono in modo definitivo a qualsiasi diritto ed anche alla proprietà, a favore del Comune di Morolo, dei resti della Rocca. Nel suo nucleo oggi in rovina si possono distinguere due edifici tra loro comunicanti posti su due livelli: il superiore con forma torreggiante era destinato a scopi difensivi mentre, l'inferiore, di forma rettangolare era destinato a residenza. Circondato da mura e torri circolari e quadrate, presenta 2 porte d'accesso Porta Castello e Porta Colonna. Altri due ingressi sul lato sud mettevano in comunicazione gli abitanti del tempo con la Chiesa di Santa Croce e con la campagna prospiciente il Castello. è iniziato un lavoro di restauro del complesso medievale ma purtroppo, ed è notizia di qualche settimana fa, le ultime abbondanti piogge hanno provocato il crollo di una sua parte. Speriamo che chi può possa prendere i necessari provvedimenti per salvare e ridare lustro a questo importante castello dalla ricca storia».

    http://castelliere.blogspot.it/2011/05/il-castello-di-sabato-14-maggio.html


    Paliano (fortezza Colonna)

    Dal sito www.eccolanotiziaquotidiana.it   Dal sito www.comune.paliano.fr.it

    «Il borgo medievale di Paliano è dominato dall'imponente Fortezza Colonna, la collina su cui si erge la grande struttura difensiva era già utilizzata a scopo militare dalla popolazione degli Ernici, i quali vi fondarono un fortilizio avente lo scopo di proteggere la città sacra di Anagni. Nel 1051 sulla sommità della collina sorgeva il monastero benedettino di Sant'Angelo, nel 1232 quando Paliano entrò nella giurisdizione della Santa Sede, papa Gregorio IX lo fece fortificare assieme alla rocca preesistente. Nel 1543 alla fine della cosiddetta “guerra del sale”, che vide contrapposto papa Paolo III alla famiglia Colonna, il forte fu fatto smantellare da Pierluigi Farnese per motivi di sicurezza. Circa dieci anni dopo, nel 1552 iniziarono i lavori di costruzione di una nuova fortificazione fortemente voluta da Marcantonio Colonna. Quest'ultimo fu uno dei vincitori della Battaglia di Lepanto e fece affrescare le stanze all'interno del forte con i momenti più importanti della sua vita politica e militare. Nel 1796, con la Campagna d'Italia e la successiva invasione dello Stato Pontifico da parte delle truppe francesi, Paliano fu cinta d'assedio e capitolò dopo una breve ma valorosa resistenza. Il forte venne demolito e depredato di tutti i suoi tesori artistici. Il 4 gennaio 1844 Aspreno Colonna cedette ciò che rimaneva della fortezza alla Chiesa che, dopo accurati lavori di restauro, la adibì a carcere duro per gli oppositori politici. Anche dopo il 1870, quando Paliano passò allo Stato italiano, il forte mantenne la funzione originaria. Nel 1943 durante l'occupazione tedesca, nella Fortezza vennero rinchiusi numerosi soldati italiani, civili e partigiani arrestati a seguito di alcune azioni di guerriglia attuate contro i tedeschi nella provincia di Frosinone. Il 1° febbraio del 1944 furono tradotti nel carcere di Paliano ottanta civili, cinque dei quali, dopo un processo sommario, vennero fucilati il 29 aprile e il 16 maggio. Così come accadde ad alcuni contadini di Piglio, rastrellati il 18 marzo e fucilati per rappresaglia il 6 aprile 1944. Alla fine degli anni Settanta la Fortezza è stata trasformata in carcere di Massima Sicurezza».

    http://www.marketing.territoriale.it/moduli/cultura/scheda_cultura.html?COD_CULTURA=138


    Paliano (mura castellane, porte)

    Porta Romana, dal sito www.prolocopaliano.it   Dal sito www.comune.paliano.fr.it

    «Le Mura Castellane circondano il nucleo antico della città, per un perimetro di 2,5 Km. Risalgono al periodo medievale ma sono state rinforzate e consolidate tra il '500 e il '700 con bastioni, baluardi, rivellini e garitte. La Porta Romana, è una delle porte d'accesso alla città. Detta, nelle diverse epoche, Porta da' Basso, Porta S. Andrea, Porta del Piano e Porta de' Forastieri, è situata nel versante ovest. La Porta Napoletana, detta anche porta del Colle, Porta del Macello, Porta de' Terrazzani e Porta Regnicola, sulla facciata conserva ancora le sedi che accoglievano le travature del ponte levatoio e le lapidi scalpellate dai francesi nel 1799. La Porta Furba, verso est, protetta dalla naturale scarpata e ben nascosta, più che un ingresso, doveva essere un'uscita di sicurezza, per possibili fughe verso il Castello di Serrone. Si affacciano su Piazza Marcantonio Colonna, la piazza principale della città, il Palazzo Ducale (o Palazzo Colonna), la Chiesa Collegiata di S. Andrea Apostolo e Palazzo Picchia».

    http://www.comune.paliano.fr.it/drupal-6.14/node/217


    Paliano (palazzo Ducale)

    Dal sito www.comune.paliano.fr.it   Dal sito www.comune.paliano.fr.it

    «I massimi poteri civile e religiosi del borgo erano rappresentanti da due delle attrazioni turistiche più visitate, il Palazzo residenza dei duchi e la Collegiata. Il Palazzo Ducale di Paliano venne costruito nel 1620 da Filippo I di Colonna e più volte ampliato dai suoi discendenti. Si fa notare soprattutto per una bella terrazza panoramica, un cortile porticato riverso nell'adiacente valle. Gli interni si apprezzano in particolare per gli arredi d'epoca, diverse opere d'arte e per alcune testimonianze storiche proveniente dalle vittoriose battaglie di alcuni dei componenti della famiglia, come la Battaglia di Lepanto (1571) con la quale la Lega Santa sconfisse la flotta turca dell'Impero Ottomano e a cui partecipò Marcantonio Colonna. Si racconta che le spese sostenute da Marcantonio per finanziare la sua partecipazione alla guerra furono così alte che i suoi eredi dovettero vendere molti dei loro feudi, tra cui Palestrina, per rimborsare i debiti contratti. Il Palazzo ospita anche il Mausoleo della dinastia dei Colonna.  La chiesa della Collegiata di Sant'Andrea (XVI secolo) è stata edificata sempre per volere della dinastia dei Colonna e più volte rimaneggiata nel corso dei secoli».

    http://www.informagiovani-italia.com/paliano.htm


    PATRICA (palazzo Comunale, resti della rocca)

    Il palazzo Comunale, dal sito http://digilander.iol.it/aldoconti   Monte Caccume, dal sito www.escursioniciociaria.com

    «...Del Castrum Cacuminis, già esistente sul cono di Cacume, rimangono pochi muri del suo vasto recinto. La torre sommitale è stata poi reimpiegata ome basamento per la chiesa eretta all’inizio del XIX secolo, ed in corso di ricostruzione. Scendendo dalla sommità del monte si incontrano muraglie, già appartenenti alla cinta ed agli edifici: si tratta di brevi tratti che, sommati fra loro, raggiungono i 150 m. circa. La ricostruzione della pianta ha evidenziato che il castello aveva una probabile forma trapezoidale, con due porte e torri di cui rimangono scarse tracce. La Cittadella è di origine medioevale, risale probabilmente al mille ed ha subito diversi interventi e modifiche posteriormente. Corrisponde alla rocca del paese e attualmente comprende la parte residua del mastio, un pezzo della cortina e tre torri cinquecentesche, di cui una lontana dall’area sommitale, che si distinguono per le feritoie a bocca di lupo per artiglierie. A porta S. Rocco si eleva una torre, risalente al XV secolo; restaurata di recente apparteneva al sistema difensivo della porta (di cui rimangono tracce poco leggibili). Alta m. 7, è larga m. 6: appare quindi molto tozza ed oggi risulta fortemente rimaneggiata. La storia del Palazzo Comunale è stata scritta recentemente. Il palazzo è antico e risale al Cinquecento quando, a fianco della torre della porta e sopra il loggiato, vengono edificate delle camere. All’interno del palazzo c’è una corte ove è raffigurato S. Cataldo allora protettore del comune. All’inizio del Settecento il palazzo minacciava di crollare e si cominciò a costruire il primo dei quattro speroni che attualmente si vedono avanti il portico. Altri lavori si fanno alla fine del Settecento e nel corso dell’ottocento; alla metà del secolo XIX assume l’attuale configurazione mutando successivamente solo l’aspetto per la costruzione del grande balcone. L’assetto interno è stato modificato più volte fino ai lavori degli anni ottanta. L’elemento più caratteristico è sicuramente la facciata che presenta un grande uso di peperino locale, molto scuro e granuloso, con cui è stata costruita la “Loja”, il portico sottostante, fatto con quattro pilastri che hanno generato tre con volte a vela. I quattro pilastri sono rinforzati da altrettanti grandi scarpe, o speroni. La facciata si presenta grigiastra ed è caratterizzata da marcapiani e fiancate in pietra peperino. La parte destra del palazzo è costituito dalla torre, unite mediante aperture a cui si appoggia l’intero edificio».

    http://digilander.libero.it/aldoconti/pro%20loco/page7.html


    PATRICA (palazzo Spezza, palazzo Colonna)

    Palazzo Colonna, dal sito www.icastelli.it   Palazzo Spezza, foto Alberto Macchia, dal sito http://alberto-macchi.blogspot.it

