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di Luisa Derosa


 Introduzione  -  Le aree culturali  -  Le schede: Bitonto  -  Isole TremitiBariTarantoOtrantoTraniBrindisiGiovinazzoBibliografia essenziale


Tremiti, Isola di San Nicola, chiesa di Santa Maria a mare

 

L’edificio

L’abbazia di Santa Maria sorge su una delle isole, chiamate in antico Diomedée per la leggenda che racconta che qui si rifugiò il mitico eroe Diomede di ritorno da Troia. Si tratta di tre isole con caratteristiche geomorfologiche e antropiche diverse. Quella di San Nicola, dove sorge l’antica abbazia, si presenta quasi inaccessibile per le alte e ripide pareti rocciose, caratteristica questa che costituì nell’antichità una sorta di garanzia per le prime comunità che la popolarono. Una primitiva cella benedettina, dipendente da Montecassino, si insediò nell’alto Medioevo forse nell’isola di San Domino.

Dalla numerosa documentazione scritta rimastaci apprendiamo che nel volgere di poco tempo, tra X e XI secolo, un primitivo cenobio benedettino, insediato su S. Nicola, raggiunse un grande prestigio ed una notevole ricchezza tali da giustificare la costruzione di un nuovo edificio solennemente consacrato nel 1045 dal vescovo di Dragonara. Autore di questa impresa fu l’abate Alberico, il cui nome di origine germanica è forse in rapporto con la particolare protezione accordata al monastero dagli imperatori tedeschi della dinastia salica. Durante il periodo in cui Alberico fu alla guida della comunità il monastero ospitò Federico di Lorena, cancelliere papale e futuro papa; nel 1058 vi sostò per breve tempo anche Desiderio di Montecassino, che ben presto considerò l’abbazia delle Tremiti una potenziale rivale della più antica e potente abbazia dell’Italia meridionale e cercò di impossessarsene col consenso dei Normanni. Nella lunga e accanita contesa tra i due monasteri il potente Desiderio non riuscì però ad avere la meglio e l’abbazia tremitese mantenne la propria indipendenza, limitandosi ad accettare, alla fine, una formale protezione da parte del cenobio di Montecassino.

Nel corso del XIII secolo, al pari di numerosi altri monasteri del Mezzogiorno, cominciò un periodo di grande decadenza culminato nel 1255 con la sostituzione dei benedettini con i monaci cistercensi provenienti dal monastero di Casanova nella diocesi abruzzese di Penne. Fu in questo periodo che l’isola venne fortificata, a causa delle continue incursioni di pirati slavi, grazie all’intervento diretto del sovrano angioino Carlo II, protettore del monastero.

Attualmente la chiesa si presenta con una bella facciata in pietra d’Istria, che a metà del XV secolo sostituì l’antica facciata dell’edificio medievale. Di questo all’interno si conserva ancora pressoché intatto l’antico impianto, rimaneggiato in alcune parti e ampliato dai Cistercensi senza alterarne troppo l’aspetto precedente. L’edificio si presenta a tre navi terminati con altrettante absidi, preceduto da un doppio nartece con una loggia al piano superiore e concluso in origine da un presbiterio tripartito, profondo due campate, che riprendeva lo schema del nartece. Oggi questa zona ci appare nella forma assunta dopo il 1255, con un ampio coro gotico voltato a crociera costolonata.. La particolare originalità dell’impianto planimetrico è data dalla presenza al centro di una vasta aula quadrata che presenta su ciascun lato tre monumentali arcate cieche che inquadrano altrettanti archi passanti di minore altezza sormontati da monofore. I pilastri che li sostengono hanno forma polilobata con due semicerchi ai lati di un nucleo quadrato. Sul lato aperto verso il coro lo schema doveva essere ripetuto. Attualmente un grande arco trionfale a sesto acuto segna il passaggio al coro, in cui ancora visibile è l’antica abside centrale. L’intero edificio venne ricoperto da un tappeto musivo di cui rimangono significativi resti.

Pur essendo stata in passato accostata ad edifici di ambito bizantino ed orientale la chiesa si ispira a modelli riconducibili alla cultura architettonica occidentale, in particolare di area germanica, affermatasi in ambito carolingio e ottoniano, come rivelano i rapporti tra le poderose arcate cieche del vano centrale ed il cosiddetto ‘ordine colossale’, di cui la prima redazione della cattedrale di Spira costituisce l'esempio più noto.

Altri confronti sussistono, per la forma dei pilastri, con alcuni esempi di architettura lombarda e francese, dalla chiesa di Santa Maria di Lomello, dei primi decenni dell’XI secolo a quella di S. Philibert a Tournus.

 

IL MOSAICO (Tav. II)

Ubicazione: I frammenti musivi rimasti sono dislocati in vari punti dell’edificio. Quasi intatto il tappeto che riveste lo spazio quadrangolare al centro.

Datazione: fine XI secolo.

