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di Barbara Barletta

Le fonti      La vita      Temi e problemi      Bibliografia


Le fonti

La prima biografia di Skanderbeg è opera di Marin Barleti (Marino Barlezio,1460-1512), un sacerdote cattolico di Scutari, contemporaneo del Castriota. Egli si basò su testimonianze di alcuni dei valorosi condottieri al seguito del “primo cavaliere” e su documenti ufficiali dell’archivio di Venezia (dove Barleti si era rifugiato dopo la caduta di Scutari sotto il dominio ottomano). Scritta in latino, la Historia de vita et rebus gestis Scanderbegi, Epirotarum principis venne pubblicata a Roma all’inizio del XVI secolo.

Un secolo più tardi Giovanni Maria Biemmi, un prete bresciano, trovò una biografia di Scanderbeg scritta da un autore anonimo di Tivari che venne battezzato “il Tivarese” da Fan Noli (prete ortodosso, filosofo, storico e scrittore albanese del XX secolo). Il manoscritto originale dell’opera del Tivarese, datato 1480, è andato perduto: lo si conosce soltanto da riferimenti e citazioni del libro di Biemmi intitolato Istoria di Giorgio Castrioto Scander-Begh.

Un’altra testimonianza originale sulla vita di Scanderbeg fu quella di Gjin Muzaka, appartenente alla famiglia feudale che governava la città di Berat. Gjin Muzaka ha combattuto accanto a Skanderbeg e visse in Albania ancora per undici anni dopo la morte dell’eroe; più tardi si trasferì a Napoli dove scrisse il libro Historin dhe trashegimin brez mbas brezi te familjes se Muzakeve (La storia e l’eredità da generazione a generazione della famiglia dei Muzaka) nella quale narra le vicende di cui fu testimone diretto.

Nel XIX secolo studiosi di nazionalità diverse, accantonando le tante opere dei due secoli precedenti, si sono occupati delle fonti originali conservate negli archivi del Vaticano, di Venezia, di Ragusa e di Istambul. La scoperta di questi documenti ha posto sotto una luce diversa la vita e l’opera di Scanderbeg. Alcuni di questi studiosi lo nominano nelle loro lunghe e generiche opere che trattano il periodo in cui i Turchi dominarono i Balcani. Altri, come l’inglese Clement Moors, il francese Camille Paganelle, il tedesco Z. Pisko, hanno scritto lunghe biografie su Scanderbeg. Il lavoro maggiore si deve agli eruditi Thalloczy, Jireçek e Shufflay, i quali raccolsero e pubblicarono una collezione di documenti che costituisce un'opera monumentale per l’Albania del XIX secolo.

Giorgio Castriota Scanderbeg

 

La vita

Giorgio Castriota Scanderbeg (Gjergj Kastrioti Skenderbeu) nasce a Croia (Krujë) nel 1405, quando l'Albania, a parte pochi territori come le zone di estrema montagna dove vivevano i leggendari malesore - contadini che conservavano antiche usanze e organizzazioni sociali -, era sotto il dominio turco. Figlio di Giovanni Castriota (Gjon Kastrioti) principe di Krujë, quando aveva solo tre anni fu preso in ostaggio con i suoi tre fratelli maggiori dal sultano Murat II: due, Stanislao e Reposio, furono uccisi, il terzo, Costantino, si fece monaco, mentre Giorgio fu educato nella corte di Adrianopoli. Avviato alla carriera militare secondo il tradizionale devshirme (l'arruolamento forzato dei giovani da inserire nell'esercito turco), divenne esperto nell'uso delle armi e nella strategia militare, guadagnando la stima e la fiducia del sultano, che gli diede un nome islamico: Iskender Bej (letteralmente: Alessandro signore); appunto da Iskander o Skander deriva il nome Scanderbeg.

Giorgio si distinse per capacità, intelligenza e cultura: sembra che parlasse perfettamente il turco, l'arabo, il greco, l'italiano, il bulgaro e il serbocroato. Dopo una serie di imprese militari portate a termine brillantemente come generale dei "corpi della morte" turchi chiamati Jeniçer, nel 1443 ebbe dal sultano l'incarico di affrontare il voivoda di Transilvania Janos Hunyadi (il "cavaliere bianco") per riconquistare la Serbia che il nobile valacco era riuscito a strappare ai Turchi. 