    «Il Palazzo Spezza è il risultato della progressiva trasformazione della parte anteriore della fortezza che dominava Patrica, quella che oggi si chiama Cittadella. Infatti le parti più in basso, dopo lo smantellamento della fortificazione, furono trasformate ad uso civile e, vendute dai Colonna agli Spezza, ridotte a palazzo mercé l’intervento del priore gerosolimitano Domenico Finateri, il quale introdusse stili architettonici provenienti dalla Francia e dall’Inghilterra. Il palazzo sorge in alto, ed incombe sul paese. Attorno vi è stato costruito un piccolo parco con giardino all’italiana. L’edificio si sviluppa su tre piani. Il piano inferiore è stato destinato a cantine; il primo piano è formato da una doppia fila di saloni, arredati ed adornati secondo stili di fine Ottocento. La sala da ballo, posta sul lato sinistro dello stabile richiama saloncini inglesi del Settecento e su questo salone si apre la piccola cappella domestica. Il Palazzo Colonna sorge in località Tomacella ed è prospiciente il fiume Sacco, in un luogo strategico poiché lì era posto l’unico passaggio sul fiume sorvegliato da una torre già esistente nel Trecento. Attorno a questa costruzione agli inizi del Seicento, Filippo Colonna deve avervi costruito un palazzo in onore della moglie Lucrezia Tomacelli. Lavori settecenteschi sono stati diretti dall’arch. Domenico Schiera ma l’edificio, oltre che residenza rurale dei Colonna fino ai recenti anni sessanta, è stato utilizzato soprattutto come centro della vasta azienda signorile. La costituzione sorge avanti il fiume, sopra una balza tufacea tagliata per rendere più arduo il passaggio del fiume. Attorno, su tre lati, il tufo è stato tagliato per fare un fossato, scavalcato da un ponte in pietra là dove è stato costruito l’ingresso principale caratterizzato da un grande portale. Da questo si entra nel palazzo e per un andito si perviene nel cortile che ha il prospetto frontale costruito come un atrio a doppia scalea. Dal cortile si accede ai numerosi locali, già scuderie e, più recentemente, usati come stalle dell’azienda Colonna. Il piano nobile è costituito da una lunga fila di saloni, due dei quali occupano in altezza due piani. Alla base della torre è stato ricavato un ambiente che sembra essere stato destinato a cappella domestica. Poche le decorazioni, per lo più costituite da grandi fasce rosse, qualche stucco ed elementi architettonici. Al di sopra del palazzo svetta la torre che ha sembianze settecentesche».

    http://digilander.libero.it/aldoconti/pro%20loco/page7.html


    Picinisco (resti del castello Cantelmo)

    Dal sito www.parcoabruzzo.it   Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.facebook.com/ComunediPicinisco

    «Nei secoli X e XII la fortezza del signore del luogo era la sede dei suoi milites e degli organi della sua curia. Nel 1054 i Conti Marsi costruirono un piccolo castello che consisteva in una torre di avvistamento con poche stanze per l’alloggio del castellano e della piccola guarnigione di soldati. Esso formava un tutt’uno con la cinta muraria e spiccava sulla rocca circondata da strapiombi. Era una costruzione metà cilindrica e metà a forma di cono che fu incorporata successivamente nel torrione centrale del Castello e che rimase nascosta per secoli. Più tardi, nel secolo XIII, con i Conti Cantelmo il Castello venne trasformato da medievale a baronale, caratterizzato dal Torrione, da torri angolari, dall’enorme Porta Trione e da due ponti levatoi. Esso è dunque un esempio di architettura difensiva quattrocentesca. Fra gli ultimi proprietari si annoveravano i Taverna di Milano e i Gallio di Como. Purtroppo però a seguito dei ripetuti bombardamenti durante l'ultima guerra il castello, che ospitava un comando tedesco, subì danni gravissimi. La costruzione ne risultò letteralmente sventrata; rimasero in piedi soltanto alcuni tratti murari completi di beccatelli a sporto e merlature, il portale d'ingresso ed una buona parte del poderoso mastio a pianta circolare. Essendo andate in buona parte perse le decorazioni, la struttura formale e planimetrica della residenza e le qualità distributive dei suoi ambienti, oggi non si può quindi più disporre pienamente di questo raro modello di infiltrazione di forme francesi (i Cantelmo erano originari della Provenza)in territorio laziale».

    http://castelliere.blogspot.it/2011/07/il-castello-di-domenica-3-luglio.html


    Pico (castello)

    a cura di Tommasino Marsella


    Piglio (castello Colonna-Orsini)

    Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.comune.piglio.fr.it

    «II Castello Colonna di Piglio sorse intorno all'anno 1000. Attorno ad esso nacque e si ampliò il Borgo Medioevale. La posizione del castello e del borgo con la scelta del luogo, la rete stradale esterna ed urbana costituiscono un interessante esempio di architettura militare ed urbanistica. Il Castello è costituito da due parti differenti edificate in epoche diverse; una parte più alta (Castello superiore) ed una parte più bassa (Castello inferiore) con un dislivello fra, l'una e l'altra di circa 25 metri. Il Castello superiore (Palatium superiore) è posto su una spianata alla sommità di una collina dove sorge il Borgo ed è costituito da un torrione a sperone verso la montagna e da una cortina di torri lungo il lato nord. Nella Rocca erano ubicati una loggia, una cisterna ed una piazza d'armi nonché il Palazzo Baronale con una "Sala Palatii" dove, nel 1332 e nel 1348, si celebrarono solenni investiture da parte del Signore feudale. Attualmente lin questa parte del Castello vi è la sede dell'antiquarium e vi sono depositati reperti archeologici rinvenuti nel corso di scavi effettuati nel territorio del Comune di Piglio, tra i quali il più degno di nota risulta essere una statua di donna, con veste tipicamente romana, priva della testa e delle braccia, risalente al I/II secolo a.C. Dalla parte alta, mediante una scala, si scende verso l'Arringo, la costruzione è senz'altro anteriore all'anno 1000 in quanto è citata in una Bolla di papa Urbano II del 1088 come appartenente alla diocesi di Anagni. La parte inferiore del Castello (Palatium inferiore), con piano terreno e ammezzato, ha attualmente due piani con la sistemazione esterna ottocentesca, ed è la parte meglio conservata, posta al lato nord dell'abitato, dove inizia la via Maggiore, a protezione del più importante accesso di Piglio dov'era la porta principale. Il Castello inferiore è ricordato nei documenti a partire dall' anno 1365, epoca in cui erano signori di Piglio i "De Antiochia". Comunque la parte più antica del Castello inferiore deve essere stata edificata prima del 1328-29 anno in cui nelle decime di riscossione veniva nominata una "Ecclesia S. Petri de Castello Vetulo de Pileo", chiesa che si trovava all'interno del Castello, ma di cui non restano tracce. Il Palatium inferius o Castellutium, aveva una Corte (Platea) su cui prospettavano edifici di cui uno caratterizzato da "Camere Pinte", cioè decorate di pitture. L'ingresso al paese è costituito da un grande arco, l'arco della Fontana, che si apre nella parte inferiore del Castello, con, alla sua destra, una bellissima trifora tardo- romanica, una fila di archetti ciechi, in alto, e subito dopo l'arco, a destra, tre alti archi di sostegno, circondati da archetti ciechi Il Borgo non aveva mura di cinta ma le case stesse, costruite sui margini della collina, in forte pendio, avevano senz'altro anche funzioni difensive».

    http://www.comune.piglio.fr.it/manifestazioni/manifestazioni_action.php?ACTION=scheda_turismo&cod_turismo=37


    Pofi (castello baronale)

    Foto di brandaqui, dal sito www.flickr.com   Dal sito www.iljournal.it

    «La maggior parte dei monumenti conservatisi nel tempo sono concentrati nel centro storico del paese. Per centro storico un tempo si intendeva tutta la parte del centro abitato racchiusa nelle mura del fortilizio, parte tutt’oggi lambita dalla circonvallazione (“gliù girette”), le cui uniche porte d’ingresso erano quelle "Dell’Ulivo" e "Del Merangolo". Successivamente il centro abitato si è ampliato molto, per cui oggi si usa indicare come tale tutta la zona che va da via San Giorgio fino alla confluenza tra via Garibaldi e via Roma. Sono riportati di seguito i monumenti ancora oggi ben visibili nella cittadina. Torre dell'orologio. La torre venne eretta, secondo alcuni, come sopraelevazione di una cappella preesistente, intorno all’anno 1300, in occasione del restauro di tutto il fortilizio. La tesi è avvalorata dalle evidenti tracce della precedente copertura che era a tetto a due falde. Presumibilmente la torre era adibita a posto di guardia e di osservazione della vallata. Castello baronale. Fu per molto tempo la residenza ufficiale dei Colonna. Risulta che venne restaurato intorno al 1300 per opera di Filippo Colonna. Tutto il fortilizio, costruito in pietra basaltica locale, era costituito da camere, sale, corridoi, conteneva alcuni forni, il mulino e due torri, dette "Torre Maestra" e "Torre Vecchia", nel cui interno si trovavano delle cisterne. Municipio. Il municipio si trova in quello che era chiamato il "Bastione Pentagonale", costruzione che faceva parte del Castello Baronale. Un tempo “il Bastione” ospitava le carceri; successivamente, nel 1827, i locali furono acquistati dalla Comunità di Pofi ed adibiti ad uffici comunali (per un periodo fu sede della Caserma dei Carabinieri). Porta del Merangolo. Era una delle due porte di accesso al Castello, delimitato dalle mura castellane che erano punteggiate da "Torrioni". Il torrione adiacente alla porta del Merangolo è detto "Torre Tazzòla" dalla famiglia Azzoli che vi abitò per parecchio tempo e un membro della quale, tale Domenico Azzoli, fu Sindaco della Comunità di Pofi nel corso del XVIII secolo».

    http://www.comune.pofi.fr.it/index.php?page=vivere/monumenti.php&menu=3


    Pontecorvo (mura, porte)

    Dal sito www.menteantica.it   Porta Romana, dal sito www.comune.pontecorvo.gov.it

    «Mura longobarde dette di S. Andrea. Situate nel lato orientale del centro storico, costituiscono il muro di sostruzione dell'attuale omonima via Mura di S. Andrea. Si tratta dei resti (circa 300 metri) della cinta muraria del castello costruito da Rodoaldo e mostra vari restauri e rifacimenti eseguiti nel medioevo con aggiunta di torrioni. Le parti più antiche sono riconoscibili dai grossi blocchi di travertino simili a quelli della torre predetta. Porta S. Stefano. Si trova nella zona occidentale, nel borgo salvatosi dalla guerra. Si tratta di una tipica porta medievale a fornice con arco a tutto sesto che conserva ancora un'anta originale di legno massiccio. Era una delle cinque porte di accesso alla città medievale. Porta Romana. Oggi ridotta ad un rudere, è situata al di sotto della precedente e si apriva nelle mura che chiudevano tra il borgo S. Stefano e il fiume Liri. Anche questa è a fornice e ad archi a tutto sesto al di sotto dei quali sono visibili le asole dei cardini delle ante».

