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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


  


Giudice istruttore del processo Matteotti, Mauro Del Giudice stava per inquisire il Duce

Mauro Del Giudice

      

Pugliese, nato nell'anno 1857 a Rodi Garganico, Mauro Del Giudice fu un insigne giurista oltre che letterato e scrittore brillante. Gli fu affidata l'istruttoria del processo Matteotti che condusse con coraggio, resistendo ad ogni pressione esterna, finché fu rimosso dall'incarico su diretta pressione del Duce, che si sentiva in pericolo perché temeva di essere inquisito per la sua contiguità con gli assassini. Del Giudice fu promosso (promoveatur ut amoveatur) e costretto a lasciare il suo ufficio romano per quello di Catania. Mussolini, in combutta con il segretario del Partito fascista Roberto Farinacci, che sarà l’avvocato difensore del capobanda Amerigo Dumini, ottenne che il processo fosse trasferito a Chieti «per ragioni di ordine pubblico».

In una ricognizione nell’Archivio di Stato di Foggia, abbiamo rinvenuto le seguenti fonti giornalistiche sul delitto Matteotti e sulla nomina di Mauro Del Giudice come giudice istruttore del relativo processo:

«Il Foglietto», giornale di Lucera, nell'articolo La commossa indignazione della Capitanata per l’orrendo assassinio dell’on. Matteotti ( pubblicato sul n. 24, del 22 giugno 1924) commenta così il delitto: «Un crimine truce e fosco senza precedenti nella storia politica del nostro paese la barbara uccisione dell’onorevole Matteotti – ha intensamente commosso la nazione tutta. Anche perché dall’istruttoria vengono giorno per giorno fuori gravi e tremende responsabilità - dirette ed indirette – di personaggi politici del partito dominante che occupavano posti eminenti nelle gerarchie del Partito e nella Politica. All’indignazione dell’Italia e del mondo civile si è associata la nostra Capitanata che con virile compostezza segue ore ansiosa le vicende delle indagini e gli eventi politici nella fiduciosa speranza che l’opera della giustizia voglia rintracciare e colpire gli assassini e che – ristabilito sovrano l’imperio della legge per tutti – il sangue dell’on. Matteotti voglia fecondare l’auspicata normalizzazione che solo potrà assicurare alla nazione un periodo di tregua, di pace e di lavoro. La nazione sovratutto».

«Il Foglietto», nel contempo, informa che la grave e delicata istruttoria del processo dell’assassinio dell’onorevole Matteotti è stata avocata dalla sezione di accusa di Roma, presieduta da un magistrato di altissimo valore morale e giuridico: il commendator Mauro Del Giudice:

«L’insigne magistrato, autore di molte apprezzate pubblicazioni giuridiche – scrive l’editorialista del «Foglietto» - è un nostro comprovinciale. è nativo della forte terra garganica ed è titolo d’orgoglio di questo giornale di essere stato onorato della collaborazione e della simpatia del comm. Del Giudice alla cui opera illuminata ed alla cui co-scienza adamantina son rivolti in vigile e fiduciosa attesa l’interesse e la dignità della Nazione. Il Commendator Mauro Del Giudice, l’illustre figlio della Capitanata, renderà ancora un gran servizio alla giustizia ed alla civiltà».

A Mauro Del Giudice è stato titolato, su proposta del prof. Filippo Fiorentino, l’Istituto di Istruzione Superiore di Rodi Garganico. Nella stessa città garganica, è dedicata all’insigne magistrato la via dove ha sede la sezione staccata del Tribunale di Lucera.

Una biografia di questo giudice integerrimo e coraggioso è in corso di preparazione da parte di Giuseppe Tamburrano, per uno dei volumi degli "Ori del Gargano",  la collana curata da Giuseppe Cassieri, edita da Schena per la Comunità Montana del Gargano, e distribuita dalla «Gazzetta del Mezzogiorno».

Una piccola cronistoria del processo Matteotti è stata ricostruita dallo stesso Tamburrano in un articolo pubblicato recentemente  sull'Unità, che sottopongo alla vostra attenzione.

MATTEOTTI, UN PROCESSO ALLA "CAMOMILLA"  

Due libri sul dibattimento “farsa” che fu dirottato da Mussolini nell’addomesticata Corte d’Assise di Chieti. Le manifestazioni che la città dedica al politico socialista.

