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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI PARMA

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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Antesica (ruderi del castello)

Antesica e la collocazione del castello, dal sito http://geo.regione.emilia-romagna.it   Antesica dal satellite

«X secolo. Il castello di Antesica viene fatto innalzare dalla famiglia Antesica. 972. Teuzo ed Eunardo, appartenenti alla famiglia che detiene il castello di Antesica, partecipano ad un placito tenuto a Carpi. Teuzo diventa vescovo della città di Reggio. 1016. Evurardo lascia le case e i diritti sul castello di Antesica che gli appartengono al monastero di San Giovanni di Parma. 1063. Eunurardo, signore del castello di Antesica, è costretto a lasciarlo ed a rifugiarsi a Reggio Emilia poiché non accetta la designazione al soglio pontificio di Cadalo. 1163. Envurardo, figlio di Azzo di Antesica, vende le case massaricie e tutte le pertinenze del castello e della cappella di Antesica. 1402. Il castello di Antesica viene restituito dai Rossi al castellano ducale 26 dicembre 1402. Il capitano del vescovado con i villani delle famiglie Rossi e da Correggio si reca con le bombarde ad abbattere il castello di Antesica che si arrende dopo la sosta dei lavori in campagna causata dalle piogge. 1403. Il castello di Antesica viene raso al suolo affinché la famiglia Rossi, ai quali era appartenuto in passato, non tenti di recuperarlo. 1464. Il castello di Antesica è elencato tra i beni lasciati da Pier Maria II al figlio Bertrando. 1464. Pier Maria Rossi lascia nel testamento a Bernardo i castelli di Castrignano, Beduzzo, Pugnetolo, Corniglio, Roccaprebalza, Corniana Antesica e Bosco, a Guido quelli di Felino, San Secondo, Bardone, Neviano Rossi, Carona, Miano, Segalara, Roccalanzona e Sant'Andrea, oltre a quello di Taro. 1805. Il castello di Antesica è alle dipendenze del vescovo di Parma. Il castello di Antesica appartiene ai conti Rossi di Torrechiara, poi ai da Correggio. 1832. Appartenuto ai dei Rossi e ai Correggio, il castello di Antesica è del vescovo di Parma».

http://geo.regione.emilia-romagna.it/schede/castelli/index.jsp?id=2747


Baganzola (torrione Valeri)

Dal sito www.visititaly.it   Dal sito it.wikipedia.org

  

«Il torrione di Baganzola, noto anche come Torrione Valeri, è una torre tardo-medievale che sorge in via Santi 3 a Baganzola, frazione di Parma. L'originario castello a presidio del territorio baganzolese fu edificato nel 1314 da Bonifacio Aldighieri, che ne ricevette l'approvazione da parte di Giberto III da Correggio, Signore di Parma; alla spesa avrebbero dovuto contribuire tutti i vassalli che vivevano nella zona compresa tra il fiume Taro e il canale Naviglio, fino al confine con Colorno. A tale imposizione si ribellò l'anno seguente Matteo da Correggio, nipote di Giberto; dopo aver costruito un castello nel suo feudo di San Quirico, con l'aiuto di Gianquirico Sanvitale, di Luchino Visconti, dei borghigiani e di numerosi ghibellini milanesi, bergamaschi, lodigiani, piacentini, mantovani, cremonesi e veronesi, mosse contro Paolo Aldighieri, nel frattempo insediatosi nel maniero; gli insorti assaltarono il forte, espugnandolo e distruggendolo; depredarono inoltre alcuni borghi, tra cui Baganzola, Vicomero, Castelnovo, San Siro, e conquistarono la Rocca dei Rossi di San Secondo. In risposta i guelfi contrattaccarono costringendo alla resa Matteo da Correggio, che aveva nel frattempo perso l'appoggio del Sanvitale; i prigionieri furono liberati e furono loro restituite le rispettive terre. Paolo Aldighieri ricostruì in seguito il castello, ma nel 1325 le truppe di Azzone Visconti, alleate dei Pallavicino, attaccarono il Parmense, saccheggiando i borghi di Vicofertile, Vigolante, Madregolo, Bianconese, Fontevivo, Fraore, Vicomero, Pietrabaldana, Viarolo, Collecchio, San Martino Sinzano, Felino, Medesano e Borgo San Donnino; anche il maniero baganzolese fu assaltato e completamente distrutto. Nel 1435 il duca di Milano Filippo Maria Visconti assegnò Baganzola ad Andrea Valeri, già feudatario di Beneceto, il quale avviò i lavori di costruzione del torrione, forse sul luogo dell'antico castello; l'edificio fu completato nel 1438. I conti Valeri mantennero il possesso di Baganzola e dei territori adiacenti fino al 1805, quando i decreti napoleonici abolirono i diritti feudali. Il torrione, acquistato da privati, fu modificato e trasformato in abitazione. Il massiccio torrione si imposta su una pianta quadrata. I prospetti, interamente rivestiti in laterizio, sono caratterizzati dalla presenza di finestre su tre livelli, sopra le quali si sviluppa lungo il perimetro una cornice a dentelli in mattoni. Più in alto, i merli ghibellini di coronamento sono coperti dal tetto».

https://it.wikipedia.org/wiki/Torrione_di_Baganzola


Bardi (fortezza dei Bardi)

a cura di Elisa Delgrosso

  


BARGONE (castello)

Dal sito http://picasaweb.google.com  Dal sito www.dodecapoli.com

«Edificato prima del Mille, appartenne ai vescovi di Parma e passò nel secolo XII sotto la Signoria dei Pallavicino, di parte ghibellina. Nel 1374 fu al centro della congiura tramata da Francesco e Nicolò Pallavicino, signori di Scipione e Tabiano, contro lo zio Giacomo, signore di Bargone, e nel 1600 passò ai Farnese. La rocca, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, è situata sulla sommità di un colle e riserva non poche sorprese. Degni di nota sono la pusterla ai piedi dell'edificio, l'elegantissimo portico del cortile interno, il cui colonnato risale alla metà del 500, e il poderoso mastio che si innesta sul nucleo fortificato. Nonostante l'immagine rude e severa il castello vanta un aspetto di estrema leggiadria nell'eclettica decorazione del salone dipinto da Girolamo Magnani, "lo scenografo di Verdi", tra il 1864 e il 1884, raffigurante piccoli cammei con vedute del castello nelle varie ore del giorno e della notte e quattro paesaggi di grande effetto a rappresentazione delle quattro stagioni, associando ambienti, personaggi e animali di vari habitat. Attualmente di proprietà privata, non è aperto al pubblico. Nei boschi dei dintorni si ritirò a vita mistica il Beato Orlando, della Famiglia Medici, a cui è dedicata la chiesetta sottostante ricostruita nel XVIII secolo. Oggi l'edifico presenta caratteristiche settecentesche; al suo interno conserva una statua lignea del Beato Orlando, stucchi e dipinti di opera barocca e un dipinto cinquecentesco raffigurante la Vergine Maria».

http://www.bicilandia.it/bicilandia80/comuni/pr03_salsomaggiore/eme_07.html


Beduzzo (resti del castello)

Dal sito http://misteridiparma.myblog.it   Dal sito www.pacchianivalparma.it

«... Un atto notarile del 14631 ci informa di essere stato redatto “in castro de Bedutio”, da cui si deve concludere che anche in tale località era eretto un castello, che dominava la valle e i diversi nuclei abitati di cui ho parlato, alcuni dei quali già esistevano e tra essi la “contrada di Trarì”. Tre Rii: l’abitato, anche oggi piccolo, esisteva già almeno dal Quattrocento col proprio nome attuale, come si evince da un atto del notaio Baldassarre Banzi redatto a Tizzano il 2 settembre dell’anno 1503: “Marcus Antonius filius quondam Dominici Vincentii, habitator terre de Bidutio, in contrata de Trari, castellantie Cornilii, episcopatus Parme, Porte Nove...” (Archivio di Stato di Parma, fondo "Notarile", filza 273). La rocca era evidentemente una delle fortificazioni dei feudatari del luogo, la famiglia degli appena citati conti Rossi di Berceto presenti anche a Corniglio e Torrechiara. Non poteva probabilmente essere paragonabile al noto e vasto castello dell’ultima località citata ed era situato dove oggi sorge la chiesa parrocchiale di Beduzzo, un punto dominante e strategico: gli ultimi resti sarebbero stati eliminati solo negli anni Sessanta del XX secolo per far posto ad un nuovo edificio. Questo, una casa a due piani a pianta quadrata, è costruito ai limiti di una spianata il cui lato opposto è occupato dall'antico camposanto; verso valle tale ampio spiazzo termina con una scarpata ripida nascosta da alberi, mentre dalla parte opposta c'è la chiesa e la strada di accesso, in leggera salita su di un terrapieno che ben si sposa all'idea di accesso ad un fortilizio. La stessa casa citata è costruita in aderenza e sopraelevazione ad un muro in pietre bianche sommariamente squadrate, che si vede presso la parrocchiale, la cui parte esterna è franata ed è occupata da radici ed alberi, nonché materiale di discarica. Questo muro, spesso oltre un metro, diventa più percepibile a mano a mano che si scende verso valle, lungo una stradina nel bosco che lo costeggia, rivelandosi infine come un alto muro di cinta con zoccolo obliquo, più piccolo e meno raffinato, ma simile a quello del castello di Corniglio e di altre rocche dei Rossi.

Il muro compone quindi un angolo retto, proseguendo lungo la scarpata che guarda verso valle, ma franato e poi invisibile in quanto occultato dal bosco e da materiale di riporto. Pietre bianche squadrate sono sparse tutt'intorno. Quindi la spianata con chiesa, camposanto e casa risulterebbe essere la superficie interna dell'antico castello, delimitata, alla base, da quello che resta delle mura. Sul lato strada doveva aprirsi l'accesso con ponte o rampa. La sua esistenza trova conferma anche in un affresco situato nello stesso castello di Torrechiara, dove la rocca è dipinta e individuata col suo nome. Risulta munita di “mastio con tanto di ponte levatoio, caditoie e merli” e vi appare inclusa anche una chiesina. La funzione celebrativa di tale dipinto avrà forse accettato qualche esagerazione, ma in sostanza esso non deve rispecchiare troppo male l’aspetto complessivo che aveva il castello. La chiesetta potrebbe essere rovinata nel tempo col resto della costruzione quando venne meno la sua funzione militare o invece, in continuità, potrebbe essere risorta ampliata sotto forma dell'attuale chiesa che è stata costruita, nelle forme attuali, nel 1735 nello spazio dell'ex castello. L'antica pieve di Beduzzo, citata già nel 1230, sorgeva invece nella zona dell’attuale Mossale. ... Beduzzo è quindi un abitato sparso, dominato da una rocca feudale a difesa e controllo della strada che lo attraversa diretta verso Corniglio e un altro castello dei Rossi. ... Un riferimento allo stesso castello o a qualche altra antica fortificazione un tempo esistente è inoltre rinvenibile nel toponimo della località di Torre, poco discosta dalla chiesa e poco più a valle della “contrada” di Trarì».

http://www.pacchianivalparma.it/ricerca/viandante/storia-della-famiglia-pacchiani-di-beduzzo/aspetti-di-beduzzo/i-luoghi.html


Belforte (castello)

a cura di Elisa Delgrosso


Beneceto (torrione)

a cura di Federico Trombi


Berceto (castello)

a cura di Elisa Delgrosso

  


BORGO VAL DI TARO (palazzi)

Dal sito www.cmtaroceno.pr.it   Dal sito www.savethedate.it

«Palazzo Boveri. D'impianto secentesco, è stato successivamente decorato con gli stemmi dei Boveri, dei Manara e dei Picenardi fra volte e arabeschi. Tali interventi furono eseguiti nel 1714, in occasione del passaggio di Elisabetta Famese, che si recava in Spagna per sposarsi. Nell'interno, al pianterreno, sono raffigurate le stagioni in quattro ovali. Degno di nota anche un camino del XVI secolo, sormontato da uno stemma.
Palazzo Manara. Riccamente decorato con i farnesiani, dal portale barocco e con le finestre abbellite nella chiave di volta dallo stemma gentilizio.
Palazzo Tardiani (già vecchio ospedale di S.Lazzaro). è una costruzione d'impianto tardo cinquecentesco. Il parametro murato è costituito da pietre di fiume e conci di pietre squadrati rozzamente, disposti in modo irregolare. La facciata è articolata, da lesene e da un cornicione. L'ospedale, intitolato a S.Maria e a S.Lazzaro, risulta dai documenti già operante nel XVI secolo.
Palazzo Bertucci. Ora Palazzo Maestri venne costruito nel 1700, con saloni affrescati. Sul cortile interno si apre un loggiato su colonne monolitiche in arenaria. Si osserva provenendo dal ponte di San Rocco».

http://www.tuttoparma.com/borgo_val_di_taro_palazzo_boveri_palazzo_tardiani_palazzo_bertucci_sc_1551.htm


BORGO VAL DI TARO (resti del castello)

Dal sito www.comune.borgo-val-di-taro.pr.it   Dal sito www.comune-italia.it

«Borgo Val di Taro aveva, fino a non molto tempo fa, un bel castello, che via via col tempo e col disuso iniziò a scomparire. Quel che ci resta, dal periodo della seconda guerra mondiale, è parte della muratura, in coincidenza con l’oratorio della chiesa di S. Antonino e del retrostante Museo delle Mura. Una torre posta all’ingresso, è stata invece riportata alla luce da pochi anni, ed ora aiuta visivamente a comprendere l’immagine che fu del castello di Borgotaro. Ci restano anche alcune interessanti descrizioni, come per esempio quella del castello ai tempi dei Fieschi: “Era cinto di assai bella muraria, con rivellino e fossa ed aveva numero di torri attorno in modo che per battaglia non aveva da temere un mediocre esercito ed avrebbe rovesciato per molti giorni ogni impeto”».

http://www.comune.borgo-val-di-taro.pr.it/online/page.asp?IDCategoria=1569&IDSezione=6611&IDOggetto=2290&Tipo=DOCUMENTO


Bosco di Corniglio (castello)

Dal sito www.parchidelducato.it   Dal sito http://arifidenza.it

«Il Castello di Bosco di Corniglio (o solo Castello di Bosco) sorge presso Corniglio, in località Bosco di Corniglio. Il castello fu costruito nel 1400 e divenne teatro delle lotte tra le famiglie Terzi e Fieschi, che si contesero il territorio. Nel 1413 risulta essere possedimento rossiano, sotto il nome di "castello di Bosco con la relativa villa, Braia e Graiana", nel diploma imperiale di Sigismondo di Lussemburgo. Nel 1431 la rocca viene conquistata dai Visconti, ma dieci anni dopo viene riacquistato da Pietro Maria Rossi per 9.600 lire imperiali. Durante il periodo rossiano il castello è citato come "alto Bosco" dal poeta Gerardo Rustici nella sonata Cantilena pro potenti D. Petro Maria Berceti Comite. Intorno alla metà del Cinquecento iniziò un lento processo di rovina che ha comportato il crollo della struttura, di cui rimane solo una porzione di muro» - «Il paese deve il suo nome ad una vasta selva posta a sud del castello fino alle cime dell’Appennino e fu compreso tra i dominii del Vescovo di Parma, signore di tutta l’Alta montagna Parmense. La parte più antica di Bosco di Corniglio si trova a sud del paese a quota leggermente inferiore. nQuesta zona dell’abitato è a funzione residenziale ed è compresa nel centro storico soggetto a disciplina particolareggiata. Il borgo si snoda lungo le pendici di uno scosceso promontorio e termina con l’antica Torre medievale. La Torre di Bosco sorge su di un groppo selvoso dell’Alta Val Parma, non lontano dalle vette dello spartiacque ligure-parmense. Attualmente ne rimangono ancora qualche mura, e le rovine di una torre a picco sul torrente Parma. Questa Torre appare per la prima volta nelle cronache del 1409, come proprietà di Pietro Maria Rossi e Giacomo Rossi, già signori di Corniglio. ...».

https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Bosco_di_Corniglio - http://www.atleticamanara.it/ecomaratone-delle-aquile...