    http://www.comune.pontecorvo.gov.it/storia-della-citta/277-cenni-storici


    Pontecorvo (torre longobarda detta di Rodoaldo)

    Dal sito www.menteantica.it   Dal sito www.aquinosindaco.it

    «L'attuale paese è di origini altomedievali e si formò verso l'860, quando il longobardo Rodoaldo trasferì qui la sede del Gastaldato di Aquino. Questi vi costruì un castello presso un villaggio preesistente, che dalla caratteristica forma del vicino ponte sul Liri prese il nome di Ponte Curvo, nome che alcuni secoli dopo si trasformò in Pontecorvo. Della fondazione del castello siamo informati da una cronaca cassinese di poco posteriore all'avvenimento, la quale ricorda inoltre la curiosa e triste fine di Rodoaldo. Eccone il racconto: appena costruito il ben munito castello, Rodoaldo tentò di rendersi autonomo da Capua, da cui dipendeva il Gastaldato di Aquino. I Capuani tentarono ripetutamente di sottomettere il ribelle, ma impegnati in lotte interne non vi riuscirono. Quando le discordie a Capua terminarono e si rafforzò il potere centrale, Rodoaldo si sentì in serio pericolo e per difendersi tentò di stringere alleanze con i Franchi. In questa occasione entra in gioco Magenolfo, un avventuriero venuto in Italia nell'866 al seguito dell'imperatore Lodovico II nella spedizione per scacciare i Saraceni dal sud dell'Italia e per sottomettere gli stati longobardi; e Magenolfo riuscì ad imparentarsi con lo stesso imperatore sposando una sua nipote.Verso l'881 costui "si recava in Francia per chiedere all'imperatore in quale luogo potesse vivere ed abitare. E Rodoaldo gli mandò come messo un tal prete Orso per convincerlo a tornare indietro e a trattenersi nella sua residenza per aiutarlo contro coloro che lo perseguitavano. Allora Magonolfo, interrotto il viaggio, si recò a Pontecorvo. E non molto tempo dopopartì per Salerno e, presa la moglie con tutte le suppellettili e i servi, ritorno al castello". Qui egli tanto seppe tramare che la fece da padrone: cacciò in prigione Rodoaldo, ne fece precipitare dalla torre i due suoi figli e si appropriò del castello. ... La torre longobarda c.d. di Rodoaldo è attualmente torre campanaria della cattedrale. In origine doveva essere il mastio del castello edificato verso l'860 dal gastaldo di Aquino Rodoaldo quando la sede venne trasferita a Pontecorvo. Nel sec. XI al castello si sostituì, sulla rupe dominante il ponte, la chiesa e probabilmente sin da allora la torre fu trasformata in campanile. Essa si presenta di forma tozza e massiccia a pianta quadrata (solo i due piani inferiori sono quelli originari), costruita con grossi massi di travertino locale provenienti dallo smantellamento della cinta muraria arcaica della vicina città romana di Aquino».

    http://www.comune.pontecorvo.gov.it/storia-della-citta/277-cenni-storici


    Ripi (resti del castello)

    Dal sito www.ripi-online.it   Dal sito www.ripi-online.it

    «Le prime notizie certe sull’esistenza di Ripi risalgono al secolo IX, come attestato dalle numerose Bolle papali nelle quali si parla del castello di Ripi. Nel 1165 subì il saccheggio ad opera delle truppe di Federico Barbarossa. Intorno a tale periodo vennero rinforzate le mura di cinta che in seguito subirono nuove rovine e continui rimaneggiamenti. Nel 1331 il Rettore e l’Università del castello di Ripi stabilirono lo Statuto del comune, il cui originale si trova ancora presso l’archivio Colonna di Roma. Fino al 1410 Ripi passa attraverso numerose famiglie feudali di mano in mano, sempre con l’avallo interessato della Chiesa. Da questo momento in poi e fino al 1816, rimase nelle mani della potente famiglia Colonna». Delle fortificazioni medievali rimangono solo alcuni resti: un tratto di mura ("la Moddia") del castello in viale Umberto I, e allo stato di rudere solo una delle sette torri [dal sito www.ripi-online.it].

    http://www.aptfrosinone.com/info_comuni/comune.asp?comune=58


    Rocca d'Arce (resti del castello)

    Dal sito www.roccadarce.com   Foto di Mario Testa, dal sito www.roccadarceinforma.it

    «Il Castello di Rocca d’Arce era imprendibile perché in parte inacessibile per la natura del sito, in parte munito di poderose fortificazioni. In tutto il lato Nord il Castello soprastava uno strapiombo di un paio di centinaia di metri, una rupe calcarea dalle pareti lisce e a perpendicolo. Ad Est lo strapiombo era collegato ad una serie di faraglioni per mezzo di apposita muraglia. A Sud e a Ovest l’ascesa al Castello era impedita da un complesso molto vasto ed articolato di fortificazioni. In alto si ergeva la mole centrale, attorniata da bastioni e torrazzi. La sua protezione era assicurata, inoltre, da più ordini di mura, almeno tre ordini, ma forse anche sette. Avamposti del Castello erano già ad Arce, a Campolato e a Colle San Martino. Un ordine di mura era lungo l’attuale Murata, le “Muratte”, che partivano da Santa Maria dello Stingone (Sant’Agostino o Sant’Antonio), risalivano fino al “Torrione” (punta Sud del Centro storico di Rocca d’Arce) da una parte, e dall’altra andavano fin verso il centro di Arce, da cui proseguivano verso l’attuale serbatoio dell’acquedotto sopra Santa Maria. Qui si vedono ancora dei resti. In questo modo le mura chiudevano ad U il Castello, in una morsa fortemente protettiva. Arce aveva altri posti strategici per la difesa del Castello di Rocca d’Arce: porta Germani, porta Carosi, il piccolo castello dove oggi sorge il Comune, porta Santa Maria. Altre mura cerchiavano il Castello, nel centro di Rocca d’Arce e lungo la linea delle primitive mura ciclopiche. Raramente si è vista una sì potente opera di fortificazione. Ed infatti il Castello di Rocca d’Arce ha resistito agli attacchi più formidabili e mai è stato preso per assalto, ma piuttosto per tradimento o per resa. Uno dei problemi più gravi poteva essere l’assedio, che impediva il rifornimento dei viveri e dell’acqua. Quando l’assedio non era totale, ma lasciava scoperto il territorio verso la campagna a Oriente, ingegnosi sottopassaggi potevano permettere la comunicazione ed il rifornimento idrico alla “Fontana a Monte” e alla “Fontana a Balle”, oltre il rifornimento alimentare nella sottostante zona che chiamiamo “Peschito”. La “Grotta del Diavolo” poteva essere uno di questi passaggi segreti. ...».

    http://www.laciociaria.it/comuni/roccadarce_castello.htm


    Roccasecca (castello dei conti d'Aquino)

    a cura di Tommasino Marsella


    San Donato Valcomino (borgo fortificato, porte)

    Porta del Colle, dal sito www.comune.sandonatovaldicomino.fr.it   Porta Castello, dal sito www.paesionline.it

    «"San Donato è terra molto popolata ... fu così nominata dalla chiesa di San Donato, che si ritrova nel castello, sta situato nella radice dell'Appennino, con le spalle a tramontana e la faccia a scirocco. è divisa in due rioni, Castello e Valle; il Castello, tutto cinto di mura, con le sue torri, nel cui sommo vi è la Rocca, con un'altra Torre, alla cui radice sta posta la chiesa di San Donato ..... è posto questo castello in un aspro e sassoso monte da Ponente, Levante e Ostro, distaccato dall'Appennino con rupi e balze ... ha tre porte, una a Maestro alla volta d'Alvito, a Levante e a Greco le altre, per le quali si scende a valle" (G.P.M. Castrucci, 1630). ... La Porta Orologio fu costruita probabilmente nel XIII secolo, spostando verso il basso l'accesso alla cittadella fortificata (Castrum). L'antica porta è ancor oggi visibile a destra dell'ingresso principale (nella foto), costruito intorno al Seicento. Assieme alla Porta del Colle, risponde alle nuove esigenze di difesa e di espansione del paese. Perché man mano che dal Medio Evo la popolazione cresceva, le nuove abitazioni si attestavano immediatamente lungo le preesistenti mura. Esse venivano costruite in modo tale da costituire un'altra cinta di difesa, come gli anelli annuali degli alberi. Ancora oggi, nonostante le modificazioni avvenute nel corso del tempo è possibile leggere le diverse cerchie murarie che costituiscono il nucleo originario. Le tre croci sotto la porta, nella leggenda sono attribuite a tre briganti impiccati nel XVI secolo dal Capitano Antino Tocco, che a capo di duecento soldati fu “persecutore di gente scellerata, banditi e ladri di strada, dei quali ne fece grande strage dissolvendoli affatto” (G.P.M. Castrucci). La milizia del Capitano Tocco era formata per la maggior parte da sandonatesi che "maneggiano bene l'armi, et sono coraggiosi, et combattono volentieri con questi tristi, quando s'incontrano con loro, havendo con essi particolare odio, et inimicitia, per haver qualche volta li Banditi ammazzati de le genti di San Donato". ... La Porta a Levante (Arco di San Donato) permetteva l’accesso al “Castrum” a coloro che provenivano dall’Abruzzo o a chi ritornava dai lavori. è rivolta a Nord-Nord Est e si apre verso il Vallone Forca d’Acero su Via Pedicata in direzione della località “Sbarra”, probabile “dogana” prima dell’accesso al nucleo. La struttura è a sesto acuto, tipica del tardo gotico. All’interno della Porta si possono osservare i cardini in pietra che sostenevano le porte lignee».

    http://www.comune.sandonatovaldicomino.fr.it/LUOGHI%20MEMORIA/porta_castello.htm - greco.htm - levante.htm


