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             MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 28


 

Vladimiro Monomaco

   

      

Non appena la voce della morte del Velikii Knjaz (principe anziano o Gran principe) Svjatopolk Michele si sparge per Kiev e il suo cadavere arriva in città, tutta la gente comincia ad essere in fermento.

Tutti si chiedono: chi verrà al suo posto? Si ricomincerà a guerreggiare di nuovo per il potere in questa città?

E non erano soltanto questi i problemi che si stavano vivendo in quel lontano 1113!

Dopo la morte di Svjatopolk vennero fuori delle sporchissime faccende che costui aveva autorizzato e gestito. Proprio così!

A giustificazione della sua proverbiale cupidigia, si trovò la cassa mezza vuota benché le entrate non fossero tanto in diminuzione ai suoi tempi e benché si fosse sempre vantato di aver rimesso in sesto il tesoro del terem (quartiere o palazzo principesco).

E come? In parte l’abbiamo già detto! Aveva aumentato la pressione fiscale sui contadini attraverso i bojari (i notabili proprietari terrieri) consenzienti, ma poi si era imbarcato obbligatoriamente, vantandosi di ottemperare a uno dei suoi doveri di Velikii Knjaz, in due o tre campagne militari che gli erano costate un patrimonio e gli avevano fruttato ben poco bottino. E gli uomini della sua druzhina (compagnia militare del principe) volevano essere mantenuti! Così era ricorso ai prestiti ad interesse e, essendo questi vietati ai cristiani come lui, si era rivolto agli ebrei della città.

Da questi aveva ricevuto i finanziamenti, ma, quanto a restituirli c’era il grosso ostacolo di non avere mai abbastanza oro e così col tributo che gli versavano i bojari, pagava gli interessi sul prestito, ma senza riuscire a restituire il capitale. Aveva allora pensato di riversare i suoi debiti sui contadini, e sempre attraverso i bojari consenzienti, li aveva obbligati a vendersi come schiavi… In questo modo, però, diminuivano le forze lavoro nei campi! Insomma, non gli restò che concedere dei privilegi direttamente agli stessi ebrei i quali li utilizzarono come loro serviva, specialmente usando il diritto a loro concesso del lavoro gratis della gente “in conto capitale del principe”.

Chiaramente in questo modo il popolo meno abbiente, vedendo gli ebrei trattati meglio di chiunque altro, cominciarono ad averli in antipatia.

Un altro esempio? Di solito i contadini per le coltivazioni mettevano da parte i semi migliori, ma da quando la pressione su di loro era aumentata (anche a causa dei saccheggi dei Polovzi) questi semi erano stati consumati per mangiare, così che per riseminare dovevano ricorrere ai granai privati dei bojari, i quali naturalmente li mettevano a disposizione, ma a prezzi altissimi, pretendendo un enorme ritorno sul prossimo raccolto e impoverendo sempre più i contadini. Questi ultimi per scontare il debito si prestavano per lavoro gratuito a tempo determinato e abbandonavano il lavoro dei campi e il ciclo economico peggiorava.

Svjatopolk col passar del tempo era arrivato a tali strette che addirittura si scoprì che torturava i monaci dei conventi per farsi dire dove si trovavano le suppellettili d’oro e d’argento che poi naturalmente portava via.

Ed ancora: aveva applicato un’alta tassa sul sale, impedendo così il lavoro a chi preparava gli ortaggi in salamoia o il pesce sotto sale, a quei tempi un molto proficuo commercio…

Insomma si era giunti a tali giri viziosi che la morte di Svjatopolk costituì persino per sua moglie una liberazione. Costei infatti per non subire ulteriori guai dai creditori più vicini e più opprimenti cominciò da subito a liberarsi dei beni di cui suo marito s’era appropriato indebitamente. Non bastò! Restava comunque tanta gente ancora impegnata coi bojari e tanti bojari impegnati coi banchieri ebrei o viceversa.

Tutte queste soperchierie portarono i bojari a discutere bene nella loro assemblea nel coro di Santa Sofia su chi scegliere come prossimo signore di Kiev, mentre la gente rimase fuori sullo spiazzo in attesa, ma cupamente mormorando.