BUSSETO (rocca Pallavicino)

Dal sito www.antoniobarezzilive.it   Dal sito www.paesionline.it

«La Rocca, già dimora dei marchesi Pallavicino, signori di Busseto, è di fondazione duecentesca ma fu più volte rimaneggiata nei secoli XV e XVI; nel 1586 fu acquistata dal Comune e tra il 1857 e il 1868 subì l'intervento dell'architetto Pier Luigi Montecchini, che la ricostruì quasi totalmente in stile neomedievale. Nell'interno dell'edificio hanno sede il Municipio e il Teatro “G. Verdi”. Della fabbrica originaria sono ancora visibili il torrione principale o mastio, con merli ghibellini a coda di rondine, le finestre bifore a sesto acuto con archi trilobati e le monofore, incorniciate da formelle in terracotta della bottega cremonese di Rinaldo De Stavolis (1479-86 ca), che uniscono sapientemente elementi tardogotici e motivi rinascimentali. Nel cortile interno è murata l'aquila imperiale in pietra dei Pallavicino, che si trovava sulla porta meridionale della cinta muraria cittadina».

http://turismo.parma.it/page.asp?IDCategoria=260&IDSezione=1158&ID=39386


Busseto (villa Pallavicino)

Dal sito www.museogiuseppeverdi.it   Dal sito www.museogiuseppeverdi.it

«Villa Pallavicino è una costruzione di arte rinascimentale che sorge al di fuori delle antiche mura della città di Busseto. Dal 10 ottobre 2009 è sede del Museo Nazionale Giuseppe Verdi. Vi si accede dopo aver percorso un viale di pioppi attraverso un Arco trionfale (XVII secolo) ad un fornice (opera ascrivibile all'architetto ducale Domenico Valmagini); esso è diviso in tre parti, decorato da festoni manieristi e, al centro, da un drappeggio aperto su una finta balaustra a imitare un sipario teatrale. Gli stucchi e le terrecotte sono opera di Domenico Dossa e Bernardo Barca. Sui lati si trovano due nicchie con delle statue in pietra: una rappresenta Flora con un putto, allegoria della Primavera mentre l'altra Bacco con un faunetto, allegoria dell’autunno realizzate da Giuseppe Torretti. Non si ha la certezza sull'autore del progetto della Villa (probabilmente Bramante o Vignola) e i Pallavicino, che la acquistarono negli anni trenta del XVI secolo per farne una residenza estiva, non ne sono i committenti. Sorse, infatti, agli inizi del XVI secolo per volere di Matteo Marri. Certo è, però, che l'imperatore Carlo V d'Asburgo, nel 1533, prima di partire da Busseto, a cui aveva concesso il titolo di città per ricompensarne la fedeltà all'impero, si recò alla Villa e gli piacque a tal punto da richiederne un disegno per ricordo; la Villa infatti presenta una particolare pianta a scacchiera (che ricorda lo stemma dei signori di Busseto ove la scacchiera è simbolo di vittoria ottenuta, in petto all'aquila imperiale), composta da cinque ambienti indipendenti uniti tra loro da un unico corpo centrale che sovrasta un grande atrio, aperto ai quattro venti detto Boffalora. La volta è interamente decorata da affreschi con delle immagini di divinità e delle grottesche raffiguranti intrecci di putti, sirene e tritoni con due code, scimmie ghignanti e uccelli multiformi.

L’opera, il cui autore è presumibilmente lo stesso decoratore del salone degli stemmi del castello di Torrechiara, risale al settimo-ottavo decennio del XVI secolo. L'edificio, pur essendo circondato da un fossato, non fu creato per scopi di difesa e un tempo la balaustrata che circondava il Palazzo recava numerose statue. Nel 1543 Villa Pallavicino ospita lo storico incontro fra l'imperatore Carlo V d'Asburgo e papa Paolo III Farnese per concordare il nuovo assetto territoriale della legazione pontificia e la creazione del ducato farnesiano affidato nel concistoro del 27 agosto 1545 a Pierluigi, figlio del papa e gran gonfaloniere della Chiesa. Alla fine del XVII secolo Alessandro II Pallavicino ordina la ristrutturazione e l'innalzamento della villa, affidandone la direzione probabilmente ad Antonio Maria Bettoli, esecutore del palazzo Santa Fiora di Parma. La facciata, in stile classico, è alleggerita dallo slancio verticale dato dai bugnati che ritmano gli angoli, dai tagli orizzontali delle cornici marcapiano e dagli stucchi rococò eseguiti da Carlo Bossi sotto commissione del marchese Alessandro nel quarto decennio del XVIII secolo. Gli ambienti interni presentano soffitti a volta affrescati e stuccati da artisti che operarono per i Pallavicino nel XVIII secolo. A sud del palazzo nobile sorge l’edificio delle scuderie, con pianta a ferro di cavallo e ali rivolte verso la Villa».

http://www.museogiuseppeverdi.it/it/esplora/villa-pallavicino.html


Carignano (villa Malenchini)

Dal sito www.ristorbar.it   Dal sito www.borgo-italia.it

«Furono i marchesi Lampugnani a costruire alla fine del XVI secolo la tenuta di Carignano, a sud ovest di Parma, là dove la pianura sfuma nelle prime pendici collinari dell'Appennino Tosco-Emiliano. A decorare le sale interne fu chiamato Cesare Baglioni.Al XVII secolo, risale la costruzione dei corpi laterali della villa, della struttura rococò del portale d'ingresso e del balcone sovrastante. Fu la nobil donna Eletta Fortunata Raggio (1874-1963), detta Fortuny, moglie di Luigi Malenchini, ad acquistare la villa nel 1895 e a dedicarsi alla creazione del grande giardino romantico influenzato dal gusto importato a Parma da Leinhart, capo giardiniere di Maria Luigia. Un lungo viale rettilineo di 1500 metri con pioppi cipressini, collega la villa cinquecentesca al parco che si estende per 15 ettari e ospita per lo più querce, carpini, frassini, ontani, castagni, tigli ma anche platani, cedri, sofore, abeti, paulonie. Una cappella gentilizia, una sorgente in finta pietra, un ninfeo neobarocco e un lago a serpentina con un suggestivo castelletto su un isolotto, perfetta riproduzione della rocca di Fontanellato, adornano i viali del parco. Come arrivare: da Parma in auto, prendere la tangenziale sud uscita 15 Strada Langhirano e seguire questa strada. Nell'abitato di Corcagnano girare a destra al primo semaforo. Villa Malenchini si trova sulla sinistra dopo poche centinaia di metri».

http://turismo.comune.parma.it/it/canali-tematici/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/ville-dimore-teatri-storici/villa-malenchini-fortuny


Carniglia (fraz. di Bedonia, rovine del castello di Pietrapiana, o di Parpiana o di Carniglia)

Dal video http://www.youtube.com/watch?v=8KsOOjKESSQ   Dal video http://www.youtube.com/watch?v=8KsOOjKESSQ

«...Importante era anche il Castello di Pietra Piana, fortezza contesa dai Lusardi di Montarsiccio e i Landi, signori di Compiano, Bardi e dell'allora importante centro di Borgotaro. L'edificio, un tempo inespugnabile data la posizione strategica da torre di Guardia-Dogana, controllava il passaggio tra Toscana, Emilia, Liguria terra dei Malaspina, la fortezza era affiancata da un opificio che confezionava tessuti pregiati quali il velluto: secondo il Molossi vi erano presenti 13 telai, è sorto anche il detto: "A vestia de Carneia a fa meraveia". Ora sono ancora presenti i ruderi, una cisterna sotterranea e un cunicolo che comunica dall'alto del castello fino al fiume Taro. ...».

http://it.wikipedia.org/wiki/Carniglia


Carona (castello)

Il complesso di villa Carona oggi, dal sito www.itsosgadda.it   Il complesso di villa Carona oggi, dal sito www.itsosgadda.it   Il complesso di villa Carona, dal sito www.itsosgadda.it

«Sulla Via Nazionale, adagiato su un poggio nascosto da un anfiteatro di piante in posizione dominante sulla pianura e sul paese, luogo della confluenza del Taro e del Ceno si trova il complesso di Villa Carona, territorio in cui gli storiografi ricordano un oratorio nel 1230 e nel 1299-1354; nelle adiacenze immediate della villa oggi esiste una piccola cappella, che l’autore pensa coincidente con quella citata, ma non esiste nessuna testimonianza che confermi tale ipotesi. In questo stesso luogo nel 1248 Bertrando Rossi fortifica il “Castello di Fornovo”, costruito al momento in cui Parma affronta l’attacco dell’imperatore Federico II e dei ghibellini, prima di  cadere vittima degli imperiali in un imboscata a Collecchio. Continuo è il possesso della famiglia: nel 1373 è proprietà di Giacomino Rossi I conte di San Secondo e alla fine del 1300 è ancora dei Rossi. Nel 1408 Ottobono Terzi lo assedia e dopo due giorni lo occupa; alla sua morte, nel 1413 torna agli antichi feudatari. Nel Giugno 1414, Nicolò d’Este, Signore di Parma, in un suo pellegrinaggio, si reca prima a Loreto, poi al monastero di S. Giacomo di Compostela, in Galizia. Durante il viaggio per raggiungere Borgotaro e Genova, si ferma a Fornovo ed è ospitato nel castello.

L’era dei conti Rossi e del castello, ora perduto, è considerato un periodo particolare della storia di Carona unitamente all’epoca Gesuitica, caratterizzata dalla costruzione della Villa agli inizi del XVIII. Il Collegio dei Nobili di Parma, diretto dai Padri Gesuiti nel 1604 fruisce di questa dimora come villeggiatura fino alla loro cacciata. Nel 1792, quando tornano i Gesuiti, espulsi dal ministro Du Tillot, il complesso viene ampliato ed è di nuovo allestito a sede estiva per la Comunità e per gli allievi del Collegio. Allontanati nuovamente i Padri gesuiti, la Villa viene chiusa in qualità di proprietà del Collegio, che è riaperto nel 1831, con decreto della Duchessa di Parma Maria Luigia, e unificato al Collegio Lalatta con il nome di Collegio Maria Luigia. Decade l’usanza di trattenere per  tutto l’anno i convittori, che nei mesi di vacanza vengono rimandati a casa: Villa Carona diviene dunque residenza di pochi allievi e sede estiva dei dirigenti del nuovo Istituto Educativo e rimane tale fino alla seconda guerra mondiale. In seguito i locali vengono occupati da casanti e inquilini e dal 1943 al 1945 è invasa da milizie e soldatesche, che contribuiscono a ridurla in condizioni di grave deperimento; nei locali interni un notevole patrimonio di pregevoli mobili e di quadri antichi distribuiti nelle sale interne vengono dilapidati o distrutti.  Costruzione di Villa Carona: progetti diversi di una struttura semplice e funzionale Oggi il complesso della Villa si presenta come un ampio fabbricato di 3 corpi disposti a U con  lunga facciata a tre piani interrotta da un loggiato a 3 arcate. Due corpi laterali a due piani delimitano un cortile interno, completato sullo sfondo da una cappella ora in rovina. Un cancello immette alla corte dove sulla destra vari fabbricati rustici costituiscono una sorta di borgo di data anteriore alla costruzione della villa. ...».

http://www.itsosgadda.it/sito1/progetti/FornovoInnovationAward/Villacarona.pdf


CASACCA (borgo)

Foto di Paolo Zappaterra, dal sito http://multimedia.quotidiano.net   Dal sito www.gelaparma.it

«Casacca è un antico borgo medievale che spicca solitario in cima ad una collina fra boschi e campi, poco distante da Ghiare di Berceto e dall'autostrada A15 Parma-La Spezia. Il borgo è attualmente in fase di totale ristrutturazione. Verranno riportate all'antico spendore, ad opera degli attuali proprietari, tutti gli edifici in esso compresi per restituirlo ai cittadini e turisti. Attualmente è quindi chiuso al pubblico e non visitabile».

http://turismo.parma.it/page.asp?IDCategoria=260&IDSezione=1094&ID=42146


Castelguelfo (castello)

Dal sito www.camminideuropa.eu     Dal sito www.dodecapoli.com     Dal sito www.comune.noceto.pr.it

«Grandiosa sentinella della via Emilia, il castello di Castelguelfo si presenta ancor oggi decisamente ben conservato, pur custodendo ricordi di un passato burrascoso. Non si sa quando e per volere di chi fu costruita la rocca; è certo che nel XIII secolo apparteneva a Obizzo Fieschi che, nel 1224, lasciò il castello al nipote Sinabalbo che diverrà papa col nome di Innocenzo IV. Risalgono a quel periodo le numerose opere murarie, aventi lo scopo di rinforzare la rocca rendendo più difficile possibile ogni attacco nemico. Conteso tra le due influenti casate dei Da Correggio e dei Rossi, nel 1312 fu occupato da quest’ultima. Solo due anni dopo, Gilberto Da Correggio lo fece radere al suolo. Le mura, distrutte ed abbandonate, rimasero in uno stato di grande degrado per più di un secolo, finché Orlando Pallavicino, conquistato il feudo, fece risorgere la rocca a nuovo splendore, dandole l’aspetto di un severo castello, modellato secondo le principali regole dell’architettura militare del tempo. Fu ribattezzato col nome di Torre Orlando, o dei Marchesi, ed ebbe lo scopo di difendere le schiere ghibelline raccolte per arginare le invasioni guelfe nel Parmense. La lungimiranza di Orlando Pallavicino non bastò, tuttavia, a fermare l’ambizione di Ottobuono Terzi, valoroso capitano di Gian Galeazzo Visconti e futuro signore di Parma, che riuscì a conquistare il castello dopo due giorni di dura lotta, e lo ribattezzò Castelguelfo (Castrum Guelphum), in segno di scherno verso il partito avversario. Dopo la morte di Ottobuono Terzi, assassinato dai sicari di Attendolo Sforza, il castello passò di signoria in signoria finché, nel 1425, tornò ad Orlando Pallavicino che morì nel 1457 lasciando la rocca al figlio Nicolò. Nel 1472 passò al Comune di Parma che vi nominò un castellano e, nel 1500, venne occupato dall’esercito francese di Luigi XII in marcia su Parma. Nel 1557 Castelguelfo apparteneva alla famiglia Farnese, alla quale succedettero numerosi signori che trasformarono il castello da possente complesso difensivo a sfarzosa abitazione privata. L’aspetto attuale del castello è dovuto all’armatore genovese Fasce, che nel 1916 vi fece eseguire una serie di lavori».

http://www.camminideuropa.eu/default.asp?s=140&o=1012&c=0


Castrignano (resti del castello)

Resti delle mura perimetrali del castello, dal sito http://polideuce.blogspot.it   La Pieve di Castrignano oggi, dal sito www.casapergruppi.it