    San Donato Valcomino (torre)

    Dal sito www.provincia.fr.it   Dal sito http://valledicomino.com   Dal sito http://valledicomino.com

    «La Torre, simbolo antico di San Donato, fu costruita agli inizi del 1200, quando i Conti d’Aquino divennero feudatari della Val di Comino. È esterna al Castrum, quindi isolata dalle restanti abitazioni dell’antico castello. La collocazione, la mole, la struttura interna, la posizione dei punti di osservazione ne fanno un organismo autonomo ed autosufficiente utile per garantire la “guardia” al Passo di Forca d’Acero e una sicura difesa per il notabile del Castrum in caso di attacco nemico. Di forma quadrata (5.40×5.40×12 metri), non vi sono porte di entrata e questo fa presumere che l’accesso avvenisse attraverso una finestra esposta a Sud, posta quasi alla sommità della Torre, per mezzo di scale o corde. La Torre di San Donato, costruita ed orientata secondo le declinazioni del Sole, ancora oggi, come una bussola, ci indica i quattro punti cardinali, la direzione dell’Abbazia di Montecassino e la posizione del Sole nel giorno degli equinozi e dei solstizi. Un’antica leggenda narra di un cunicolo sotterraneo che collegava la Torre alla cripta del Santuario di San Donato ed a sua guardia vi fosse un temibile drago».

    http://valledicomino.com/place/la-torre


    San Vittore (castello)

    a cura di Livio Muzzone


    Sant'Apollinare (torre)

    La chiesa di S. Maria degli Angeli con il suo campanile, dal sito www.comune.santapollinare.fr.it   Dal sito www.ciociariafoto.com

    «L'abate di Montecassino, Gisolfo (796-817) fece costruire su di un colle denominato Albianus (il termine deriva dal colore delle greggi che vi pascolavano) una cella dedicata al santo ravennate Apollinare (vescovo e martire) e vi fece impiantare stabilmente alcuni monaci benedettini. Successore di Gisolfo fu l'abate Apollinare che evidenziò particolare attenzione per la cella, che divenne al tempo stesso anche una “curtis” (minuscolo centro amministrativo dei beni ricavati dalla terra). Con il nuovo sistema economico "curtense", in ogni cella si concretizzava la regola benedettina dell'"Ora et Labora". Nacque così il primo nucleo di Sant'Apollinare costituito dalla chiesa, da locali per i monaci e da depositi per i beni prodotti dai coloni. Pochi anni dopo l'insediamento subì devastazioni da parte di saraceni e ungari, tali da dover essere riedificato. Si radunò quindi attorno al sito parte della sparsa popolazione della valle, che si adoperò per fortificare l'abitato. Venne eretto il castello. Una delle torri di quel castello è rimasta intatta e domina la pianura dove il Liri diviene Garigliano. Nell'Alto Medioevo il comune entrò a far parte della Terra di San Benedetto. ...».

    http://www.associazioneseraf.it/associati/scheda_associato.html?cod_associato=33


    Santopadre (mura, torre cilindrica)

    Dal sito www.halleyweb.com   Dal sito www.escursioniciociaria.com

    «Il nostro itinerario ha come suo punto di partenza la grande piazza esterna alla Porta di Napoli, allargata e rialzata nel 1830. L’antica denominazione di Santopadre come castrum ne sottintende la particolare funzione difensiva. Il centro già in epoca medievale era circondato di mura (ora in parte dirute e inglobate nelle abitazioni), con un’altezza di circa 5 metri e uno spessore di m. 1,70. Sette torrioni semicircolari rafforzavano le mura nei punti più deboli. Due si trovavano a nord presso la Porta d’Abruzzo; un altro, a nord est, è in stato semiruderale: altri quattro sono disposti sul versante sud. Di questi ultimi, due sono addossati agli angoli meridionali della chiesa di San Folco, la principale del paese, e sono stati trasformati uno in campanile e un altro in sacrestia; l’ultimo, più vicino alla porta, dal 1830 fu trasformato in cisterna. Nel punto più alto di Santopadre, a nord, sorge la più alta torre cilindrica. Dalla Porta di Napoli si può visitare Santopadre seguendo un percorso arricchito da scorci pittoreschi e da palazzotti di bell’aspetto. ... Si giunge alla citata torre cilindrica medievale, che presenta molte feritoie e una base leggermente tronco-conica. Attualmente è alta 13 metri ed ha una circonferenza di m. 16. Aveva un tempo più piani; nel primo piano si osservano ancora gli avanzi di una camino. Nella torre si poteva entrare solo con le scale mobili, da una porta-finestra aperta a nord, all’altezza di m. 6,35 dal suolo. Inferiormente vi era una cisterna sotterranea, profonda m. 8, alimentata da un condotto di terracotta. La torre stessa aveva come antemurale un’altra semitorre diruta, posta all’angolo delle mura. Il largo sottoposto alla torre viene chiamato Monteacorte, forse a ricordo di un cortile recintato, da considerare come parte integrante di una piccola rocca.  Secondo gli storici locali, la torre di Santopadre faceva parte, con quella di Montenero, di un sistema di comunicazioni visive con Arpino, ma il frazionamento feudale che vi era nel passato rende poco credibile l’attuazione pratica di tale sistema. Nel 1764, in occasione di un’epidemia, la torre fu trasformata in un cimitero. Il sotterraneo fu chiuso con una pietra sepolcrale, mentre l’accesso agli ambienti interni si apriva allora, verosimilmente, attraverso un più comodo passaggio realizzato a piano terra. Dalla torre si ritorna alla Porta di Napoli attraverso vicoli suggestivi, ma in qualche punto minacciati dal cemento».

    http://www.laciociaria.it/comuni/santopadre_visita.htm


    Serrone (torre dei Colonna)

    Dal sito www.escursioniciociaria.com   Dal sito www.serroneweb.it

    «Borgo posto a 738 m slm, di origine ernica, costruito a ridosso della parete rocciosa del Monte Scalambra, si caratterizza per la bellezza paesaggistica, con un'invidiabile panoramica sulla valle del Sacco. Il borgo medioevale è dominato dalla vecchia torre dei Colonna, suggestiva porta d'accesso alla rocca dell'antico Castro. Il suo centro presenta tutte le caratteristiche del paese di origine medioevale, le sue rampe e le sue scalinate, ancor oggi ben conservate, ne testimoniano le radici. ... A partire dal VI secolo, un primo nucleo abitato e fortificato sorse sulle pendici del Monte Scalambra. Nel X secolo il territorio era sotto la giurisdizione dei benedettini di Subiaco. Nel 1378 il Pontefice concesse Serrone, come feudo, alla famiglia Conti di Segni. Nel 1427 inizia la signoria della famiglia Colonna che culminerà nel 1569 con l'istituzione del principato di Paliano, comprendente anche Serrone. Il lungo periodo di pace fu interrotto nel 1799 dalle vicende napoleoniche. Il paese fu investito, insieme con Piglio e Paliano, dall'esercito francese del Generale Championnet che sottopose il territorio a saccheggi e devastazioni. La restaurazione del 1815 portò ad un generale riordino sia legislativo che amministrativo, il paese, insieme con Piglio e Paliano venne incluso nel distretto di Tivoli. Pur toccato dai moti garibaldini del 1849 e del 1867 il paese visse tranquillo fino all'unificazione del 1870 che portò Serrone a far parte del Mandamento di Paliano, circondario di Frosinone, provincia di Roma. Nel 1927 fu definitivamente incluso nella neocostituita provincia di Frosinone».

    http://www.menteantica.it/miniguide/serrone.pdf


    Settefrati (torre, resti della rocca)

    Dal sito www.cominoweb.it   Dal sito www.escursioniciociaria.com

    «Dopo la dominazione romana subì le invasioni dei Visigoti, il dominio degli Ostrogoti e Longobardi e, fra l'881 e il 916, numerose scorrerie dei Saraceni. Dall'inizio del IV sec. fino al XII, il territorio fece parte come possedimento dell'Abbazia di San Vincenzo e dell'Abbazia di Montecassino, subendo l'influenza e la colonizzazione dei monaci benedettini. Con l'affievolirsi della potenza dei Benedettini, il territorio di Settefrati fu retto feudalmente da varie famiglie mentre si succedevano nella regione i domini normanno, svevo, angioino, del Regno di Sicilia; a questa epoca risalgono gran parte dei resti di fortificazioni ancora esistenti sulla rocca di Settefrati. Nel XV sec. il centro subì numerosi saccheggi e distruzioni da parte di milizie aragonesi. Nel 1654 un violento terremoto distrusse quasi totalmente l'abitato che fu poi temporaneamente abbandonato con la peste del 1656. Nel 1815 il territorio entra a far parte del Regno delle Due Sicilie ed il regime feudale che, si può dire, si man­tenne fino all'avvento del Regno d'Italia, ostacolò il progresso dell'agricoltura; le misere condizioni dei contadini fino all'inizio di questo secolo furono inoltre tali da favorire il brigantaggio. Le costruzioni risalgono, per la maggior parte, ai secc. XVIII e XIX nella loro forma attuale, ma in molti degli edifici sono ancora visibili le strutture originarie e particolari architettonici medievali. Sono anche presenti resti di bastioni e una torre del Xll-XIll sec., nonché resti di murature anteriori, forse anche di epoca pre-romana».

    http://www.comune.settefrati.fr.it/index.php?option=com_content&view=article&id=61&Itemid=66 (a cura di Domenico Vitti)


    Sgurgola (torre campanaria, resti del castello)

    Dal sito www.comune.sgurgola.fr.it   Dal sito www.internetting.org

    Le foto degli amici di Castelli medievali

    Foto di Valentino Privitera (https://www.facebook.com/valentino.privitera)

