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   MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 51


 

  

   

Cristo arrivò da Costantinopoli nella Rus’ con uno sconvolgente bagaglio ideologico, ben congegnato e ben scritto. L’imposizione della nuova fede prevedeva non solo nuovi riti e nuove festività che di certo avrebbero ravvivato la vita nei villaggi, ma soprattutto l’abbandono di qualsiasi credenza precedente e la sostituzione dei concetti pagani di moralità, basati sulla tradizione e sulla cultura finora rispettate, con altri nuovi sui quali condurre la propria esistenza. Non siamo in grado di esaminare in dettaglio ogni cambiamento attuato nella vita dei contadini per le nuove abitudini importate dalle città-fortino russe perché mancano documenti affidabili né possiamo dedurre come le visioni del mondo delle diverse etnie della Pianura Russa mutarono, se non in modo sommario. Prenderemo in considerazione però alcuni dei fatti giunti dalla cristianità bizantina che, a nostro avviso, ebbero più di altri un peso culturale sull’agire quotidiano. Per far ciò ci è sembrato utile partire dalla leggenda più tipica del Cristianesimo ossia dalla Creazione del Mondo nel racconto biblico perché sappiamo, a sentire i giudizi che traspaiono dalle byline russe, che di solito questo racconto aveva un fascino particolare!

In modo molto schematico dunque Dio aveva creato molti anni prima il mondo (idea strabiliante per i pagani che credevano nella ciclicità dei fenomeni dell’Universo) e in cima vi aveva posto l’uomo creato come compagno che lo servisse. Al primo uomo Dio aveva dato (fatto nuovo) le proprie fattezze e insufflato un’essenza diafana e immortale cioè l’anima. Dall’uomo aveva tirato fuori la donna e costei, sedotta dal Diavolo sotto forma di serpente (un angelo ribelle o creatura sbagliata creata dallo stesso dio) era stata indotta a disobbedire agli ordini divini recando in tal modo una gravissima offesa al creatore. Nel misfatto la donna aveva coinvolto l’uomo e a questo punto i due rei scoperti avevano dovuto subire il giudizio divino e la condanna esemplare in cui 1. vivere significava ora lavorare e patire per guadagnarsi il cibo, invece che godersela nel Paradiso, 2. la vita eterna non c’era più e tutti gli uomini sarebbero dovuti perciò morire e soffrire malattie e malanni vari ed infine 3. la donna avrebbe partorito con dolore soffrendo le pene fisiche maggiori.

