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             MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 19/2


Seconda parte

 

E non furono solo parole, poiché Giovanni mandò una lettera a Pskov dicendo che, se i novgorodesi avessero continuato a comportarsi anche con la loro città in modo non consueto né consono al passato, che si unissero a lui ora che si accingeva a punirli adeguatamente. Pskov però non aveva intenzione di scontrarsi apertamente con la sorella maggiore e così mandarono i loro plenipotenziari a Novgorod per avvisare della tempesta che si stava preparando da parte di Mosca.

Novgorod rispose che invece si armasse insieme a loro e scendesse in campagna contro Mosca. La risposta di Pskov fu laconica: «Vedremo!», ma allo stesso tempo si mandò a dire a Mosca invece che Pskov era pronta ad aiutare Giovanni, se chiamata.

Intanto anche a Novgorod succedono alcuni eventi inspiegabili che causano la paura e lo spavento della gente perché presagiscono alla fine del mondo. Ad esempio campane che si misero a suonare per loro conto, sangue che usciva dalle tombe dei Monsignori morti,  ed altri casi strani e, come abbiamo detto, tutti pensarono che questi fossero tutti segni del cielo della fine prossima. Non solo, ma ricominciò a circolare la voce che Giovanni III potesse essere l’Anticristo!

Questo però non spinse i novgorodesi, persone pratiche e inclini solo a fare i conti, a chiudere la città e mettersi ad aspettare il Giorno del Giudizio come preannunciato, anzi!

Come abbiamo visto ormai da tempo fra Novgorod e Mosca ci sono litigi sui confini e sui territori che l’una parte accusa l’altra di occupare illegittimamente. Il partito lituano gioca agevolmente su queste annose contese e continua ad attizzare odio verso Giovanni e il suo regime dispotico.

Una parte importante in queste operazioni “ideologiche” l’ebbe proprio la vedova di quell’Isacco Borezkii, posadnik, che abbiamo visto negoziare per la fortezza di Porkhov, qualche capitolo prima.

Costei, di nome Marta, era figlia del bojaro Simone Loscinskii ed era già stata sposata una prima volta con il bojaro Filippo, un ricchissimo personaggio novgorodese filo-lituano e amante della modernità a tutti i costi. Rimasta vedova Marta aveva sposato poi Isacco Borezkii.  La famiglia Borezkii era molto altolocata a Novgorod. Il fondatore della dinastia era il posadnik (1401) Andrea figlio di Giovanni ed aveva adottato questo “cognome” dal villaggio di Borok al quale facevano capo tantissimi terreni di sua proprietà nella zona della media Dvina.

Da Isacco Marta aveva avuto due figli, già adulti negli anni di cui parliamo. Poi era morto anche Isacco…

A questo punto la vedova Marta aveva deciso di prendere nelle sue mani il potere a Novgorod attraverso il solito metodo di pilotare la Vece con il partito lituano che lei ormai dominava e così aveva fatto nominare posadnik il suo figlio maggiore Demetrio, sebbene in realtà le redini della politica poi le tirasse sempre lei.

Tutto era cominciato quasi per caso quando il priore del Monastero Solovezkii, Zosima, aveva cercato di avvicinare Marta per cercare il di lei aiuto contro il comportamento ingiurioso dei funzionari verso i monaci lungo la Dvina, dove i Borezkii avevano vastissime proprietà. A Marta erano state riferite dapprima molte calunnie sul conto del Priore e per questo aveva rifiutato di vederlo, ma poi convinta della inconsistenza delle male lingue, lo aveva accolto nella sua casa con grandi onori e si era fatta raccontare che cosa era realmente successo. Mentre il Priore era a cena con Marta e i suoi, costui si spaventò improvvisamente poiché aveva avuto una visione: Aveva visto alcuni dei convitati presenti senza la testa! In quel momento non raccontò niente a nessuno, ma quando tornò in convento svelò al suo collega monaco che cose terribili si stavano preparando…

Comunque sia Marta portò il Priore col il problema delle terre alla Vece che riconobbe la giustezza di aiutare il convento e con grande magnanimità anche Marta concesse una bella fetta delle sue terre in quella regione affinché, d’ora in poi, questa comunità religiosa non dovesse più dipendere da alcun lascito o concessione estranea. Con il suo saper fare dunque, con le continue feste e riunioni Marta nella sua ricca casa ubicata nel quartiere Nerevskii della Riva di Santa Sofia, aveva raccolto in quegli ultimi tempi intorno a lei il consenso di molte famiglie bojare, fra cui la famiglia del famoso Anania, non troppo inclini a sottostare ai voleri di Mosca e questo gruppo ora costituiva un nucleo veramente potente, almeno economicamente, che avrebbe potuto trasformare la realtà politica di Novgorod, non appena lo avesse voluto dato che anche gran parte del popolo minuto era dalla sua parte.