    «Dietro la chiesa di Santa Maria Assunta, ma da essa separata e poggiante su un banco di roccia, si trova l'antico campanile di epoca imprecisata ma verosimilmente risalente al XVI sec. La parte inferiore, in origine, era una torre medioevale che nella metà del 1700 fu sopraelevata e trasformata in campanile terminante in una cuspide (coronamento di un edificio) piramidale a spigoli smussati (arrotondati, privi dell'angolo vivo). La torre si innalza da un basamento di roccia viva, a massi sporgenti, irregolari e alla cui base si nota ancora il punto di attacco di un’antica chiesa che si crede dedicata a San Sebastiano fuori le mura. Una minuscola rocca che sovrastava le casupole come altissima torre, fu costruita nel medioevo sullo spuntone di roccia che si ergeva a picco verso la pianura della piazza Pietro Sterbini. Ora è distrutta, ma un tempo dominava completamente il paese e gli angusti vicoli dalle finestre dell’annesso piccolo palazzo».

    http://www.internetting.org/citta/Lepini/paesi/sgurgola.htm


    Sgurgola (torre La Mola)

    Dal sito www.sgurgola.altervista.org   Dal sito www.museobandemusicali.org

    Le foto degli amici di Castelli medievali

    Foto di Valentino Privitera (https://www.facebook.com/valentino.privitera)

    «Fa parte di un piccolo complesso architettonico composto da un casale i cui locali erano adibiti a macina, le caratteristiche del complesso rientrano in quella che è comunemente chiamata "archeologia industriale", il ponte e le opere di sistemazione idraulica della cascata sul fiume Sacco, sono di origine romana. La mole è un edificio a torre quadrangolare di m. 7 di lato e m. 17,50 di altezza, sviluppato su tre piani di cui uno solo era esistente prima dell'ultimo restauro (anno 2005). Coronato all'estremità da merli, l'edificio, forse, doveva avere la funzione di difesa del ponte e controllo del transito. La difesa dei quattro lati era consentita da feritoie aperte sia al primo piano che all'ultimo. Esse sono sovrastate da piccole aperture quadrate, definite da un architrave timpanato monolitico. La mole ha subito nel tempo numerosi restauri realizzati tra il 1670 e il 1900. Per qualche tempo, essa, era divenuta una modesta centrale di energia elettrica per l'illuminazione di Sgurgola, Morolo e Supino».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1760&Itemid=847


    Sora (resti del castello di San Casto o Rocca Sorella, torrione aragonese)

    Dal sito http://illaziodeimisteri.files.wordpress.com   Dal sito http://castelliere.blogspot.it

    «Collocata sulla vetta piramidale naturale del Monte San Casto che domina la città, la rocca è posizionata a 500 metri di altezza e si raggiunge facilmente da vari percorsi pedestri. Dell’antico castello dei Volsci, situato in posizione strategica, facilmente difendibile e difficilmente attaccabile, quasi al confine tra la Marsica ed il Lazio, si conservano le massicce mura perimetrali ed alcuni torrioni romani e medievali oltre a molti ruderi accatastati dopo la Rivoluzione Napoletana del 1799. Dapprima dominio volsco, poi romano, longobardo, papale, borbonico, durante il periodo ducale vide le schiere armate dei Cantelmi, dei Della Rovere e dei Boncompagni contro i conquistatori stranieri. La gran parte della città volsca IV-V secolo a.C. centro fortificato dominato da un'acropoli, si trovava sul colle tra la piana dove scorre il Liri ed il castello, cioè sul piano dove ora sorge la chiesa della Madonna delle Grazie. L'acropoli era collegata all'abitato da una stradina in salita difficile e tortuosa. L'agglomerato in collina fu abbandonato gradualmente per le mutate condizioni politiche e con la definitiva conquista romana cominciò il trasferimento a valle da parte degli abitanti. La rocca nella sua attuale sistemazione fu realizzata nel XVI secolo dall' architetto orobico Evangelista Carrara di Bergamo, per l’esattezza nel 1520. Nel perimetro murario di forma pressoché rettangolare della roccaforte, secolare sentinella della città, possiamo ammirare sei torri, di cui quattro angolari. Le due meridionali, più recenti sono a base quadrata, quelle settentrionali sono una a base circolare e l’altra poligonale. Le rimanenti due sono a metà delle cortine lunghe e chiudono il quadrilatero del mastio. Nell'interno si trova un grande cortile con cisterna, utilissimo rifugio in caso di attacco nemico, il mastio per l'avvistamento e la piccola cappella votiva dedicata ai Santi Casto e Cassio con un antico affresco. Nei suoi sotterranei restano tracce del preesistente castello romano (l'arx sorana è citata da Tito Livio), poi medievale al tempo di Federico II e Carlo d'Angiò che lo restaurarono. Esso faceva parte di un complesso di fortificazioni di cui sono testimonianza i ruderi delle due torri semicircolari di avvistamento che si incontrano nel salire al castello. Una seconda linea difensiva inglobò, nel secolo XV, la Torre aragonese presso la cattedrale di Santa Maria. Nel secolo scorso, per la simbolica cifra di 140 lire, la roccaforte e la circostante area del Monte "Santi Casto e Cassio", furono cedute dal demanio al comune di Sora. Ai giorni nostri, negli anni Cinquanta, il propugnacolo è stato restaurato. Il 3 aprile di ogni anno vi si tiene la manifestazione sportiva San Casto Bike (gara ciclistica aperta agli amanti della mountain bike)».

    http://castelliere.blogspot.it/2011/08/i-castelli-delle-vacanze-6.html


    Tecchiena (castello o grangia)

    Dal sito http://tecchiena.altervista.org   Dal sito http://tecchiena.altervista.org

    «In zona di confine tra Alatri e Ferentino, sorge un castello di pianura, il cosiddetto Castello o Grangia di Tecchiena. Sorto intorno all’anno Mille fu più volte distrutto e ricostruito ad opera di Alatri, che lo fortificò con una poderosa torre di guardia, un muro di cinta e un cunicolo segreto utilizzato in caso di pericolo dalla popolazione circostante per rifugiarsi all’interno. Nel 1395 passò alla Certosa di Trisulti. I Certosini lo trasformarono in un importante granaio (da qui l’appellativo di Grangia) per i loro fabbisogni alimentari. Fu comunque sempre oggetto di disputa tra Ferentino ed Alatri e solo dopo 500 anni tornò in possesso di quest’ultima. Il complesso è ancora oggi costituito dal castello, dalla chiesa di S. Bartolomeo e dai granai».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=666&Itemid=556


    Terelle (resti del castello d'Aquino)

    Dal sito www.escursioniciociaria.com   Dal sito www.laciociaria.it

    «Nell’anno 1127 il conte d’Aquino Pandolfo costruì, abusivamente, un castello su una delle cime che fiancheggiano il lato NE del gruppo montuoso, a scopo provocatorio: cioè compiere scorrerie sui possedimenti dell’Abbazia, posti nella valle del Rapido e controllare l’antichissima via medio-montana Aquino-Atina ( ‘per bia de Terelle que badit ad Aquinu‘), che tuttora attraversa i fianchi del gruppo montuoso del Cairo, la quale era loro di grande utilità, dal momento che metteva in comunicazione diretta Aquino coi recenti acquisti terrieri della valle di Comino (non è una novità che i conti di Aquino siano stati sempre molesti ed ostili nei riguardi di Montecassino). Il castello di Pandolfo, dietro preghiera dei monaci di Montecassino, venne raso al suolo dall’imperatore del Sacro Romano Impero Lotario III di Supplimburgo, nel 1137. Ricostruito dagli aquinati, venne nuovamente distrutto dall’abate Roffredo, nel 1195. Se fu ricostruito dopo la morte dell’abate Roffredo (a. 1210) (ma non abbiamo testimonianza diretta), subì certamente la demolizione, per ordine dell’imperatore Federico II di Svevia, il quale, nel 1220, ordinò l’abbattimento, nel Regno di Sicilia, di tutte le fortezze sorte dopo il 1189 anno della morte di Guglielmo II il Buono, ultimo re normanno. Il maniero che oggi spicca sulla parte più alta del nostro Paese è quindi, una costruzione del XIII secolo. Già verso la fine del sec. XVI, veniva descritto come ‘un recinto d’un castellaccio con alcune stanze inhabitabili‘, che gli ultimi signori, nella persona di Alfonso d’Avalos de Aquino, nell’anno 1583 vendettero ai duchi di Sora, del cui casato seguì i destini, lieti e meno lieti, fino al 1796, allorché il duca Boncompagni-Ludovisi vendette al re Ferdinando IV di Borbone-Napoli, con Terelle, Aquino, Arce, Roccadarce, Santopadre, Roccasecca, Colle S.Magno e Palazzolo (Castrocielo). Allo stato attuale delle nostre ricerche, non ci è dato sapere quando e perché il Castello di Terelle passò nelle mani della famiglia Iannarelli, scomparsa dalla nostra comunità civica all’inizio del secolo XX. Da quegli anni, il Castello è in altre mani, come è noto. Dei quattro torrioni di cui era dotato, due sono in discreto stato di conservazione, a vederli dall’esterno; degli altri due, non restano che scarse e incerte tracce, avanzi di crolli causati dai rovinosi e ripetuti terremoti che scossero le nostre terre durante i tormentati secoli dell’ultimo Medio Evo; e non escludiamo l’incuria e il guasto degli uomini».

    http://www.comuneterelle.it/terelle2/castello.html


    Torre Cajetani (castello Caetani)

    Dal sito www.escursioniciociaria.com   Dal sito www.comune.torrecajetani.fr.it

    «Sul piccolo colle, dominante il paese di Torre Cajetani, si erge il Castello Caetani, con una possente torre quadrangolare poggiante in più punti direttamente sulla roccia, che si sviluppa intorno al mastio centrale raggiungendo l’altezza di circa 19 metri, circondata da cortine ed edifici. Esso fu costruito tra il basso Impero e l’alto Medioevo, come attestato anche dalla cortina muraria, la parte più antica dell’edificio risale ai secoli XI e XII. Nei periodi successivi diverse costruzioni sono state aggiunte; attualmente si presenta molto rimaneggiato a causa di diversi lavori effettuati alla fine dell’Ottocento, dopo il terremoto del 1915 e degli anni Venti assumendo l’immagine attuale con merlature e ampie aperture. Il castello era l’elemento centrale di un sistema difensivo comprendente lunghe mura che circondavano il piccolo borgo. Attualmente ne rimangono alcune torri vicino ai resti di due porte: De palearibus e Posenza. Nel IX secolo appartenne al nobile senatore romano Teofilatto che, pur garantendosi un importante punto strategico difensivo in questa zona laziale, facendone donazione alla propria figlia Marozia, lo trasformò in dimora signorile come attestano la sequenza di bifore e trifore nei piani nobili. Il castello rivestì questo ruolo strategico anche quando fu acquistato da Roffredo Caetani, nel 1295, che lo considerò indispensabile per contrastare i domini dei Colonna. Nel XII secolo questo castrum rientra in possesso dei Teofilatto, ancora oggi proprietari del castello che lo hanno aperto al pubblico per visite e cerimonie. è oggi, infatti, sede della "Domus Thoephylactus Opus", centro di studi e cultura medioevali».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=412&Itemid=371