A quei tempi il problema di una rivolta popolare non era come lo fu ai tempi della Rivoluzione Francese dove si passò da un regime con monarca assoluto ad una repubblica parlamentare. A Kiev si trattava soltanto di individuare un knjaz cercandolo nel mucchio dei Rjurikidi fra quelli più capaci di risolvere i problemi della città! Ai kieviani in quel momento interessavano poco le beghe sull’anzianità (il sistema della lestviza) o sul bene di famiglia (il demanio del principe o vòtcina)…

Alla fine fu scelto Vladimiro Monomaco che fu invitato a Kiev dalla sua Perejaslavl, città a sud di Kiev. Vladimiro però sapeva bene dei problemi esistenti e invocò le regola della lestviza per passare la patata bollente a Oleg figlio di Svjatoslav e dei suoi rampolli di Cernìgov, altra città importante, che avevano più diritto di lui e alla richiesta dei bojari rispose con un gentile, ma netto, rifiuto.

Non l’avesse mai fatto! All’improvviso tutta la città insorse…

Naturalmente il primo bersaglio della folla arrabbiata fu la seconda autorità della città, il Chiliarca o Capo-dei-mille di nome Putjata al quale fu svuotata la casa. Così si fece anche per gli altri capetti da lui dipendenti.

Dopodiché la folla si diresse alla Porta Giudìa e li fece man bassa sugli ebrei, anche qui saccheggiando e devastando e minacciando tutti di morte.

I bojari, non riuscendo a controllare la situazione e siccome nemmeno i figli di Oleg se la sentirono di entrare in città per metter ordine con le armi, in tutta fretta misero insieme una nuova missione che recò una nuova preghiera a Vladimiro affinché salvasse la città e prendesse il posto di Velikii Knjaz. Naturalmente Oleg e figli erano pienamente d’accordo di cedere i loro diritti e lasciare che Vladimiro se la sbrogliasse da solo…

A questo punto non c’era molto da pensare, Vladimiro entrò a Kiev. Fu accolto trionfalmente e la gente gli espose tutte le proprie lamentele chiedendo di intervenire subito e  adeguatamente.

Vladimiro non volle però prendere delle decisioni affrettate che poi non avrebbero dato i risultati che ogni parte s’attendeva. Per di più, essendo un gran conservatore, non voleva neanche cedere sull’onda della rivolta alle pressioni della gente inferiore (la gente nera, in russo cjorn). Così si ritirò nel Monastero di campagna a Berjòstovo a pochi chilometri dalla città insieme ai bojari kieviani più fidati che già conosceva e quelli che aveva portato con sé dal sud e lì discusse con loro presumibilmente a lungo sulle misure da prendere.

Alla fine decise e deliberò.

Gli interessi richiesti fino ad allora erano stati esagerati, per cui quel creditore che li avesse già incassati per tre volte sulla stessa somma prestata, doveva ritenersi ormai pagato anche dell’intero capitale. Facciamo, per capirci meglio, un esempio come ce lo riporta B. A. Rybakov. Se si prendevano in prestito un valore di 6 grivne (questa era l’unità di conto in vigore a Kiev che non corrispondeva ad una moneta sonante, ma ad un peso equivalente in argento, in quanto il denaro metallico era rarissimo), alla fine dell’anno occorreva versare 3 grivne di interesse (rez) più il capitale (isto), se possibile. In caso contrario al secondo anno si versavano ancora 3 grivne e così nei seguenti. Dunque d’ora in poi chi avesse già pagato per tre anni, era liberato dal debito contratto. Era accaduto infatti che se non si avevano grivne, si ricorreva allo zakup e cioè al lavoro gratuito equivalente alle grivne dovute! Se poi pensiamo che già 6 grivne erano una somma enorme, possiamo immaginarci l’asservimento dei meno abbienti a bojari e a banchieri…

Vladimiro sospese da subito anche i pagamenti dei debiti per la gente più indigente e fissò i montanti degli interessi massimi per il futuro credito incorporando queste nuove regole nella sua famosa Pravda Rus’ka.

