di
  Luisa
  Derosa
| 
               Introduzione - Le schede: 1. Adamo ed Eva - 2. Vita di Cristo - 3. Arazzo di Bayeux - 4. Santa Margherita - 5. San Nicola - 6. San Francesco (Bonaventura Berlinghieri) - 7. San Francesco (Giotto)  | 
          
7.
  Storie di san Francesco (fig.
  13)
| 
  Giotto di Bondone (Colle di Vespignano 1267ca. – Firenze 1337) | 
        
| 1296-1304 | 
| Affresco | 
        
| Assisi,
  Basilica superiore | 
        
  
Descrizione e iconografia
 Nella Basilica superiore di Assisi la zona inferiore delle
  pareti della navata sono raffigurate in ventotto riquadri, entro un finto
  loggiato sostenuto da colonne tortili, le Storie
  di San Francesco.
Sul
  margine inferiore di ogni singola scena una serie di iscrizioni illustrano gli
  episodi raffigurati.
Il
  celebre ciclo di affreschi ha inizio a partire dall’incrocio del transetto,
  sulla parete destra della prima campata per poi proseguire fino alla
  controfacciata e continuare lungo il lato sinistro. Il primo episodio
  raffigura l'Omaggio di un semplice
  e si riferisce all’episodio della vita del santo in cui, come recita
  l’iscrizione che accompagna la scena, «un uomo semplice di Assisi stese le
  vesti davanti al Beato Francesco, e rese omaggio». La scena è ambientata in un luogo ben preciso e noto, la piazza Maggiore di
  Assisi, dove ai lati della facciata della chiesa sono raffigurati il Palazzo e
  la Torre del Popolo nella forma che avevano fino al 1305. Si tratta di un
  importante elemento di datazione, dal momento che questa scena è unanimemente
  considerata dalla critica appartenente all’ultima fase della decorazione.
 La
  decorazione iniziò, dunque, dalla scena successiva raffigurante il Dono
  del mantello, cioè quando
  «Il
  beato Francesco si incontrò con un cavaliere nobile ma povero…quello,
  subito spogliatosi, rivestì». 
  La scena è ambientata in un paesaggio
  roccioso animato da due paesaggi urbani, resi con un disegno del tutto nuovo
  nel tentativo di raffigurare di scorcio le case arroccate sulla sommità. Le
  rocce confluiscono proprio all’altezza della testa del santo che costituisce
  quindi il perno della scena, anche dal punto di vista figurativo. 
Segue
  il Sogno del palazzo, quando, in
  sogno Francesco «vide un palazzo splendido e grande con le armi guerresche
  fregiate del segno della croce; e chiedendo di chi fossero, da una voce
  celeste gli fu risposto che esse sarebbero divenute sue e dei suoi discepoli».
Nella
  seconda campata la successione delle scene mostra un deciso passo avanti nella
  definizione del rapporto figura-architettura. Il primo dei tre riquadri
  rappresenta la Visione di San Damiano
  quando «pregando il beato Francesco
  dinanzi all’immagine del Crocifisso, dalla croce venne una voce che disse
  tre volte: "Francesco
  va', ripara la mia casa che tutta si
  distrugge».  L’edificio, una chiesa a tre navate, in rovina,
  fortemente scorciata,
  è poggiata sul terreno come una vera e propria scatola spaziale,
  leggermente obliqua; precisa è la resa dell’interno con l’abside e
  l’altare con il Crocifisso, raffigurato secondo una iconografia medievale,
  cioè con le figure dei due dolenti accanto al corpo di Cristo. 
Nella
  Rinuncia degli averi quando il
  santo
  «restituì al padre ogni cosa, e deposte le vesti rinunciò
  ai beni paterni e temporali ...»: l’episodio è impaginato entro due
  complesse alte architetture, molto articolate e precise dal punto di vista del
  gioco spaziale e degli effetti misurati della luce, bellissime nei colori
  chiari, in caldi accordi di rosa, davanti alle quali sono due gruppi di
  personaggi. Il punto centrale dell’episodio, di grande carica drammatica,
  è nel padre di Francesco, che avanza in veste gialla, con un volto
  straordinariamente espressivo.
Nel
  Sogno di Innocenzo III è
  raffigurato l’episodio di «come il papa vedeva la Basilica lateranense esser già prossima alla rovina;
  la quale era sostenuta da un poverello», così come recita il titulo
  che accompagna la scena. Si osservi come il papa dormiente, abbigliato come
  per una cerimonia, è vegliato da due figure accovacciate, ritagliate come
  blocchi scultorei in posizione simmetrica e leggermente di sbieco, così da
  accentuare la spazialità del luogo.
Nella
  successiva campata nel primo riquadro è la bella scena dell’Approvazione
  della regola da parte del papa. La scena si svolge in una sala gotica con
  il tetto poggiante su arcate sostenute da mensole, le une e le altre in
  perfetta misura prospettica, sottolineate da un sapiente gioco di luci e
  ombre. I personaggi, contenuti “dentro” l’architettura, sono divisi in
  due gruppi. Si tratta di figure dai visi intensi ed espressivi, sottolineati
  da un disegno preciso di ombre. Tra tutti spicca il papa avvolto nel
  mantello come in un unico blocco; la sua stola bianca, che forma un perfetto
  semicerchio e poi ricade sul braccio, definisce allo stesso tempo il volume