Materia e tecnica: piccole tessere di circa un cm di lato di marmo bianco pentelico, giallo di Siena, palombino di Subiaco, nero di Mattinata disposte ad opus tesselatum, alternati a piccoli inserti di opus sectile.

Tremiti, Isola di San Nicola, chiesa di Santa Maria a mare, pianta

Uno dei piccoli pesci negli spazi di risulta  L'elefante  Particolare del secondo elefante  Il grifo

Particolare  Particolare: il fiore a sei petali  Particolare  Particolare  Particolare  Particolare

Descrizione: Il grande tappeto musivo può essere suddiviso in tre settori, corrispondenti ad altrettante partizioni architettoniche dell'aula sacra. Nel primo di essi, corrispondente all'area presbiteriale (sopraelevata rispetto al resto dell’edificio di 52 cm), ai lati dell'altare maggiore campeggiano due monumentali cervi affrontati con grandi corna ramificate su un fondo fittamente decorato da racemi vegetali. Nella zona inferiore due elefanti con torri sul dorso intenti con le proboscidi a sollevare delle sfere di colore grigio su un fondo a racemi simile al precedente. Le figurazioni sono riquadrate da pannelli decorati con cerchi annodati e motivi a pelte. Al centro del presbiterio alcuni frammenti di cornice ed i resti di due rotae di piccole dimensioni una delle quali contiene un grifo. Un altro tondo, di grandi dimensioni, contenente un fiore a sei petali, si trova al centro dell’abside.

Nel vano centrale quadrato su un fondo caratterizzato da un motivo a palmette con cinque foglie contrapposte e legate da nodi si incastona una grande composizione a cinque cerchi inscritta in un quadrato. Nel cerchio centrale, di maggiori dimensioni, una serie di fasce concentriche a zig-zag racchiudono un disco occupato dalla figura di un grifo alato. Nei cerchi minori sono contenuti degli uccelli, mentre negli spazi di risulta vi sono piccoli pesci.

Nella campata immediatamente ad ovest del vano centrale è in parte visibile un'aquila ad ali spiegate entro un tondo circondato da un tralcio di foglie stilizzate. La restante decorazione è costituita da motivi geometrici e vegetali. Altri resti musivi sono visibili intorno al primo pilastro di destra con fiori gigliati variamente colorati e cerchi intersecantisi che riprendono l’analogo motivo presente nella zona presbiteriale, sotto i due elefanti.

Nella navata meridionale, infine, sul fondo rialzato di 52 cm vi è un motivo geometrico costituito da quadrati disposti a scacchiera mentre al di sotto dei tre gradini che innalzano il presbiterio si trova la figura di un leone, di cui è chiaramente visibile la testa di prospetto e parte della criniera.

Iconografia: Le figurazioni che compaiono nel deambulatorio, nell’area centrale e nella navata laterale, l’aquila, il grifo ed il leone, simboleggiano la forza e la potenza di Cristo.

Nei Bestiari l’aquila era capace di guardare il sole in faccia. Il leone e l’aquila mostravano grande attenzione nei confronti dei loro piccoli. Come il leone soffiava nella gola dei suoi cuccioli morti per resuscitarli, così l’aquila portava i suoi piccoli nell’alto del cielo dell’empireo, per insegnare loro a fissare il sole, e gettava via quelli che non riuscivano a sostenere lo sguardo. Come la vicenda del leone è legata all’idea della Resurrezione, così la leggenda dell’aquila prefigura l’idea del Giudizio.

L’aquila è anche simbolo del neofita, del catecumeno. L’unione dei due animali maggiori dava vita all’immagine del grifone, significativamente inserito a Tremiti in posizione centrale.

La scena dell’abside evoca, invece, atmosfere paradisiache. I due cervi, simboli dell’anima ansiosa di avvicinarsi a Dio, non sono raffigurati ai lati del tradizionale albero della vita e del cantaros, fonte di salvezza e simbolo del battesimo, ma si dispongono direttamente ai lati dell’altare, di cui sottolineano il valore sacro e liturgico. Tale centralità della composizione è ulteriormente ribadita dalla presenza dei due elefanti, felici abitatori del Paradiso terrestre, allo stesso titolo di Adamo ed Eva, ma indenni dal peccato originale e quindi automaticamente ammessi alla beatitudine eterna.

Osservazioni: Il mosaico delle Tremiti, nonostante le vistose lacune dovute in parte alle successive campagne di lavori ed in parte ai restauri avvenuti già a partire dal XV secolo, è sufficientemente esteso da poterlo considerare una proiezione in piano delle partiture architettoniche della chiesa, di cui esalta il significato simbolico. Esso assolve inoltre alla funzione di dare direzioni precise agli stessi spazi architettonici in funzione della liturgia. Sull’asse longitudinale dell’edificio sono, ad esempio, collocati in sequenza una serie di cerchi: quello includente l’aquila, nella zona occidentale, il quinconce con il grifo, nell’area quadrata centrale, il tappeto contenente vari tondi nel vano presbiteriale ed infine il fiore a sei petali nel catino absidale.