La Comunità Israelitica di Kiev, la più antica della regione, ebbe però paura che, oltre ai soldi persi, la gente sterminasse per davvero tutti gli ebrei della città, ma Vladimiro promise che lo avrebbe impedito e che avrebbe addirittura rinunciato a confiscare i beni di coloro che avevano prestato il denaro ad usura, ma… i membri della Comunità dovevano al più presto lasciare la città e tornare da dove erano venuti! Avrebbe pensato Vladimiro stesso a fornire i mezzi per il viaggio e la protezione necessaria.

Naturalmente in quel calderone di misure prese c’erano anche i debiti pregressi del Velikii Knjaz morto che… svanivano nel nulla!

è opinione di qualche storico russo che con questa posizione verso gli ebrei si chiudessero gli ultimi contatti diretti con l’Occidente e che giusto da quel momento la Rus’ scegliesse Costantinopoli (di cui poi ne divenne anche l’erede) come unico e ufficiale referente culturale sul resto d’Europa!

Ad ogni buon conto la calma e la fiducia finalmente tornarono in città, ma anche il resto della Rus’ aveva bisogno di pace per la ricostruzione (perestroika) di uno stato unito. Perciò, oltre a riordinare le entrate e le uscite dello stato kieviano, il Velikii knjaz si preoccupò che fra i parenti non sorgessero ancora litigi e scontri.

Avvertiamo il nostro lettore che Vladimiro Monomaco è una figura centrale della storia medievale russa e quindi val la pena fermarsi di più su di lui e sulle sue azioni.

Kiev, come abbiamo visto, stava cominciando a perdere di autorità e perciò il primo passo politico era proprio quello: Ripristinare l’autorevolezza del Velikii Knjaz!

Da dove partire? I primi avversari più testardi da piegare e più vicini a Kiev erano proprio Oleg di Cernìgov e i suoi figli. Oleg è il figlio maggiore del fratello più anziano del padre di Vladimiro, Svjatoslav, e dunque, nella nostra terminologia, è il cugino germano del Velikii Knjaz, ma certamente di tutt’altra stoffa! Ricordiamo che ha una lunga storia di avventuriero, di spirito libero, audace e indomito, che riesce a rimettersi in gioco ogni volta, contro ogni regola riconosciuta. Ha subito l’esilio e l’emarginazione…

Anzi! La frequentazione di Tmutarakan (sul Mare d’Azov) e l’ambiente della vicina steppa gli hanno procurato molti vantaggi ed inculcato nuove abitudini. Prima di tutto è conosciuto ed apprezzato dai Polovzi (i nomadi della steppa ucraina) e da tutti gli altri clan turchi, benché anni prima quegli stessi Polovzi gli avessero fatto fuori il fratello e l’avessero consegnato ai Cazari dell’Anticaucaso, quando si era insediato per la prima volta sul Mar d’Azov. E’ naturale perciò che dopo la morte della sua moglie bizantina, lo si trovi sposo di una figlia del khan dei Polovzi, Osuluk, e legato sempre più al mondo della steppa. Oleg ha ben quattro figli: Vsevolod, Igor, Svjatoslav e Gleb. Ricordiamoli, questi nomi e queste parentele, perché si ripresenteranno nel seguito del nostro racconto…

Questa famiglia, detta anche gli Svjatoslavidi (e poi degli Olgovidi), è perciò formata dai cugini più ribelli che però sono necessari sia come amici sia come soggetti.

Altri cugini irrequieti sono quelli che risiedono nel nord, nella Terra dei Krivici, e cioè i figli di Vseslav il Mago di Polozk.

Novgorod invece non preoccupa molto perché Mstislav, il primogenito del Velikii Knjaz, sembra capace di ben governarla.

Finché le cose rimangono così come sono in quel 1113, la ricostituzione della Rus’ non sembra irrealizzabile e Vladimiro vi si dedicherà sia con l’azione sia con la mente.