«Il Castello di Castrignano sorgeva su una collinetta in località Catrignano, presso Langhirano. Il castello fu costruito nel X secolo ed è citato per la prima volta verso la fine del 900 come Castrum Regnani. Presso il castello è stato rinvenuto un insediamento longobardo, databile all'Alto Medioevo. Di proprietà dell'episcopato parmense tra il XII e il XIII secolo, nel XIV secolo fu conteso da Azzo da Correggio e dai Rossi, che alla fine presero possesso del feudo. Del castello rimangono pochi brandelli di muro, posti tra la Pieve di Santa Maria, chiesa costruita sulla collinetta dove un tempo sorgeva il castello, e il cimitero. Tra i ruderi sono stati rinvenuti due capitelli e un abaco, datati intorno al 1450, poi inseriti nel fonte battesimale della Pieve».

https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Castrignano


COLORNO (reggia)

Dal sito www.chim.unipr.it   Dal sito www.parmigianino2003.it

«Sull'area ora occupata dalla Reggia vi era una rocca costruita nel 1337 da Azzo da Correggio. Trasformato in dimora signorile da Barbara Sanseverino, il castello, insieme ai possedimenti della famiglia, venne confiscato dai Farnese nel 1611. Ranuccio II, nel 1660, su istanza della moglie Margherita Violante di Savoia decise di costruire sul suolo precedentemente occupato dalla rocca di Barbara Sanseverino, l'attuale Palazzo Ducale. Il progetto fu portato a termine dal figlio Francesco Farnese con l'ausilio degli architetti Ferdinando Galli Bibbiena e Giuliano Mozzani. Nel 1731 alla morte, senza eredi, di Antonio, il Ducato di Parma e Piacenza passò al nipote Carlo III di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese e Filippo V di Borbone re di Spagna. Divenuto re di Napoli, nel 1734 egli trasferì nella città partenopea le collezioni farnesiane. Nel 1749 l'erede del ducato Filippo di Borbone, fratello di Carlo, affidò all'architetto francese François Antoine Carlier l'incarico di ristrutturare gli appartamenti interni del Palazzo. Dopo il 1753 il Duca si avvalse della collaborazione di Ennemond Alexandre Petitot che prgettò lo scalone prospiciente il giardino e la Sala Grande.  Alla morte di Ferdinando, figlio di Filippo di Borbone e succeduto al trono nel 1765, il Ducato di Parma venne annesso alla Francia. Nel 1807 venne dichiarato "Palazzo Imperiale" e si intrapresero nuovi lavori di ristrutturazione. Dopo il Congresso di Vienna (1816), il Ducato venne assegnato a Maria Luisa d'Asburgo, II moglie di Napoleone, la quale fece riaffrescare alcune sale.  Dopo l'Unità d'Italia e la cessione, da parte di casa Savoia, del Palazzo di Colorno al Demanio dello Stato italiano, esso venne acquistato nel 1871 dalla Provincia di Parma».

http://portali.ltt.it/PortaleColorno2/vis/page.asp?IDCategoria=763&IDSezione=3879


Compiano (castello)

a cura di Elisa Delgrosso

  


CONTIGNACO (castello di Contignaco)

Dal sito www.dodecapoli.com   Dal sito www.dreaminginitalian.com

  

«Il castello fu costruito intorno all’XI sec. da Adalberto Pallavicino. Pare che la torre principale, ancora oggi ben conservata, alta oltre 30 metri, risalga all’anno 1030. Nel 1315 il castello fu conquistato, dopo violenti scontri, dagli Aldighieri di Parma per poter controllare alcune saline (l’acqua delle Terme di Salsomaggiore veniva in passato utilizzata per la produzione di sale). Gli Aldighieri di Parma (detti in seguito "di Contignaco" o "di Val di Pado"), appartennero alla stessa famiglia da cui discende Dante Alighieri. Il castello rimase nelle mani degli Aldighieri fino al 1537, anno in cui il feudo venne assegnato dalla Camera Ducale milanese agli Sforza-Pallavicino; in seguito passò ai Terzi di Sissa e quindi ai Farnese. Nel 1762 don Filippo di Borbone vendette il castello ai marchesi Ponticelli, che lo tennero sicuramente fino al 1834. Il feudo fu poi acquisito dal capitano Alberto Leva, quindi passò alla famiglia Boschi e in particolare a Maria Boschi che sposò il cav. Luigi Vicini. La proprietà passò poi agli eredi di quest’ultimo. Attorno al castello possiamo ammirare splendidi esemplari di querce (Quercus Robur L.), cedri (Cedrus Libanotica Lk.), cipressi (Cupressus Sempervirens L.), allori (Laurus Nobilis L.); notevole è la quercia ultrasecolare, con tronco di oltre due metri di diametro, all’ingresso del castello».

http://www.castellodicontignaco.it/index_file/Page1765.htm


CONTIGNACO (rovine del castello di Gallinella)

Foto di Davide Tansini (2015), dal sito www.facebook.com/tansinidavide?fref=photo   Dal sito www.vecchiasalso.altervista.org   Dal sito www.vecchiasalso.altervista.org

«Sempre nella zona di Contignaco, tra sterpi e rovi, si intravedono le rovine in un antico castello, per molti secoli baluardo dei Pallavicino, vicinissimo a Tabiano, anche per vincoli matrimoniali tra le due famiglie. Dopo la fine degli eredi di Nicolò nessuno ha cura del castello, che va progressivamente in rovina. L'antica torre svetta ancora fino alla metà del XX secolo, ma una cava di pietre nelle vicinanze ne ha affrettato il crollo: l'uomo distrugge più del tempo! Difficilissimo avvicinarsi: dura l'erta, solo tracce delle vie di accesso» - «Antichissimo maniero dotato di cinta muraria, una torre ed un torrione, fondato nell'XI secolo da Adalberto Pallavicino. Nel 1972 le ultime romantiche vestigia di questo castello vennero fatte crollare sotto la morsa delle ruspe per estrarne materiale da cava: così l'uomo moderno mostra di non avere alcun rispetto nemmeno per la propria storia. Ne rimane il ricordo solo in alcune antiche cartoline».

http://www.tabianoedintorni.it/salsomaggiore-fortezze-sale.php - https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=zMy-yCJmIIB4.k_NCGRkSSivU


Corniana (castello)

Il castello di Corniana in un affresco di Benedetto Bembo del 1452, dal sito www.tansini.it   La pieve di San Michele nella foto di Castelli Parmensi, dal sito www.comune.borgo-val-di-taro.pr.it   La rupe su cui sorgeva il castello, dal sito www.sixia.it

«Il pittoresco abitato di Corniana sorge in una piccola e remota valle, quella del  torrente Vizzana, un angolo di territorio dove pare che il tempo si sia fermato. Qui si trovano affascinanti spuntoni di roccia ofiolitica, e su questi speroni  esistevano più di 2000 anni orsono due villaggi primitivi. Il castello di Corniana sorgeva sul maggiore di questi denti di roccia. In origine apparteneva alla Mensa  Vescovile, nel 1219 fu concesso dall'Imperatore Federico II al Comune di Parma. Inizialmente era una fortificazione in legno, poi fatta murare dalla famiglia dei Rossi, al tempo della contesa con i Terzi (inizi del '400). Alcuni studiosi ritengono che il castello fosse stato costruito utilizzando i resti degli antichi villaggi, nel 1666 veniva già descritto in rovina, ed oggi dovrebbero rimanerne vaghe tracce sulla sommità della rupe. Ai suoi piedi sorse invece nel XIII secolo la pieve dedicata a San Michele Arcangelo, una delle più antiche pievi del territorio parmense, alcuni identificano qui dove oggi sorge questa pieve il luogo dove sorgeva l'antico castello, e forse costruire un luogo di culto in un luogo così antico poteva essere un modo per la Chiesa di appropriarsi di un luogo che aveva una forte valenza simbolica e spirituale sulla popolazione, un luogo che fu un centro di potere (il castello) e probabilmente un luogo dove si svolgevano antichi culti pagani. Questa pieve ha un aspetto turrito molto particolare, è da notare inoltre che la moderna chiesa di Corniana ha un campanile merlato che ricorda la torre di un castello, e questa è una caratteristica comune che ho riscontrato in altri luoghi: dove esisteva un castello sorge oggi un campanile che ricorda l'architettura di una torre, ed anche questo può essere interpretato come "riappropriazione" da parte della Chiesa e della comunità di luoghi che furono centro di potere, polo attrattivo, luoghi misteriosi e carismatici che si imprimevano come simboli nella memoria collettiva».

https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=zMy-yCJmIIB4.k_NCGRkSSivU


CORNIGLIO (castello)

Dal sito www.dodecapoli.com   Dal sito it.wikipedia.org

«Posto su un terrazzo che domina l'abitato di Corniglio, disteso a ventaglio ai suoi piedi, le strade che vi convergono e le vallate della Parma e del Bratica, è attestato almeno dal 1240, quando pare fosse provvisto di mura e di un fossato. Il castello fu voluto quasi certamente da Ugolino Rossi, che aveva ricevuto il feudo prima in possesso della Chiesa: i Rossi lo mantennero a lungo nonostante gli assalti di Jacopo Terzi (1408) e dei Fieschi (1582), e anzi fu rinforzato e ristrutturato all'interno da Filippo Maria Rossi. Nel 1560 esplose il deposito di munizioni, causando seri edifici e la morte di Marsilio Rossi. Il castello restò presidio anche dopo il passaggio dei feudi al ducato farnesiano (1593) e solo nel 1820, quando Maria Luigia lo passò in proprietà al Comune, fu riconvertito a sede di uffici amministrativi, a carcere e a deposito di armi. Dopo il 1860 divenne sede del Municipio di Corniglio. Dell'antica fortezza resta il corpo di fabbrica in arenaria affacciato a ovest. In uno spiazzo al centro è collocato il tempietto neoclassico dedicato ai Ss.Lucio e Amanzio, eretto sulle rovine di un antico oratorio benedettino. Del castello antico si vedono ancora speroni a scarpata delle mura perimetrali esterne, due bastioni angolari, uno circolare e uno a base triangolare. Abbondanti i rifacimenti successivi, a cominciare dalla torretta con orologio. In un'ala ristrutturata è stato ricavato un ostello con una cinquantina di posti letto distribuiti in otto camere, con servizi, di cui quattro con doccia, e una cucina dotata di tutti i più moderni comforts».

http://www.itccolamonico.it/dove-siamo/acquaviva/centro-storico-e-dintorni.html


Costamezzana (castello)

Foto di Castelli Parmensi, dal sito www.panoramio.com   Foto di Castelli Parmensi, dal sito www.panoramio.com   Dal sito www.camminideuropa.eu

«Le prime notizie relative al castello risalgono agli Statuti del 1297 dove si ha notizia di un fortilizio ghibellino distrutto dal Comune di Parma; confermando l’ipotesi della sua esistenza già dal sec. XIII quando l’imperatore Federico II infeudò queste terre, con il diploma pisano del 1249, ad Oberto il Grande della famiglia Pallavicino. Ricostruito dai da Comazzano, fu assediato e costretto alla resa dalla fazione guelfa di Parma nel 1325, quando signore di Costamezzana era Jacopo da Comazzano. Tornato ad essere dominio dei Pallavicino nel 1377, Niccolò Pallavicino ne ordinò la riedificazione ma, mentre erano in corso i lavori di totale riassetto del castello, fu accusato, da Barnabò Visconti signore di Milano, di complicità nell’uccisione del fratello Matteo signore di Lodi, Parma e castellano di Tabiano, con la conseguente interruzione immediata dei lavori. Nel 1389 Niccolò, Giovanni e Federico Pallavicino riacquistarono fiducia e favori del Duca di Milano e la Rocca di Costamezzana potè così essere ultimata verso il 1395, anno in cui l’imperatore Venceslao conferma l’investitura del feudo al casato Pallavicino. Il castello ricevette un nuovo e pesante battesimo di fuoco nel 1403, quando la Famiglia rivale dei Rossi l’assediò, decisi a vendicare l’incendio della Pieve di Altavilla, cioè Pieveottoville, in odio ai guelfi di Sommo e di Cavalcabò; a nulla valse l’eroica difesa di 600 militi al comando del futuro "Magnifico" della famiglia, il Giovane Orlando Pallavicino, che resistettero al primo assalto ma non ai successivi e maggiori nel corso dell’ anno, che costarono la devastazione del Castello e delle terre di Costamezzana. La storia continua nel 1445 quando per investitura della Corte di Milano il castello con tutto il feudo passò a Jacopo e Francesco Piccinino, eredi del condottiero milanese Niccolò, morto nel 1444. Alla morte di Orlando Pallavicino, tornato in possesso del castello nel 1455, il feudo di Costamezzana passò al figlio Gian Manfredo nel 1457, sul quale cadde una scomunica (8 giugno 1481).

Con la fine del XV secolo sembrano finire le notizie precise sulla sorte del Castello; per arrivare fino al 1706 quando il feudo era di ragione della Camera Ducale di Parma, che ne infeudò il piacentino Benedetto Mischi, Governatore di Parma, elevando Costamezzana al rango di marchesato. Alla soppressione dei Feudi per legge napoleonica del 1805 il castello era ancora possesso della famiglia Mischi, che lo conservò fino alla fine dell’800, quando essi lo alienarono alla famiglia Barbieri di Parma. II Castello di Costamezzana conserva ancora un aspetto abbastanza imponente, con la bella torre rotonda alla piacentina ed un mastio quadrato, dotato di ingresso al vertice contrapposto fronteggiante un ambiente trapezoidale e la torre circolare. In sporgenza su uno dei lati si eleva una specie di cubicolo che permette l’accesso al cortile, mentre alla base del triangolo è inserito un ampio "corridoio" che funge da ingresso principale. Nella parte più antica, individuabile dal forte spessore della muratura, le finestre, che danno luce ai pochi ambienti, sono fortemente strombate. L’antica cappella che ospitava la chiesa "Ecclesia S. Petri de Costa Mezzana Tabernariorum", con annesso il campanile, è passata al rango prima di stalla poi di fienile ed attualmente, restaurata esternamente, adibita a deposito. Gli altri edifici sono adibiti a casamento agricolo, ma in onore all’ipotesi che vuole il predicato Costamezzana dei Tavernieri "alle molte taverne e osterie" che nel medioevo ristoravano il passaggio sulla via francigena, il castello ospita una trattoria con tanto di cucina tradizionale parmigiana e vini delle coste di questa fertile e piacevole terra».

http://web.tiscali.it/noceto/costamezzana.htm


Felino (castello)

a cura di Elisa Delgrosso

  


FONTANELLATO (rocca dei Sanvitale)

Dal sito www.bassaparmense.it   Dal sito www.fontanellato.org

  

«Il nome Fontanellato trae origine dall'abbondanza di acque sotterranee e affioranti che da sempre caratterizza il paese e la fertile pianura circostante. Dominato dalla maestosa mole della Rocca, l'abitato (m 45, ab. 6083) ha origini longobarde; divenuto feudo dei Pallavicino, passò nel 1404 sotto il dominio dei Sanvitale, che lo fortificarono, imprimendogli quell'aspetto di borgo medievale che conserva tuttora, e trasformarono il castello in residenza signorile. Nel 1612, quando fu scoperto il complotto ordito da Alfonso II Sanvitale ai danni di Ranuccio I Farnese, il feudo fu confiscato, ma nel 1635 tornò in possesso della famiglia Sanvitale. La fama di Fontanellato è inscindibile dalla sua Rocca. Uno dei più interessanti fortilizi di tutta la regione: splendido esempio di architettura militare e residenziale, ricca di preziosi affreschi, fra cui un importantissimo ciclo di Parmigianino, è perfettamente conservata sia all'esterno che all'interno. Eretta all'inizio del '400 sull'area di una preesistente fortezza dei Pallavicino risalente al secolo XII, è formata da quattro corpi di diverso spessore, delimitati esternamente da una cortina merlata con quattro torri angolari - tre cilindriche e una quadrata - e da un ampio fossato, risistemato all'inizio del XVII secolo dall'architetto parmense Smeraldo Smeraldi. I balconcini e le finestre furono aggiunti durante le ristrutturazioni settecentesche; nella parte destra della facciata, al di sotto dell'attuale copertura, si notino i merli ghibellini accecati. Si visita tutti i giorni, ore 9.30-11.45, 15-18.15; da ottobre a marzo è chiusa il lunedì e la visita è consentita fino alle ore 17. Dal cortile si sale al primo loggiato, dove si accede alla sala d'Armi con un'ampia collezione di armi dei secoli XVII-XIX e ritratti di famiglia. Attraverso la sala da pranzo si giunge nella sala del Biliardo, che presenta soffitto e pavimento del tardo '400 e arredo ottocentesco; a destra si entra nella sala di Maria Luigia, dove, tra i cimeli della duchessa, si segnala la mano con fiore al polso realizzata nel 1820 da Antonio Canova. Il soffitto della sala da ricevimento, con travature dipinte a monocromo e fregio pittorico, risale al tardo '600; si notino inoltre il lussuoso arredamento settecentesco, una bella spinetta dipinta e uno stipo realizzato in ebano da un maestro nordico dei secolo XVII.

