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di Luisa Derosa

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 Introduzione  -  Le aree culturali  -  Le schede: BitontoIsole TremitiBariTarantoOtrantoTraniBrindisiGiovinazzoBibliografia essenziale


Otranto: Cattedrale

 

L’edificio

Ignota è la data di fondazione della cattedrale latina di Otranto, sorta ai margini della città antica in quella che per secoli era stata la roccaforte del potere bizantino in Italia meridionale. è probabile che la sua costruzione sia stata iniziata dopo il 1070, anno della conquista normanna della città. Nel 1088 viene consacrato l’altare maggiore, alla presenza dei vescovi di Taranto, Brindisi e Bari, su invito dell’arcivescovo Guglielmo I. Tale evento si riferisce ad una prima e più semplice redazione dell’edificio, una basilica orientata a tre navi, con due file di arcate su pilastri, vasto transetto ad aula unica concluso da tre absidi. In una successiva campagna di lavori, risalente al XII secolo, l’edificio venne trasformato in una basilica a colonnati, secondo il modello diffuso nelle maggiori fabbriche pugliesi del periodo. In questa fase invariate rimasero le dimensioni dell’edificio come pure il livello di imposta dei primitivi sostegni. L’ampio spazio del transetto venne tripartito da due possenti arcate trasverse, poggianti su tozzi pilastri cilindrici addossati ai lati dell’arco trionfale e dell’abside, scendendo fino alla cripta di cui ne sconvolsero in parte l’aspetto. Necessario fu rinforzare i pilastri dell’arco trionfale, a cui si collegavano i colonnati della navata longitudinale, e sui quali si esercitava la pressione delle arcate trasverse del coro. Si risolse la questione costruendo due robusti setti murari, al termine dei colonnati e nella controfacciata, che inglobarono i pilastri originali della chiesa, come ancora oggi è visibile. Poco chiara è la motivazione che spinse i costruttori a inserire gli arconi trasversi che suddividono il transetto, in contrasto con la prima versione dell’edificio che in questa parte dell’edificio aveva previsto un ampio spazio e profondo, che si riflette anche nella cripta sottostante, costruita come espediente per compensare il forte dislivello di terreno del luogo in cui si decise di fondare la nuova cattedrale. Quest’ultima, stando alle nostre conoscenze, costituisce il primo esempio di cripta a sala o oratorio in Puglia, adottata seguendo uno schema di derivazione campana. La notevole profondità dell’aula giustifica la suddivisione in ben quarantacinque campate più altre tre nell’abside centrale. Una vera e propria selva di colonne, con una quantità straordinaria di marmi reimpiegati ed un ampio repertorio scultoreo che spazia dal Tardoantico alla prima età romanica, costituendo un insieme straordinario e unico.

I lavori di trasformazione della chiesa superiore si conclusero intorno agli anni ’60 del XII secolo, quando l’arcivescovo Gionata mise mano alla realizzazione del vasto tappeto musivo che ricopre l’intera superficie dell’aula sacra, come documentano le numerose iscrizioni che lo accompagnano. Mosaico che ancora oggi si può ammirare integralmente, ad onta dei tanti interventi di restauro, ma, soprattutto, del grave e doloroso oltraggio inferto alla chiesa ed agli abitanti della città da parte dei Turchi il 12 agosto del 1480. In ricordo di questo tragico evento sono conservate nella cappella costruita al posto dell’abside laterale destra, in grandi armadi in noce, le reliquie dei ben ottocento otrantini decapitati sul colle della Minerva per essersi rifiutati di abiurare la fede cristiana (sotto l’altare si conserva ancora il ceppo della decapitazione).

 

IL MOSAICO (Tavv. V-VI)

Ubicazione: Il mosaico si estende lungo l’intera superficie della navata centrale, nell’abside e nelle due ali del transetto.

Datazione: 1163-1165.

Committenza: Dalle iscrizioni, ubicate in tre diverse zone del mosaico, si apprende il nome del committente, l’arcivescovo Gionata.

Autore: Le stesse scritte riportano il nome dell’autore del mosaico, il prete Pantaleone.

Iscrizioni: Nello spazio dinanzi all’altare maggiore si trova la prima iscrizione, in versi leonini, estesa per tutta la lunghezza della navata maggiore:

[ANNO] AB (INCAR)NATIO(N)E D(OMI)NI NOS(T)RI IHESU CH(RIST)I MCLXIII I(N)DIC(TIONE) XI REGN(ANTE) FELICIT(ER) D(OMI)NO N(OSTR)O W(ILLELMO) REGE MAGNIFICO ET T(R)IU(M)FATORE HUMILIS SE[RVUS CHRISTI] IONAT[HAS]…

(Trad.: Nell’anno 1153 dall’Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo durante l’XI indizione, sotto il buon governo del nostro signore Guglielmo re magnifico e vittorioso, Gionata unile servitore di Dio…). Il resto dell’iscrizione risulta illegibile.