Con la mente perché rimane uno dei principi più colti della storia russa e, per questa sua qualità che si rispecchia nei numerosi scritti lasciatici, è notevole e prezioso. Specialmente sul suo operato di Velikii Knjaz ci ha lasciato moltissimo di scritto e con dovizia di particolari, in modo talmente puntuale che noi possiamo conoscere tutti gli aspetti degli eventi da lui vissuti che, in caso contrario, forse non riusciremmo ad interpretare nel modo giusto.

Famoso nella letteratura russa è rimasto il suo Poucenie (Istruzione/Insegnamento) perché in esso Vladimiro non soltanto descrive se stesso, ma delinea anche l’ideale di principe che ha avuto sempre davanti agli occhi come modello e che, non avendolo trovato in nessuno dei suoi parenti contemporanei, vorrebbe che diventassero i suoi figli.

Dai calcoli (le Cronache registrano sempre le morti e talvolta gli anni d’età, ma rarissimamente le nascite) deve essere nato nel 1053 a Kiev mentre suo padre Vsevolod si era fermato in città quando Jaroslav, dopo la morte di Inghigherda, aveva presentito di dover morire di lì a poco.

La sua nascita confortò il nonno morente perché ciò significava un rafforzamento dei legami con Costantinopoli ora che la principessa bizantina Maria, aveva messo al mondo un bimbo. Dietro la guida di sua madre, Vladimiro imparò a leggere e a scrivere, di certo almeno il greco e il latino, ma forse anche qualche altra lingua, visto che suo padre era un poliglotta. Fu orientato fin dall’infanzia a fissare i pensieri più importanti nello scritto, proprio in quegli anni in cui si andava standardizzando la lingua antico-russa.

Da ragazzo si trovò a vivere a Perejaslavl lungo il famoso Vallo Serpentino che il suo avo, omonimo e santo, aveva fatto riparare e rafforzare e di lì cominciò a conoscere il mondo della steppa proprio in quei frangenti quando i nomadi Peceneghi stavano prendendo definitivamente la via per il Danubio, abbandonando il loro spazio ai Polovzi. Su quel confine Vladimiro rimase più o meno fino a trent’anni e, dobbiamo aggiungere, nella zona, molto probabilmente durante la sua permanenza, operarono i primi arcivescovi mandati da Bisanzio che ancora non avevano una sede degna a Kiev e perciò conobbe il mondo della Chiesa Bizantina meglio di chiunque altro per la sua spigliatezza nel parlare greco.

Poi suo padre lo chiamò vicino a sé quando viveva all’ombra di suo fratello Jaroslav, diventato ormai autoritario e dispotico, per avere una mano da lui nelle faccende militari.

Vsevolod infatti veniva mandato continuamente dappertutto e Vladimiro ricorda che con suo padre aveva condotto molte decine di spedizioni! Ricorda anche che a soli tredici anni fece il suo viaggio più lungo da Perejaslavl fino a Rostov la Grande, nella Terra dei Viatici nel bacino del Volga, in cui dovette attraversare la paurosa e fittissima foresta di Brynsk (oggi Brjansk) dove c’erano i più feroci briganti che non solo spogliavano i viandanti inermi di qualsiasi cosa, ma poi li uccidevano e i loro corpi li bruciavano in onore degli dèi pagani della foresta.

Poi gli era stata assegnata Cernìgov dove rimase finché non sopraggiunse Oleg Svjatoslavic’ a reclamarla. A Cernìgov era già sposato con Ghita, la figlia del re Aroldo figlio di Godwin. Costui, sconfitto da Guglielmo il Bastardo alla battaglia di Hastings nel 1066, si era rifugiato a Kiev, visto che Jaroslav era un suo stretto parente.

A Cernìgov da due anni Ghita aveva già avuto il primogenito, Mstislav.

I 15 anni passati su questa riva del Dnepr sono ricordati da lui quasi con nostalgia. Vladimiro Monomaco li chiama gli anni più fecondi della sua vita e si entusiasma a narrare come partecipasse a tutte le attività che si svolgevano fra i suoi uomini e nella città.