  e lo spazio. 
Le
  due scene che seguono, la Visione del
  carro di fuoco e la
  Visione dei troni richiamano l’attenzione su un elemento tipico della
  religiosità medievale, la rivelazione in sogno di un evento soprannaturale
  che, nel caso del ciclo in esame, contribuisce ad aumentare non solo la santità
  di Francesco ma a sottolineare l’importanza della sua missione apostolica.
  Nella prima di queste scene è raffigurato come
  «Pregando il beato Francesco
  in un tugurio, ed essendo i suoi frati in un altro tugurio ecco che costoro
  videro il beato Francesco sopra un carro infocato e splendente ...». 
Nella
  successiva scena è raffigurata  la
  visione avuta da un compagno di Francesco che vide «... in cielo molti
  seggi, e uno, più degli altri degno, ... e udì una voce che diceva ...
  questo seggio ... è riservato all’umile Francesco ...». 
Il
  ciclo prosegue con la scena della Cacciata
  dei diavoli da Arezzo dove è raffigurato
  a sinistra una chiesa gotica, e a destra la città, racchiusa nella
  cerchia delle mura: Giotto vi ripropone l’inerpicarsi medievale delle
  casette una sopra l’altra, caratterizzate da una grande vivacità di colori.
  Ognuno di questi edifici mostra una struttura regolare e geometrica e il
  disegno delle loggette e delle finestre è spazialmente corretto,
  sottolineato dall’esatto gioco del chiaroscuro. I diavoli raffigurati come
  grandi pipistrelli, resi con acuta osservazione naturalistica e briosa
  fantasia.
A
  questa scena segue la Prova del fuoco
  davanti al sultano,
  «quando il beato Francesco…
  volle entrare in un
  grande fuoco coi sacerdoti del sultano di Babilonia».
Nell’Estasi
  la composizione è costruita lungo due diagonali che si incontrano nella
  figura del santo, tramite tra l’uomo e il suo operato, rappresentato dalle
  figure dei frati e dalle costruzioni architettoniche sulla sinistra, e Dio e
  la natura, simboleggiata dall’albero, che occupano la parte destra del
  dipinto. In questa, come nella scena precedente, alcune incertezze
  nell’impianto compositivo indicano l’intervento di aiuti.
Una raffigurazione di alta maturità compositiva è invece nella scena del Presepe di Greccio (fig. 13b) che narra «... come il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe ... un cavaliere scorse il Gesù Bambino, in luogo di quello che il Santo aveva portato ...».
Una
  recinzione, disegnata con puntigliosa esattezza nelle membrature, separa il
  presbiterio - luogo dell’azione -
  dalla navata: quest’ultima però è
  intuibile grazie al gioco prospettico del pulpito e della Croce che sporgono
  in avanti, verso l’interno, con felicissima intuizione di spazio. Come si è
  accennato sopra, a partire proprio da questo riquadro Giotto si esprime con
  una sapienza compositiva nuova, nella creazione dello spazio, architettonico
  o paesistico, e in un più preciso rapporto tra questo spazio e le figure: è
  quindi possibile che vi sia stato un intervallo o una cesura tra le prime
  scene, ancora molto legate a quelle della zona superiore della parete, e
  queste, certamente più mature e sapienti.
Una
  pausa figurativa si avverte nella parete della facciata, decorata con due
  episodi che si svolgono in un aperto paesaggio, come a continuare, nella
  finzione del dipinto, la visione di ciò che appariva al di là del portale
  della chiesa: le selve e i boschi frequentati da Francesco. Qui sono
  raffigurati il Miracolo della fonte
  (fig.
  13a)   quando «Salendo il
  beato Francesco sopra un monte in groppa all’asino di un povero uomo ... e
  invocando il detto uomo che si sentiva morir di sete, un poco d’acqua, ne
  cavò da una pietra ...». Alla
  scena sono presenti due frati raffigurati in conversazione. A questo colloquio
  sembra partecipare anche l’asinello, che pure apparendo solo a metà, è
  una presenza fortissima e carica di vita e di realtà. L’amore di Francesco
  per gli animali, che Giotto sa così bene interpretare, trova il suo punto più
  alto, ovviamente, nella Predica agli
  uccelli. Così si narra: «Andando il beato Francesco a Bevagna, predicò
  a molti uccelli; e quelli esultanti stendevano i colli, protendevano le ali,
  aprivano i becchi, gli toccavano la tunica ...». Qui il colloquio avviene
  tra il Santo e gli animaletti, distinti uno per uno per il colore della livrea
  e per la posizione, come piccoli individui (vedi scheda su 
              San Francesco (Bonaventura Berlinghieri). 
Sulla
  parete di sinistra la narrazione si apre con la
  Morte del cavaliere di Celano,
  «Quando
  il beato Francesco impetrò la salute dell’anima per un cavaliere di
  Celano ... il quale d’improvviso esalò l’anima, addormentandosi nel
  Signore».
  Di questo celebre episodio pare essere protagonista la lunga tavola con
  gli oggetti quotidiani, resi, per la prima volta in pittura, con minuta
  attenzione.
La
  Predica davanti a OnorioIII (fig.
  13c)
  
