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BOLOGNA, TORRE DEI PRENDIPARTE

a cura di Matteo Giovanardi

scheda    cenni storici    video


Veduta della città.

 

 A sinistra, la torre dei Prendiparte; a destra, la torre vista dal campanile di San Pietro. In basso, le carceri, poste al terzo e al quarto piano della torre.

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Come arrivare  La torre e i suoi piani

Il cuore del centro storico  Il Centro di Bologna negli anni '50  Piazza Maggiore illuminata a giorno  Veduta notturna delle due torri

Da sinistra, la torre dei Prendiparte, San Pietro con il suo campanile, e la torre Azzoguidi, detta Altabella  San Pietro e la torre in un disegno del 1641  Ingresso al piano terra  Particolare dei disegni e graffiti lasciati dai carcerati  Particolare dei graffiti lasciati dai carcerati  Stemma cinquecentesco sulla parete sud della torre


       


Epoca: XII secolo.

Conservazione: struttura pienamente agibile, con possibilità di soggiorno, servizi e visite guidate.

Come arrivarci: uscita tangenziale n. 7, "Bologna Centro via Stalingrado". Percorrere via Stalingrado per 2 km verso il Centro e superare il cavalcavia ferroviario. Al semaforo entrare direttamente in centro storico per via Mascarella. Al primo semaforo voltare a destra per via Irnerio e poi alla terza laterale a sinistra per via Alessandrini. Al termine proseguire per via Oberdan dove, terza a destra, voltare per via Goito. Seconda a sinistra per via Carbonara ove al termine si trova la via Sant'Alò.

    

Cenni storici.

La Bologna del XII secolo

Dopo il Mille la società civile cominciò lentamente a riorganizzarsi ed i feudatari, eredi degli antichi poteri che si erano succeduti nei secoli, si trasferirono in città costruendovi le torri che avevano gli stessi scopi dei castelli, cioè difesa e offesa. Nell’angusta Bologna medievale, che al tempo della costruzione delle prime torri era ancora rinchiusa nella piccola cerchia di selenite, quelle costruzioni assunsero forzatamente uno sviluppo verticale. In quei tempi infatti una guerra civile aperta o strisciante aggiungeva lutto a lutto in un’inarrestabile spirale di odio e di vendetta che culminò al termine del duecento con quella che fu definita «l’estrema ruina di Bologna», quando la parte guelfa vincente cacciò dalla città un buon quarto di cittadini, quegli odiati ghibellini di cui dicevano «l’è bon fato chi mòrano!»).

Le torri che vediamo oggi sono semplici volumi di mattoni, ma per comprendere il fascino di queste costruzioni occorre pensarle vive. La costruzione che vediamo oggi era infatti il nocciolo attorno a cui si aggrappavano i ballatoi e le costruzioni in legno, brulicanti di vita. Le aperture delle torri, che paiono finestre, sono in realtà porte che presentano una marcata usura dovuta al continuo calpestio. Le torri erano in pratica dei condomini, dove i diversi ceppi di una famiglia costituivano una consorteria; ogni ceppo aveva la casa ai piedi della torre ed un passaggio nei piani alti della casa. In tal modo, in caso di pericolo, tutti potevano raggiungere rapidamente la torre che diventava così rifugio sicuro o pericoloso fortilizio.

La costruzione

Sulla scorta di informazioni desunte da torri demolite fino al piano d’appoggio della fondazione, risulta che le torri erano generalmente realizzate su fondazioni “a fittone” e cioè con una struttura muraria a sezione piena, abbastanza affondata nel terreno, ma poco sporgente rispetto al perimetro dello zoccolo di base. Come rilevato dalle prove effettuate negli anni ‘70 sulla fondazione della Asinelli, si è accertato che per 1,5 metri la fondazione continua ad essere costituita di blocchi di selenite, mentre al di sotto e fino ad una profondità di circa 6 metri è presente un conglomerato molto compatto poggiante su argilla limosa di consistenza molto dura.