Ritenendosi un “cavaliere” nel senso occidentale vero, Vladimiro si esercitava nel tiro all’arco, nel tiro con la lancia andando a caccia con i suoi di frequente e in questo modo si teneva sempre in esercizio e in forma fisica perfetta. Conosceva dunque le tecniche del corpo-a-corpo o sul come preparare gli agguati, acquistando famigliarità con tutte le armi nuove, come l’arco turco, o imparando a conoscere il nuovo grosso animale da guerra, il cavallo delle steppe, e l’uso della staffa.

Le sue disavventure con gli animali selvaggi e le ferite che aveva ricevuto in un paio di duri incontri con un uro o con una gigantesca alce nelle foreste, erano proverbiali e sappiamo che d’inverno amava fare lunghissime scivolate con gli sci. A questo proposito sembra che una volta avesse coperto i circa 150 km da Cernigov fin sulla riva di fronte a Kiev, e ritorno!, in una sola giornata…

I suoi scontri coi Polovzi erano da lui considerati come delle specie di crociate contro gli infedeli (al contrario di suo cugino di Cernìgov) e nel 1111 convinse tutti i principi di aggregarsi a lui per una spedizione punitiva e impose che dovessero combattere giusto con quello spirito! La Rus’ aveva bisogno non di morti, ma di  battesimi!

Naturalmente questi erano i suoi intenti, ma non sempre gli riuscirà a realizzarli!

Notevoli sono invece i consigli che lascia ai figli nel suo Poucenie. Ne riportiamo qualcuno.

Andando in guerra:  

1.  non siate pigri  

2.  non fidatevi dei generali (voivody)

3.  non ubriacatevi

4.  non eccedete nel mangiare

5.  non dormite oltre il necessario

6.  alzatevi di buon’ora

7.  non toglietevi subito tutte le armi di dosso perché ci può essere chi aspetta questa occasione per                 uccidervi  

8.  evitate inutili orge

9.  non mentite  

  

oppure passando per le terre soggette:  

1.  non permettete ai vostri servi di offendere o di danneggiare il contadino e il suo lavoro  

2.  quando sostate a mangiare, fate partecipare al vostro pranzo anche il povero

3.  rispettate l’ospite da qualsiasi parte provenga  

4.  onorate l’ospite come potete anche semplicemente offrendogli cibo, se non potete fargli doni                 adeguati

oppure nella vita civile:  

1.   visitate i malati  

2.   partecipate ai funerali  

3.   salutate ogni persona che incontrate

4.   amate la vostra sposa e rispettatela, ma non datele potere su di voi!

Oltre poi ad altri scritti, fra cui la lettera di cui abbiamo detto indirizzata ad Oleg dopo che questi gli ha ucciso il figlio, c’è addirittura una preghiera ideata dallo stesso Vladimiro in cui si ricorda soprattutto Sant’Andrea e la famosa leggenda che aveva visto questo apostolo, mandato in Scizia (ossia la Rus’) sulle colline, dove avrebbe poi dovuto sorgere Kiev, proclamare ai suoi accompagnatori che questa terra sarebbe stata un grande e potente regno cristiano!  

Un uomo dunque di alta statura culturale, ma capace pure di governare un paese così frammentato geograficamente e abitato da genti tanto diverse fra loro.

Sicuramente avendo collaborato tanti anni per mantenere le Terre Russe unite, malgrado i litigi e le altre difficoltà, dovette restare deluso quando alla morte di suo padre invece di poter sedere al suo posto, fu costretto a cederlo a Svjatopolk. Chiaramente anche durante questo periodo, Vladimiro impose la sua autorità di uomo sapiente… ma non fu la stessa cosa che agire da vero e proprio Velikii Knjaz. Evidentemente allora non contava abbastanza amici fra i bojari kieviani…

Questa poca collaborazione fra Velikii Knjaz e bojari kieviani aveva per lui una lunga storia che cominciava proprio da suo padre.