   è
  un altro dei grandi capitoli della storia della spazialità giottesca: la
  scena si svolge in una sala gotica coperta da crociere e aperta sul davanti
  come in uno spaccato di una loggia; la stanza è disegnata in precisa resa
  prospettica, nell’esatta divaricazione degli archi e delle volte; le pareti
  si aprono in allungate bifore gotiche e nella parte bassa è appesa una ricchissima
  stoffa lavorata.
Sempre in un interno gotico è ambientata la scena dell’Apparizione del santo al capitolo di Arles quando «Predicando il Beato Antonio in capitolo ad Arles ... il beato Francesco, benché corporalmente assente apparve ...».

Nel riquadro successivo è raffigurato un episodio centrale e fondante la santità di Francesco, la comparsa delle Stimmate (fig. 13d). Nella Leggenda Maior San Bonaventura racconta che al santo in preghiera apparve l’immagine di un serafino, sovrapposta a quella del crocifisso. Nelle versioni precedenti della vita questi due episodi (la visione del serafino e le stimmate) erano separati. Collegandoli insieme Bonaventura assimila la figura di Francesco a quella di Cristo: è il momento culminante di contatto col divino, di identificazione anche fisica col Cristo crocifisso, di cui finisce per portarne i segni nel corpo.
Giotto interpreta fedelmente il testo scritto. Per
  ricordare che la visione avvenne nel giorno della festa dell’Esaltazione
  della croce nella lunetta della cappellina a ridosso delle rocce, sul lato
  sinistro, dipinse una croce e all’interno dell’edificio lasciò scorgere
  un altare, quello stesso da cui, nella versione di Bonaventura, il compagno
  Leone aveva preso il vangelo, apertosi per ben tre volte sull’episodio della
  Passione in atto. Lo stesso Leone è raffigurato sul lato destro intento a
  leggere, sullo sfondo di un’altra cappella dove svetta, alla sommità, una
  croce. In un ciclo narrativo che intendeva offrire la versione ufficiale della
  vita del fondatore dell’Ordine si sentì la necessità di visualizzare il
  testimone dell’evento a garanzia di maggiore veridicità. Giotto fece
  assumere al volto del Serafino, incorniciato dalla barba bionda e dal nimbo
  con la croce, i tratti ben riconoscibili di Cristo; abbassò le ali in modo da
  rendere perfettamente visibile il corpo ed esplicito il rapporto fra le ferite
  divine e umane attraverso sottili raggi che uniscono i piedi, le mani e il
  petto di Cristo ai piedi, alle mani e al petto di Francesco. è
  un’innovazione di grande portata, veramente geniale rispetto alle precedenti
  immagini di questo episodio. Per il Cristo-serafino Giotto adottò, anche se
  ai suoi tempi si era già saldamente affermata l’iconografia nuova del
  Crocifisso con i piedi sovrapposti, quella più antica, con i piedi disgiunti,
  perché essa facilitava la visualizzazione dei raggi di collegamento che
  procedono lungo traiettorie parallele, come se Francesco si guardasse in uno
  specchio, e invece della propria immagine vedesse il Serafino. Evidente in
  questo caso il concetto che le stimmate derivassero a Francesco dal profondo
  amore verso Dio, amore generato dalla visione.
Questo
  episodio precede immediatamente La
  morte del santo: in questo modo viene istituito un rapporto tra gli ultimi
  istanti di vita di Cristo in croce. A partire da questo scomparto
  l’intervento di Giotto pare ridursi.
Segue
  la scena dell’Apparizione a frate
  Agostino e al vescovo di Assisi che fa riferimento a due episodi avvenuti
  immediatamente dopo la morte del santo 
Nell’Accertamento
  delle stigmate la scena, affollata da una grande multitudine di frati, è
  ambientata in una chiesa di cui vediamo solo un trave che dovrebbe servire da
  recinzione. Con un gioco prospettico, già sperimentato nel Presepe
  di Greccio, pendono verso i fedeli un crocifisso, una tavola con la Maestà,
  un San Michele e due bellissime lampade. In questa parte del dipinto è