Si accede quindi alla splendida camera nuziale, con ricco arredo seicentesco e soffitto a lacunari, proveniente dall'antico santuario della Madonna; infine, attraverso la sala da ricevimento, si passa nella galleria dei Ritratti di famiglia, per lo più realizzati da un anonimo artista seicentesco. Una serie di sale al pianterreno, cui si accede ridiscendendo in cortile , è adibita a museo; si passa poi nella sala con il teatrino dei figli della duchessa Maria Luigia e in quella chiamata delle Donne equilibraste, dove frammenti di affreschi compongono un fregio monocromo popolato di amorini, figure femminili, sfingi e animali adagiati su un filo: sia questa decorazione che quella della sala seguente, la saletta degli Amorini, sono attribuite a un allievo di Cesare Cesariano. Si prosegue, all'interno dei torrione angolare, nella sala delle Grottesche: la tela delle Virtù teologali e cardinali è attribuita a Carlo Francesco Nuvolone. Si accede quindi alla smetta di Diana e Atteone: affrescata intorno al 1523, è considerata uno dei più raffinati e preziosi capolavori di Parmigianino, che verosimilmente si ispirò all'opera di Correggio della camera di S. Paolo a Parma. La volta è decorata con putti sullo sfondo di un fitto pergolato con, al centro, un ampio squarcio di cielo; all'apice dei soffitto un piccolo specchio rotondo reca il monito “respice finem” di chiaro respiro umanistico. Nelle 14 lunette sottostanti è raffigurato - secondo l'interpretazione più accreditata - il mito di Diana e Atteone, la cui ispirazione deriva dal ricco repertorio poetico delle Metamorfosi di Ovidio. La piccola stanza viene considerata il boudoir di Paola Gonzaga, moglie di Galeazzo Sanvitale, che commissionò gli affreschi e che troviamo ritratta nella figura femminile sopra la finestra. Concludono la visita la Camera ottica, nella quale, attraverso un ingegnoso sistema formato da specchi costruito alla fine dell'800, si vede riflessa la piazza del paese, e l'oratorio, del 1688, collocato nella parte superstite del mastio antico».

http://www.bassaparmense.it/paesi/fontanellato.htm


GRAVAGO (ruderi del castello)

Dal sito www.panoramio.com   Dal video www.youtube.com/watch?v=2PDj2Nj6Ujs

  

«Il nome di Gravago inizia ad apparire in atti ufficiali durante il sec. VIII, ed è legato alla fondazione del Monastero dedicato all’arcangelo San Michele. Nella zona piacentina vengono enumerati nel privilegio di Ildebrando, re dei Longobardi, del 21-3-744, ben 5 Monasteri, in città quelli di San Tommaso e quello di San Siro, in Diocesi quello di Fiorenzuola, di Val di Tolla, e di Gravago. Osservando la zona di Gravago da Bardi si può notare una netta separazione tra la parte alta e la parte bassa.  Il declivio abbastanza dolce che partendo dal torrente Noveglia giunge fino ad una linea approssimativamente identificabile con le frazioni di Brè, Pieve, Bergazzi, Osacca, si interrompe bruscamente contro una serie di contrafforti rocciosi a forte pendenza oltre i quali inizia la zona boschiva (la Tagliata, Cornaleto), ecc. che culmina con il Barigazzo. Su uno dei contrafforti più selvaggi si notano i resti di due costruzioni, non facili da scorgere, a causa del colore cupo che si confonde con le arenarie, esse sono i resti del Castello di Gravago e, spostata a monte rispetto al Castello stesso, la presunta torre di avvistamento denominata la Battagliola.  Importante per le comunicazioni fra la valle del Ceno e quella del Taro attraverso il valico del Santa Donna (precedentemente chiamato Sant'Abdon), il castello dominava questo punto di passaggio, obbligatorio anche per la via, di maggior rilievo, che univa Piacenza al mare per il passo del Bratello. Dopo la Rocca di Bardi, che ha continuato, dal 1000 ad eccellere dominatrice sulla valle del Ceno, il castello di Gravago è sempre stato il più forte di quel territorio tanto importante e contrastato in tutte le guerre intestine di quei tempi. ...».

http://www.valcenoweb.it/PAGINA-CULTURALE/galleria/galleria-castello-di-gravago/castellodigravagobardi.htm (a cura di Giuseppe Conti)


Guardasone (castello)

Foto di luci1, dal sito http://i.focus.it   Dal sito www.comune.traversetolo.pr.it

«Per chi proviene da S. Polo D'Enza, attraversando l'omonimo ponte, e volge uno sguardo curioso ad ovest, noterà, con piglio di piacere, l'erigersi di un castello sul rilievo montuoso antistante. È il castello di Guardasone, che espone la propria torre imperante al di sopra di un gruppetto di case: il borgo dell'Ariana. Fin dai tempi più antichi, la zona a sud dal ponte veniva identificata col toponimo di "Porta D'Enza", giacché, sul piano morfologico, assolveva a funzioni di viabilità per chi era diretto verso le valli appenniniche. Di fatto, anche sul piano sociale, attendeva a funzioni sia di carattere commerciali,sia di carattere strategico-militare. Fu per questa peculiarità che la zona venne insediata fin dai tempi neolitici da popoli migranti. Le prime tracce di queste genti, comparse in zona, fanno riferimento al periodo della media età del bronzo, facies delle terramare in località Servirola, seguirono poi, gli etruschi, i celti ed i romani. Queste genti non solo costruirono in loco strutture abitative e difensive ma anche di culto. Risale al 1165 la prima pergamena scritta attestante la presenza del castello di Guardasone, ma di certo è che una costruzione difensiva in loco era stata già posta in essere molto prima del X sec. Una colonna di stile romana, fu ritrovata all'interno del maniero e certificata dall'Intendenza ai beni storici di Parma. Piacevole sarebbe l'avvicinarsi a piedi,percorrendo l'ultimo tratto, quello che ci separa dal portale d'ingresso: un cancello in ferro battuto chiuso,sovrastato dall'occhio vigile di una telecamera. Certamente si respirerebbe una atmosfera d'impronta medioevale. Il maniero è privato. L'importanza della fortezza, così come si presenta, non rende giustizia a quella storia. L'aspetto più interessante è riferito al mastio, edificato su pianta rettangolare che è da considerarsi una eccezione alla regola di quel tempo, che li voleva di pianta quadrata. Il corpo di fabbrica attiguo al mastio, formato ad " L" è di costruzione recente,inizio 1900, quindi di scarso interesse architettonico. Dalla parte opposta della torre si apre un portale di stile gotico per l'arco acuto che lo caratterizza,serviva di passaggio dalla piazza d'armi all'area gentilizia del Signore feudale. Si notano pure attorno al colle i resti delle mura dirupate di coronamento. Questo castello, unito ai dirimpettai di Canossa e di Rossena costituiva uno dei cardini del sistema difensivistico canossano. ... Infine, l'ultimo tragico evento: sotto l'incalzare delle truppe farnesiane comandate da Ottavio Farnese nel 1558, posero sotto assedio in contemporanea sia Canossa che Guardasone, inducendo all'abbandono frettoloso il duca Ercole d'Este. Il Farnese purtroppo perpetuò al riguardo, una politica stolta: distrusse a mezzo di cannoneggiamenti le strutture di Guardasone, risparmiando solo il mastio, ma non solo, distrusse anche la Guardiola, rendendola mutila, cosi come oggi la si osserva. Da allora la fortezza di Guardasone precipitò nell'oblìo. La proprietà, oggi, è dell'avvocato Rondani, insigne studioso delle normative giuridiche medioevali».

http://www.valtermina.it/index.php?option=com_content&view=article&id=103:il-castello-di-guardasone&catid=38:storia&Itemid=65


LANGHIRANO (castello di Torrechiara)

Dal sito www.parmaitaly.com   Dal sito www.parmaitaly.com

  

«Il Castello di Torrechiara fu il coronamento di un idillio romantico, quello tra Pier Maria Rossi e l'amante Bianca Pellegrini. È senz’altro il castello più spettacolare, più strutturato e anche più frequentato della provincia di Parma e per questo è stato spesso usato come set cinematografico di film come Lady Hawke di Richard Donner, interpretato da Michelle Pfeiffer, Matthew Broderick e Rutger Hauer. Costruito tra il 1448 e il 1460 da Pier Maria Rossi (1413-1482), è un esempio tra i più significativi e meglio conservati in Italia di architettura castellare. è difeso da tre cerchia di mura e da quattro torri angolari, del Leone, del Giglio, di San Nicomede e quella di sud-est (una delle quali ha un possente sopralzo che le conferiscono quasi la prerogativa di mastio) che ne attestano la funzione difensiva, mentre la destinazione residenziale è provata dalla ricchezza degli affreschi a "grottesche" di Cesare Baglione e da una serie di splendide stanze riccamente affrescate. La Camera d'Oro è, forse una camera nuziale ma le si attribuisce anche la funzione di cancelleria del castello (qui infatti si suppone che venga steso il testamento di Pier Maria Rossi), certamente la stanza più conosciuta del castello. Gli affreschi sono attribuiti a Benedetto Bembo, che affrescò una figura femminile (Bianca Pellegrini, amante di Pier Maria Rossi) in abiti da pellegrina, che percorre tutte le proprietà del suo amante, rappresentate con grande cura di particolari (nelle vele i possedimenti montani, nelle lunette quelli di collina e pianura).  La Sala della Vittoria che è affrescata al centro della volta in uno squarcio di cielo. Le altre raffigurazioni sono strutturate entro motivi architettonici collegati da festoni. La Sala degli Angeli con al centro della volta, l'arma degli Sforza, e alle vele angeli che si affacciano da balaustre. Nelle lunette, uccelli con stemmi degli Sforza di S. Fiora e famiglie collegate. Il Salone dei Giocolieri, caratterizzata da un affresco di Baglione nel quale dei nudi su leoni si prodigano in acrobatici esercizi fino a formare una specie di piramide umana. Notevole anche il fregio con scene di battaglia e figure femminili, inoltre sono presenti monocromi con architetture e grottesche su tutte le pareti. La Sala del pergolato, anch’essa affrescata da Cesare Baglione: nella volta un pergolato e alle pareti figure femminili, a cui si sono sovrapposti paesaggi con uccelli vari. La Sala dei paesaggi con decorazioni paesaggistiche entro ovali, con raffigurazioni di castelli e grottesche alle pareti. La Sala di Giove sempre di Cesare Baglione con la figura di Zeus sulla volta e motivi a grottesche, putti, cartigli, architetture fantastiche.

Quasi tutti i castelli italiani sono stati costruiti in mattoni e solo nelle aree nord e sud della nostra penisola veniva utilizzata la pietra. Questo dà ai castelli dell’Italia Centrale un caratteristica del tutto particolare e, nel Castello di Torrechiara, se ne raggiunge la massima espressione costruttiva. L'uso dei mattoni, rispetto alla pietra, influisce fortemente anche sulla forma dell'edificio stesso: per esempio, nella costruzione dei beccatelli (le mensole che sostengono il cammino di ronda,lasciando gli spazi per le caditoie), che la realizzazione in mattoni rende molto più lunghi e rastremati delle mensole di pietra usate in Francia o in Inghilterra. Tra gli ambienti 'minori' ma degni di visita è la vasta cucina del castello, con i suoi forni e strutture in muratura, conservatisi nei secoli. Salendo, via via al castello, è interessante notare i vari accorgimenti difensivi che permettevano di compartimentare l'edificio, come i ponti levatoi e gli ingressi protetti, e di moltiplicare le difese, come ad esempio le strade esposte al tiro delle mura che le sovrastano o i camminamenti sbarrabili e così via: quasi un'antologia delle tipiche difese di un castello medievale. Per renderlo sicuro, Pier Maria fece costruire tre cerchia di mura: la prima circondava la collina su cui esso sorgeva, la seconda il borgo, la terza il castello vero e proprio. Per oltrepassare ogni complesso di mura, ci si serviva di un ponte levatoio, oggi segnalato dalla presenza, sul muro soprastante, di scanalature entro cui si inserivano i bolzoni, le travi portanti i ponti stessi. La seconda cerchia di mura si apriva all’esterno tramite due ponti levatoi: uno più piccolo, per il passaggio pedonale, l’altro, più grande, per l’ingresso dei carri o dei cavalieri. Furono scavati due fossati: uno circondava il borgo, l’altro il castello. Oggi ne è rimasto uno solo, vicino alla biglietteria. Attualmente è asciutto, ma si presenta esattamente come lo volle Pier Maria: profondo, largo, privo d’acqua, perché un soldato impegnato a risalirne la ripida scarpate finiva con l’essere un bersaglio molto facile per le sentinelle che vegliavano dall’alto. Anche le torri contribuivano a difendere il castello: ognuna di esse era corredata di feritoie, di caditoie, di merlature. Quando si costruivano già torri rotonde perché fossero meno danneggiate dall’artiglieria nemica tutte le torri del castello di Torrechiara hanno una forma quadrata, come le antiche rocche medioevali. Sia l’orientamento che la posizione della rocca facevano sì che gli assalitori si trovassero il sole in faccia mentre i difensori alle spalle. Le mura si impostano tutte su alte scarpe; ciò serviva a tenere lontano i nemici, a rendere più difficile la scalata, a resistere all’urto dei proiettili che le prime armi da fuoco lanciavano contro le mura stesse ; inoltre, avevano la funzione di contrastare la spinta del retrostante terrapieno . Per aumentare la protezione dei soldati, lo spazio tra un merlo e l’ altro poteva essere chiuso con imposte di legno apribili a bilico, e dette ventiere, di cui si possono vedere gli occhielli di aggancio ai merli stessi. Merita più di uno sguardo, dalle altane o dall'alto delle torri, il paesaggio intorno, di cui il castello domina visivamente tutte le vie di approccio».

http://www.bluedragon.it/medioevo/roccaforti/italia/castello_Torrechiara.htm


MONTECHIARUGOLO (castello)

Dal sito www.parmaitaly.com   Dal sito http://casato-dei-rossi.forumattivo.com

«Il castello di Montechiarugolo fu edificato nell'arco dei secoli, più volte distrutto, più dal tempo che non dalle guerre, e più volte ricostruito. La forma attuale gli è stata data dal conte Guido Torelli (investito della carica nel 1406), e probabilmente fu ripresa e ampliata una vecchia costruzione di diversi secoli prima. Il Catello restò di proprietà dei Torelli fino alla morte del pronipote di Guido, Pio (1612); successivamente fu affidato allo Stato e usato come magazzino alimentare, divenne poi proprietà dell'Imperatrice Maria Luigia d'Austria (moglie di Napoleone) che lo trasformò in magazzino di materiali bellici e così restò anche nel corso delle guerre mondiali pur appartenendo alla famiglia Marchi dal 1870. Oggi il castello è proprietà privata della stessa famiglia marchi, e solo una parte è aperta al pubblico (cinque stanze, il giardino e il loggiato). Il castello sorge in una posizione strategica, infatti domina la valle dell' Enza che in passato, come oggi, segna il confine della provincia di Parma (un tempo Ducato). Era una fortezza praticamente inespugnabile per le armi del tempo, essendo dotato di un ampio fossato profondo una trentina di metri e largo altrettanto; il compito del fossato era di difendere il castello sui lati sud e ovest, essendo la fortezza già difesa sugli altri lati dal fiume Enza. Il fossato non ha mai contenuto acqua e la sua forza era data dalla profondità e dalla larghezza. Le mura sono coronate di merlature, caditoie e arcierie, e l'accesso era consentito da due ponti levatoi. Oggi i merli sono ancora visibili, ma sono ricoperti dal tetto che in origine non c'era e che è stato costruito nel tentativo di difendere il castello dagli agenti atmosferici. Inoltre le pareti della fortezza sono state studiate in modo da "resistere" alle nuove armi del periodo: i cannoni. Esse infatti in alcuni punti raggiungono spessori di 2.5 metri. Il mastio sovrasta il piccolo borgo, e proprio sul mastio sono visibili i segni delle varie ricostruzioni sia per la tecnica che per i diversi materiali usati. La visita inizia del cortile interno del castello, oggi arredato di aiuole e palle di cannone, ma che in tempi passati era abbellito con statue di autori parmigiani. Dal cortile è visibile anche la vecchia biblioteca del conte Pomponio, che andò bruciata in un incendio poco dopo la morte del conte.