Le dimensioni del quinconce centrale sono dettate dall’ampiezza che intercorre tra le due pilastrate laterali; la centralità di questo tema sottolineava, forse, la copertura cupoliforme del vano stesso.

Considerato in un primo momento dalla critica in rapporto al mondo bizantino, il mosaico delle Tremiti è stato successivamente inserito nel quadro di una cultura veneto-adriatica, permeata di elementi di matrice orientale derivati dal comune passato tardoantico e paleocristiano. Confronti sono stati istituiti con i pavimenti di Torcello (S. Maria Maggiore), di Venezia (S. Niccolò, S. Marco e S. Zaccaria), di Carrara (S. Stefano) e dell’abbazia di Pomposa, per citare solo alcuni esempi.

Questi pavimenti, successivi al mosaico delle Tremiti, sono realizzati quasi interamente in sectile, mentre nel caso della chiesa isolana gli inserti di sectile si limitano a pochi frammenti (le pupille degli animali, il collare del piccolo grifo nella zona presbiteriale, il motivo a scacchiera sul corpo dei pesci, alcuni tratti della decorazione aniconica), elemento che differenzia notevolmente questo pavimento da quello recentemente scoperto della cattedrale di Bitonto, a cui per altri motivi è indubbiamente legato (cfr. scheda Bitonto). Con i mosaici di area alto adriatica il mosaico delle Tremiti condivide la ricerca di effetti di vivace policromia, la ricchezza delle decorazioni zoomorfe, alcune delle quali, come l’aquila ad ali spiegate di Murano, straordinariamente affini, ma anche la presenza costante, in posizione preminente di fronte al coro, di una monumentale quinconcia fiancheggiata da cornici con trame geometriche o figure animali più o meno fantastiche.

Molti dei motivi presenti nel mosaico delle Tremiti, inoltre, affondano le loro radici in un contesto più specificatamente pugliese. I motivi a racemi intrecciati nel quadrato centrale e nella navata sinistra si ritrovano, ad esempio, nelle fasce che decorano i bordi del Benedizionale di Bari e dell’Exultet 1 della cattedrale di Troia. Gli stessi ornati geometrici e vegetali e le raffigurazioni zoomorfe dell’aquila, dei grifi, degli elefanti, suggeriscono, inoltre, indubbie analogie con la grande tradizione scultorea discesa dall’arcidiacono Acceptus.

Le figurazioni di Tremiti si contraddistinguono per l’insistita ricerca di effetti naturalistici e volumetrici, soprattutto nella definizione del corpo dei cervi e degli elefanti nella zona presbiteriale, che rende questi esempi vicini alla tradizione paleocristiana. La rota con il leone, nella navata meridionale, per la piattezza delle forme, che contrasta con il trattamento naturalistico delle altre figure, può essere considerata frutto di un successivo intervento medievale, forse di restauro. Una conferma a questa ipotesi viene dal confronto con un altro frammento musivo, raffigurante un leone entro un girale vegetale, emerso nel 1994 nella cattedrale di Termoli, eseguito tra la fine dell’XI secolo ed i primi anni del secolo successivo. Si potrebbe dunque supporre per la decorazione della navata sud una datazione coeva e la partecipazione delle stesse maestranze, considerando non solo la vicinanza geografica delle due sedi quanto la dipendenza della chiesa di Tremiti dalla diocesi stessa di Termoli.

 


BIBLIOGRAFIA SPECIFICA

A. MAC CLENDON, The Church of S. Maria di Tremiti and its Significance for the History of Romanesque Architecture, in «Journal of the Society of Architectural Historians», 43 (1984), 1, pp. 5-19.

C. BARGELLINI, The Tremiti Mosaic and Eleventh-Century Floor Decoration in Eastern Italy, in «Dumbarton Oaks Papers», xli (1987), pp. 29-40.

C. RADICCHIO, L’isola di San Nicola di Tremiti, Bari 1993.

R. CARRINO, Il pavimento musivo medievale di Santa Maria delle Tremiti (Puglia), in La mosaïque gréco-romaine, Actes du vii Colloque Internationale pour l’Étude de la Mosaïque antique (Tunis 1994), t. 2, Tunis 1999, pp. 807-925.

P. BELLI D’ELIA, Espressioni figurative protoromaniche nella Puglia centrale: il ‘mosaico del grifo’ della cattedrale di Bitonto, in Bitonto e la Puglia tra Tardoantico e Regno normanno, Atti del Convegno (Bitonto 15-17 ottobre 1998), a cura di C.S. Fioriello, Bari 1999, pp. 171-192.

REFERENZE FOTOGRAFICHE: Foto 1 (tav. II) da: P. BELLI D’ELIA, Patrimonio Artistico Italiano. Puglia romanica, Milano 2003. Foto di copertina e tutte le altre foto: di Pina Belli D'Elia e Luisa De Rosa.

  

  

©2004 Luisa Derosa

 


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