  evidente l’impronta della personalità giottesca. 
In
  cattivo stato di conservazione è l’episodio della Canonizzazione.
  Sufficientemente leggibile, invece la scena del Compianto
  delle clarisse, una delle più animate dell’intero ciclo dove da un
  lato, con grande vivacità coloristica, è rappresentato il popolo di Assisi
  mentre sull’altro lato, escono da una chiesa gotica, le clarisse accorse a
  rendere omaggio alla salma del frate. Lo svolazzo degli abiti delle suore crea
  un forte dinamismo alla scena. Al centro la testa di Francesco, leggermente
  sollevata verso Chiara, china sul corpo del frate, evidenzia il profondo
  rapporto, il colloquio intensissimo fra i due compagni.
Nell’Apparizione
  a Gregorio IX, episodio ambientato in una signorile architettura
  caratterizzata da sontuosi drappeggi alle pareti, si racconta, come ricorda il
  titulus, «Dubitando alquanto il
  santo papa gregorio della piaga nel costato, gli disse in sogno il beato
  Francesco: “Dammi una fiala vuota”, e come gliela diede la si vide riempire
  del sangue del costato».
Le
  tre scene successive, le ultime del ciclo, non eseguite da Giotto, La
  guarigione del ferito di Lerida
Notizie storico-critiche
Nel 1266 si era conclusa la straordinaria vicenda umana e
  spirituale di 
   Francesco d’Assisi
   e l’ordine dei Frati Minori da lui
  fondato dall’Umbria si era diffuso in tutta l’Europa. «Da piccolo comune
  Assisi era divenuta la capitale di un dominio spirituale senza confini; la
  volontà di manifestare in forma concreta questa nuova grandezza ne fece per
  lo spazio di un secolo, il centro propulsore dell’arte italiana» (Todini). 
Nel
  1228 Gregorio IX benediceva solennemente la prima pietra della monumentale
  basilica e la dotava largamente di immunità e privilegi, sottoponendola
  direttamente alla Santa Sede. La fabbrica era avviata a compimento nel 1253,
  quando fu consacrata da Innocenzo IV, mentre fervevano i lavori di rifinitura
  e decorazione direttamente patrocinati dal pontefice. Dopo questa data
  l’attività artistica assunse un ritmo sempre più incalzante. L’ambizioso
  progetto, aveva portato alla realizzazione di un imponente complesso edilizio
  che, a livello visivo, evoca un fortilizio militare. La grande chiesa, il cui
  progetto venne plausibilmente mutato in corso d’opera, fu articolata su due
  piani. La parte inferiore, che custodiva le spoglie del santo fu sin
  dall’origine concepita come chiesa sepolcrale e monumento alla memoria del
  santo fondatore dell’Ordine, secondo una prassi del tutto nuova. La chiesa
  superiore venne invece concepita come cappella papale. L’interesse del
  papato era indirizzato ad arginare le spinte pauperistiche e laicali
  connaturate al francescanesimo primitivo. Legare in modo incondizionato
  l’Ordine ad essere fedele servitore del papa fu lo scopo principale di
  questa impresa. Le scelte dei committenti assisiati furono costantemente
  orientate verso le tendenze innovatrici comparse in pittura nel corso del
  Duecento. Quando Giotto giunse ad Assisi una parte della decorazione della
  basilica superiore era già stata compiuta. Vi avevano partecipato in un primo
  momento maestranze transalpine ed in seguito, per il diretto interessamento
  della curia pontificia, era giunto Cimabue che aveva lavorato sulle pareri dei
  transetti e nel coro, e un gruppo di maestranze romane capeggiate da Jacopo
  Torriti. 
Poco
  prima dell’arrivo di Giotto fa la sua comparsa anche lo straordinario
  maestro delle Storie di Isacco, dipinte sulla parete destra, da alcuni
  identificato con lo stesso Giotto, da altri con Arnolfo di Cambio.
Il
  ciclo di Giotto fu concepito fin dall’inizio come la parte più importante
  della decorazione della chiesa superiore. Esso ebbe certamente valore
  normativo quale illustrazione ufficiale della vita e dei miracoli del santo. 