    TORRE NOVERANA (torri)

    Dal sito www.proloco.ferentino.fr.it   Dal sito www.ferentino.org

    «Ferentino, tipica città fortificata, ha visto innalzate una grande quantità di torri sul suo territorio, segno tangibile di forza e splendore. Esse erano usate non solo come capisaldi di una cinta di fortificazioni, ma anche come stazione di rifornimento e segnalazione poste lungo la via Latina (odierna Casilina). Nel secolo XVI molte di esse furono distrutte per ordine degli Spagnoli, dopo la lunga guerra che oppose il papato alla Spagna, mentre altre furono adattate a residenza privata di illustri famiglie ferentinati. Nella campagna di Ferentino ancora oggi è possibile ammirare qualche torre in buono stato, la più emblematica è la Torre Noverana».

    http://www.associazionegcoppotelli.it/ferentino/torre-noverana.html


    Trevi nel Lazio (castello Caetani o di Teofilatto)

    Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.trevinellazio.net

    «Il castello di Trevi nel Lazio è situato sull’alto di un colle a 870 metri nell’Alta valle dell’Aniene tra i monti Simbruini e i monti Ernici. Alcuni cenni di prime fortificazioni a Trevi si trovano in documenti degli inizi del XII secolo che riportano notizie di intenzioni da parte dei monaci di Subiaco di impossessarsi della rocca di Trevi per espandere il proprio dominio fino all'altopiano arcinate. Altre notizie frammentarie risalgono al XIII secolo quando Trevi fu posta sotto il controllo della signoria dei Conti di Segni. Da questi passò poi ai potenti Caetani i quali alla fine del Duecento vi ospitarono il papa di famiglia, Bonifacio VIII, che nel castello ricevette le ambascerie di Edoardo I d’Inghilterra. Successivamente il paese subì l’assedio delle truppe di Alfonso I d’Araona che ordinò di saccheggiare il castello. I Caetani rimasero signori di Trevi fino al 1471 quando furono cacciati dalla popolazione. Da quel momento sia il castello che il borgo subirono alterne vicende, entrando lentamente sotto il controllo pontificio fino all'unificazione con il Regno d'Italia. Occupa oggi una superficie di oltre 800 mq ed è racchiuso da poderose mura alte dai 12 ai 16 metri realizzate in pietra cardellina squadrata. Il castello si compone di tre parti principali: la prima verso settentrione utilizzata originariamente quale residenza del signore; la seconda orientata verso meridione ed utilizzata per scopi prettamente militari di difesa verso la porta d’ingresso; la terza costituita invece dal possente Maschio a base quadrata di 8 metri per lato, alto 16 metri e con mura spesse alla base oltre 1 metro».

    http://www.castellidelazio.com/castelloditrevinelazio.htm


    TRIVIGLIANO (torrione del castello Petochi)

    Dal sito www.italiavirtualtour.it   Foto di Luigi Strano, dal sito www.flickr.com   Dal sito www.ebay.it

    «Trivigliano è nominata per la prima volta nel X secolo per una controversia con il vescovo di Alatri per alcuni possedimenti. Feudo di Alatri, nel XIII secolo, appartenne al cardinale Gottifredo. Pertanto i signori e gli uomini di Trivigliano furono costretti a riconoscere la supremazia alatrense inviando un loro rappresentante al parlamentum e ai giochi che Alatri teneva annualmente dopo la Pasqua. Tale situazione si mantenne fino alla metà del Quattrocento, malgrado i reiterati tentativi della Chiesa romana di sottrarre il castello all’influenza alatrina: ci provò già alla metà del Duecento ma soprattutto verso la fine del secolo XIII con Bonifacio VIII, il quale inserì il piccolo castello nel vasto dominio signorile della sua famiglia, i Caetani. Ma non fu cosa di lunga durata: si ripristinò pertanto il predominio alatrino e gli abitanti di Trivigliano parteciparono alla ribellione del 1366 contro il rettore di Campagna assaltando, con molti altri, la rocca di Ferentino, sede rettorale. Successivamente, nel Quattrocento, Trivigliano divenne possedimento dei Colonna che la tennero fino al 1816. Sulla sommità occidentale del paese sorgono quelli che possono definirsi i resti, rimaneggiati, dell’antico castello. Sotto, a semicerchio, è disposto il centro urbano che digrada verso il basso, a gironi. Molto suggestivo è il centro storico di configurazione tipicamente medievale, con stretti vicoli, archi e portali. Si possono ancora vedere i resti della cinta muraria a cui appartiene un torrione circolare unico rimasto di una serie che fungevano da posti di avvistamento».

    http://castelliere.blogspot.it/2017/04/il-castello-di-domenica-1-aprile.html


    Trocchio (ruderi del castello)

    Dal sito www.iluoghidelcuore.it   Dal sito http://cerbarum.blogspot.it

    «Il Castello di Trocchio rappresenta, nella zona di Cervaro a valle della Casilina, la testimonianza storica più tangibile del territorio. Esso crea, con il luogo in cui sorge, un rapporto talmente radicato da far pensare quasi inevitabile la sua presenza, come fosse parte integrante del paesaggio. Situato ad oltre 400 metri di altezza, alla sommità di una vertiginosa gobba rocciosa del monte omonimo, palesa al primo sguardo la sua eccezionale posizione strategica, che ne fa il dominatore della fertile vallata sotto stante e dell'importante passo di Pastenelle, tanto da costituire un vero e proprio antemurale dell' abbazia di Montecassino verso il sud. La prima testimonianza storica del Castello di Trocchio si rinviene in un documento di conferma dei beni per il Monastero di Montecassino, sottoscritto dal papa Vittore Il (1055-1057). In questo documento Trocchio viene menzionato con il nome di "Turruculum" ma successivamente, almeno dall'XI al XIII secolo, il toponimo ricorre, con diverse variazioni, in vari diplomi e privilegi concessi da imperatori e papi. Comunque, la radice del nome antico contiene un evidente riferimento alla costruzione originaria del Castello di Trocchio, che molto probabilmente consisteva in una torre a pianta quadrata, inclusa in una piccola cinta muraria, secondo un modello ricorrente nella tipologia del primitivo castello medievale. Per la storia, le vicende del castello - che costituiva uno dei punti nevralgici della terra di San Benedetto - sono intimamente legate all'abbazia. Nell'agitato periodo dell'età medievale si rinvengono numerose testimonianze dell'esistenza di popolazioni in tutta la località chiamata Trocchio, che, dal 1601, decimate dalla peste, decisero di abbandonare l'antico castello e di unirsi alla contigua Cervaro. Da quell'anno l'università di Cervaro prese il nome di Cervaro-Trocchio: infatti lo stemma presenta le iniziali "C" e "T", che secondo la tradizione storica indicherebbero appunto "Cerbarium" e "Turruculum". Oggi il Castello si presenta per larga parte diruto, pur conservando resti imponenti, che permettono di ipotizzare facilmente l'impianto generale originario. Notiamo, infatti, la posizione baricentrica della robusta torre quadrata (il mastio), sopravvissuta al tempo per tutto il piano/cisterna, atto a raccogliere l'acqua piovana, e che costituiva il fulcro del sistema difensivo del castrum, che si svolge in forma vagamente circolare, sfruttando al massimo le asperità naturali del luogo. Nel giro delle mura, ancora in buono stato di conservazione, si apre un'unica porta, di tipo sceo, da cui si accede da una rampa in salita, addossata al lato destro della struttura muraria, dotata di feritoie per permettere ai soldati di colpire il fianco destro degli invasori non protetto dallo scudo. Entrando tra le mura, ci immettiamo in una sorta di corridoio che, in un sistema di difese progressive, costituiva anch' esso un passaggio obbligato per i nemici, esposti al fuoco dei difensori dalle circostanti mura, che qui conservano sia il cammino di ronda che le merlature. Al disopra si erge l' essenziale mole quadrata del mastio, che era facilmente isolabile e quindi atto ad una difesa ad oltranza».

    http://www.comune.cervaro.fr.it/la-storia/57-monte-trocchio-tra-storia-e-leggenda.html


    Vallecorsa (resti del castello di Acquaviva)

    Dal sito http://nelmondonostro.forumfree.it   Dal sito http://213.203.143.153/c060082/images/Il%20Castello%20di%20Acquaviva.pdf