Sicuramente anche per la Prendiparte si è utilizzato lo stesso procedimento, preoccupandosi di costipare il terreno prima di dare inizio alla costruzione mediante una palificata in legno. I materiali in seguito utilizzati sono la selenite (gesso) per i conci della base, i mattoni “bolognesi” per le pareti interna ed esterna, i ciottoli e la malta per riempire i muri a sacco, il legno per scale, soppalchi e ballatoi esterni ed infine l’arenaria per alcuni particolari.

I Prendiparte possedevano un intero isolato che era costituito dal “palazzo vecchio”, dal “palazzo nuovo”, dalla “casa nuova” e da un’ulteriore torre, ma nei pressi i Prendiparte possedevano un “grande ospizio merlato” con adiacente “torre granda”, la Coronata appunto. Alta all’incirca 60 metri, possiede possenti muri che misurano alla base ben 2,35 metri e che, con progressive riduzioni dette riseghe, conserva il notevole spessore di 1,35 metri alla sommità. Quest’ultima misura sembra confermare che originariamente la torre dovesse essere più alta e che sia stata in seguito capitozzata o ne sia stata sospesa per qualche motivo la costruzione. Lo stato di conservazione appare ottimo. Così come per le altre “sorelle”, le varie torri rimaste si confermano come le testimonianze più antiche fra le costruzioni di rilievo conservatesi fino ai nostri giorni.

I Prendiparte

La famiglia dei Prendiparte ebbe origini remote. Pare infatti che derivassero dai Pico, i quali a loro volta affondavano le loro radici nel più antico feudalesimo padano. Queste nobili ascendenze consentirono ai Prendiparte di avere ricchezza e potere in un vasto territorio. Furono infatti feudatari di numerosi castelli fra cui Mirandola, nel territorio di Modena, Montecuccolo nel Frignano e Settefonti nel territorio di Bologna. Il famoso “Liber Paradisus” che elenca i servi liberati dal comune nel 1256 ci conferma la loro grande ricchezza. Risulta infatti che possedessero in quel tempo ben 218 servi, ponendosi in tal modo ai primissimi posti nella graduatoria delle famiglie bolognesi più in vista.

Mentre la grande disponibilità economica dei Prendiparte si manifestò nella costruzione della torre Coronata, che oltretutto non fu la sola in loro possesso, il loro potere politico fu evidente per le numerose ed importanti cariche ricoperte dai membri della famiglia al tempo del libero Comune di Bologna, essendo ricordati fin dal 1154 come esponenti di rilievo della nobiltà cittadina. Il più famoso membro della famiglia fu probabilmente Prendiparte dei Prendiparti. Costui, più volte console durante la guerra contro Federico Barbarossa che insanguinò l’Italia per più di un decennio, guidò alla vittoria l’esercito di Bologna contro Imola nel 1168 e, sette anni più tardi, contro l’esercito imperiale sotto le mura di San Casciano. Prendiparte godeva di tale stima ed autorità tra i bolognesi che fu addirittura eletto Podestà, carica questa che non veniva mai affidata ad un concittadino per evitare pericolosi accentramenti di potere. A ulteriore prova della sua alta reputazione ed anche posizione sociale, nel 1185 ospitò nella sua casa nientemeno che l’imperatore Federico Barbarossa, che in quel tempo si era riappacificato con la Lega ed il papa, nel periodo in cui si stava organizzando la prima crociata. La “Grande Impresa” vide la partenza di duemila armati bolognesi tra cui spiccavano i rappresentanti della migliore aristocrazia cittadina, e dove ovviamente non poteva mancare il potente Prendiparte che partì per la Terrasanta.