C’era stato troppo arbitrio in tutte le decisioni che suo padre aveva preso a suo tempo e che Svjatopolk aveva poi esasperato succedendogli. Poco veniva discusso fra principe e bojari nelle famose dume (consiglio principesco), diventate sempre meno frequenti nel coro della cattedrale di Santa Sofia. Le divergenze su come collaborare con questi magnati diventarono talmente stridenti che Vladimiro, mentre si creava la fama del vero difensore della Rus’ di Kiev, fece ad ogni occasione tutti i tentativi possibili per avvicinarsi a loro (almeno ai bojari a lui più simpatici) e, quando fu il momento in cui lo pregarono di fare il Velikii Knjaz, esitò proprio perché non era sicuro che potesse ricevere un ampio consenso in quell’ambiente!

Come figura popolare, vicina alla gente minuta, Vladimiro Monomaco è al contrario molto sfumato. Nel Cantare della Schiera di Igor viene eletto ad eroe popolare, solo perché è confondibile con il grande avo omonimo che aveva cercato di avvicinarsi al popolo in tutti i modi possibili, ma, purtroppo!, il poema fu composto molto dopo la sua morte e perciò i giudizi sono fuori luogo!

Una frase che svela invece la sua volontà di presentarsi come paladino della gente umile e dei contadini è quella pronunciata, quando ci fu la riunione per decidere di scendere in campagna militare in primavera e i bojari respinsero la proposta.

Disse infatti Vladimiro: «Mi suona molto strano, amici miei, che vi preoccupiate dei cavalli che devono pascolare e non vi curate del contadino che invece deve preparare il campo per ararlo e si trova fra i piedi i Polovzi che gli prendono i cavalli, gli tirano addosso frecce e poi vanno fin nei villaggi a prendersi la moglie e i suoi figli per venderli schiavi all’estero quando sapete che proprio questo è tutto quel che possiede!».

Sono però parole dette all’interno di un circolo chiuso e non nella Vece cittadina dove Vladimiro non parla mai e lascia la parola alla sua matrigna o ai preti.

L’altra grande impronta, l’abbiamo visto, Vladimiro la lascia nella legislazione, nella Pravda Rus’ka (il primo Codice Civile russo) ancora un po’ primitiva, è vero!, ma già avanzata per una società in rapida trasformazione come era quella della Rus’ di Kiev.

Nel complesso l’azione politica di Vladimiro Monomaco è assolutamente positiva. Una specie di riunificazione delle Terre Russe e la definizione dei confini relativi ci sono! In più Vladimiro assegna al Velikii Knjaz un compito finora bellamente ignorato: Il knjaz deve legiferare e non governare secondo il proprio buon senso! Alle sue leggi tutti si devono poter riferire e conformare, ma queste leggi devono essere fissate e promulgate…

Con lui, più che con i suoi predecessori, tutta l’Europa comincia veramente ad apprezzare il fatto che al di là del Bug e dei Carpazi esistesse una grande nazione europea governata modernamente (per quei tempi) che costituisse persino un saldo baluardo per la fede cristiana ai confini con l’Islam e contro il paganesimo delle steppe. Per Vladimiro Monomaco chi non è cristiano (e non compreso nel territorio che domina) non è da considerarsi un uomo e quindi può essere eliminato persino fisicamente.

Un esempio rimasto famoso su questo tipo di atteggiamento è l’uccisione a sangue freddo per suo ordine nel 1095 dei messi polovzi a Perejaslavl, Kytan e Itlar.

Quando arriva al trono di Kiev ha già sessant’anni che, per quei tempi, è un’età veneranda e la sua prima misura è la nomina di suo figlio Mstislav a luogotenente (namestnik) di Novgorod.

Forse per sua fortuna, nel 1115 muore Oleg il capofamiglia degli Svjatoslavidi e, quasi come epitaffio,  riportiamo tranquillamente i versi del Cantare della Schiera di Igor, che parlano di lui (il testo è di Eridano Bazzarelli, v. bibliog.): «Allora, al tempo di Oleg, figlio di Amara Gloria (Gorislavic’), si seminavano e crescevano le discordie e periva la ricchezza del nipote di Dazhbog (è il popolo russo, adoratore di questo dio slavo pagano del sole) e nelle lotte dei principi si accorciava la vita della gente. Allora di rado il contadino cantava nell’arare la terra: eran più spesso i corvi che gracchiavano, suddividendosi il bottino di morti, e dicevano le cornacchie nella loro lingua: Andiamo a spartirci il banchetto!».

