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Il canto delle sirene

a cura di Sante Asse


   

  

Tempo fa acquisii in una nota libreria “esoterica” romana un curioso libello, con note storiche e commento a cura di Mario Mazzoni, intitolato Sonetti alchemici di Cecco d'Ascoli e frate Elia, Atanòr, Roma 1955. Il sonetto in questione, attribuito a frate Elia da Cortona, in latino, è tratto dal manoscritto Magliabechiano della Biblioteca Nazionale di Firenze, segnato: II III 308 a carte 39. Lo trascriviamo con traduzione del curatore a fronte debitamente riassemblata per ottenere una corrispondenza più letterale, riservandoci in coda tutte le nostre più o meno "bizzarre" riflessioni. Nato sul finire del XII secolo e morto nel 1253, frate Elia fu tra i primi seguaci di san Francesco; poi rinnegato dai suoi stessi fratelli per le sue idee e per le sue esperienze alchemiche, curatore del progetto di costruzione della basilica francescana di Assisi a forma di Tau. Nel testo in nostro possesso si riporta come, per sfuggire all'accusa di magia propugnata da sant'Antonio, riparò presso l'imperatore Federico II, prima di ritirarsi in romitaggio solitario con pochi fedeli seguaci presso Cortona.

       Spiritum volatem càpite  

       et in radium solis traite

 3    ut fixum debite

       et fixum fiat volatile.

       Et ipsum suaviter coquite

 6    et de parte terram facite

       quam in humido ponite

       ut humidetur optime.

 9    Cito humidam coniungite

        cum hamalgama terite

        super durissimum lapide,

12    tunc in vase proprio ponite

        ut calcinetur optime.

        Post ipsum suo lacte imbibite,

15    ut moltiplicetur utime

        quando assatum pro tempore

        vestitur alba clamide

18    et multiplicato regimine

        reducitur in cinerem

        cui sudorem suum redite

21    donec regali diademate

        rex coronetur debite

        et disolutum facillime

24    ingrediantur in corpore.

        Et si subtillius vis agere

        fac fixum volatile

27    cum impetuoso flamine

       deinde in terram reddite

        cum ignis moderamine

30    e tali servato ordine

        protraetur debite

        donec flaut levissime.

33    Et sic lapidem habebitis

        ex quo semper gaudebitis.

                  Amen.

         

       Prendete lo spirito che vola

       e spingetelo verso il raggio del Sole

 3    affinché debitamente si fermi

       e si faccia fisso ciò che è volatile.

       Poi dolcemente cocetelo

 6    e in parte terra fatelo

       e in luogo umido tenetelo

       perché si inumidisca bene.

 9    Subito l' umido unite

       con l' amalgama battetelo

        sopra durissima pietra

12    e poi in un proprio vaso mettetelo

        perché completamente si calcini.

        Dopo col suo latte imbevetelo

15    perché finalmente si moltiplichi.

        Quando sarà cotto a suo tempo

        si veste di bianco manto

18    e col trattamento raddoppiato

        si riduce in polvere

        a cui rendete il proprio sudore

21    finché con regale diadema

        sia incoronato il Re.

        E così sciolto in modo facile

24    entri nel corpo.

        E se poi più sottilmente volete agire

        rendete fisso ciò che vola

27    con spirito impetuoso;

        quindi in terra riducetelo

        con moderazione di fuoco

30    e tale ordine osservando

        si continui debitamente

        finché scorra leggermente.

33    Così la pietra avrete

        per la quale sempre godrete.

                      Amen. 

Alchemico nella forma, questo sonetto appare velare un soggetto correlato alla iniziazione cavalleresca e più specificamente templare. In qualche modo anche nelle note introduttive del Mazzoni, pagina 29, l 'ipotesi riportata del Castets di attribuirlo a Dante Alighieri avvalora questa tesi, « ... come risulta dal manoscritto H.493 di Montepellier... raccolta di trattati d'alchimia scritti in latino, ma compilato in Italia come risulta da carte 192 che porta la data: 1456 in Napoli. Il sonetto è a carte 240 ed è intitolato: "Motivum vel sonetis Dantis Philosophi et poetae fiorentini"». Dante, presunto accolito dei "Fedeli d'Amore" ai quali Mazzoni in precedenza ricollega il nome di Cecco d'Ascoli.