Dal '400 al '700

Dopo l’ultima traccia di un Prendiparte collegato alla storia della Coronata che risale al 1358, la torre alla fine del Quattrocento passa alla famiglia Fabruzzi, ai quali fu in seguito confiscata con la caduta di Giovanni Bentivoglio nel 1508, ma due monache di quella famiglia riuscirono a riaverla di lì a poco. Queste appartenevano al monastero di Santa Maria della Consolazione e proprio quel monastero vendette la torre ad Ercole Seccadenari nel 1530. Gli eredi Seccadenari, il 5 ottobre 1588 la vendettero alla Mensa Arcivescovile, unitamente alla casa adiacente che fu adibita a seminario dal vescovo Paleotti. Quando nel 1751 il seminario fu trasferito di fronte alla cattedrale di San Pietro, dove attualmente si trova l’Hotel Baglioni, la torre e la casa contigua furono adibite a carcere e a sede del Bargello fino alla confisca napoleonica del 1796. Il vano posto ora al secondo piano era in quel tempo direttamente collegato tramite un passaggio interno al vecchio seminario e il vano era utilizzato dai seminaristi per isolarsi in preghiera e studio delle Scritture.

Quando la torre divenne carcere

Nella sua Storia delle Torri che risale al 1875 il Gozzadini riporta un dettagliato resoconto circa la dislocazione e la consistenza delle piccole celle, trascrivendo anche alcune delle scritte lasciate sui muri dagli antichi prigionieri. A seguito di una minuziosa opera di restauro conservativo e di attenta pulizia, sono ora perfettamente osservabili un notevole numero di incisioni, scritte, lamentazioni e disegni che hanno superato indenni oltre due secoli di incuria. Sono ora facilmente visibili disegni di paesaggi, chiese ed abitazioni oltre a figure umane, disegni che presentano un colore rossiccio dovuto al fatto che venivano eseguiti utilizzando scaglie di mattoni in laterizio od una pastella composta da polvere di mattone e da liquido organico. Alla partenza della scala che porta al quarto piano è ancora oggi possibile osservare la traccia di un ampio incavo in un mattone del pavimento che è conseguenza di tale lavorazione di asporto.

Grazie ad una ricerca effettuata presso l’archivio della Curia Arcivescovile si sono potute ricostruire le vicende di alcuni prigionieri quali Francois Vial (Francesco Viali, gallo) e Luigi Bernardi. Queste carceri della curia, rigorosamente maschili, rappresentavano luogo di segregazione e pena per chi si macchiava di reati contro la religione e che avessero comunque rappresentato un oltraggio alla morale cristiana. Fra i puniti si possono elencare uomini che si macchiarono di furti di arredi sacri, di aver procurato gravidanze a religiose, di aver effettuato un duello all’interno di un convento ecc. Il trattamento era a pane ed acqua, l’igiene praticamente nulla e il rischio per gli insubordinati era di finire nelle galere papaline, che evidentemente al confronto dovevano essere ancor più dure.

La torre tra '800 e '900

Dopo il 1796, eliminate le prigioni, sia la torre che le case limitrofe prospicienti la piazza S. Alò rimasero per un certo periodo di proprietà della Mensa Arcivescovile di Bologna, amministrata dal Regio Demanio. Al Catasto Pontificio, detto Gregoriano, risultavano infatti iscritte sia la torre sia il fabbricato ad Est come Casa e Magazzino e ad Ovest come rimessa e porzione in affitto. Tali immobili passarono insieme al altri dalla Mensa al Demanio dello Stato il 13 aprile 1868. Nello stesso catasto, aggiornato al 1873, risulta poi possessore del tutto un certo Monti Vincenzo fu Giovanni.

A seguito di ulteriori ricerche nei fascicoli del Catasto fabbricati in vigore dal 1866 al 1962, nonché presso l’Archivio Notarile, si è potuta ricostruire la storia degli ultimi passaggi avvenuti fino al 1972, quando Clemente Giovanardi la rilevò da Emilio Berti di Imola. Da allora la torre è stata abitata per alcuni anni e, dopo una parentesi in cui è stata occupata da un noto studio di professionisti, è rientrata nella disponibilità del proprietario che ha avviato una minuziosa opera di riadattamento conferendole l’attuale veste di sontuosa suite... su 12 piani!

   

   

  

© 2007 Matteo Giovanardi, sito www.prendiparte.it; aggiornamento 2012: i video non sono stati realizzati dall'autore della scheda.

    


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