Liberato dalla presenza di Oleg, vengono fuori nuove beghe con la Terra di Polozk.

Che cosa era successo dopo la morte di Vseslav il Mago? La regione era stata divisa in udel (porzioni di territorio governate da un principe) diversi e data ai suoi figli, fra i quali il più irrequieto, Gleb di Minsk, sognò di allargare i confini conquistando nuove terre al sud fino al Dnepr, ad occidente fino al Bug e ad oriente fino a Pskov e Novgorod.

Il primo passo di Gleb è quello di avere il controllo di due località importanti dal punto di vista economico: Druzk (e vedremo quale peso ha questa cittadina, poco più in là) e Orscia che si trova sullo spartiacque fra i fiumi che scendono da Novgorod verso Kiev. Ciò fatto, comincia a mandare i suoi (e talvolta ad andare lui stesso) nei villaggi per sottometterli col pugno di ferro. Le Cronache insistono sulla crudeltà di questo Gleb, ma in realtà il suo comportamento non è diverso da quello di qualunque altro signore locale di quel tempo.

Non appena lo viene a sapere, Vladimiro Monomaco vede in ciò la buona occasione per rimettere Polozk e il resto della Terra dei Krivici sotto l’egemonia di Kiev. Cerca prima la via pacifica rimproverando Gleb per il comportamento malvagio e poi ricorre alla leva del Metropolita. Quest’ultimo giunge alla misura estrema della scomunica, ma neanche questo basta: il principe di Minsk non desiste e continua le sue azioni di conquista!

A questo punto Vladimiro deve intervenire con la forza e, chiamati a sé Davide di  Cernìgov e gli altri figli di Oleg, con un’armata attraversa il Poljese e nel 1116 riprende Orscia. Gleb però non si ferma e nel 1119 Vladimiro interviene ancora, ma stavolta decide di farla finita e, istruito per bene suo figlio Jaropolk, lo manda al nord. Jaropolk riesce ad assicurarsi persino l’aiuto di un principe lituano che voleva vendicarsi di Gleb penetrato indebitamente nelle sue terre. Notiamo quest’ultima presenza perché con il diminuire dell’influenza politica di Kiev, crescerà la potenza dei lituani…

Occorre mettere in difficoltà il traffico di Minsk. Solo così si può smontare Gleb e Jaropolk pensa bene di attaccare la città di Druzk, il più grosso centro della vendita degli schiavi bambini, una “merce” ad altissimo valore aggiunto di quel tempo. Druzk fu rasa al suolo e gli abitanti trasferiti di forza al sud, a Perejaslavl. Gleb è catturato e portato a Kiev e messo nello stesso carcere sotterraneo dove una volta era stato suo padre. Probabilmente però non avendo gli stessi poteri magici del padre, dopo un po’ muore e per il momento la faccenda “Polozk” sembra così conclusa.

In questo decennio che va fino alla morte di Vladimiro Monomaco la situazione della Rus’ appare stabile intorno a Kiev. Ormai tutti i principi vicini e lontani riconoscono l’autorità del Velikii Knjaz al quale chiedono sempre consiglio prima di agire in qualsiasi direzione e tutti sembrano capire l’importanza dell’unità intorno ad una sola capitale per apparire (ed essere?) una grande nazione europea, versando il loro contributo in denaro alla riconosciuta Madre delle Città Russe.

Rivediamo la situazione.

Mstislav, il figlio maggiore è a Novgorod dove è amato e stimato, (ha sposato, dopo esser rimasto vedovo della sua moglie svedese, la figlia di un bojaro locale) perché sa tenere sotto controllo le acque del Mar Baltico e quelle dei laghi dove spesso le popolazioni locali si ribellano allo sfruttamento intensivo dei novgorodesi.

L’altro figlio, Giorgio detto Lungamano, si trova a Rostov dove tiene sott’occhio i Bulgari della Kama e la cui politica è quella di colonizzare tutte le terre che può in quest’area (di qui il nomignolo).