Dalla Creazione del Mondo (fissata in modo incontrovertibile nel 5509 a.C.) inizia la storia dell’uomo che col passar del tempo però diventa talmente perversa da causare l’ira di Dio e far decidere un intervento con la distruzione dell’umanità a mezzo Diluvio Universale! Si salvò solo un giusto, Noè, con i suoi figli e da costoro deriva l’umanità vivente oggi. In seguito inoltre ci fu uno episodio sconcertante: una sfida umana verso Dio con la costruzione della Torre di Babele. Il creatore ancora una volta me fu offeso e ricorse ad un’altra estrema misura: Confondere le lingue per impedire la reciproca comprensione. Ciò causò la dispersione delle genti per il mondo di cui la Bibbia dava un elenco con le rispettive residenze. Ma nell’elenco non ci sono... i russi! Su quest’ultimo punto S. Franklin dice: «Sebbene i Rus’ erano politicamente gli ultimi arrivati (nella storia universale e nella realtà delle Terre Russe) i cronachisti determinarono che gli Slavi erano antichi dal punto di vista etnico…» e sebbene «…la Bibbia stessa sorprendentemente omette di parlare degli Slavi…» c’era «…una serie di apocrifi, amplificando le sparse narrazioni delle Sacre Scritture…» li menzionano e questi scritti «…erano largamente accettati e circolanti nel mondo cristiano medievale». In altre parole i cronachisti della CTP con l’obbligo di raccontare la storia “russa” in versione cristiana avevano raccolto informazioni qui e là e con un attento lavoro di fantasia avevano “sfornato” l’identità da dare al popolo (persino il nome “russo”) delle Terre Russe, pur trascurando la multietnicità effettivamente presente. Una volta immaginata la nascita di un nuovo popolo, alla Chiesa Russa restava il compito di legittimare non solo i sovrani di Kiev e la loro discendenza onde metterli alla guida del complicato processo di trasformazione culturale che doveva portare l’amalgama di quei selvaggi e pagani contadini in una nazione, ma doveva legittimare anche se stessa. Niente paura! Alla soluzione dei problemi il racconto biblico aggiungeva ulteriori supporti ideologici. Raccontava che, dopo la Torre di Babele e a causa del misfatto di Adamo ed Eva, la storia umana sembrava ormai votata alla perdizione, quando Dio spontaneamente decise per la sua grande misericordia di rimettere l’uomo sulla retta via. A questo scopo si era incarnato in Cristo, circa mille anni prima, per dare le istruzioni su come redimere le offese fattegli. Cristo, prima di morire e poi risorgere per tornare da Dio nel cielo, aveva mostrato chiaramente la via da seguire con le parole e le azioni. Aveva fondato la Chiesa, l’assemblea esclusiva dei credenti, alla quale aveva lasciato in eredità i propri detti raccolti nei libri dei Vangeli e aveva promesso di ritornare a vedere a che livello la redenzione dell’uomo fosse arrivata. Quando era previsto quel ritorno? Non l’aveva svelato, ma aveva detto che sarebbe venuto a giudicare tutti, i vivi e i morti, premiando i “giusti” col Paradiso e i “reprobi” li avrebbe sprofondati nell’Inferno. Se però l’uomo si fosse comportato secondo i dettami di Cristo durante la vita gli avrebbe evitato il fuoco eterno… Naturalmente occorreva rimanere sempre all’erta in attesa del Giudizio Finale (in russo a causa dell’orrore che suscitava l’Inferno col fuoco, quel giudizio è chiamato Strasc’nyi ossia spaventoso)!

La Chiesa conservava quindi questa eredità divina nei suoi libri, ma, senza altri poteri materiali era impossibile combattere le passioni e gli errori umani e poteva soltanto individuare un uomo scelto da Dio che con il suo buon governo portasse gli uomini alla salvezza. Nel racconto biblico la soluzione di governare sugli uomini del mondo era stato sperimentata da tempo e la formula adottata da Dio continuava ad avere gran successo con l’Impero Romano e Cristiano. Il potere era ora concesso da Cristo attraverso la sua Chiesa e la cerimonia dell’unzione divina, come era avvenuto al primo re d’Israele, restava valida.

Di conseguenza per la Rus’ di Kiev ci si sarebbe mossi lungo una liturgia simile. Solo così si era degni di entrare nella storia materializzando dal nulla il sovrano “secolare”, il Principe di Kiev, e la guida “spirituale”, la Chiesa Russa, che operavano in concerto seguendo i temi e i ritmi della vita fissati nelle Sacre Scritture cioè Bibbia e Vangeli, immutabili e perfetti, e da cui si traevano le leggi del vivere insieme sotto il dominio kieviano.

Era una filosofia che, sebbene avesse ormai mille anni di elaborazioni e di discussioni, era difficile da spiegare e da far accettare quando, per di più, lo scrivere e il leggere erano l’unica arma per conoscere le parole di Dio e quando queste facoltà non erano concesse a chiunque, ma solo a chi desiderasse far parte del potere.

Alcune concezioni erano in fortissimo contrasto col pensiero pagano e, addirittura, certi sentimenti o sensazioni che non avevano mai avuto una distinzione netta, con Cristo s’intrufolarono nel pensiero e nei discorsi della gente e causarono tantissime perplessità e incertezze. Insomma era difficile distinguere il bene (blago) dal male (zlo), l’amore (ljubov’) dall’odio (nenavist’), la vendetta (vrazhdà) dalla giustizia (pravda) con la stessa sicumera dei cristiani, quando su questi aspetti degli atteggiamenti umani non si era mai fissata molta attenzione da parte dei pratici contadini.