Nella cornice circolare che racchiude la figura di re Salomone si legge:

IONATHAS HUMILIS SERVUS CH(RIST)I IDRONTIN(US) ACHIEP(ISCOPUS) IUSSIT HOC OP(US) FIERI.

In un’altra cornice collocata due righe più in basso, intorno a un medaglione raffigurante un mostro a forma di drago che divora una lepre, l’iscrizione prosegue:

HOC OP(US) INSIGN(E O) LEX(IT) FIDIQ(UE) BENIGNE INIIT U(T) VI(V)IFICUISS(ET) OMN(ES);

Un tardo intervento di restauro ha reso poco decifrabili alcune parole del testo originario.

La quarta e più importante iscrizione si trova nel mezzo della navata centrale ed è ripartita su due fasce corrispondenti a tutta l’ampiezza della navata stessa:

ANNO AB INCARNATIO(N)E D(OMI)NI N(OST)RI IH(ES)U CH(RIST)I MCLXV I(N)DICTIO(N)E XIIII REGNANTE DO(MI)NO N(OSTR)O W(ILLELMO) REGE MAGNIFI(CO) HUMILIS SERVUS CH(RISTI) IONATHAS HYDRUNTIN(US) ARCHIEP(ISCOPU)S IUSSIT HOC OP(US) FIERI P(ER) MANUS PANTALEONIS P(RES)B(YTE)RI.

(Trad.: Nell’anno 1165 dopo l’Incarnazione del Nostro Signore Gesù Cristo, nella XIII indizione, durante il governo del nostro signore Guglielmo, il re magnifico, l’umile servo di Cristo Gionata, arcivescovo di Otranto, comandò che fosse esguita quest’opera per mano del prete Pantaleone).

Infine, davanti all’ingresso, ricostruita per essere andata distrutta durante l’attacco dei turchi sulla base del ricordo degli abitanti della città, si legge:

EX IONATH(E) DONIS PER DEXTERAM PANTALEONIS/HOC OPUS INSIGNE EST SUPERANS IMPENDIA DIGNE.

Materia e tecnica: tessere policrome di calcare locale (la cui provenienza è stata individuata nella zona di Tricase, Castro, Santa Cesarea Terme), di colore bianco e, nelle varie tonalità, di grigio, rosso, nero, verde, giallo,disposte in opus tesselatum. Inserti in pasta vitrea di vari colori tra cui predominano il turchese, il verde e l’oro.

Otranto, schema generale del mosaico

Navata centrale  Navata centrale: particolare, il ciclo dei mesi  Navata centrale  Navata centrale: particolare

Abside  Navata destra  Quadrato del transetto  Quadrato del transetto

Descrizione: Il pavimento della navata è interamente occupato da un grande albero sostenuto da due elefanti, il cui tronco divide in due parti, in senso longitudinale, l’intera superficie. I due elefanti si volgono il dorso per guardare, a sinistra, un combattimento tra due uomini, muniti di scudo rotondo e di lunghi bastoni, e a destra, un uomo nudo e una donna intenti a suonare una tromba, fra due cavalli dalle code intrecciate. I rami dell’albero si aprono simmetricamente e sui margini laterali della navata si piegano in su per un breve tratto, delimitando la porzione inferiore del pavimento. Tra una brulicante composizione di varie figure umane e animali emerge, sul lato destro, l’immagine di re Alessandro, vestito come un basileus bizantino fra due grifoni che tendono il collo per afferrare la carne che il Macedone mostra loro infilzata su due aste. Sul lato sinistro una figura femminile intenta a saettare un cervo, accanto ad una scacchiera. Immediatamente sopra, una grande figura di leone quadricorporato che poggia la sua enorme figura su un mostro intento a divorare un enorme serpente.

Nel registro superiore, sullo stesso lato, è narrata la costruzione della Torre di Babele: quattordici figure, alcune in bilico su scale, altre appollaiate sui merli, sono impegnate con grande operosità nell’impresa. Intorno ai rami dell’albero, tra foglie e frutti simili a fichi, esseri fiabeschi dalle forme demoniache, rapaci, pesci, figure umane nude e indifese popolano la scena.