La prima sala visitabile, l'ingresso, è una rassegna di tutti i più illustri membri della famiglia Torelli. Alle pareti infatti sono appesi i ritratti di duchi, conti, e persino papi imparentati con la famiglia, mentre sul soffitto, in buona parte danneggiati dagli anni passati come magazzino, sono presenti gli affreschi degli stemmi delle casate amiche e sul soffitto s'intravedono quelli dei Torelli e dei Visconti (il leone con la fiamma in petto e il biscione) ai quali era dovuta l'investitura di Guido. La seconda stanza Presenta un soffitto riccamente affrescato e un mobilio settecentesco. La terza stanza è ricca di significati simbolici: Il soffitto era affrescato, ma col il passare del tempo e soprattutto della polvere da sparo, si è andato perdendo l'antico disegno e oggi si può ammirare solo una copia dell'originale. Alle pareti sono presenti le raffigurazioni originali dei quattro elementi che riportano alla passione segreta del conte Pomponio per l'alchimia e l'esoterismo. Sul lato est della sala (quello rivolto verso il fiume), nello strombo della finestra si può ammirare una splendida Annunciazione, che alle prime luci del giorno veniva avvolta dalla luce del sole che le conferiva un'aria magica. Anche in questa stanza, come in tutte le altre, il soffitto presenta una volta a crociera. Successivamente si passa al loggiato esterno, che percorre tutto il lato est del palazzo e che si affaccia sul letto del fiume. Da questo punto era inoltre ben visibile il castello di Montecchio e le luci dei castelli matildici di Quattrocastella nella provincia reggiana. Il pavimento è originale e in cotto. Da qui si passa alla stanza da letto, che probabilmente in passato era lo studio di Pomponio. Il soffitto a crociera mostra negli spicchio le quattro attività dell'uomo ovvero la pesca (a est), la guerra (a sud), la pastorizia (a ovest) e la coltura (a nord). Sulle pareti, invece sono riportate le quattro ore del giorno: a est l'alba con un fanciullo con uno specchio che riflette il sole e un gallo che canta, a sud il giorno con un uomo che miete il raccolto, a ovest il tramonto con un vecchio che tiene in mano una clessidra nel quale è quasi scesa tutta la sabbia, infine, a nord, la sera rappresentata con una donna che dorme accerchiata da una cicogna, da un piccolo putto con un seteccio dal quale scende oro, e una civetta. Gli autori di tutti gli affreschi nelle sale del palazzo non sono ancora conosciuti con certezza, ma si ritiene che siano artisti parmigiani ispirati dalla scuola del Correggio, del Romano e del Paganino. Il mobilio nella stanza presenta un piccolo letto, una culla, e un ricco armadio settecentesco in stile barocco. Lungo le pareti, prima dell'inizio degli affreschi, si trova una copertura in legno proveniente, probabilmente, dalla sagrestia della vecchia chiesa del paese. L'ultima stanza è quella più legata alle leggende del paese, infatti è piccola e buia, e ha annesso una minuscola stanzetta, protetta da una porta di vetro, dietro la quale riposa una mummia trovata nel '700 all'interno del castello».

http://www.daltramontoallalba.it/luoghi/montechiarugolo2.htm (a cura di Lorenzo Grazzi)


Noceto (castello)

a cura di Elisa Delgrosso


Panocchia (castello Cantelli)

Dal sito www.ciato.it   Dal sito www.visititaly.it

«La prima notizia del luogo, sicuramente di origini romane, è datata 1 giugno 880. Comune autonomo sino al 1943, poi 1950/1963, oggi delegazione di Parma. La parte più antica che rimane è costituita da alcuni immobili rustici allora dei feudatari Cantelli, ai quali è dovuta la costruzione del castello attorno al 1500. L'edificio, già residenza estiva dei conti Bevilacqua, è accanto alla chiesa, un tempo cappella del maniero. Oggi è monumento nazionale».

http://castelliere.blogspot.it/2012/05/il-castello-di-martedi-15-maggio.html


PARMA (castello di Porta Nuova non più esistente)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito it.wikipedia.org

«Fatto erigere da Bernabò Visconti sul luogo dove oggi si trova il Monastero delle Cappuccine. Era composto da quattro torri collegate alle mura della città e al ponte di Donna Egidia (attuale ponte Caprazzucca). Molto amato e molto utilizzato anche come residenza dallo stesso Bernabò e da suo figlio Gian Galeazzo Visconti. Si sa che nel 1564 il castello era in via di demolizione ma ne rimanevano ancora alcune vestigia».

http://www.mashpedia.it/Monumenti_scomparsi_di_Parma#Castello_di_Porta_Nuova


PARMA (Cittadella)

Dal sito www.conosciparma.it   Dal sito www.parmapress24.it

«La Cittadella è una fortezza a forma pentagonale con bastioni e fossati, un tempo colmi d'acqua, progettata da Francesco Paciotto e Smeraldo Smeraldi, su modello di quella che esiste ad Anversa. La costruzione della massiccia struttura ebbe inizio verso la fine del Cinquecento, per volere di Alessandro Farnese, terzo duca di Parma, e fu portata a termine sotto Ranuccio I nel 1599. Pur costruita per scopi difensivi, La Cittadella fu utilizzata per secoli dai Duchi di Parma solo come caserma, come prigione per reati politici e come luogo di supplizi. La porta principale è ornata da un portale marmoreo con base a bugnato e con un grande stemma dei Farnese, opera di Simone Moschino. All’interno, sulla sinistra si trovavano le stalle e sulla destra - al limitare della piazza d'armi - sorgeva l'antica chiesa dedicata alla Vergine, di cui rimangono tracce del perimetro. Dopo la demolizione delle caserme, operata nel secondo dopoguerra, La Cittadella, lungi dall'incutere timore, distribuisce generosamente ombra e refrigerio a cittadini e sportivi che ne percorrono gli ombreggiati bastioni attrezzati con attrezzi ginnici o le suggestive bassure recentemente ripulite e rese agibili».

http://guide.travelitalia.com/it/guide/parma/cittadella-parma/


PARMA (mura, porte)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito it.wikipedia.org

«LE MURA. Con l’aumentare del numero degli abitanti la città dilatava i suoi vecchi confini tanto da organizzare più avanzate difese senza, tuttavia, distruggere le antiche. Questi nuovi confini evidenziano il cammino urbanistico della ‘civitas’, mostrano l’evolversi dei sobborghi lungo il decumano, asse fondamentale per il transito, e il susseguente ruotarsi a ventaglio della rete viaria, dei borghi e della nuova cinta. L’ordine temporale del posizionamento dei circuiti murati presenta la seguente sequenza: 1100; 1169; 1178; 1210; 1230; 1261; 1262-1303. Nel 1100 il tracciato è limitato al solo quadrante orientale alla destra del torrente. Nel 1169 il Comune, dopo il consolidamento del suo pieno diritto all’autogoverno, in competizione prima col vescovo e poi con l’imperatore, deliberò di cingere parte della città con un “terraglio” che inglobasse alcuni borghi e i monasteri di San Paolo, San Giovanni Evangelista, San Sepolcro, che erano sorti a nord e ad est, racchiudendo cosi anche il Duomo ed il Palazzo vescovile. Il termine “terraglio” corrispondeva ad un sopraelevamento di terreno, come un argine tolto dalla fossa scavata ai suoi piedi, sul quale venivano impostate ulteriori opere di protezione, che erano quasi tutte in legno, composte da palancati, bertesche, torrette e corridoi. La grossa alluvione del 1177 distrusse completamente il lato ovest della cinta muraria, per arginare i danni causati dagli straripamenti dei torrenti Taro, Enza e Parma e riassettare gli sconvolgimenti idrografici del comprensorio, si affrontarono imponenti opere di colmatura che portarono al livellamento della cosiddetta “fossaccia” formatasi con la deviazione della Parma nei pressi della Ghiaia. Nel 1212 vennero notevolmente ampliate in Capo di Ponte le fosse tanto da comprendere la chiesa di Santa Croce (eretta nello stesso momento lungo il decumano) e l’ospedale-xenodochio di Rodolfo Tanzi (fondato nel 1201 in Borgo Taschieri oggi Borgo Pietro Cocconi). Vicino alla chiesa di Santa Croce venne impostata, con travi e tavole “a guisa di bertesca” una Porta che da essa trasse il nome.

Attorno alla vecchia fossa, che venne abbandonata si formò un Borgo che si chiamò “delle fosse”. Il nuovo perimetro procedeva a sud, pressappoco, da Santa Croce per l’attuale Via Cocconcelli, lambiva la chiesa di San Giuseppe e giungeva al “Ponte di Donna Egidia”; a nord non si allontanava di molto dal decumano e dall’attuale Borgo Santo Spirito. Anche le rimanenti fosse della città vennero riattate, specie nei pressi di Porta San Michele dell’Arco e venne emanata un’ordinanza che vietava, probabilmente per ragioni economiche e fiscali legate alla”civitas”, qualsiasi costruzione al di fuori di esse. ... Dal 1262 la cinta della città rimase tale per tutto il rimanente periodo comunale. Urbanisticamente vennero modificate strade, rifatti ponti e rafforzate le opere fortificate. Nel 1276 straripò il torrente inondando alcuni borghi e danneggiando i ponti, ancora in legno, di “Galeria” e di “Donna Egidia”. Due anni dopo il Comune decretò che venissero rifatti in pietra e mattoni, entrambi furono finiti nel 1283-84. Il Ponte dei Salari venne, invece, distrutto dall’impeto del torrente nel 1287 e ricostruito l’anno seguente. Nel 1277 venne ampliata la Strada Claudia, dal Portico di Santa Cristina sino al Portico di San Vitale, in “recta linea” e venne fabbricata per la terza o quarta volta la “Porta di San Barnaba”. Nel 1284 venne edificato un muraglione lungo il torrente dopo la “chiesa di Santa Maria del Tempio”, affinché l’acqua non distruggesse gli edifici ed alzandosi non entrasse nella città e la allagasse. Per tutelare le entrate daziarie furono fabbricate due torri sulle due sponde del torrente, affinché non venissero condotte fuori mercanzie e prodotti senza licenza del Comune. Nel decennio seguente vennero rifatte in muratura le Porte di Sant’Egidio, di Benedetta e di San Barnaba, nei pressi di quest’ultima ne venne aperta un’altra: la “Porta di San Mattia”; venne eretto un muro dal Ponte di Donna Egidia al Ponte di Pietra; inoltre tutte le fosse vennero approfondite fino a dodici braccia (circa 6 metri).

LE PORTE. La porta si qualifica come elemento di passaggio ben protetto e difeso, tatticamente inserito nel sistema fortificato delle mura avvolgenti la città. Nel medioevo si diffonde particolarmente un tipo di porta a vano rettangolare architravato con arco superiore di scarico e lunetta talora decorata. Vengono ovunque sperimentate nuove tipologie, dove i portali che incorniciano i punti di passaggio evidenziano la solidità della struttura muraria più che non il gioco distributivo o l’articolazione del sistema di penetrazione nello spazio urbano. Nei secoli XI-XII la porta è posta talora in una rientranza delle mura e nella cortina fra due torri come già in epoca romana. è però sempre il punto debole di ogni fortificazione, verso di essa infatti, erano rivolti gli attacchi. Tra il XII e il XIII secolo, l’ordinamento difensivo muta radicalmente, tanto da costituire generalmente un fortilizio in grado di difendersi autonomamente. Sono ormai superate le porte sormontate da torre, per una maggior difesa vennero innalzati, all’esterno, barbacani e altri ostacoli, vennero innalzate, vicino alle porte le “antiporte” o “pivellini”, le torri laterali vennero ravvicinate formando con la porta un unico corpo difensivo. A partire dal Quattrocento le porte di città e anche quelle delle fortezze, pur conservando la sobria severità richiesta dal loro carattere militare, si abbelliscono di riquadrature e cornici di pietra e di altre decorazioni pittoriche e architettoniche con stemmi e targhe. Insieme ai santi protettori e agli stemmi araldici, comparvero sculture o dipinti raffiguranti eroi o soggetti allegorici (come nella porta di San Francesco). Alle immagini scolpite si aggiunsero, sugli architravi o sugli stipiti, motti ispirati alle gloriose imprese o iscrizioni rievocanti il nome del principe fondatore dell’opera. La porta è ornata in relazione alla sua funzione, presentata più o meno ornata e “abbellita”, a volte come rude fortilizio, altre volte come fastosa entrata di città o di ricca dimora signorile».

http://xoomer.virgilio.it/parmanelweb/statuti-parma.htm


PARMA (palazzo del Comune)

Dal sito www.linkiesta.it   Dal sito http://turismo.parma.it

«Il palazzo del Municipio, sede di rappresentanza dell'amministrazione comunale di Parma, si trova nel centro della città all’incrocio fra il cardo e il decumano, dove ora sorge piazza Garibaldi. La costruzione del “Palacium novum communalis”, iniziata nel 1281 fu completata nel 1282 e da subito venne usata come sede del governo e ospitò sia il potestà che il capitano. Della struttura duecentesca rimane la parte in laterizi merlata e alleggerita da trifore, mentre la struttura porticata antistante l’entrata risale ai primi decenni del 1600. L’edificio comunale viene infatti travolto dal crollo della torre realizzata all’inizio del XV secolo. Il porticato viene quindi costruito su progetto di G. B.Magnani e la direzione di Andrea Scarpa nel 1623 per essere completato nel 1673. Lo stile è quello del Palazzo farnesiano di Piacenza. Nel lato verso Borgo San Vitale è possibile ammirare una fontana progettata da Paolo Toschi e sormontata da una statua bronzea rappresentante la lotta fra Ercole e Anteo, statua molto amata dai Parmigiani e denominata “i dö brasé”, opera dello scultore fiammingo Teodoro Vandersturck».