 La
  fonte letteraria a cui attinse Giotto è la Legenda
  maior di san Bonaventura, scritta tra il 1260 ed il 1263. Essa sostituiva
  le altre precedenti Vite del santo
  e costituiva, appunto, la versione ufficiale della biografia di Francesco. Non
  esiste negli affreschi assisiati alcuna interpretazione personale dovuta
  all’artista della vicenda umana e religiosa di Francesco e dei suoi primi
  seguaci. Al contrario essi riflettono le convinzioni dei minori di parte
  moderata, secondo un programma elaborato dai reggenti dell’ordine in accordo
  con le direttive della curia romana.
Sugli
  affreschi francescani la letteratura critica è vastissima e molto complicata
  la problematica relativa alla loro attribuzione. Giotto giunse ad Assisi tra
  il 1296 ed il 1300.
Nel
  ciclo i principi del linguaggio destinato a dominare per tutto il Trecento si
  enucleano con crescente chiarezza lungo lo svolgimento dell’impresa,
  nonostante l’intervento di diversi esecutori che lavoravano nella bottega
  dell’artista. L’esecuzione, piuttosto omogenea, mostra il ricorso a
  stilemi fortemente anticheggianti nella costruzione delle forme, specie nel
  chiaroscuro dei volti realizzato sistematicamente lasciando in vista il
  colore verdaccio di preparazione. A partire dall’Apparizione del
  Carro di Fuoco, - dove l’edificio che accoglie i compagni di San
  Francesco è desunto da perduti prototipi romani - se resta immutato il
  tono generale delle composizioni, con le notevoli eccezioni della Cacciata
  dei Diavoli da Arezzo e del Presepe
  di Greccio, la stesura assume un carattere meno omogeneo in parte dovuto
  alla presenza di vari collaboratori, ma anche al graduale emergere di un
  modo di dipingere più dettagliato, attento alla diversa sottolineatura
  espressiva delle figure. Ad esso corrisponde un radicale mutamento delle
  modalità di esecuzione, basato sulla definizione del chiaroscuro attraverso
  una tessitura continua delle pennellate. Stilisticamente si passa da una
  maniera sintetica, essenziale nella definizione delle forme, a una analitica
  che indulge sui particolari del modellato. Ciò risalta al massimo grado se
  si confronta la possente effigie di papa Innocenzo III nella Conferma
  della Regola, con la figura del pontefice, di più sottile introspezione
  psicologica, nella Predica a Onorio
  III. 
La
  varietà nella rappresentazione degli affetti e dei moti, il senso vivissimo
  della narrazione che si osserva in queste storie e permane fino al termine
  della serie, sorprendono per l’ispirazione moderna e la scioltezza della
  condotta pittorica, ormai libera da residui schematismi. Le architetture non
  fungono più da quinte simboliche, divengono praticabili e quasi ragionate, a
  tratti si fanno anche arditamente illusionistiche lasciando scorgere la
  prima invenzione di motivi che avranno largo sviluppo nelle successive opere
  di Giotto e dei suoi seguaci. Un linguaggio nuovo e moderno che ad Assisi
  viene riportato “di greco in latino”, come del resto avevano bene intuito
  gli antichi scrittori fiorentini.
Per saperne di più
F.
  Todini, Pittura del Duecento e del
  Trecento in Umbria e il cantiere di Assisi, in
  La Pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, t. II, pp.
  375-413
A.
  Cadei, L’architettura della Basilica,
  in San Francesco. Testimonianza
  artistica. Messaggio evangelico, Milano 1991, pp. 43-74
A.
  M. Romanini, Gli affreschi, ivi,
  pp. 121-184
    
      
  
    
   
  ©2006 Luisa Derosa. La
  scheda fa parte del corso monografico (Narrare per immagini nel
  Medioevo, a.a. 2003-2004, prof. Pina Belli D'Elia) di Storia dell’Arte medievale del Corso di Studi in Scienze della Formazione primaria,
  Facoltà di Scienze dell'Educazione e della Formazione dell'Università di
  Bari. Immagini a cura di Maurizio Triggiani.