Intanto erano giunte a conoscenza dello stratega notizie sulle sue vere origini, sulla sua provenienza e sulla sorte dei suoi tre fratelli. Queste rivelazioni determinarono il corso della storia successiva. Skanderbeg e Janos di Transilvania si incontrarono in segreto per complottare contro l'esercito turco.

                           

Giorgio Castriota Scanderbeg

   

Scanderbeg insieme ai suoi fedelissimi, 300 cavalieri tutti albanesi, compreso il nipote Hamza, abbandonò improvvisamente l'esercito turco a Nish e si diresse verso l'Albania. Qui, falsificando l'ordine del sultano, ottenne la consegna del castello di Krujë da parte del Pascià in carica. Durante i festeggiamenti per la consegna del castello il piccolo contingente turco fu massacrato, compreso il Pascià che fu ucciso dallo Scanderbeg seduto accanto a lui nel banchetto. Immediatamente dopo lo Scanderbeg organizzò un esercito provvisorio per la difesa della roccaforte conquistata.

Nel marzo del 1444, nella cattedrale veneziana di S. Nicola ad Alessio (Lezha) una grande assise di principi albanesi cui prese parte anche il rappresentante di Venezia, costituita la "Lega dei popoli albanesi", si pronunciò all'unanimità per affidare il comando a Scanderbeg. Il sultano Murat reagì inviando contro gli Albanesi un forte esercito guidato da Alì Pascià; lo scontro con le truppe di Scanderbeg, decisamente inferiori numericamente, avvenne il 29 giugno 1444 a Torvjolli: qui i Turchi riportarono una bruciante sconfitta.

L'elmo e l'elsa della spada di Scanderbeg: armi conservate nel Museo Storico di Vienna

   

L'esito disastroso della battaglia spinse il sultano ad affidare l'incarico di affrontare e sconfiggere gli Albanesi a Firuz Pascià, a capo di 15.000 cavalieri. Skanderbeg ancora una volta usò proficuamente la tattica della guerriglia: piuttosto che affrontarlo in campo aperto, attese l'esercito avversario presso le gole di Prizren, e gli inflisse, il 10 ottobre 1445, una nuova sconfitta, ripetuta poi l'anno successivo nei confronti di un ancor più numeroso contingente, al comando di Mustafà Pascià. 

Entusiasta della vittoria, il papa Eugenio IV giunse a ipotizzare una nuova crociata contro l'Islam guidata dallo stesso Scanderbeg. Non a torto: il condottiero era riuscito - e riuscirà in seguito - a conseguire decine di vittorie nelle battaglie contro gli eserciti ottomani: nei campi di Pollogut, di Dibra, di Ocrida, e di Domosdove, nelle gole dei fiumi di Drin, di Shkumbin negli anni 1444-48, 1450-56, 1462-65, e nei Campi dell'Acqua Bianca nel 1457, nei pressi di Ocrida nel 1462, nel prato di Vajkan nel 1465, e così via.

In quegli anni, anche la Puglia conobbe direttamente il valore militare dello Scanderbeg, impegnatosi direttamente a sostenere il re di Napoli Ferdinando I d'Aragona, detto Ferrante - figlio di quell'Alfonso I che all'Albanese non aveva fatto mancare il suo sostegno e il suo contributo in armati -, contro il rivale Giovanni d'Angiò. Sconfitto quest'ultimo nel 1462 presso Orsara di Puglia, lo Scanderberg fu costretto a tornare in Albania per affrontare una nuova minaccia ottomana. Due anni più tardi re Ferdinando gli concesse i feudi di Monte Sant'Angelo e San Giovanni Rotondo. Intanto in quegli anni, e per tutta la seconda metà del Quattrocento, si va intensificando l'esodo di profughi albanesi nelle terre pugliesi, in particolare in Terra d'Otranto e in Capitanata: ne vengono interessate, tra le altre, le località di Campomarino, Casalnuovo Monterotaro, Casalvecchio di Puglia, Chieuti, Monteparano, San Giorgio Jonico, San Marzano di San Giuseppe, San Paolo di Civitate, Sternatia, Zollino.