http://turismo.parma.it/page.asp?IDCategoria=260&IDSezione=1099&ID=35030


PARMA (palazzo Ducale)

Dal sito www.arganteviaggi.it   Dal sito www.paesionline.it

«Il primo nucleo dell'attuale palazzo fu forse un castello visconteo posto in riva al torrente Parma, a difesa delle mura cittadine. Da quel castello, tramutato in casino dai Sanvitale ai primi del XVI secolo, Ottavio Farnese decise di ricavare la sua nuova residenza, creando un giardino nella grande area verde circostante. Nel tempo schiere di pittori si alternarono a decorare la reggia ducale. Ancora ammirabili sono gli affreschi cinquecenteschi del Mirola e del Bertoia, quelli seicenteschi di Alessandro Tiarini e le raffigurazioni mitologiche di Agostino Carracci, Carlo Cignani e Gian Battista Trotti, detto il Malosso. In un androne interno, ancora nel Seicento, trovava spazio una grande fontana comunicante con l'esterno, poi demolita. Per volere dei Borbone, nel Settecento l'architetto Ennemond Alexandre Petitot intervenne sull'edificio, dandogli un aspetto più classicheggiante. Nuove decorazioni vennero eseguite nelle sale interne tra cui quella spettacolare del Bossi, sulla volta della Sala degli Uccelli. Nell'Ottocento anche Maria Luigia ordinò rimaneggiamenti ad opera di Nicolò Bettoli, il progettista del Teatro Regio. Parte del Palazzo venne distrutta durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e in seguito ricostruita. Nell'ultimo intervento è stato realizzato un nuovo impianto di illuminazione dell'edificio. Dagli scavi effettuati nell'area prospiciente il palazzo sono emerse tracce delle mura a difesa della città, di epoca medievale, e un tratto del probabile canale di adduzione per l'acqua della fontana monumentale del palazzo o per le fortificazioni del castello visconteo. Tutto il materiale leggero è stato recuperato e archiviato per successivi studi».

http://www.servizi.comune.parma.it/giardinoducale/architetturaita.html


Parma (palazzo Pallavicino)

Foto di leochiodojeans, dal sito www.panoramio.com   Foto di Udo Schröter, dal sito www.flickr.com

«Alfonso Pallavicino, del ramo di Zibello, fece erigere nel 1646 l'attuale edificio, sede dal 1977 del Tribunale Amministrativo Regionale, su un palazzo di fine '400 inizi '500, di proprietà degli Sforza di Santafiora. La facciata, databile verso il 1705, si caratterizza per la disposizione delle finestre di dimensioni e disegno diversi e incorniciate in marmo, poste in fuga prospettica al fine di dare maggior forza e rilievo al portale sovrastato da un balcone sorretto da mensole. Nell'interno: cortile barocco, scalone balaustrato a tre rampe, di stile bolognese della fine del '600, adorno di grandi statue; numerose sale, trattate a stucco, presentano camini in marmi austriaci sovrastati da specchiere e riquadri; salottino cinese con pavimento settecentesco in marmo intarsiato a più colori; salone decorato e affrescato da Sebastiano Galeotti. Nel palazzo si trovano, inoltre, quattro sovrapporte del reggiano Girolamo Donnini, risalenti al secondo decennio del '700 e tele da soffitto dello stesso autore, nonché del bolognese Aureliano Milani e altre sovrapporte del Bresciani. Come arrivare: situato in centro storico, a pochi minuti a piedi da Piazza Garibaldi. Il palazzo non è visitabile».

http://www.turismo.comune.parma.it/it/canali-tematici/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/ville-dimore-teatri-storici/palazzo-pallavicino


Parma (palazzo Tirelli)

Foto di Antirelli, dal sito it.wikipedia.org   Una finestra rinascimentale del palazzo, foto di Antirelli, dal sito it.wikipedia.org

«Tra gli edifici di maggiore interesse a Parma c’è senz’altro Palazzo dei marchesi Tirelli. L’edificio è il maggiore esempio di palazzo padronale con architettura rinascimentale a Parma con influsso lombardo, in buono stato di conservazione. Molto bella è la facciata quattrocentesca. Le finestre sono integre, in cotto, contornate da un davanzale che sorregge delle lesene, sovrastate da un timpano triangolare. L’androne di ingresso reca decorazioni quattrocentesche, in cui è inserito il simbolo di San Bernardino. Sul lato est dell’edificio è presente un’arcata chiusa in mattoni. Lo scalone a tre rampe probabilmente è stato realizzato tra il sei ed il settecento. Il piano nobile è stato decorato in modo prezioso. Nel corso dei secoli il palazzo divenne residenza di nobili casate. Nel XIV secolo esso apparteneva ai conti Bajardi, mentre nel diciassettesimo secolo era di proprietà di alcuni discendenti dei conti Garimberti. Agli inizi del XIX secolo il palazzo passò sotto il possesso dei Marchesi Tirelli, famiglia resa nobile da Francesco Farnese, l’allora duca di Parma. Gli eredi di Palazzo Tirelli sono ancora oggi proprietari di una parte importante del palazzo».

http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-parma/cartina-monumenti-parma/monumenti-parma-palazzo-tirelli.htm


PARMA (torre Civica non più esistente)

Immagine di Alfredo Zerbini, dal sito it.wikipedia.org   Immagine di Alfredo Zerbini, dal sito it.wikipedia.org

«Era il vero simbolo di Parma e probabilmente la torre più alta d'Italia con i suoi 130 metri di altezza. Fu costruita nel 1287 a fianco dell'antico Palazzo del Capitano del Popolo, sede del Comune e residenza del Podestà, e in seguito più volte sopraelevata. A base quadrata con cuspide ottagonale, era ricoperta di marmi e decorazioni. Poteva inoltre vantare un bellissimo orologio con figure meccaniche in movimento, rappresentanti angeli e magi. Il peso di questo manufatto potrebbe aver concorso all'improvviso crollo della torre il 27 gennaio 1606, in cui persero la vita decine di persone. Alcune teorie gettano ombre sulla capacità di architetto di chi ne studiò la sopraelevazione. Lentamente la torre divenne pendente con uno scarto dalla verticale di circa 110 cm. Ampie crepe avevano già fatto la loro comparsa e stavano per partire lavori di manutenzione, che tuttavia non furono abbastanza solerti. L'architetto Giovan Battista Magnani così descrisse la situazione della torre il 24 settembre 1605: "Calarono le fondamenti in modo che vi si è cagionata la declinazione di tutta la torre civica di once 24 [108 cm] … verso settentrione … dal piano d’archivio sino alla sommità della seconda stanza … Sono molte aperture per il longo quasi a perpendicolo, et altre sono oblique … con molte gonfiezze … che causano svuotature nel corpo della muraglia, in modo che vi si può conficare facilmente un braccio umano … Per mio parere conchiudo che detta torre potria ruinare in breve". Essendo utilizzata anche come archivio storico della città, molti documenti andarono per sempre distrutti, così come il sottostante palazzo del Capitano del Popolo, che venne completamente ricostruito nel 1627 ad opera del Magnani. La nuova torre prevista nel progetto iniziale non venne mai realizzata, nonostante esistano ancora oggi gli originali progetti di Simone Moschino, Girolamo Rainaldi, Gian Battista Magnani e Smeraldo Smeraldi. Sono rimaste pochissime immagini originali della torre civica. La torre continuò a comparire per molto tempo nelle immagini di Parma, soprattutto in cartoline, anche dopo il suo crollo».

http://it.wikipedia.org/wiki/Monumenti_scomparsi_di_Parma#Torre_civica


PELLEGRINO PARMENSE (castello)

Dal sito www.preboggion.it   Foto Solaxart, dal sito www.preboggion.it

«Nell'anno 981 Pellegrino fu concesso dall'imperatore Ottone II con titolo di marchesato ad Alberto di Baden, capostipite dei Pallavicino il quale diede inizio alla costruzione del Castello: un possente fortilizio che dalla sommità di una collina domina il paese. Nel 1198 il Castello fu riedificato da Guglielmo Pallavicini e da questo momento la storia del Borgo è legata a quella del maniero. La struttura possente del castello con le sue mura ciclopiche che lo proteggevano dagli assalti esterni rese negli anni leggendaria la fermezza con cui il Castello si difese senza cedere ai numerosi attacchi. La sua invincibilità venne a cadere nel 1428 ad opera del comandante di ventura perugino Niccolò Piccinino, inviato dai Visconti, che tenne il Castello e lo passò ai figli. Nel 1742 passò ai Fogliani e successivamente ai Meli Lupi di Soragna. I continui passaggi di proprietà hanno sminuito la conservazione del fortilizio ed all'inizio della seconda guerra mondiale, spoglio di ogni bellezza venne usato dai tedeschi come torre di osservazione e base di appoggio per massicci assembramenti di truppe. Recentemente ristrutturato ad opera di imprenditori privati è ritornato agli antichi splendori. Sulla facciata del maniero bifore murate e merlature ghibelline testimoniano le numerose trasformazioni che hanno caratterizzato la sua storia. Ora residenza privata può essere visitato previo appuntamento».

http://turismo.comune.parma.it/tportalparma/application/tportal/engine/pubblica.jsp?db=tportalparma&ID=VisualizzaIAT&NREC...


Pietramogolana (ruderi del castello)

a cura di Elisa Delgrosso


ROCCABIANCA (castello)

Dal sito http://maps.google.it   Dal sito http://turismo.parma.it

  

«Fu Pier Maria Rossi, feudatario del paese, a volere l'erezione della Rocca nel sesto decennio del XV secolo: la leggenda vuole che il condottiero la dedicasse all'amante Bianca Pellegrini, da cui il nome derivò il toponimo del paese. Si tratta di un castello di pianta regolare, quadrangolare, con i lati lunghi perpendicolari alle strade del paese che sboccano nella piazza del mercato (piazza Minozzi), in modo tale da trovarsi nel cuore dell'abitato. La natura evidentemente non solo romanticamente residenziale ma anche spiccatamente difensiva, e non avrebbe potuto essere altrimenti per un feudo posto all'incrocio di lotte sanguinose fra Rossi e Pallavicino, si nota dai possenti speroni angolari sull'asse meridiano, dal podio a tronco di piramide su cui poggia il fortilizio, dagli spioventi. Al di sopra del blocco murario spicca il mastio a due livelli, posto nel cortile dalla parte opposta dell'ingresso principale: la struttura è analoga a quella di Torrechiara, Noceto, Varano Melegari e Castelguelfo. Gli elementi architettonici del complesso rivelano comunque le composizioni in epoche diverse e i rimaneggiamenti. All'interno si trovavano una volta preziosi e celebri affreschi attribuiti a Niccolò da Varallo, con le Storie di Griselda (tratte dalla nota novella decameroniana) e il Ciclo astrologico, voluti da Pier Maria Rossi, e nel 1897 staccati e trasferiti nel Museo del Castello Sforzesco a Milano. Il soffitto della sala del primo piano dove erano ospitati gli affreschi conserva ancora un fondo azzurro-firmamento forse allusivo alle gesta rossiane. Recentemente restaurata, con recupero di soffitti a cassettoni del tardo XV secolo, è proprietà privata».

http://turismo.parma.it/page.asp?IDCategoria=260&IDSezione=1094&ID=34670


Roccalanzona (resti del castello)

Foto di Giorgio Tanzi, dal sito www.valcenotrek.it/ValCeno/IT06/album/slides/IMG_7995.html   Foto Giuseppe Beppe Conti, dal sito www.valcenoweb.it

  

«Nel territorio di Medesano, in provincia di Parma, esiste una rocca che sfida ancora oggi i cieli, raccolta su un colle che sovrasta il torrente Dordone. I suoi resti gloriosi testimoniano la storia travagliata e complessa che ha vissuto, ma offrono anche fortissime suggestioni, che alimentano leggende ancora oggi molto sentite tra gli abitanti del piccolo paese di Roccalanzona. Esistono diversi percorsi per arrivare al maniero: uno di questi parte dall’abitato di Ramiola ed è la “Strada di Maria Longa”, un’antica via di crinale che consentiva in modo decisamente più sicuro di raggiungere il mare dalla Pianura Padana, evitando le diverse insidie e i pericoli del percorso lungo il fiume.  Dopo qualche chilometro tra la natura incontaminata è possibile osservare il Castello di Roccalanzona, o meglio, quello che ne rimane; infatti, dell’antica rocca, che fu dipinta da Benedetto Bembo nel 1463 all’interno del Castello di Torrechiara, oggi si conservano solo le rovine: alcune parti di mura, i resti del grande mastio e una porzione di stanza che termina con un soffitto a volta. Questo maniero ha una storia ormai millenaria alle spalle: già nel 1028 venne citato all’interno di una pergamena che è conservata attualmente presso l’Archivio di Stato di Piacenza. In tale documento si trova scritto che il 4 luglio 1028 Ildegarda, moglie del longobardo Oddone Gauselmo, vendette terre, corti e castelli, fra i quali vi era la “Roccha Petraluizoni cum portione Castro et Capella ibi habente”; ciò testimonia che esisteva anche un luogo di culto – “Capella” – presso il castello: era con ogni probabilità la Chiesa di San Michele Arcangelo, che fu demolita nel 1739 per costruirne una più a valle, tutt’oggi esistente. Nel 1295 la rocca venne smantellata in seguito ad un decreto che ordinava la distruzione di castelli e altri luoghi appartenenti alle famiglie rivoltose. Le notizie relative a questo periodo e giunte fino a noi sono scarse: sembrerebbe che il castello fosse appartenuto ai Pallavicino. Quel che è certo è che passò in mano ai Rossi, forse già agli inizi del Trecento; circa un secolo dopo fu di proprietà di Pier Maria Rossi, il quale eresse anche la Rocca dei Rossi di San Secondo e ribattezzò quella di Roccalanzona come “Rocha Leone”, con un chiaro riferimento allo stemma familiare: il leone rampante. I tentativi di conquista da parte di casate rivali furono numerosi; uno tra tutti fu quello che vide gli Sforza, sostenuti dai Pallavicino, schierarsi contro i Rossi nel 1482.