Nella zona successiva, suddivisa dalle due fasce con le iscrizioni, sono rappresentati Noé ed i suoi figli che piantano viti accanto ad una serie di personaggi fantastici tra cui spicca la figura di un uomo nudo che cavalca un gigantesco struzzo, intento a suonare una lunga tromba.

Nel registro superiore, a partire da sinistra, si osserva la figura di Noé, di dimensioni maggiori delle altre, in ginocchio mentre riceve l’ordine da Dio – simboleggiato dall’imperioso braccio che benedice alla greca – di costruire l’arca. Alcuni carpentieri appaiono già intenti a compiere i primi preparativi, mentre nel lato destro, è la scena dell’imbarco degli animali destinati a sopravvivere al Diluvio.

Si chiude in questo modo la prima sezione del mosaico.

Seguono, all’interno di dodici cornici circolari di eguale diametro, le rappresentazioni dei mesi e dello zodiaco.

Al di sopra una serie di scene attinte dal Vecchio Testamento. Tra le ultime propaggini del grande albero sono riconoscibili, da sinistra, Adamo ed Eva arrampicati tra i rami, poi la loro cacciata dal Paradiso Terrestre per opera dell’Angelo, quindi una porta, forse del Paradiso Terrestre chiusa e custodita da un uomo cinto in vita da un perizoma con un lungo bastone tra le mani. Seguono Caino e Abele (i cui nomi sono evidenziati da due iscrizioni) che offrono a Dio, rispettivamente, un mazzo di spighe ed un capretto, secondo il racconto biblico, ed infine l’uccisione di Abele, a cui Dio chiede conto attraverso un’altra iscrizione tratta dal versetto biblico (Gn. 4,9): «Ubi e(st) Abel fra(ter) tuus?». Fra la cacciata dei progenitori e la morte di Abele è inserita un’altra scena: un re, che la scritta posta accanto permette di identificare come Artù, a cavallo di un ariete, raffigurato in un gesto di sgomento di fronte all’improvviso assalto di un ferino.

Una grande lacuna del mosaico, dovuta alla distruzione dell’antica iconostasi della chiesa, interrompe questa sequenza narrativa. Il mosaico riprende nella zona presbiteriale con una serie di sedici rotae, che accolgono ora personaggi biblici ora raffigurazioni animali. Al centro, in basso, la cima del grande albero termina con il serpente che si protende verso Eva. Questa occupa il tondo di sinistra, mentre Adamo è raffigurato nel tondo destro. Entrambi stanno per portare alla bocca un fico. Nei tondi laterali figurano rispettivamente un toro ed un altro quadrupede. Nella fila superiore, a partire da sinistra, compaiono invece un cammello, un drago che divora un capretto, un elefante, un felino che azzanna una preda.

Nel terzo registro in successione sono raffigurati: un quadrupede dalle lunghe corna con aculei sulle cosce e la scritta, di oscuro significato, gris, un centauro che saetta un cervo, un monaco di fronte ad un unicorno.

Nelle rotae superiori è la regina Saba, accompagnata dalla scritta esplicativa Regina austri, il re Salomone (Rex Salomon), una sirena che si afferra con le mani la coda biforcuta e un grifone che solleva tra le zampe un capretto accompagnato da un’altra iscrizione (pasca) di difficile comprensione.

Negli spazi lasciati liberi tra i tondi sono campite diverse figure di animali tra cui una volpe che suona i piatti, un asino che suona l’arpa, una volpe ed un gallo, un uccello che lotta con un istrice, e, quasi a caratterizzare l’ambiente marino della sirena, un polipo e un pesce.

La zona è delimitata dalla prima delle iscrizioni che accompagnano il mosaico. Superiormente una fascia decorata ancora da una folla di animali, serpenti, galli, lupi ed infine i funerali della volpe finta morta.

Un’altra grande lacuna, dovuta alla costruzione di un altare monumentale, interrompe il mosaico, che riprende nell’abside. Qui, vediamo rappresentato, sul lato destro, Giona nell’atto di essere divorato dal pesce mentre due uomini cercano di resistere alla furia del vento ammainando la vela.