    

Veniamo ora a meglio indicare questi riferimenti templari nel nostro testo:

1) Nel primo verso, «Spiritum volatem càpite» ( "Prendete lo spirito che vola" ), va letto per assonanza "prendete uno spirito volitivo", cioè rivolgetevi a persone di Desiderio, con capacità di Volere. Il secondo verso, tradotto "spingetelo verso il raggio di Sole", dà l'idea di una pratica particolare: il raggio di sole può intendersi sia come battesimo di fuoco - ancora oggi nel gergo indica la prima battaglia cui un soldato viene comandato - sia perché il raggio di sole è assimilabile simbolicamente con la spada fiammeggiante dell'Arcangelo Michele, che è proprio l'angelo guerriero e il capo delle Milizie di Cristo.

2) Nei versi dal 5 all' 8, il "cocetelo in parte terra e in luogo umido" pare riferirsi giusto alla fase della iniziazione guerriera, come ricavato ad esempio dal Libro della Cavalleria di V. E. Michelet, con il candidato che trascorre una intera notte nel vestibolo buio (come nel rito di iniziazione massonica) a pregare e a purificarsi, cioè "lavarsi", dove "umido" indica il dominio delle paure e degli istinti emotivi in genere.

3) Verso 10: «terite» tradotto con "battetelo" richiama il gesto tipico di battere per tre volte la spada sulla spalla del candidato, atto di giuramento degli obblighi che competono al cavaliere ordinato; momento topico dell' investitura, che sublimava anche il fatto che quello sarebbe stato l'ultimo momento in cui il nuovo cavaliere avrebbe subito un affronto con le armi. La parola «hamal­gama» può essere letta separando le radici "hamal-" (anagramma del termine ebraico "almah" che vuol dire 'vergine') e "-gama" (dalla stessa radice del termine greco "gamòs" che vuol dire 'matrimonio' o 'unione').

4) Versi 16 e 17: è qui che, meglio di ogni altro, emerge il riferimento templare. Infatti, a cerimonia ultimata, il cavaliere veniva vestito con la sua nuova uniforme, e il mantello bianco era la prerogativa dell'ordine templare, il vero segno distintivo per il cavaliere; nell'«assatum pro tempore», tradotto con "cotto a suo tempo", si scorge un riferimento con le "assi" della croce (quindi: "poste le insegne del Tempio"), che è la croce del mantello.

Richiamiamo il fatto curioso che, in coda al suo libello, il Mazzoni riporta altri sei sonetti, in volgare, che egli sua sponte attribuisce a frate Elia, pur ammettendo che siano trattati come anonimi alla fonte (il Codice Riccardiano n. 946 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze) cui sono tratti. In essi, il riferimento nostalgico al mito delle crociate diviene veramente esplicito:

«Voi pellegrini che andate in romitaso cercando la scienza excelente»1;

«colerico bianco fa el suo sergente»2.

L'ultimo di questi sei sonetti in particolare è tutto intriso di riferimenti crociatoguerreschi, e lo riportiamo per intero, non dimenticando che la qualificazione di cavaliere e di aristocratico devono avere, per l'"uomo di desiderio" una valenza spirituale, e non sono arbitrarie designazioni del fato o di casta:

Intendi e nota ben quel ch'io dico;

l'anima non entra se non col suo corpo

là donde ell'è cavata, senza corpo;

questa è la verità o caro amico.

Se un altro congiungi al suo nemico

lavori invano e perdi el tempo tuo

però che l' altro non è fratello suo

e l' opera tua non varrà un fico.

Ma quando si congiunge col suo antico

e tutti due fanno conjuntione

nel ventre del lione a te saputo

allora ti puoi tocare sotto al belico

e dire: i' son maestro certamente

e nessun altro non vale un lombrico.

Sarà Elisir perfetto in fede mia

e potrai combattere la Saracinia.

  

Nei primi tre versi del sonetto, si scorge una perfetta identità di vedute con quanto riportato dal Vangelo apocrifo di Filippo: «Coloro che dicono che prima si muore poi si risorge, si sbagliano. Se non si riceve prima la resurrezione mentre si è vivi, quando si muore non si riceverà nulla».

   


1  La scienza excelente può ben intendersi "ex coelo", dal cielo, quindi la Gnosi.

2   I sergenti templari erano soldati non iniziati al rango dei cavalieri, che ricordiamo dovevano essere di stirpe aristocratica e pronunciare i quattro voti di castità, povertà, obbedienza e lo “stare in armi”. Potendo essi vestire solo di bruno o di nero, 'far bianco il sergente' potrebbe quindi indicare che i segreti dell' Ordine soppresso potevano essere stati tramandati o fatti custodire agli inferiori di grado.

  

  

©2005 Sante Asse

    


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