Alla fine del Quattrocento il castello passò nelle mani di Bertrando, figlio di Pier Maria II (il cui nome è di solito correlato al Castello di Torrechiara e a quello di Roccabianca).  Nel 1666 il marchese Scipione I de’ Rossi fu costretto a cedere la rocca ed altri feudi alla Camera Ducale di Parma. Già all’epoca l’edificio era caratterizzato da mura interne fatiscenti. Nel 1692 fu acquistato dal marchese Agostino Ercolani di Senigallia, il quale non si preoccupò mai di recuperare le strutture che nel frattempo stavano andando in rovina. Dopo più di un secolo, in seguito alla legge napoleonica che aboliva i feudi, il castello divenne una proprietà privata. Nei pressi di Pagano, a circa un chilometro dal Castello di Roccalanzona, Giacomo Dazzo e Pietro Torrigiani nel 1834 trovarono due pietre, utilizzate come coperchio di un pozzo, le quali arrecavano delle iscrizioni. L’importante documento ritrovato era la così detta Pietra Giubilare, un’opera incisa per ordine di un certo Giacomo Valenti con lo scopo di tramandare il primo Giubileo del 1300, indetto da Bonifacio VIII, e di divulgare il calendario giubilare che prevedeva, con ricorrenza centenaria, l’indulgenza plenaria. Forse l’oggetto inizialmente era costituito da una lastra unica e, in base alle parole incise sulla pietra, si è ipotizzato che fosse stata collocata, per volontà dello stesso Valenti, all’interno di un oratorio di Casara (una località vicino a Pagano). L’ipotesi sarebbe però confutata dal fatto che nei documenti medievali giunti sino a noi non vengono citate chiese né a Pagano né a Casara; per tale motivo è stato invece ipotizzato che l’opera fosse stata conservata nell’antica chiesa di San Michele Arcangelo di Roccalanzona, demolita nel Settecento. Le lastre sono ora conservate presso la Galleria Nazionale di Parma».

http://www.parmatales.com/it-IT/il-castello-di-roccalanzona-1.aspx


Roccaprebalza (ruderi del castello)

Foto di Paolo Panni, dal sito www.emiliamisteriosa.it   Dal sito www.campingipianelli.it

«XIV secolo. Il vescovo Ugolino Rossi permuta il castello di Roccaprebalza a componenti della sua famiglia come risarcimento di un debito contratto. 13 giugno 1370. Il vescovo Ugolino Rossi è costretto a cedere il castello di Roccaprebalza ai nipoti Bertrando e Iacopo che avevano corrisposto, a favore della Mensa vescovile, una somma di diecimila fiorini d'oro. 1400. Papa Bonifacio IX investe della rocca di Roccaprebalza e delle sue dipendenze Pietro, Giovanni e Jacopo Rossi. 9 marzo 1400. Papa Bonifacio IX investe del castello di Roccaprebalza la famiglia Rossi. 9 marzo 1400. Il vescovo Jacopo Rossi ottiene da papa Bonifacio IX la conferma e l'investitura dei castelli di Corniglio, Roccaferrata e della rocca di Pietra Barza, con ogni loro dipendenza. 1464. Pier Maria Rossi lascia nel testamento a Bernardo i castelli di Castrignano, Beduzzo, Pugnetolo, Corniglio, Roccaprebalza, Corniana Antesica e Bosco, mentre a Guido Felino, San Secondo, Bardone, Neviano Rossi, Carona, Miano, Segalara, Roccalanzona e Sant'Andrea oltre Taro. 1482. Bertrando Rossi, figlio legittimato di Pier Maria, entra in possesso della contea di Berceto e di Roccaprebalza lasciatagli dal padre con molte "altre castella". 1666. Il castello di Roccaprebalza passa alla camera ducale di Parma e quindi alla famiglia Boscoli. 13 giugno 1804. Sono visibili solo pochi resti delle mura del castello di Roccaprebalza».

http://geo.regione.emilia-romagna.it/schede/castelli/index.jsp?id=2720


Sala Baganza (rocca)

a cura di Elisa Delgrosso

  


San Secondo Parmense (rocca dei Rossi di San Secondo)

Dal sito www.cortedeirossi.it

a cura di Pier Luigi Poldi Allaj

  


San Vitale Baganza (castello Rossi)

Dal sito http://iluoghidelcuore.it   Dal sito http://iluoghidelcuore.it

  

«Del castello non si conosce molto quindi scriveremo le notizie che sappiamo: -Posseduto fino al 1612 dalla Famiglia Sanvitale. -Si erge sulla riva sinistra del torrente Baganza. Denominato anche "Torrione", è un imponente edificio situato nel borgo di San Vitale Baganza, costruito in pietra locale e impreziosito da una magnifica finestra a bifora con il Leone rampante della famiglia Rossi, dalla quale si gode di una magnifica vista sul torrente Baganza. La costruzione ancora osservabile rappresenta la parte rimanente di uno dei prestigiosi castelli appartenuti alla famiglia Rossi nella provincia di Parma. Su una delle pareti del maniero è visibile una Madonna del '600. La famiglia Sanvitale ha le sue origini agli inizi del XII secolo (1122), quando Ugo diede il nome alla famiglia, costruendo una torre fortilizia sull'Enza, dedicata a San Vitale. Secondo altri il cognome prenderebbe origine da San Vitale Baganza, territori che appartenevano alla famiglia. Altre ipotesi ancora rimandano alle abitazioni di questa famiglia che si trovavano nei pressi dell'antica chiesa di San Vitale a Parma».

http://www.scuolasalabaganza.com/san-vitale-baganza.html


SCIPIONE CASTELLO (castello di Scipione)

Dal sito www.castellodiscipione.it   Dal sito www.trivago.it

  

«Il Castello di Scipione, costruito nel XI secolo dai Marchesi Pallavicino, si innalza sulle colline che dominano il parco naturale dello Stirone, a pochi minuti da Salsomaggiore, in un piccolo e suggestivo borgo di origine medioevale. La leggenda vuole che debba il suo nome ad una preesistente villa romana costruita dalla famiglia del distruttore di Cartagine. Nel 1267, al tempo delle lotte tra guelfi e ghibellini, il castello subì diversi attacchi dai piacentini e successivamente, negli anni 1403 e 1407, dalle famiglie guelfe Rossi, Da Correggio e Terzi. Nel 1447 i fratelli Lodovico e Giovanni Pallavicino lo ricostruirono adottando le più moderne tecniche difensive dell’epoca. Il nuovo torrione, dalla forma cilindrica e le mura a scarpatura abbassate e rinforzate, erano meno vulnerabili agli attacchi delle nuove armi da fuoco. Allo stesso periodo risalgono anche le anguste prigioni rimaste intatte fino ad oggi. Altri grandi interventi sono stati attuati a metà del Seicento con l’elegante loggiato e il grande portale d’accesso al cortile d’onore. All’interno del Castello sono rimasti conservati i soffitti a cassettoni, gli affreschi e le decorazioni originali. Nel Medioevo il castello ebbe una grande importanza per via della sua posizione strategica a difesa dei numerosi pozzi di sale che controllava e di cui i Marchesi Pallavicino erano i maggiori produttori e i più potenti arbitri del mercato, promuovendo lo sviluppo delle fabbriche e scavando nuovi pozzi intorno a Salsomaggiore. Il sale, elemento indispensabile per la conservazione del cibo, è stato per millenni una delle merci più ricercate e preziose. Le stesse acque salsoiodiche dalle quali un tempo si estraeva il sale sono oggi apprezzate per il loro elevato potere curativo e hanno dato origine al termalismo di Salsomaggiore. I Marchesi Pallavicino, di legge longobarda, hanno origine antichissima e sono tra le pochissime casate in Europa ad avere più di mille anni di storia documentata. In origine formavano con i Marchesi Malaspina, i Marchesi di Massa e i Marchesi d’Este - da cui discendono i Duchi di Ferrara e di Modena e gli odierni Principi di Hannover - un’unica famiglia detta “Obertenga”, dal nome del loro comune capostipite Oberto (945-975), Marchese e Conte del Sacro Palazzo. In un secondo tempo i vari ceppi si resero autonomi e i Marchesi Pallavicino fondarono il proprio Stato, feudo immediato del Sacro Romano Impero, su un vasto territorio compreso tra il fiume Po e l’Appennino e la cui capitale era Busseto. Nel 1479, Gianfrancesco Pallavicino, figlio di Rolando “Il Magnifico” fondò una nuova capitale chiamata Cortemaggiore, città ideale, perfetto esempio di urbanistica rinascimentale. Nel 1636 i Marchesati di Cortemaggiore e Busseto vennero assorbiti dal Ducato di Parma e Piacenza ad opera dei Farnese mentre il Marchesato di Zibello sopravvisse fino all’epoca napoleonica. Il Castello di Scipione rimase quasi sempre in mano alla famiglia Pallavicino tranne che per un breve periodo dopo la prima guerra mondiale quando fu donato dalla Marchesa Clelia Pallavicino all’ Opera Nazionale Orfani di Guerra. Successivamente il Castello fu acquistato dal diplomatico danese Christian Frederik Per dei Conti von Holstein per portarlo in dono alla moglie, Marchesa Maria Luisa Pallavicino, e farne la loro residenza. Il Castello ritornò così al ramo primogenito della sua famiglia fondatrice che annovera tra i suoi antenati diretti importanti personaggi come Adalberto, grande condottiero, del quale ne cantano le lodi Ludovico Ariosto nell’”Orlando Furioso” e Torquato Tasso nella “Gerusalemme Liberata”, Uberto detto “Il Grande”, Vicario Imperiale della Lombardia e Signore di Milano, e Rolando detto “Il Magnifico”, uomo del Rinascimento, autore delle “Statuta Pallavicinia”, testo legislativo che rimarrà in vigore fino all’Ottocento e con il quale seppe riorganizzare in modo moderno il proprio Stato».

http://www.castellodiscipione.it/


SISSA (rocca dei Terzi)

Dal sito www.parmaoggi.it   Dal sito www.123rf.com

«Il complesso fortificato di Sissa, più volte violentato in ordine alle esigenze difensive di vari periodi storici, ha conservato intatto il mastio, dimostrazione di un passato tanto ricco di gloria, di sventure e di sangue, che sovrasta due ali più basse inserite nel Settecento modificando le preesistenti strutture medievali. Per lungo tempo la fortezza fu teatro di tumultuosi avvenimenti, specie quando i veneziani, conquistandola nel 1409, la devastarono. Il fortilizio venne ricostruito dai Terzi, che l’ebbero in restituzione nel 1440, con l’elevazione del feudo a Contea. Nei secoli successivi ebbe a subire forti trasformazioni tanto all’interno quanto all’esterno, infatti dopo tanti fatti d’arme, saccheggi e modifiche parziali, l’architettura della rocca cambio più volte il proprio aspetto. Dalla seconda metà del Cinquecento in poi la parte esistente delle vecchie murature subisce numerosi riadattamenti sino ad assumere nel Settecento la tipica impronta di residenza signorile. All’ignoto architetto autore della trasformazione settecentesca spetta il merito di aver abilmente collegato l’austerità del mastio, non intaccato nella sua immagine di fortilizio, coi corpi laterali dell’edificio, che assumono l’aspetto tipico di palazzo patrizio. Agli inizi dell’Ottocento l’antico fortilizio terziano si presenta nella sua edizione definitiva, architettura tardo barocca in cui domina ancora il mastio quattrocentesco che conserva intatta la corona di caditoie e i lunghi beccatelli che rinserrano il corpo sporgente del blocco murario, mentre si segnala la scomparsa del ponte levatoio. Sino a tutto l’Ottocento la Rocca era accessibile frontalmente per mezzo di uno stretto ponticello in muratura. Dalla “piazzola” un altro ponticello, ortogonale al precedente, congiungeva l’abitato con la sede del dazio comunale, isolato da un muretto che insieme alle spallette dei ponti formava un quadrilatero nettamente staccato dalla parte occidentale del paese. Una serie di abbattimenti successivi, il cambio di destinazione della Rocca adibita a sede comunale, hanno portato, agli inizi del Novecento, alla costruzione di un monumentale scalone in muratura, cemento e marmaglia, posto dirimpetto alla strada ritagliata nel verde della vecchia ortaglia. Gli interventi più recenti riguardano la scala laterale, posta nella facciata orientale, ricostruita in cotto e cemento negli anni Cinquanta, e lo scalone d’ingresso sorto nel 1986, previo abbattimento del precedente. Abbiamo esempi di rocche coeve ben conservate, che aiutano a ricostruire con la fantasia bertesche, merlature, barbacani e caditoie, ma in vetta al mastio tozzo e invulnerabile, che un tempo terrorizzava i nemici, oggi si annidano uccelli rapaci e notturni che ne tentano il silenzio, e l’edera e il caprifoglio hanno rivestito le pietre onuste di tempo.

Per quanto riguarda la varietà dei dipinti che coprono pareti, volte e soffitti della Rocca, è necessario e utile distinguere i soggetti in base alla loro qualità pittorica. L’opera più significativa la troviamo nell’attuale Sala del Consiglio, dove spicca la centro del soffitto, una scena allegorica di “oscuro significato”, divisa in due parti. Una raffigura Apollo seduto sul serpente Pitone mentre scaccia la notte; l’altra, dominante la composizione è centrata su una figura alata e putti sostenenti fiaccole accese e spente, avvolti da nuvole sullo sfondo di un cielo notturno trapuntato di stelle. Si possono trovare anche quattro tele: Giudizio di Salomone, Fuga in Egitto, Figure in costume in un bosco e Passaggio collinare. Lungo la scalinata, un tempo in cotto e ora in marmo, si rincorrono entro ovali incorniciati a stucco personaggi mitologici: Diana, Pan e Ganimede rapito dall’aquila, svettante sul soffitto, anche questi di ottima fattura. Sempre al primo piano, pareti e soffitto di una saletta quadrata sono densamente decorate da immagini e paesaggi esotici, tratti da un campionario di luoghi di vastissima estrazione continentale, dalla Cina all’Africa, alle Americhe. In una delle pareti sono allineati personaggi storici di varie epoche. Una gloria alata volteggia sullo sfondo di un paesaggio tropicale porgendo due corone, una sul capo di un Napoleone triste, l’altra su quello di un impettito Carlo V, seguito da una giovane Maria Luigia dal volto illuminato da un candido collarino pieghettato di foggia cinquecentesca. Un piedistallo, formato da pale sormontate da un’anfora, chiude la scena, che un pittore anonimo della metà dell’Ottocento ha composto con fantastica, quanto modesta ispirazione, per gli ultimi signori della Rocca. Nella stanza adiacente vedute paesistiche variamente interpretate formalmente e pittoricamente chiudono il ciclo dei dipinti del piano superiore. Al piano terra, dove il cortile ha perduto nel tempo il traforo del portico, una stanza conserva un ciclo di affreschi incorniciati a stucco: Flora e putti, Vittoria sul cocchio, Allegoria, Divinità, attribuibili a Giovanni Bolla. Degli ultimi proprietari poco ci dicono i vasti saloni settecenteschi dalle belle volte a vela e a crociera. Se si esclude una stanza del piano terra, ingentilita da una “Flora con frutti” di buona fattura, le altre decorazioni, al piano superiore, offrono frammentari partiti decorativi di modesto valore artistico. Così pure le composizioni figurative che fasciano le pareti in un confuso rincorrersi di scene esotiche e storiche fondate sul confronto di personaggi di epoche diverse, sottolineando la decadenza di una Rocca che fu dominio di una delle più potenti e nobili famiglie del Parmense».

http://prolocosissa.jimdo.com/un-po-di-storia/la-rocca-dei-terzi/


SORAGNA (rocca dei Meli Lupi)

Dal sito www.parmigianino2003.it   Dal sito www.parmaitaly.com

  