Tutt’intorno una scena di genere con una miriade di pesci che guizza introno al profeta, mentre due di essi hanno abboccato all’amo che un pescatore ha loro gettato. Le successive figurazioni sono disposte secondo un ordine vario ma con andamento radiale rispetto all’altare maggiore. Di seguito vediamo Giona mentre dorme sotto le stelle, dopo essersi salvato dal pesce, al riparo dalle frasche che Dio aveva fatto miracolosamente sorgere in un solo giorno. Accanto, Giona (Ionas propheta) distende un grande cartiglio su cui è scritto: «Adhuc XL dies et Ninive subvertetur» (Giona 3,4) [trad.: Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta]. è la scena della notifica della terribile profezia: ad essa segue sulla diagonale destra l’immagine del re di Ninive che si spoglia degli abiti regali per indossare un saio accingendosi a fare penitenza. Sopra questa figura è una barca in cui due uomini discutono animatamente con un terzo personaggio, sospeso nel nulla. Si vedono di seguito le porte, le mura e i merli della città da cui i trombettieri annunciano la terribile profezia. Alla sommità del cerchio absidale è la rappresentazione della caccia al cinghiale.

Il lato sinistro è dominato dalla figura di Sansone (individuato dalla scritta Samson posta a lato) sul dorso di un leone a cui sta staccando la mascella (Giudici 14,6).

Nelle navate laterali il mosaico comincia dopo le scale che conducono alla cripta e si estende di qui fino all’altare.

In quella di destra ancora un grande albero incornicia con i rami una serie di animali e mostri: cani, sfingi, leoni e un drago che ingoia un capretto. La parte terminale, assai lacunosa presenta una serie di figure umane riconoscibili dalle scritte che le accompagnano. Così il giovinetto che brandisce un rotulo può essere identificato con Samuele. Sopra questa figura un altro personaggio in trono con un lungo rotulo spiegato è accompagnato dalla enigmatica scritta, forse in parte frutto di restauro, Marguacius. Accanto ad essa, sulla destra, una gigantesca figura con un piccolo personaggio che occupa parzialmente lo spazio tra le sue gambe. All’apice dell’albero prende posto Atlante, la testa curvata e le braccia rialzate a sostenere la Terra, rappresentata da un disco tondo riempito da tessere triangolari di sectile, disposte in cerchi concentrici.

Nella navata sinistra un altro albero sostenuto da un bue spartisce la rappresentazione delle anime dei dannati e degli eletti. In alto a destra un uomo incatenato mani e piedi, da viso distorto da una smorfia si dichiara, per la scritta che gli è accanto, Infernus. Gli è seduto vicino, su un mostro serpentiforme, Satanas incoronato. Ad di sotto si vedono i dannati tra le fiamme, stritolati da mostri e serpenti o, in basso, immersi in un grande calderone. Ancora più giù un diavolo che afferra un tridente si contrappone ad un angelo con la bilancia in mano per pesare le anime.

Nella parte di sinistra, all’altezza di Satana i tre patriarchi Abramo Isacco e Giacobbe accolgono sulle ginocchia le anime degli eletti. Nella zona inferiore tra i rami di un secondo albero sono le figure di altri due giovani tra vari animali.

Iconografia: Varie e articolate sono state fino ad oggi le interpretazioni che critici e studiosi hanno dato del tappeto figurato di Otranto, sia per la vastità e complessità delle rappresentazioni e sia per la difficoltà di decodificare integralmente la miriade di raffigurazioni simboliche e allegoriche.

Se l’albero assolve ad una funzione preminentemente formale, come una sorta di impalcatura che tiene insieme, articola e delimita il complesso delle illustrazioni, sul piano simbolico la sua presenza assume molteplici significati. L’interpretazione più coerente in relazione alle scene raffigurate è che esso rappresenti l'arbor mala: lo dimostra la presenza, alla cima dell’albero, del serpente che induce al peccato la prima coppia del genere umano. D’altro canto, secondo la tradizione biblica, ripresa dalle due figure dei progenitori, il frutto proibito era un fico e fichi straordinariamente grossi pendono da tutti i rami dell’albero. Un’altra interpretazione si basa sulla presenza, all’altezza dell’arca, di un’ascia conficcata nel tronco, che ne ridimensionerebbe il significato negativo. L’albero, fino a questo punto simbolo del male, assumerebbe il valore di strumento sussidiario di salvezza, attraverso il quale superare la maledizione del peccato originale (Willemsen).

Considerazioni diverse sono alla base delle teorie di coloro che vedono nel mosaico non solo significati religiosi e morali, ma anche aspetti sociali. Partendo dalla considerazione che l’albero simboleggi, secondo una tradizione molto più antica di quella cristiana, una metafora della sovranità regale, si è così ipotizzato che Gionata, personaggio di rilievo della corte palermitana (cfr. Osservazioni) attraverso l’albero abbia voluto rendere omaggio alla grandezza e potenza del suo re, Guglielmo I, celebrato nelle due iscrizioni (Rush Fabbri).

Ma osserviamo quali scene sono rappresentate in questa prima zona del mosaico.

  

©2005 Luisa Derosa

  


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