    «Acquaviva viene anche chiamata “Vallecorsa Vecchia”, in quanto parecchi ritengono che l’attuale paese sia stato fondato dagli abitanti del borgo di Acquaviva dopo il suo progressivo abbandono. Così parlando, evidentemente, si è voluto immaginare una coincidenza tra l'abbandono del sito di Acquaviva e la nascita di Vallecorsa, quasi ci fosse stato una sorta di travaso dall'uno all'altro borgo. Le parole, però vengono smentite dalle carte storiche: quando Acquaviva venne abbandonata (XV secolo), Vallecorsa esisteva già da molti secoli, come testimonia un documento del 1072, nel quale viene citata tra i beni del Duca di Fondi, Littefreda, anche Vallecorsa oltre che Acquaviva. Del passato più remoto di Acquaviva si sà poco o niente in quanto esistono poche citazioni in documenti storici; si ritiene che molto probabilmente sia stata fondata attorno all’Anno Mille. Essa è poi menzionata oltre che nel documento di Littefreda anche nell’inventario di Onorio II Caetani di Fondi (1491). Acquaviva cominciò a decadere con la crisi che investì l’Europa nel XIV secolo, fino a scomparire, come tanti altri castelli, verso la fine del secolo successivo. Posizionata più a sud rispetto a Vallecorsa, ai confini con il territorio di Fondi, dominante sul mare, svolse inizialmente la funzione di insediamento militare. L'abbandono del suo abitato, ha avuto come causa scatenante dapprima le razzie dei turchi e poi quelle dei briganti. ... Successivamente (XVI secolo), l'insediamento di Acquaviva già in parte abbandonato dalla popolazione, venne saccheggiato e semidistrutto dalla banda del famoso brigante abruzzese Marco Sciarra, il quale aveva il suo quartier generale presso il castello di Itri. L'insediamento di Acquaviva, al tempo era posto in una zona di confine; quello che divideva il Regno delle due Sicilie dallo Stato Pontificio e chiamata appunto per il suo carattere di neutralità, "terra di nessuno". Tristemente conosciuta anche come "terra dei briganti", questa parte degli Ausoni, ne vide passare, nell'arco di appena due secoli, fino al 1870, un grande numero. Gli antichi passi di montagna, battuti dal bestiame, facevano da palcoscenico alla grande tragedia della storia della montagna e del meridione conosciuta come "Brigantaggio" che si consumava in quegli anni. Le vicende di confine diedero quindi il colpo di grazia all'insediamento di Acquaviva che rimase abbandonata fino a tempi recenti. Il sito è stato dichiarato nel 2004 monumento naturale dalla Regione Lazio e nel 2009 in parte restaurato».

    http://213.203.143.153/c060082/images/Il%20Castello%20di%20Acquaviva.pdf


    VALLEROTONDA (castello)

    Dal sito www.trekking.it   Dal sito http://castelliere.blogspot.it

    «Le zone montane, ove sorge Vallerotonda, non furono del tutto spopolate nell’antichità: lo attestano resti archeologici trovati nell’Ottocento. Questa comunità montana comprende quattro abitati, il capoluogo risale al Medioevo, quando la popolazione venne raccolta in castelli fortificati per ordine degli abati cassinesi, signori dei luoghi. In particolare nel corso del Duecento, la comunità fu riorganizzata dall’abate Bernardo Ayglerio che fissò prestazioni e obblighi degli abitanti del villaggio. Da vari documenti si deduce che fosse una piccola e pacifica comunità, dedita essenzialmente alla pastorizia e a un’agricoltura marginale. Vallerotonda, come i paesi contermini, essendo situata fuori dai grandi itinerari su alte colline, visse sempre una vita stentata per le magre risorse dei luoghi. All’emigrazione si ricorse soprattutto a partire dall’unità italiana e fino al secondo dopoguerra; poi, l’isolamento è finito per il ritorno definitivo o stagionale di buona parte della popolazione. In genere il paese subì passivamente i grandi avvenimenti della storia, ma un abitante della frazione Cardito si distinse nella rivolta antiunitaria e filoborbonica: il brigante Cetrillo che, secondo le cronache, fu più un vero guerrigliero che un bandito. Si oppose sul terreno alle forze unitarie e passò diversi anni in carcere, morì poi libero pastore in mezzo alle sue montagne. Un periodo molto oscuro fu quello della seconda guerra mondiale, quando il fronte si attestò a Cassino, e Vallerotonda si trovò nelle retrovie. La popolazione fu costretta a subire continue angherie naziste. Le truppe tedesche si resero responsabili di una strage effettuata il 29 dicembre 1943 a Collelungo con l’uccisione di 42 persone, fra cui un neonato. Il nucleo di Vallerotonda sorge sopra un colle, già fortificato e posto a sbarramento degli antichi sentieri di transumanza, e si distende verso il basso lungo il crinale; il castello è diventato un bel palazzo moderno che conserva qualche linea dell’antico edificio. La parte bassa del paese ospita la piazza principale con la restaurata Chiesa dell’Assunta, dalle belle linee barocche; all’interno un interessante quadro seicentesco di Marco Mazzaroppi, raffigurante l’Assunzione della Vergine. Vicino a questa chiesa è posto un palazzo rinascimentale; diverse abitazioni baroccheggianti fiancheggiano la via principale che scende fino a una massiccia porta a sesto acuto. Qualche elemento decorativo è particolarmente curioso, come la doppia iscrizione su un portale: “ostium”, “non hostium”. Il paese, formato da abitazioni di piccole dimensioni in parte ricostruite dopo il terremoto del 1984, ha conservato la sua fisionomia di borgo tradizionale».

    http://www.laciociaria.it/comuni/vallerotonda.htm


    Veroli (rocca, mura, porte di San Leucio)

    Foto di Manuela Guglielmi, dal sito www.ilpuntosulmistero.it   Dal sito www.tripadvisor.it

    «Il Borgo di San Leucio è situato nella parte settentrionale dell’abitato di Veroli. Fin dall’epoca della fondazione della città la zona di S. Leucio è stata il perno del sistema di difesa poichè dall’alto dei suoi 672 m s.l.m. dominava tutto l’abitato antico. Gli Ernici eressero delle imponenti mura megalitiche il cui percorso si snodava, sul lato orientale dell’insediamento, da nord a sud; esse culminavano sulla vetta di S. Leucio nei pressi della quale era la omonima Porta di ingresso da nord ovest. Nel Medioevo le fortificazioni seguirono il tracciato della cinta muraria ernica e nel X secolo sulla vetta di S. Leucio, a 672 m s.l.m. fu costruita la Rocca, torrione in cui fu imprigionato papa Giovanni XIII nel 965 d.C. e fu ospitato papa Alessandro III in fuga verso Benevento dalla città di Roma invasa da Federico Barbarossa. Tra il XI-XII le mura ciclopiche furono ristrutturate laddove erano crollate e munite di torri merlate e aggettanti. Le mura e le torri furono in parte danneggiate nel 1406 quando Ladislao di Durazzo, re di Napoli e Ungheria, attaccò la città. Oggi è difficile seguire il tragitto completo di tutto il sistema di difesa ma un notevole tratto di esso si è conservato proprio in corrispondenza del Borgo S. Leucio e può essere ammirato attraverso una passeggiata archeologica che parte dalla Rocca e si snoda lungo il versante orientale, in direzione sud. All’interno della cinta di difesa, a poco distanza dalla rocca sorge la chiesa di S. Leucio, delicata costruzione romanica cui è affiancato un antico cimitero. Un’epigrafe murata sulla parete sinistra della navata unica, ci informa che fu dedicata a S. Leucio, vescovo confessore, nel 1079 sotto il pontificato di papa Gregorio VII. Qui si conservano affreschi ottocenteschi e la cappella Fiorini, ex-voto dedicata a Santa Salome. Edifici di varia epoca prospettano su Via Aonio Paleario, che attraversa il borgo, e sui vicoli che da essa si dipartono scendendo verso Via del Deserto. Tra le costruzioni si conservano case e botteghe medievali ed antichi orticelli recintanti da mura in pietra. Da S. Leucio si scende al centro storico attraversando il rione S. Angelo in cui sorge l’omonima chiesa ottocentesca famosa per uno dei più bei sepolcri realizzati nel giovedì santo».

    http://www.aironeinforma.it/rocca_di_san_leucio_e_mura_poligonali.html (testo a cura di Loredana Stirpe)


    Vicalvi (castello longobardo)

    Dal sito www.aquinosindaco.it   Dal sito www.menteantica.it/castellovicalvi.htm   Dal sito www.casadiriposovillaaleandra.com

      

    «Il castello medievale è situato su un colle, su uno sperone roccioso a circa 600 m. d'altezza. Lo si può riconoscere per una croce di colore rosso dipinta durante la Seconda Guerra Mondiale dalle truppe tedesche che lo trasformarono in campo ospedaliero. Nonostante le cattive condizioni, visitandolo si ha l'immediata impressione della grande fortezza che fu e della sua importanza strategica. Appena entrati dal cancello alzando gli occhi sulle mura è possibile ammirare una latrina sospesa, uno dei pochi esempi presenti in Ciociaria.  Si possono ancora scorgere le stanze, alcune completamente affrescate, di cui il castello era dotato, la cappella con ancora visibile un affresco raffigurante una magnifica Madonna Nera, la Sala Capitolare, tramezzata per accogliere le Monache di San Nicandro, con archi a tutto sesto e tracce di camini i cui travertini sono stati trafugati negli anni.  Sul camminamento delle mura perimetrali è possibile spaziare con lo sguardo su tutta la Valle di Comino. Dal castello si può ammirare un panorama che offre una visione a tutto campo con i boschi, le montagne, i paesi circostanti della Valle di Comino e il borgo antico di Vicalvi. Architettura. Il castello longobardo è a pianta poligonale posato sulla roccia e dove c'era un tempo una antica acropoli romana. Ad est è possibile vedere la torre che è situata nel punto più alto del castello.