Il concetto più incomprensibile restò però quello di peccato o colpa verso la divinità (greh) come pure altrettanto inaccettabile fu attribuire un’esistenza negativa al Diavolo (satanà/diavol). In quest’ultimo caso dall’oggi al domani il Diavolo diventava un compagno di strada indecente giacché, come dicevano i cristiani, gli antichi dèi non erano altro che le facce di questo essere immondo che occorreva disprezzare e relegare (un’operazione ingiusta per i pagani che avevano adorato quegli dèi fino a qualche giorno prima) in un mondo oscuro.

Non solo! Il Diavolo era legato intimamente alla donna… Ed eccoci arrivati al punctum dolens: dal quadro fin qui delineato, la figura che si staglia marchiata con un profondo e tragico segno è Eva, la donna. Ragione di tutti i guai dell’umanità a partire dal lavoro obbligatorio per giungere alla morte senza appello, la sua debolezza fisica e mentale ha provocato la perdizione ed ora tocca al maschio di riprendere le redini della società per riconquistare il posto divino che un dì il creatore gli ha assegnato. Insomma è l’imposizione della misoginia tipica del Cristianesimo: la donna essere inferiore e imperfetto deve essere assoggettata all’uomo! In ambito pagano e slavo un’idea del genere era (fra le altre) un’innovazione concettuale che sollevava un radicale rifiuto.

Come mai? La risposta è che ci sono molti indizi da cui si può speculare che nel XII-XIII sec. la società slava (ma anche delle altre etnie presenti) sembrava essere “appena” uscita dal matriarcato cioè dalla gestione femminile della comunità contadina. Vediamo un po’.

Partiamo dalla posizione della donna che, subito dopo il primo figlio vivente, migliorava fino ad essere innalzata a capo della casa se, com’era abitudine, il marito s’allontanava durante la bella stagione (dopo le messi) per prestare la sua arte sui mercati lontani o per una campagna militare (per molti mesi) e qui rileviamo che la stessa cosa accadeva fra le genti nomadi delle steppe ucraine. Siccome poi vigeva tradizionalmente l’esogamia, la nostra capo-casa (hozjaika) era di provenienza esterna e il nuovo “incarico” risultava di maggior prestigio nel caso di giudizi e dispute in quanto Eva risultava più libera dai condizionamenti “locali”. Se, come poi capitava, era allo stesso tempo in età intorno ai 40 anni (quando interveniva la menopausa), le andava reso più omaggio e più ubbidienza. Le famiglie di cui parliamo erano cosiddette “allargate” cioè nel cui interno convivevano più generazioni e perciò poteva capitare in certi periodi dell’anno di avere un’intera squadra di donne alla direzione di interi villaggi.

Diciamo tutto questo perché, permettendoci qui la dovuta digressione, nel secolo scorso le circostanze sopra descritte hanno dato slancio alla fantasia di trovare agganci con la società delle Amazzoni della leggenda greca e del racconto di Erodoto del IV sec. a.C. In realtà lo storico greco colloca queste tribù di donne più o meno nel nord dell’Anticaucaso dove abitavano i Sarmati (i loro eredi sono propriamente gli Osseti o Alani), mentre le notizie di autori arabi del X-XII sec. parlano dell’esistenza nel nord di un’Isola delle Femmine. Così riferisce la cosa al-Bakri e lo stesso Al-Idrisi, geografo marocchino a servizio di Ruggero di Sicilia e assolutamente rigoroso nelle ricerche basate su rapporti di mercanti e sul sentito-dire, la conferma disegnando l’isola nel suo famoso mappamondo nel Golfo di Riga… Non solo, ma accanto all’Isola delle Femmine pone anche un’Isola dei Maschi. Sembra quasi che si ripeta il tentativo fatto dai Sarmati (riportato da Erodoto) di cercare di assorbire le Amazzoni nel proprio stato attirandole da un campo posto dai loro figli nelle loro vicinanze.

