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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


L'anniversario della fine della guerra, 87 anni fa.

La cattedrale di San Severo in una foto d'epoca.


  

«Su tutti i fronti di battaglia spenta è la voce del cannone, e in una festa di gioia, su tutta quanta la terra, risuonano i cantici della Vittoria su la barbarie tedesca, debellata e vinta. Una nuova era si avanza nella bianchezza di un'aurora smagliante e noi, figli del gentile sangue latino, con gli occhi fissi nella nostra bandiera, non dimentichiamo che, fra le sue pieghe, fiammeggiante è la Croce, simbolo di Fede e di Amore...»: così 87 anni fa il Capitolo della Cattedrale di San Severo, con un manifesto, celebrò la fine della prima guerra mondiale, segnata dalla sconfitta della Germania e dell'impero austro ungarico. Tanta era la gioia, condita dall'immancabile retorica dell'epoca, per la fine di un conflitto che aveva mietuto migliaia di vittime anche in provincia di Foggia.

Complessivamente 5.287 furono i soldati della Capitanata caduti sui vari fronti, e soprattutto sui monti del Trentino. Fra le azioni di guerra compiute dai soldati foggiani non mancarono atti di eroismo, segnati da 97 medaglie d'argento e 67 di bronzo al valore militare. Una pagina di storia ormai lontana e celebrata ieri, come ogni 4 novembre. Ma ai morti al fronte in Capitanata si aggiunsero le vittime causate dall'epidemia di «febbre Spagnola», nell'autunno del 1918. In provincia di Foggia migliaia le persone contagiate dal morbo (che in tutta Italia fece 600.000 vittime) e che morirono. 

«Decorso nota epidemia - scrisse il sottoprefetto di San Severo Francesco D'Alena - è divenuto allarmante nella popolazione specie per decessi, in numero di trenta e più al giorno». Il funzionario denunciò una situazione assolutamente disastrosa: «Mancano così becchini, sterratori, manca del personale che possa sostituire opera agenti municipali tutti infermi e così pure mancano raccoglitori materiali fecali. Opera medici poi, come già segnalai, è insufficiente al bisogno e moltissimi malati ne rimangono del tutto privi. Autocarro destinato trasporto cadaveri è insufficiente».

A Lucera l'epidemia causò anche 42 morti al giorno. Fra le vittime anche il vescovo monsignor Lorenzo Chieppa. L'epidemia infierì su una popolazione civile ridotta allo stremo dal regime di forte ristrettezza alimentare determinato dalla rigida economia di guerra. Nell'aprile del 1917 infatti era in vigore in provincia di Foggia una tessera annonaria per famiglia con la quale anche il pane, la farina, il petrolio e lo zucchero erano strettamente razionati. La razione di pane giornaliera oscillava dai quattrocento ai duecentocinquanta grammi, la razione di farina fra i trecentoventi ed i duecento grammi: contadini, muratori e braccianti avevano diritto a razione doppia. La razione individuale di zucchero assegnata dalla tessera annonaria era di venti grammi.

La partenza per il fronte di decine di migliaia di braccianti e piccoli proprietari determinò in Capitanata una forte contrazione delle terre coltivate. Nel 1917 circa 100.000 ettari di terre, coltivate prima della guerra, erano incolte. Questo causò una forte diminuzione della produzione agricola e l'arrivo in Capitanata di migliaia di prigionieri austro-ungarici, utilizzati come manodopera nei campi, per supplire all'assenza dei braccianti locali, impegnati al fronte. L'utilizzo di questa forza lavoro fu denunciata da uno dei pionieri del movimento socialista di Capitanata, il sanseverese Leone Mucci, che in una seduta del consiglio provinciale levò una vibrata protesta. Mucci, fedele ad una linea politica pacifista, evidenziò dai banchi di Palazzo Dogana in modo impietoso la disastrosa situazione in cui versava la Capitanata: «La miseria, le ingiustizie, la incuria del governo, il disservizio sistematico hanno prodotto uno stato di cose così impossibile ed intollerabile, che la protesta nasce spontanea sulla bocca dei conservatori, come dei liberali, come dei socialisti ed oggi qua dentro siamo unanimi nel comune denominatore di sovversismo».

Terminata la guerra, al ritorno dal fronte c'era in provincia di Foggia una difficile situazione economica. Nel marzo del 1919 il prefetto di Foggia denunciò la presenza in Capitanata di 30.000 braccianti disoccupati.

            
   

©2005 Francesco Barbaro. Articolo pubblicato sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» il 5 novembre 2005.

     


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