Articolo di Giuseppe Tamburrano

Con sentenza del 24 marzo 1926 la Corte d’Assise di Chieti, addomesticata dal regime fascista, mise fine alla vicenda processuale dell’assassinio di Matteotti: condannò Dumini, Volpi e Poveruomo per il reato di omicidio preterintenzionale a pene lievi che un provvido decreto di amnistia e indulto, preventivamente emanato, cancellò del tutto. Finì così con una farsa la tragedia del delitto Matteotti. Ma la figura del deputato riformista rimase gigantesca nell’opinione pubblica italiana e straniera, condanna del regime e di Mussolini che nessuna giuria compiacente e nessuna amnistia poterono cancellare. Nell’ottantesimo anniversario di quella farsa la giunta di centrosinistra di Chieti ha voluto “lavare l’onta” ed ha promosso una serie di manifestazioni iniziate con la proiezione del film di Florestano Vancini Il delitto Matteotti in un cinema stracolmo, con 800 giovani studenti che lo hanno applaudito a lungo, e l’apertura della mostra sulla vita del militante socialista promossa dalla fondazione Nenni.

Il 2 giugno prossimo, il presidente del Csm, Virginio Rognoni, concluderà le manifestazioni con un discorso sul processo e su una straordinaria figura di magistrato, Mauro Del Giudice, al quale toccò l’onere di condurre l’istruttoria subito dopo il rapimento di Matteotti. Lo ha interpretato stupendamente Vittorio De Sica nel ricordato film di Vancini.

Del Giudice imboccò la via giusta indicata da prove schiaccianti, via che portava al vertice del regime. Non incriminò subito Mussolini poiché il processo gli sarebbe stato tolto e rimesso al Senato costituito in Alta Corte, competente a giudicare i reati commessi da ministri. Insieme con un altro magistrato coraggioso, Umberto Guglielmo Tancredi, andò avanti per la sua strada incurante delle gazzarre e delle minacce che i fascisti gli rivolgevano sotto le sue finestre. Il suo scopo era di raccogliere le prove schiaccianti delle responsabilità di Mussolini come mandante dell’omicidio e poi incriminarlo.

Purtroppo una iniziativa improvvida del direttore del Popolo, Giuseppe Donati, che denunciò il capo della polizia senatore De Bono per quel delitto, comportò l’avocazione del processo al Senato: e gli atti gli furono tolti. Intanto del Giudice fu promosso (promoveatur ut amoveatur) e costretto a lasciare il suo ufficio romano per quello di Catania. Mussolini, in combutta con il segretario del Partito fascista Roberto Farinacci, che sarà l’avvocato difensore del capobanda Amerigo Dumini, ottenne che il processo fosse trasferito a Chieti «per ragioni di ordine pubblico».

L’integerrimo magistrato ha raccontato questa vicenda nel suo Cronistoria del processo Matteotti (Opere nuove, 1985) e di lui – nato a Rodi Garganico - scriverò un profilo per la collana Ori del Gargano diretta da Giuseppe Cassieri.

Il processo di Chieti è stato raccontato in due recenti libri: Luciano Di Tizio, La giustizia negata. Dietro le quinte del processo Matteotti, con presentazione di Ottaviano Del Turco (Ianieri Editore, 2006); e Marcello Benegiano, A scelta del Duce: il processo Matteotti a Chieti (Texus, 2006). Sono testi esaurienti per la ricostruzione della vicenda giudiziaria: perché il Duce scelse Chieti, la “città della camomilla”; come furono selezionati i giurati; come fu blindata la città e come - su pressione continua di Mussolini - il processo, così complesso, si svolse con estrema rapidità: otto giorni in tutto.

I due libri sono entrambi molto documentati, principalmente sulle fonti archivistiche locali.

Mentre il lavoro di Benegiano è quasi esclusivamente limitato al processo, quello di Di Tizio ha una parte introduttiva che racconta, ovviamente in modo sintetico, la vicenda dell’assassinio. Il lettore viene così immerso nella folla di squallidi servi del regime e di fascisti arroganti e prepotenti: un piccolo spaccato provinciale, specchio della disgraziatissima Italia di Mussolini. Ma incontra anche quel magistrato dalla schiena dritta, un esile filo d’acciaio che resisteva, una fiammella di una coscienza nazionale non spenta.

   

L’articolo di Giuseppe Tamburrano è stato pubblicato su «l’Unità» del 23 maggio 2006.  

   

   

VEDI anche Mauro Del Giudice, un magistrato scomodo

          

   

©2006 Teresa Maria Rauzino.

    


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