Noi seguiamo il discorso della defunta archeologa lituana M. Gimbutas che è del parere che il matriarcato dei popoli balto-slavi sia corroborato dagli scavi. Né soltanto i Balto-slavi giacché pure nella serie di numerose deità femminili venerate dai Baltici ugro-finnici si vedono i resti di una società matriarcale distrutta. In altre parole la società “patriarcale” degl’Indo-europei giunse nel 2500 a.C. sulle rive della Dvinà e conquistò gli autoctoni. E che dire delle steppe a sud della Pianura Russa, visto che anche qui troviamo molte statue femminili (in russo chiamate kamennye baby) preistoriche sia negli scavi sia ancora in piedi qui e là e venerate fino a qualche secolo fa dai nomadi turcofoni islamizzati? Non dimentichiamo che tantissime credenze pagane originavano proprio dalle steppe…

Nella ricostruzione plausibilissima di M. Gimbutas gli Indoeuropei nomadi pastori, con la loro organizzazione patriarcale, giunsero nella Mitteleuropa già dalle steppe come allevatori e pastori e irraggiandosi in tutte le direzioni imposero il loro tipo di società ai popoli che vi abitavano (alcuni resti potrebbero essere i Baschi). Dai reperti archeologici delle epoche precedenti a questa conquista appaiono infatti delle società nelle quali la preminenza era proprio del sesso femminile. La lotta “indoeuropea” perciò fu costringere la donna in posizioni sempre inferiori cominciando col disprezzo delle divinità a lei riconducibili.

Successivamente toccò alla Chiesa ottenebrare con la sua tradizionale misoginia le credenze “femminili” rimaste fra la gente cristianizzata in superficie o ancora pagana e i le religioni del tipo greco-romano (venerazioni sincretistiche di dee prettamente femminili insieme con dèi maschili) furono demonizzate e respinte nella propaganda, almeno nei primi secoli del Cristianesimo.

La Chiesa intervenne in un’istituzione fondamentale al fine di disgregarla: La famiglia allargata! Alla luce di nuovi studi in fin dei conti non sembra essere questa un aspetto esclusivo della società slava, ma sembra comune a tutta la Pianura Russa sin dai tempi antichi. Possiamo allora dedurre che il Cristianesimo eliminandola l’avrebbe avuta vinta sulla donna? In realtà nei secoli che a noi interessano (IX-XIV d.C.) è difficile dire con sicurezza chi ebbe la meglio, la tradizione pagana o il cristianesimo, visto che è il periodo in cui s’instaura la doppia-fede cioè il Paganesimo mascherato dal Cristianesimo popolare.

Nelle CTP e in altri documenti ecclesiastici inoltre, la posizione più nota della donna è solitamente quella dell’élite ed è tutt’altro che passiva e sottomessa. Era forse diverso nel mondo chiuso del mir (è il mondo del villaggio in russo)? Le byline ci aiutano in parte penetrando all’indietro nel tempo nella vita contadina, ma la corrispondenza su corteccia di betulla (berjòsty) che sembra venire dalle donne del popolo della Novgorod medievale è molto più interessante poiché in varie lettere sono individuabili posizioni d’autorità e di responsabilità delle donne molto vivaci.

Abbattere la famiglia allargata è un’impresa molto ardua finché non esisteranno servizi pubblici d’assistenza sanitaria e sociale, ma l’esperienza della chiesa suggerisce la soluzione adeguata: Eliminare la promiscuità, condannare la poligamia, controllare meglio la donna. Niente divorzio, niente aborto… L’ideale proposto? La famiglia del pop o la libertà nella castità delle monache e dei monaci!

