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LAGOPESOLE, CASTELLO

a cura di Vito Bianchi

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La massiccia mole del castello.

 

In alto, il versante occidentale: evidenti i blocchi di pietra bugnata; in basso, il cortile maggiore.

 

 

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Epoca: XIII secolo.

Conservazione: buona.

Visitabilità: agevole.

   

La storia del castello.

La tradizione vorrebbe che Lagopesole, località svettante dai suoi 830 metri d’altezza a dominio del collegamento viario fra Benevento e la valle del Bradano, sia stata dotata di guarnigione sin dalla guerra greco-gotica (535-553). E pare che il nome le derivasse da un lago del Quaternario, il lacus pensilis (lago sospeso) che occupava la sottostante Valle di Vitalba. Verosimilmente, comunque, una robusta fortificazione d’età normanna dovette ergersi su quell’altura strategica, collocata a controllo della strada che da Potenza porta a Melfi: secondo il De rebus gestis Rogerii Siciliae regis di Alessandro di Telese, fu infatti proprio «...in oppidum quod vulgo nominatur Lacuspensulum» che nel 1128 e nel 1129 riparò Ruggero II. E fu ancora lì che, nel 1137, soggiornarono papa Innocenzo II e l’imperatore Lotario III, prima di volgersi all’assedio di Bari. Solo che, nella circostanza, i convenuti delle due parti furono costretti a sostare per un mese in tenda, poiché il  fortilizio era scarso di alloggi, considerate le sue funzioni puramente difensive. Fu piuttosto con gli Svevi che il castello di Lagopesole prese ad assumere le odierne proporzioni, dopo l’opera di ristrutturazione avviata da Federico II intorno al 1242. La roccaforte fu allora annessa al demanio regio, e venne ampliata, per essere trasformata in lussuosa dimora estiva e albergo di cacce: non a caso, i documenti di epoca sveva e angioina la definiscono domus o palatium, vale a dire uno di quei tipici loca solaciorum attrezzati per il diletto imperiale. Manfredi proseguì nei lavori intrapresi dal padre, e trascorse dei lunghi periodi nel mastodontico edificio, sorto in un luogo estremamente ameno: come ricorda Saba Malaspina nella sua Rerum sicularum historia, tutt’intorno al poderoso maniero c’erano infatti fresche sorgenti e boschi rigogliosi, carichi di selvaggina.

La bellezza del castello di Lagopesole venne apprezzata anche da Carlo I d’Angiò, che oltre a completarne la costruzione lo frequentò per lunghi periodi, dotandolo di un acquedotto, di scuderie e di una sorta di «piscicoltura» medievale: il re angioino fece  trasportare in appositi barili, e gettare nel laghetto antistante alla reggia, qualcosa come diecimila anguille, pescate nei laghi di Versentino e Salpi. Successivamente, nel corso dei secoli il palazzo andò incontro all’abbandono e al degrado, fino ai recenti restauri, che ne hanno rivalutato l’importanza. L’Università di Salerno ha anche cominciato a indagarlo archeologicamente, e così nel cortile minore è stata di recente evidenziata un’antica cava, usata come discarica sia dei rifiuti domestici, sia del materiale edilizio di risulta. Dai resti di pasto d’età angioina si è pertanto potuto comprendere come l’alimentazione corrente consistesse di fauna selvatica e domestica, con abbondanza di cinghiali, caprioli, cervi, suini, ovini e volatili di varia specie, la cui carne veniva gustata insieme a ostriche, pesci e uova. Le portate erano servite in contenitori di ceramica acroma, invetriata e protomaiolica, ritrovati accanto a frammenti di lucerne, gambi di calice, vetri bugnati, ossi lavorati e oggetti in bronzo.