                                 

Giorgio Castriota Scanderbeg

   

L'idea della crociata contro l'Islam, sempre affidata allo Scanderbeg, fu ripresa da papa Pio II, ma questa volta gli Stati occidentali, soprattutto la repubblica veneziana, fecero decisamente "orecchio da mercante". Il papa morì poco dopo (1464) e così Scanderbeg si trovò da solo con gli Albanesi a fronteggiare i Turchi.

Nel 1467 Scanderbeg sconfisse Maometto II. Nonostante i suoi successi, alcuni dei quali straordinari, egli si rese conto che resistere alla pressione ottomana diventava sempre più difficile. La stessa preoccupazione convinse il doge di Venezia ad inviare l'ambasciatore Francesco Capello Grimani presso il condottiero albanese per organizzare una difesa comune, ma l'ambasciatore non potè portare a termine l'incarico perché Scanderbeg morì di malaria ad Alessio (Lezha) il 17 gennaio 1468, 15 anni dopo la definitiva caduta di Costantinopoli.

Erede di Giorgio Castriota Scanderbeg fu il figlio Giovanni, avuto dalla moglie Marina Donica Arianiti. Giovanni, ancora fanciullo, si rifugiò assieme alla madre a Napoli, dove venne ospitato da re Ferdinando I. Nel 1481 egli radunò alcuni fedelissimi e sbarcò a Durazzo; osannato dal popolo, non riuscì a portare a termine alcuna impresa militare significativa.

L'Albania dovette lentamente ma definitivamente cedere al dominio turco. Molti principi, per sfuggire a stermini e deportazioni, l'abbandonarono e con loro, nel corso del 1503, anche quei Veneziani che avevano ancora dei possedimenti albanesi. Il sogno dei Sultani di estendere il dominio islamico fino a Roma svanì: l'Occidente doveva in primo luogo a Scanderbeg questo merito. La resistenza albanese contro i Turchi continuò per più di un decennio dopo la morte di Scanderbeg, ma mai più organizzata come nei suoi venticinque anni di battaglie.

Roma: monumento equestre dedicato allo Scanderbeg (1940, scultore Romanelli)

 

Temi e problemi

Dopo la prima guerra mondiale padre Fan S. Noli (1880-1965) pubblicò l’opera Istorinë e Skënderbeut (La storia di Skanderbeg, 1921), che ebbe subito una straordinaria popolarità, al punto di essere quasi imparata a memoria da tutti gli studenti delle scuole dell'Albania finalmente libera.

Nel 1937 Thanas Gegaj presentò una tesi in francese, nell’Università belga di Louvain, intitolata L’Albanie et l’invasion au XVe siècle. Il lavoro fu poi pubblicato a spese dell’Università.

Dopo la seconda guerra mondiale ancora Fan Noli pubblicò un libro sulla storia di Scanderbeg in lingua inglese, un’analisi scientifica e critica delle opere di tutti i precedenti autori che avevano scritto la biografia dello Scanderbeg. In questo lavoro (George Castrioti Scanderbeg, New York 1947) Noli cerca di distinguere i fatti storici dalle leggende e dai pregiudizi. Egli, interpretando i fatti storici sulla scia della storiografia marxista, propone una lettura di Scanderbeg che lo pone allo stesso livello di un comandante di guerriglia dei nostri tempi. 

All'eroe nazionale dell'Albania e alla sua epopea sono riferite decine di leggende e tradizioni locali, e dedicate numerose opere di narrativa: tra queste meritano di essere ricordati il George Kastioti-Scanderbeg (Tirana, 1962), di Naim Frasheri, considerato il fondatore della letteratura nazionale albanese, e il romanzo Kështjella (La Fortezza, 1970), del più noto scrittore contemporaneo, Ismail Kadare. 

          

Bibliografia (cui si rimanda per le indicazioni sulle fonti)

Tajar Zavalani, Historia e Shqipnis., 2 voll., London 1961-66.

Jaho Brahaj - Skender Sina, Gjergj Kastrioti Skenderbeu, Tirana 1967.

Deuxième Conférence des études albanologiques à l'occasion du 5e centenaire de la mort de Georges Kastriote-Skanderbeg (Tirana, 

          12-18 janvier 1968), Tirana 1969-1970.

Anton Logoreci, The Albanians, London 1977.

   

   

©2002 Barbara Barletta

  


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