Torniamo al matrimonio esogamico cioè alla scelta della sposa al di fuori del proprio villaggio. In primo luogo già nell’etimologia della parola che indica la promessa sposa in russo, nevesta cioè sconosciuta, estranea, si traduce la sua provenienza non locale e in secondo luogo la sua completa acculturazione nella società del marito. Se ne ridicolizzava la lingua, gli usi e i costumi etc. affinché accettasse (salvo altre costrizioni) le tradizioni del nuovo ambiente poiché si credeva che, così facendo, si conservava la purezza del clan d’accoglienza, giusto attraverso la riproduttrice futura dello stesso clan. Sono costumi immemorabili che d’altronde sono vivi ancora fra etnie diverse persino nel Daghestan oggi…

Inoltre il numero di spose per uomo non era limitato e chi poteva, ne aveva più di una! Anche in questo c’è una logica che si spiega con l’alto tasso di morte perinatale sia della puerpera sia del neonato e quindi con la necessità di avere più figli, sempre allo scopo di accrescere e riprodurre la stirpe. I legami matrimoniali erano di vario tipo, ma il matrimonio è soprattutto la maniera più comune per stabilire “alleanze” fra clan e clan, fra villaggio e villaggio, fra famiglia e famiglia. Il sentimento “della stirpe”, il dio Rod, era infatti molto forte e si rispecchiava nella venerazione religioso-magica del nume fondatore in un mondo lontano nel tempo nella sacra tribù originaria a cui più mir credevano d’appartenere. La donna perciò, serbatoio delle virtù nello sperma del marito, era la delegata dal dio Rod e il suo corpo, legato indissolubilmente alla famiglia del compagno, era a disposizione. L’assimilazione della donna e il suo allentamento dall’ambiente natio era definitivo soltanto dopo il primo parto, con neonato vivente e perfetto. In casi di sterilità, in particolare, la donna era rimandata dai “suoi” (in russo otpravit’ vosvojasi). Possiamo qui immaginare che nella società patriarcale di certo la nascita d’una figlia era “festeggiata” come una delusione e i genitori erano disposti a crescerla soltanto se poi, una volta giunta alle soglie del menarca (che probabilmente si notava intorno agli 11 anni), potesse essere “data via” (prima che fosse sessualmente e psicologicamente matura e prima di perdere la potenza generatrice) in sposa! Veniva così stabilito un prezzo (veno in russo, qalim in turco, venum in latino) che lo sposo futuro avrebbe dovuto pagare per le spese sostenute dalla comunità nell’allevarla. Naturalmente ci sono alcune regole: La figlia più grande si sposa per prima e chi la prenderà in moglie sa che il veno sarà rimborsato o sarà offerta in cambio la sorella minore della ripudiata, se ancora disponibile! C’erano anche consuetudini matrimoniali più selvagge di queste e forse più in voga fra le famiglie nobili che ci sono state tramandate e forse un residuo della conquista preistorica del mondo delle donne ed è il matrimonio per ratto. Praticato dai Drevljani (tribù assoggettata da santa Olga di Kiev) delle Paludi del Pripjat’ oppure dai Vjatici e dai Radimici del Volga, le Cronache lo marchiano come primitivo e da aborrire, ma neppure con gran forza…

Per intanto la giovane deve fare il suo dovere e mettere al mondo molti figli. Poi tocca educarli e portarli in buona salute fino alla maggiore età (la pubertà). E qui sorgono complicazioni.

Lo spazio a disposizione (materiale e ideologico) è esiguo e i costumi permettevano relazioni fra i sessi che la Chiesa condannava come l’omosessualità o la bestialità o il coito fuori dal matrimonio.