Fra i reperti architettonici spicca una notevole quantità di conci, elementi di finestre e di porte, pezzi di scultura e soprattutto l’elegante rosone ottagonale che avrebbe dovuto impreziosire la chiesa, appartenuto al cantiere federiciano o al massimo manfrediano. Lo scavo ha inoltre restituito la parte inferiore di un sarcofago litico, raffigurante un leone che avvinghia un’antilope. Nel complesso, dalle modalità di rinvenimento del materiale archeologico si direbbe che i lavori edificatorii siano stati interrotti improvvisamente, presumibilmente dopo la battaglia di Benevento che nel 1266 sancì il passaggio del regno di Sicilia dagli Hohenstaufen agli Angiò. Effettivamente, i reperti raccolti sono databili a un’epoca compresa fra la prima età angioina e la fine del XIII secolo, come dimostrano anche le monete riscontrate in associazione alla stratificazione archeologica: esemplari di grosso veneziano in argento del doge Zeno (1253-1261), e denari di Carlo I (1268-1278) e dei suoi successori.

  

La struttura del castello.  

La domus di Lagopesole è un massiccio parallelepipedo allungato, grande 96 x 58 metri, più o meno quanto un campo da calcio: per dimensioni, è il più vasto fra i castelli federiciani. All’esterno appare chiuso da un poderoso muro a bugnato, con torri quadrate di rinforzo angolare. L’ingresso è articolato in due avancorpi simmetrici, e si apre sul versante occidentale. Internamente, il palazzo è scandito da due cortili di diverse dimensioni: il più ampio è a nord, e si estende con funzione residenziale su tre lati, per un’altezza di due piani. A sud si trova invece la corte minore, che è caratterizzata da un donjon quadrangolare. Ricavata nel torrione pre-(o proto)svevo, la cappella palaziale è annunciata da un portale di ispirazione svevo-angioina decorato «a denti di sega». Nelle sue particolari soluzioni architettoniche, la chiesetta parrebbe riecheggiare motivi strutturali di ambiente crociato, riscontrabili alla fine del XII secolo nel Krak dei Cavalieri e a Marquab (e dei cavalieri a mani giunte sono effigiati nei begli affreschi della zona absidale). Nei saloni residenziali, poi, a trionfare sono le sculture che, soprattutto nei capitelli e nelle mensole, ripropongono piante di gelso e cerri, uva e fichi, uccelli svolazzanti e orsi e cinghiali da cacciare, quasi fossero l’illustrazione dei diletti narrati da Federico II nel De arte venandi cum avibus. Non c’è traccia, invece, dei mortiferi trabocchetti che una leggenda locale addebita alla perfidia di Federico Barbarossa: per celare la propria deformità, durante gli ultimi anni di vita l’imperatore si sarebbe nascosto negli appartamenti castellari, ammazzando con l’inganno i barbieri chiamati a curarsi della sua folta barba. La fantasia popolare non poteva svilire l’immagine certo un po’ mitica di Federico II di Svevia, e aveva perciò riversato sul suo antenato il cupo senso di negatività e sottomissione che da sempre e ovunque un grande castello esercita sulla popolazione che vive alla sua ombra...

   

Per saperne di più: G. Fortunato, Il castello di Lagopesole, Trani 1902 (rist. Venosa 1987); M.E. Avagnina, Lagopesole: un problema di architettura federiciana, in Federico II e l’arte del Duecento italiano, Galatina 1980, pp. 153-174; M. Righetti Tosti-Croce, La scultura del castello di Lagopesole, ivi, pp. 237-264; R. Licinio, Castelli medievali. Puglia e Basilicata dai Normanni a Federico II e Carlo I d'Angiò, II ediz. Bari 2010; M.S. Calò Mariani, Il castello di Lagopesole, in «Medioevo Dossier» - Federico II, storia e leggenda di un grande imperatore, Milano 1998, pp. 84-85.

  

  

  

©2000 Vito Bianchi. L'ultima immagine (inserita nel 2014) è di Nicola Stucci. I video (inseriti nel 2013) non sono stati realizzati dall'autore della scheda.

  


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