    Storia. Non si conoscono molte notizie certe sulle prime origini di questo maniero del secolo XI. Il castello longobardo fu costruito da Filippo I Colonna posato sulla roccia e dove c'era un tempo una antica acropoli romana. Venne distrutto e saccheggiato dai Saraceni nel 915 e ricostruito ad opera dell'abate Aligerno nel 938. Con la fortificazione del Castello anche Vicalvi assunse una crescente importanza. Nel 970 venne donato a Montecassino da Hildeprandus che si qualificava come Conte "de Sora et de Vicu Alba".  Nell'anno 1000 il Signore del castello è un certo Oderisius. Divenne una fortezza di confine dal quale, nel 1187, partirono anche uomini per la Terra Santa. Viene distrutto nel 1191 dalle truppe di Enrico di Hohenstanfen e nel 1349 da un violento terremoto. Negli anni successivi fu ristrutturato e furono aggiunti altri manufatti. Nel 1574 Giulio Prudentio di Alvito scriveva di un castello utilizzato, in tempo di turbolenze, dalle Monache che stavano in San Nicandro. Alla fine del 1500 fu reso ancor più fortificato verso est con la costruzione della Torre della Rocca tale da renderlo, per le cronache del 1600 una fortezza molto forte, posto in alto ed inespugnabile. Per tale motivo qui si rifugiò Carlo V con le sue truppe durante la battaglia, per la conquista dell'Italia, contro Francesco I° Re di Francia. Le ultime notizie che definiscono il Castello ancora in buone condizioni provengo dagli scritti di due importanti storici locali: Castrucci e Pistilli. Alla fine del 1700 il castello veniva descritto in rovina alla mercé di uomini e donne di malaffare e per tale motivo il duca di Alvito lo cedette per una cifra simbolica alla famiglia Celli che abitava di fronte al Castello. Negli anni le sue condizioni sono peggiorate progressivamente. Il castello è di proprietà dell'amministrazione comunale di Vicalvi dal 1985. Da allora su di esso sono stati eseguiti lavori di consolidamento statico e murario per arrestarne il degrado. Per la ristrutturazione totale del maniero ed il suo riuso sono necessari 7.000.000 di € che l'amministrazione comunale non dispone.  Per tali motivi, attualmente il Castello è chiuso al pubblico e può essere visitato solo da piccoli gruppi di persone previa richiesta agli uffici comunali».

    http://www.comune.vicalvi.fr.it/Castello.html


    Vico nel Lazio (cinta muraria)

    Dal sito www.viconellazio.it   Dal sito www.prolocoviconellazio.it

    «Vico nel Lazio, arroccata su un rilievo calcareo, ai piedi del monte Monna, è un raro e tipico esempio di borgo medievale fortificato, monumento architettonico singolare. Su un tracciato ovale di 300 metri di asse maggiore e 250 metri circa di asse minore si registrano mura castellane in pietra calcarea con faccia piana, intervallate da 25 torri quadrate con merlatura guelfa e tre porte di ingresso, due con arco a sesto acuto e una a tutto sesto, discretamente conservate e vivibili da potersi visitare a piedi o in macchina per un percorso di circa mille metri. La cinta fortificata ripete l’assetto di un accampamento romano con le porte orientate ai punti cardinali: inizia a svilupparsi intorno all’XI secolo e, probabilmente, nel XIII secolo, il possente sistema difensivo viene ad assumere l’aspetto maestoso di oggi. Soprattutto nelle torri delle porte, la pietra è tagliata alla perfezione sì da formare cubi e parallelepipedi, che disposti su strati orizzontali, sono tenuti insieme da un sottilissimo strato di malta. Gli angoli delle torri sono costruiti secondo la tecnica per testa e per taglio. L’opera appare compatta e non sembra che presenti disomogeneità né nel materiale usato né nella tecnica della lavorazione, pertanto si può ritenere che il circuito murario è stato costruito con intenti difensivi ben precisi e in un arco di tempo non molto ampio. La cinta muraria vicana richiama alla mente quella della nota città francese di Carcassonne. ...Vico nel Lazio è "monumento nazionale e zona di rilevante interesse pubblico" (Ministero della Pubblica Istruzione)».

    http://www.ciociariaturismo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=426&Itemid=385&lang=it


    Vico nel Lazio (palazzo del Governatore o castello)

    Dal sito www.prolocoviconellazio.it   Dal sito www.futouring.it

    «è sicuramente una delle costruzioni rimaste più importanti a testimoniare il passato di Vico nel Lazio. La pianta denota come il palazzo sia stato costruito seguendo il declivio naturale del terreno. E’ di forma poligonale con due lati che formano un angolo acuto fortemente accentuato. All’esterno, come le altre costruzioni, si nota l’edificazione con blocchi di pietra calcarea locale. Il periodo di costruzione risale all’Alto Medioevo (XIII-XIV sec.) Sono visibili delle stupende aperture studiate con vero senso artistico, alcune a forma di bifora con arco a tutto sesto, altre a forma rettangolare mentre i portali si presentano ad arco acuto non accentuato. Il palazzo fu destinato dai Colonna a residenza del Governatore o Connestabile. Oggi il palazzo del governatore è adibito a Sala Consigliare del Comune ed è la sede del Museo della Pace dedicato a Galileo Galilei realizzato dallo Maestro Vincenzo Bianchi».

    http://www.prolocoviconellazio.it/palazzo_del_governatore.html


    Vico nel Lazio (torri)

    Dal sito www.prolocoviconellazio.it   Dal sito www.prolocoviconellazio.it

    «Nel territorio vicano esistono due torri strategiche molto antiche:una alle Pendici del monte Monna, e al limite del bosco Moretta nell'area dell'oppio. L'altra vicino al fiume cosa, in contrada La Villa, quasi sulla linea di confine con il territorio del comune di Guarcino. La prima è nata a 855 m.s.l. da dove si scorge l'intera campagna che fu degli ernici, fino ai piedi dei monti Lepini. L'altra costruita a difesa della valle del cosa, non lontana dal ponte romano su fiume e a protezione delle antiche vie romane Prenestina e Sublacense».

    http://www.prolocoviconellazio.it/le_torri_strategiche.html


    Villa Santo Stefano (palazzo o castello del Marchese, torre di Vallaréa)

    Dal sito www.villasantostefano.com   La torre di Vallarèa, dal sito www.villasantostefano.com

    «Sul finire del Quattrocento, il castrum S. Stephani aveva acquistato quell'assetto topografico che, nel centro storico, è rimasto sostanzialmente immutato fino ai nostri giorni. Le turbolenze che durante questo secolo si abbatterono sul Basso Lazio per gli spostamenti delle compagnie di ventura, la prevalente anarchia nelle cose temporali della Chiesa e lo sfaldamento della signoria dei conti di Ceccano costrinsero i comuni rurali della valle dell'Amaseno a prendere nelle proprie mani gli affari politici ed in particolare a provvedere alla difesa delle popolazioni restaurando le mura castellane e rafforzando le opere difensive, nonché ad armare la cittadinanza per far fronte alle eventualità. Il perimetro delle mura è abbastanza riconoscibile a chi ne ricerchi le vestigia dietro i disfacimenti, le aggiunte ed i rifacimenti degli ultimi secoli. Il punto chiave della difesa fu e rimase a lungo la rocca ceccanense che occupava l'area del fabbricato conosciuto oggi come il Palazzo del marchese o Palazzo incantato. La rocca, o castello, aveva poi perduta la sua importanza con la costruzione difensiva della Porta, ed era stata abbandonata e lasciata rovinare; ma rimase in parte abitata, anche se fatiscente, fino al 1753. Fu nella seconda metà del Settecento che Giacomo Jorio, di Marcantonio, uomo di certe pretese il quale fu per un breve periodo fattore aggiunto dei Colonna, acquistò la vecchia fabbrica e la trasformò in un bel palazzo nello stile di quel tempo, aprendone gl'ingressi dalla parte della montagna e proteggendone l'accesso con una casamatta dalla parte della chiesa di S. Sebastiano, dove nella pietra chiave dell'arco del portone è ancora visibile il blasone di questo signorotto con le sue iniziali ai lati di una colonna inghirlandata e la data 1787. Il palazzo era a due piani con gli ambienti di servizio al piano terra; la sua linea elegante venne deturpata da una sopraelevazione a blocchi di tufo fatta fare dalla famiglia Popolla che acquistò l'edificio all'inizio dell'Ottocento. Il castello sorgeva sull'orlo dello sprofondo di Vallaréa in posizione molto forte, con l'entrata all'interno dell'abitato; dell'antica struttura rimane solo una mezza torre incastrata nell'edificio rifatto e che una volta faceva da perno a quella parte della cinta muraria che scendeva lungo la scarpata di Vallaréa. Dalla torre di Vallaréa il muro esterno del castello arrivava vicino alla chiesa di S. Sebastiano - sorta come cappella della guarnigione - dove un'altra torre, scomparsa, ancorava il tratto di mura che si collegava con la Porta formando una massiccia opera di difesa, le cui disposizioni interne sono ancora reperibili nei passaggi, sottoportici, andirivieni e scalette dei casamenti lungo l'odierna via della Rocca; il profilo di queste costruzioni è individuabile tuttora nella linea dei tetti osservata da piazza Umberto. Non sono chiare le ragioni che indussero il popolo a designare come Palazzo del marchese o Palazzo incantato il rifatto castello ceccanese. In base ai documenti disponibili non risulta esservi mai stato alcuno in S. Stefano che portò il titolo di marchese, almeno che non vi abbia avuta residenza il marchese Ercolani quando era preposto alle finanze della Delegazione di Frosinone. ASF B/1132, 1816. Non da scartare l'ipotesi che l'appellativo abbia avuto origine nelle velleità nobiliari di Giacomo Jorio, o fors'anche da una eventuale residenza nel fabbricato verso la fine dell'Ottocento di un Giovanni Jorio soprannominato Marchese. L'appellativo «incantato» potrebbe essere derivato dalle varie apparizioni di spiriti che la tradizione popolare vi aveva localizzate».

    http://www.villasantostefano.com/primapagina.htm (a cura di Arturo Iorio)


    Villa Santo Stefano (porta o torre di Re Metabo)

    Dal sito www.villasantostefano.com   Dal sito www.villasantostefano.com

    «Di origine medievale la Porta venne ristrutturata nel Quattrocento e nel suo complesso prese alloggio il castellano con i suoi armigeri, con i quartieri di guardia nella torre e le prigioni dalle finestre ad inferriata che si affacciano ancor oggi sotto la Loggia. La torre della Porta, popolarmente detta di Metabo da un’iscrizione che un letterato del paese vi fece mettere nell’Ottocento in commemorazione della vicenda virgiliana, fino agli anni Venti sorgeva più alta del presente e diroccata; nella finestra di mezzo si riconoscevano le linee di una bifora ed in basso, al limite della scarpa, si aprivano feritoie ad archibugio praticatevi probabilmente al tempo dei briganti. Da questa torre le mura riprendevano la discesa, prima lungo una striscia d’orto al margine del fossato, poi sul ciglio della roccia tufacea cingendo la parte più antica del paese per raccordarsi alla Portella».

    http://www.villasantostefano.com/villass/torre_porta/



         

          

    ©2013 ss.

  •      


    su  Lazio  provincia di Frosinone

    Home