Ad esempio, il diritto di dormire con la nuora, se il marito era via, competeva al suocero oppure il “patriarca” poteva dormire con la propria figlia, se era necessario per avere altra prole. Insomma, abbattuto il matriarcato, Eva diventa un oggetto sessuale senza voce propria che passa da un “proprietario” o “tutore” (padre, fratello maggiore o chi per loro) ad un altro, mentre, quale forza lavoro, le è assegnato l’ulteriore ruolo di serva e d’infermiera. Forse è vero quanto la M. Weber nel 1907 in base alle sue ricerche sulla storia antico-russa affermava (La Sposa e la Madre nell’evoluzione del Diritto): «L’asservimento della donna è massimo proprio lì dove la forma generale dell’attività di produzione economica rurale è rappresentata dalla famiglia allargata: La grande famiglia russa e la zadruga slava!». E tuttavia, dai molti indizi contenuti nelle byline e nella letteratura ecclesiastica del XIV-XV sec., Eva viveva (per quanto possibile) separata dall’uomo ed aveva nell’ambiente dell’izbà (la casa contadina) il proprio angolo riservato. Qui, dietro una tenda o parete separatrice, serbava il proprio patrimonio, intoccabile dal marito e da chiunque altro…

La donna in casa però non è lasciata sola da un ambiente troppo geloso del suo potere maschilista e gli viene assegnato un ospite permanente temuto e rispettato: il Domovòi! Questo spirito di casa molto permaloso, la controlla e, a suo modo, la protegge e abita sotto il fondo della pec’ka (la stufa), dove, oltre ai ceppi di legno, è stato ricavato uno spazio per lui. Guardiamola infatti con gli occhi dello smierd (contadino russo) del XIII-XIV sec. che la vede mentre è indaffarata presso la pec’ka che nell’izbà fa sia da calorifero che da cucina. Tutti sanno che Eva è l’amante (o la madre) di Svarog, il dio maschile solare del fuoco, per due ragioni. Una è che lei ha dentro di sé il calore ardente che sprizza dagli occhi innamorati o di odio (il temutissimo malocchio, sglaz) e che infiamma l’uomo col suo corpo nudo e la seconda è che lei riesce a trasformare qualsiasi cosa immangiabile in un piatto dallo squisito sapore proprio col fuoco della brace. Però bisogna fidarsi di lei sia nel coito che nel cibarsi dei suoi manicaretti o nel prendere i suoi infusi e decotti per curarsi perché ha il potere di uccidere senza farsene accorgere con i suoi veleni che soltanto lei conosce e prepara. Oggi è difficile immaginare il tempo che si perdeva qualche secolo fa per far da mangiare e la fatica relativa e si credeva invece nella magia di qualsiasi manipolazione femminile con ingredienti ed erbe. Per questo motivo la preparazione e la cottura dei cibi nel Medioevo richiedeva ore di lavoro. D’altronde la temperatura del fuoco impiegato nella pec’ka non era molto alta come quella del gas odierno e i tempi di cottura si allungavano. E tuttavia è pensabile che le donne vivessero più a lungo degli uomini proprio per il fatto di aver continuamente a che fare col fuoco che, come tutti sanno, purifica dalle forze maligne che provocano le malattie. Di qui, a parte le fantasticherie più strane, la donna sapeva curare e guarire con le sue facoltà. E, se si abbina a questi suoi poteri esclusivi quello del generare esseri viventi, si è costretti ad accettare l’idea che da lei dipende la vita o la morte di tutti coloro che le stanno vicini.