«La Rocca fu edificata nel 1385 dai marchesi Bonifacio ed Antonio Lupi che nel 1347 avevano avuto da Carlo IV l'investitura feudale sul territorio, potere che esercitarono fino alle soppressioni napoleoniche. È probabile che il primo fortilizio, a pianta quadra e con le quattro torri ai lati, sorgesse già in capo ad un anno, mentre nel 1392 fu completato il muro esterno. A quei tempi l'edificio si presentava come una poderosa rocca munita d’ogni difesa contro gli attacchi esterni. Col passare del tempo e il consolidarsi delle Signorie, le lotte tra feudatari si fecero però via via più rare e il castello poté quindi ingentilire le sue strutture e diventare un piacevole e comodo palazzo, pur conservando anche le sue strutture antiche. Il castello subì, infatti, dei consistenti rifacimenti strutturali soprattutto nel Cinquecento ma fu solo nel secolo successivo che divenne una sfarzosa residenza principesca, aspetto che conserva tutt'oggi. Successive modifiche sono state portate dal parmigiano Angelo Rasori e dal piacentino Antonio Tomba rispettivamente nel ‘700 e nell' 800. La Rocca, arricchita nel tempo di innumerevoli opere d'arte e di inestimabili testimonianze del passato, è sempre rimasta di proprietà della famiglia Meli Lupi. La storia del casato dei Meli Lupi non può che partire dal più antico tra i signori di Soragna, il marchese Guido Lupi, che fu podestà di Parma nel 1202, svolgendo importanti azioni pacificatrici nelle terre vicine. I Lupi anticamente, con ogni probabilità, costruirono il castello e numerosi fortilizi sul territorio: sappiamo, infatti, che nel 1318 le truppe del podestà di Parma distrussero un 'castelletto' di Albertazzo Lupi, reo di essersi rifiutato di pagare un'ammenda. Un'altra tappa fondamentale nella storia della famiglia fu la trasformazione dei beni di Soragna in feudo, avvenuta nel 1347 da parte di Carlo quarto di Boemia, con il riconoscimento dei titoli di Marchese per Ugolotto Lupi e i suoi discendenti, e del diritto di mero e misto impero e di podestà di spada sul feudo. Dopo lunghe traversie dovute alla contesa sull'eredità del nome e dei beni del casato, il marchese Giampaolo Meli ottenne nel 1530 dall'Imperatore Carlo V il diritto di aggiungere al proprio cognome quello dell'estinto casato dei Lupi, nonché il privilegio di porre l’insegna imperiale dell'aquila nello stemma. Tra le personalità che conferirono maggior lustro e prestigio alla casata dei Meli Lupi è sicuramente Isabella Pallavicino di Cortemaggiore, moglie di Giampaolo II, dama conosciuta soprattutto per aver ottenuto dal Duca di Ferrara il permesso di stampare un'edizione della Gerusalemme liberata, riveduta e corretta dallo stesso Tasso, ancora vivente, che le dedicò un sonetto tuttora conservato nella biblioteca del palazzo. Nel 1709 Giampaolo Maria ottenne, dall'imperatore Giuseppe I, che il marchesato fosse innalzato a Principato del Sacro Romano Impero con diritto di battere moneta. Il titolo di Principe da allora viene portato dal primogenito della famiglia. L'attuale Principe Diofebo, oltre alla sua attività nel settore agricolo, prosegue quella tesa ad apportare migliorie nell'attività turistica nella Rocca stessa, e nel campo musicale».

http://www.roccadisoragna.it/template.php?pag=58394


Specchio (Castelcorniglio)

a cura di Elisa Delgrosso

  


TABIANO CASTELLO (castello)

Dal sito www.fidenzavillage.com   Dal sito www.tabianocastello.com

«Il nucleo più antico di questa frazione di Salsomaggiore Terme è di fondazione romana, anche se la zona conobbe già insediamenti nel periodo delle terramare. Possedimento del vescovo di Parma, divenne nel 1145 di proprietà dei Pallavicino, i quali innalzarono sulla sommità del colle una munita roccaforte che controllava strategicamente l'alta valle del Taro. Il castello, oggi residenza privata non aperta al pubblico. Originario dei secoli XII e XII, feudo dei Marchesi Pallavicino, subì tutte le lotte fra i Guelfi e i Ghibellini. Nel secolo XIV fu oggetto di contesa fra i duchi di Milano e Niccolò Pallavicino noto per la congiura contro lo zio Giacomo, signore di Bargone. Il castello fu completamente restaurato verso la fine dell`800, quando venne trasformato in dimora privata. La vicina chiesa parrocchiale fu costruita nel XVI secolo erestaurata nel 1907, quando venne realizzata anche una nuova facciata; il campanile risale al 1950».

http://www.portalesalsomaggiore.it/page.asp?IDCategoria=1314&IDSezione=9338&ID=147564


TIZZANO VAL DI PARMA (castello di Pisterlo)

Foto di Castelli Parmensi, dal sito www.panoramio.com   Foto di Castelli Parmensi, dal sito www.panoramio.com

«Non si è nemmeno sicuri che si trattasse di un vero castello o di una casa fortificata, tipo casa torre, ma questo luogo è legato ad una tragica leggenda. Questa leggenda narra di due fratelli, proprietari del castello, che un giorno, per un motivo non ben chiarito, aizzarono i loro cani contro una giovane donna gravida del paese, che ne rimase uccisa, sbranata dalla furia delle due bestie. I parenti della vittima, con grande sete di vendetta, ed aiutati dagli abitanti di Tizzano , probabilmente anche loro esasperati dalle spavalderie dei due fratelli,un giorno li attesero nella vicina chiesetta, e lì furono assaliti ed uccisi, ma ancora non paghi, i popolani assalirono il castello e non perdonarono a nessuno di quella famiglia il torto subito. La carta topografica riporta ancora, a pochi metri dalla Pieve di Tizzano, una località con il nome di "Castello"».

https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=zMy-yCJmIIB4.k_NCGRkSSivU


Tizzano Val Parma (Torre di Lagrimone)

a cura di Elisa Delgrosso


TORRICELLA (castello non più esistente, villa Simonetta)

Dal sito www.bassaparmense.it   Dal sito www.mucchioselvaggio.net

«...Dal Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla di Lorenzo Molossi, edito in Parma dalla Tipografia Ducale 1832-1834, si traggono le seguenti notizie storiche. “... Il castello, sì nominato nelle Istorie, che quivi sorgeva tra il Po e il Taro, e che tuttavia gagliardo reggevasi in piedi nella metà del XVI secolo, fu per le acque rovinato ed oggidì non ne apparisce orma. Fu posseduto dai Terzi. Presidiavanlo i Veneziani nel 1427, allorquando Filippo Maria, duca di Milano, lo fece stringere ed assalire dalla parte di terra e da quella del Po. Resisterono essi con molto vigore, ma alfine dovettero rendersi. Secondo l’Angeli, il duca Filippo Maria lo vendè a Pier Maria Rossi; rovinata questa famiglia, passò agli Sforza. Appresso lo ebbe Alessandro Sforza, conte di Pesaro, al cui figlio Costanzo d’Aragona fu assegnato in feudo nel 1475 dal duca Galeazzo Maria. Morto Costanzo, continuarono a possederlo Camilla, vedova di lui, e Giovanni, suo figlio; ma Lodovico XII, re di Francia, conquistato il Milanese, ne fece dono con Atto dell’11 Novembre 1499 ai fratelli Angelo, Pietro, Paolo e Francesco Simonetta, i discendenti de’ quali lo hanno poi sempre posseduto con titolo di Contea. Anche nel 1551 quel castello, essendo stato ben munito da Ottavio Farnese, resisté ai colpi delle imperiali artiglierie. Vi fu un Convento di Minoriti fondatovi nel 1606 dai Simonetta. ...”. Lo straripamento del Po, di cui parla il Molossi, oltre a distruggere il castello, che, dopo le vicende ricordate, era stato in seguito abbandonato, mutò anche il corso del fiume, dividendo in due parti il centro abitato. ...

Lo sguardo del viaggiatore che arriva da Sissa, all’altezza dell’incrocio con la strada per Gramignazzo non può non essere colpito dalla visione di un imponente edificio che rappresenta uno dei tanti insediamenti signorili tipologicamente simile ad altri ubicati nelle tenute agricole della Bassa Parmense. Si tratta di “Villa Simonetta”,oggi “Pizzi”, databile alla metà del Seicento, quando il feudo di Torricella era governato dai conti Giacomo e Girolamo, dai quali la residenza ha preso il nome. Ci troviamo di fronte ad un insediamento abitativo che ricalca gli schemi a pianta centrale, che ebbero nel Palladio il massimo diffusore nella campagna Veneta, anticipando la scelta, che avrà innumerevoli seguaci, di privilegiare “un amoroso rapporto dell’edificio con la natura e l’ambiente circostante”. La Villa-Palazzo s’inserisce in un contesto urbanistico caratterizzato dalla presenza di aggregazioni edilizie utilizzate come dipendenze coloniche. La presenza di una recinzione stabilisce il limite della proprietà, ma sottolinea più ampiamente le caratteristiche funzionali del complesso, che si configura come “Corte padronale di tipica impronta rurale”. Se il quadro generale dell’insediamento ha mantenuto nel tempo la primitiva configurazione, molti dettagli sono andati perduti, come risulta dall’osservazione della gigantesca “veduta” dipinta da Vincenzo Bertolotti su una parete del salone di Palazzo Sacco a Parma nel 1860. Il corpo del fabbricato, che volge il retro al Po, si sviluppa su base quadrata, con la facciata principale arricchita da una doppia scalinata a tenaglia che conduce ad un vasto loggiato. Nella penombra del portico spiccano, corrosi dal tempo, alcuni medaglioni raffiguranti Imperatori Romani e soggetti mitologici che colgono in variati atteggiamenti tre Divinità dell’Olimpo: Diana, Venere e Marte, vale a dire la caccia, l’amore, la guerra. Procedendo all’interno, un breve corridoio dalle pareti dipinte immette nel Salone di Rappresentanza, che porta al vertice della volta un rosone con l’allegoria della Primavera. Nelle quattro sale che ruotano attorno al Salone centrale la soffittatura è arricchita da altrettanti rosoni, in cui è ancora una volta presente il tema mitologico di Venere e di Diana cacciatrice. Particolare interesse rivestono gli infissi d’epoca dall’elegante intaglio, forse prodotti dai “marangoni” locali, considerata la vocazione artigianale del paese nella lavorazione del legno».

http://www.bassaparmense.it/paesi/Torricella.htm


VARANO DE' MELEGARI (castello dei Pallavicino)

Dal sito www.parmigianino2003.it   Dal sito http://appennino.blogspot.it

«Situato a circa 30 km da Parma, all'imbocco della vallata del Ceno, il castello Pallavicino di Varano de' Melegari costituisce uno degli esempi più avanzati inscindibili da quelle del castello, che viene costruito nel XV secolo a presidio della valle. Nel 1452, dopo la riconquista del feudo da parte di Rolando il Magnifico, l'edificio torna stabilmente sotto il possesso dei Pallavicino e assume l'assetto attuale, che lo differenzia dagli altri castelli parmigiani del Quattrocento per molti aspetti, e tra questi: le quattro torri non angolari, la facciata di sud-ovest con le tre torri allineate, e il portale d'accesso che si apre su un fianco della torre, con una soluzione certamente insolita ma tatticamente molto efficace. Nel 1805 i Levacher subentrano ai Pallavicino nella proprietà del castello, e la conservano fino al 1965. Il castello è oggi di proprietà comunale. L'attuale struttura fortificata, a pianta rettangolare e torri angolari, conserva ancora l'assetto quattrocentesco con beccatelli sporgenti e scarpa basamentale. Le strutture interne dell'edificio mostrano invece ripetuti interventi di ristrutturazione e adeguamento attuati a partire dal XVIII secolo, con la creazione dello scalone ad opera di Alessandro Pallavicino nel 1715, fino al XX secolo, con la parziale trasformazione operata nel primo dopoguerra dalla famiglia Levacher. Il Signore e la corte. Rolando Pallavicino, detto "il Magnifico" (1394 - 1457), nato nel 1394, svolge un ruolo primario nella complessa e contraddittoria vicenda parmigiana nella prima metà del XV secolo. Coinvolto, con i Rossi e i Terzi, nello scontro fra le fazioni per il controllo dei passaggi strategici del Po, della viabilità sulla via Emilia e della zona delle saline di Salsomaggiore, Rolando Pallavicino, noto anche per aver imprigionato e derubato il legato pontificio Branda Castiglioni nel 1410, svolge numerose imprese militari e diplomatiche per i duchi Visconti di Milano, in un'epoca che vede la massima estensione territoriale dei possessi del casato milanese. Con la morte di Rolando nel 1457 si ha lo smembramento in più signorie dello stato pallavicino e la sottomissione del casato alla volontà dei duchi di Milano. A Rolando si deve la costruzione del castello di Varano: roccaforte strategica a salvaguardia della vallata del Ceno, costituiva uno dei migliori esempi di architettura difensiva dell'inizio del Quattrocento. Il castello venne acquistato dal Comune di Varano Melegari nel 2001 e successivamente, con ingenti sforzi economici, è stata avviata l'opera di recupero e restauro. Così facendo i locali diventano il primo tassello del percorso espositivo permanente che comprenderà un originale e ricco Museo dedicato alle forme del Pane e alle tradizioni legate alla lavorazione di questo antichissimo prodotto dell'uomo».

http://www.castellodivarano.it/il%20castello.html


Varsi (castello di Golaso)

a cura di Elisa Delgrosso


Zibello (palazzo Pallavicino o Palazzo Vecchio)

Dai siti http://turismo.parma.it, e www.parmigianino2003.it   Dal sito www.smclubitalia.net

«II palazzo che si affaccia sulla piazza del paese, chiamato Palazzo Pallavicino, è in realtà un edificio formato da due corpi con caratteristiche palesemente diverse, anche se perfettamente accostati 1'uno all'altro. La parte più antica, nella quale esercitava il suo ufficio il podestà, e quella rivolta a nord-est: lo dimostrano la maggior elevazione ed ampiezza degli archi e la ornamentazione, in terracotta e in calce, degli archi stessi e delle finestre tipica del1'esuberanza decorativa del gotico fiorito.  Anche le formelle fittili sono diverse nei motivi e nelle combinazioni da quelle che decorano la facciata e 1'interno della chiesa parrocchiale dedicata ai S.S. Gervaso e Protaso, che provengono sicuramente dalla fornace del cremonese Rainaldo de Stavoli, entrato in rapporti con i Pallavicino, a quanto sembra, solo dopo il 1470. è probabile, dunque, che questa parte dell'edificio sia stata portata a termine nel primo ventennio della signoria  del marchese Giovan Francesco seniore. L'altra parte del fabbricato, la cui struttura architettonica pur gotica trapassa nella compostezza del Rinascimento (1'ogiva degli archi del portico, per esempio, e più tozza e la decorazione fittile molto piu sobria) risale all'epoca di Clarice Malaspina, vedova del marchese Federico Pallavicino, che ne ordinò la ristrutturazione nei primi anni del Cinquecento. Nei documenti del XVI secolo e chiamato Palazzo Vecchio per distinguerlo dal Palazzo Nuovo (oggi casa Gardini-Guatelli),  edificato più tardi, di fronte alla chiesa parrocchiale. I pilastri che sorreggono la caduta degli archi hanno forma ottagonale con capitello a scudo e su alcuni di essi si leggono, sotto forma di graffiti, scritte che ricordano eventi singolari accaduti nei corso dei secoli. Sotto i portici si trovano, come da tempo immemorabile, i negozi, soprattutto di generi alimentari (la beccaria, il pristine e 1'osteria di un tempo), mentre al primo piano, sopra la zona occupata dal ristorante Leon d'Oro, è situato il Teatro. Un piccolo teatro, aperto al pubblico nei 1804, ma che per circa un secolo e mezzo è stato il punto di riferimento di tutte le manifestazioni culturalmente importanti tenutesi a Zibello. La sua struttura presenta le caratteristiche tipiche di molti teatri sorti in Italia tra Sei e Ottocento: pianta a ferro di cavallo, palcoscenico ben separato dalla sala, forma a pozzo con pareti traforate da numerosi palchetti. Originariamente era costituito dalla sola platea e dal palcoscenico. Nei 1827, venne costruita una fila di 13 palchi e nei 1913 venne realizzato il loggione. Oggi il teatro è inagibile e attende di essere restaurato».

http://www.comune.zibello.pr.it/online/page.asp?IDCategoria=1229&IDSezione=4001&IDOggetto=&Tipo=GENERICO


      

 

 

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