Jaropolk infine è presso la corte di Cernìgov dove ha stretto amicizia con Davide e congiuntamente continuano ad intraprendere spedizioni nella steppa.

Tuttavia ci sono ancora delle terre russe di confine che danno qualche problema.

Ad esempio quelle governate dai Rostislavidi (altra famiglia di parenti) che cercano, lontani dallo sguardo di Kiev, di allargare il loro dominio a spese dei polacchi. Anche qui l’intervento di Kiev sarà decisivo.

Poi però in Vladimiro Monomaco si risveglia il desiderio di riuscire a mettere sotto controllo la costa del Mar Nero fino a Costantinopoli, ora che la steppa è pacificata e che addirittura i Polovzi cominciano a diventar parte delle nazioni russificate. Se ciò si realizzasse dal Mar d’Azov fino al Bosforo sarebbe tutta una costa russa e i Turchi Selgiuchidi che si affacciano sulla sponda opposta avrebbero ora a che fare con la potente Rus’ di Kiev!

Infatti dopo la sfortunata battaglia di Manzikert dove Romano IV Diogene era stato clamorosamente battuto, si era sparsa nel mondo mediterraneo orientale l’idea che ormai Costantinopoli era finita e quale migliore occasione per Kiev che aveva sempre ammirato e imitato la grande capitale sul Bosforo di prenderne ora il posto?

Se teniamo presente che d’altronde sembra confermata la disperazione dell’Imperatore sulla situazione disastrosa in cui l’Impero si trovava da una lettera che Alessio Comneno avrebbe mandato al Papa di Roma e ai regni cristiani d’Occidente chiedendo aiuto, è strano invece che nessun aiuto fu chiesto a Vladimiro Monomaco!

Dunque il tentativo di far diventare la Rus’ di Kiev qualcosa di più di un regno vassallo a nord del Bosforo fu tranquillamente intrapreso.

Una delle figlie di Vladimiro, di nome Maria, aveva sposato un certo Leone, figlio appunto di Romano Diogene. Questo Leone, sicuramente aiutato da Kiev e dai Polovzi, comparve nel 1116 lungo il delta del Danubio, riconquistando alcune città bulgare. Ciò mise in allarme Alessio Comneno, il quale a Dorystolon (Dristra) riuscì a  farlo uccidere da un sicario. Questa dovette essere la scusa per Vladimiro Monomaco per intervenire direttamente in difesa di sua figlia e di suo nipote, il figlio di questa, Basilio.

Mandò in zona dapprima un suo uomo che riconquistò delle città dove pose a capo dei russi. Dorystolon però passò di nuovo in mani bizantine, tanto che Vladimiro fu costretto stavolta a mandare sul Danubio suo figlio Vjaceslav. Niente da fare! Dorystolon rimase in mano greca!

Alla fine, benché le fonti non ci dicano molto su come andò veramente a finire, vediamo che, morto Alessio Comneno e successogli suo figlio Giovanni, nel 1122 ci sono degli accordi fra Costantinopoli e Kiev sigillati dal matrimonio fra la figlia di Mstislav (il primogenito di Vladimiro, rimasto vedovo) ed un principe bizantino. Maria e il figlio Basilio invece vengono accolti definitivamente a Kiev dove rimarranno per il resto della loro vita.

Nel 1124 Kiev subisce una delle più grandi disgrazie delle città russe di quel tempo: Un incendio durante l’estate che durò ben due giorni! Le fiamme, dal Podol, giunsero fino alla Città Alta, ma guarda caso, distrussero completamente proprio le case degli ebrei!!

E non era finita perché ci furono poi le cavallette…

E Vladimiro? Ci dicono le Cronache che il Velikii Knjaz, in tutte queste occasioni, si distinse per la sua solerzia e per la sua misericordia.

A 74 anni, il 19 maggio del 1125, Vladimiro Monomaco muore. è forse la fine della Rus’?

                     

     

Estratto ed adattato dal libro: RASDRABLIENIE, STORIA DELLA RUS’ A PEZZI, di Aldo C. Marturano, 2005.

    

     

©2006 Aldo C. Marturano.

    


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