Ce lo confermano le varie cerimonie compiute per scongiurare la moria del bestiame o le pestilenze soltanto da donne o la sua indispensabile presenza nelle cerimonie per la fertilità del suolo. è chiaro che i poteri e le conoscenze occulte femminili ci fanno capire la psicosi collettiva che provocò in Occidente quando nel XV sec. il papa Innocenzo VIII dichiarò che le donne-streghe avevano organizzato sotto il comando del Diavolo una cospirazione contro il Sacro Impero Romano e scatenò praticamente la caccia alle streghe in cui moltissime, giovani e vecchie, furono giustiziate senza pietà (M. Gimbutas cita una cifra stimata di 8 milioni di donne assassinate dall’Inquisizione). Per fortuna nelle Terre Russe il rispetto per la donna era troppo forte, malgrado la contrarietà della Chiesa Russa, e un’analoga la caccia alle streghe non poté aver luogo perché la ved’ma o la znaharka (oggi queste due parole sono traducibili come strega e fattucchiera) erano e rimasero delle preziose medichesse per la loro conoscenza delle erbe selvatiche per tutti gli usi possibili. Vedere una donna alla ricerca di queste erbe nella foresta o lungo i fossi in certe ore impossibili del giorno o della sera con la luna , non suscitava alcun sospetto e acquistare perciò la nomea di “znaharka” era un grande onore, sebbene molto difficile da conseguire per le giovani. Le donne più vecchie addirittura apparivano agli occhi della gente quasi delle persone immortali (non dimentichiamo le basse aspettative di vita del tempo!), se non soccombevano oltre i 50-60 anni e le loro cure o i loro consigli erano accettati di buon grado e considerati tanto più indispensabili quanto più vecchia era chi li dava. Si pensava che, se una morte o una non guarigione seguiva ad un trattamento prescritto da una di queste, la responsabilità ricadeva su colui che non aveva rispettato puntigliosamente tutti gli obblighi imposti e, in altre parole, aveva offeso la znaharka! Medichessa sì, ma anche personaggio sacro…

D’altronde il legame donna-forze-divine-celesti è arcinoto e non può essere dimenticato, come indica il Cristianesimo nel demonizzare donne e le sue congeneri che vivono nella foresta sotto forma di fate e ninfe. E come si spiega la consonanza del ciclo mestruale femminile con la Luna? Come si spiega il fatto che, sebbene s’accoppiasse, non andava incinta automaticamente come gli altri animali? Non si poteva che pensare che fosse Eva a decidere se far nascere un bimbo oppure no e che fosse Eva a governare il tempo, addirittura prevedendo il futuro…

C’è però una stranezza in quello che è chiamato l’Olimpo Vladimiriano ossia nella raccolta di dèi pagani protettori di ciascun gruppo etnico che componeva la druzhina alla conquista di Kiev, la presenza di una dea col nome di Mokoscià/Mokosc’. L’ipotesi è che, se accettiamo la consonanza del nome (confermato il genere femminile) con le genti ugro-finniche Mokscià, la dea s’identifichi come la protettrice di quell’etnia. Una dea a protezione di un gruppo (sicuramente) maschile di guerrieri non farà più meraviglia, se la riconosciamo come eredità del matriarcato passato. Ci chiediamo allora: Eva, in regime patriarcale, continuava ad adempiere alle funzioni di intermediaria con le divinità pagane come Mokoscià oppure no, malgrado una sua certa indiscussa autorità? Non abbiamo testimonianze chiare a riguardo (salvo il materiale folcloristico sulle ved’my e znaharki), visto che Mokoscià nel folclore odierno è ormai ridotta alla dea casalinga che presiede alla fertilità e alla tessitura. Tuttavia sappiamo dalle ricerche di A.S. Mandzak che erano le donne a benedire gli uomini in una campagna militare o a proteggerli con i loro amuleti e incantesimi nei pericolosi viaggi per mercati lontani. E ciò non potremmo interpretarlo come un resto dell’attività guerriera femminile collegata alla dea? Mancano però nello stesso Olimpo dee importanti come la luna chiamata in russo in regime matriarcale Lunà, femminile, e in regime patriarcale Mesjaz, maschile (cfr. col latino Luna e Mensis) o la maggiore di tutte, Madre Umida Terra che lo smierd assimilerà poi con la Vergine Maria.

Se, insomma, non è neppure più una sacerdotessa ufficiale qual è allora il potere concesso che Eva nelle Terre Russe ha ereditato dal matriarcato?

 


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©2010 Aldo C. Marturano.

   


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