Intanto il gruppo di bojari intorno a Marta Borezkaja aveva deciso di riprendersi lo sfruttamento delle enormi distese di terra di cui erano da sempre proprietari lungo la Dvina Settentrionale, benché ora fossero occupate dai funzionari moscoviti e ciò era giunto alle orecchie di Giovanni che vedeva in questo un’evidente violazione degli accordi presi a suo tempo con suo padre.

Monsignor Giona muore e il partito di Marta Borezkaja tira un sospiro di sollievo poiché questo prelato era stato sempre contrario ad alleanze coi polacchi “latini” impedendo a Marta di muoversi liberamente.

Marta era fortemente convinta che ce l’avrebbe fatta a legare Novgorod al carro di Casimiro e così continuò ad invitare nel suo salotto chiunque volesse parlare e concordare qualcosa con lei su questo progetto e chiunque venisse a visitarla riceveva sempre la stessa incitazione: Abbasso Mosca ed evviva Casimiro! Uno dei più fedeli amici di Marta era diventato il dispensiere di Santa Sofia, Pimen, il quale da tempo usava, di nascosto di Monsignor Giona, il denaro della cattedrale per sostenere il partito di Marta in ogni riunione popolare.

Questo Pimen fu uno dei nomi che furono proposti per esser scelti come Arcivescovo di Novgorod, ma sfortuna volle che la sorte cadesse sul protodiacono (primo segretario) del defunto monsignore, Teofilo.

Si trattava ora di decidere da quale Metropolita far confermare la nomina dell’Arcivescovo, se da quello di Kiev o da Filippo a Mosca. Vennero allo scoperto le manovre di Pimen e costui, accusato e condannato per aver rubato il “santo” denaro della chiesa, finì in prigione con una multa di 1000 rubli.

A questo punto, il partito moscovita ebbe la meglio e si decise che Teofilo andasse a Mosca. Si chiese dunque il salvacondotto per il nuovo Monsignore per il suo viaggio a sud. 

Per vendetta e sicuramente sostenuto da Marta Borezkaja, Pimen intanto dalla sua cella riuscì a far avere informazioni calunniose su Teofilo al Metropolita Filippo, sperando di salvare se stesso e la sua anima e mettere l’uno contro l’altro i due prelati.

Ci furono di nuovo litigi nella Vece, ma il partito moscovita si ritrovò in minoranza e il partito lituano diventato ora potente chiese a Casimiro Jagellone, dopo aver stipulato con lui un accordo sulla base delle condizioni che leggeremo nella lettera sequestrata a Demetrio Borezkii, di mandare un bravo generale per Novgorod perché ci si attendeva un attacco dalla Bassa moscovita. Casimiro mandò subito Michele Olelkovic’, il fratello del principe lituano di Kiev, Simeone, che fu accolto in città con grandi onori insieme col suo numeroso seguito armato.

E’ il 1470!

A Novgorod ormai quasi ogni giorno ci sono manifestazioni e dimostrazioni contro Giovanni III dove Marta Borezkaja fa da ispiratrice incitando la gente con gli slogans contro Mosca e a favore di Casimiro.

L’unica ritorsione possibile al momento a queste azioni antimoscovite che i suoi gli riferiscono per Giovanni è rifiutarsi di ricevere il nuovo Monsignore. Gli vieta persino di recarsi a Mosca per il resto della sua vita e, quando il bojaro Niceta che ha portato con sé la lettera di richiesta della Vece per la consacrazione di Teofilo e che subito dopo è venuto a chiedere il perchè del rifiuto, Giovanni fa sapere che le colpe di Novgorod sono ormai tante e, la più grande fra tutte, è quella di non riconoscere Giovanni quale suo sovrano. Non ci sono altre ragioni da discutere!

Giovanni intanto segue abbastanza attentamente le mosse della “terribile” vedova Borezkaja ed addirittura propone per neutralizzarla il posto di bojaro di corte per suo figlio Demetrio, posadnik in carica, … a Mosca, però! Quasi in ostaggio… Ed addirittura, ma non sappiamo quanto sia vero, si disse in una Cronaca che Marta si fosse sposata una terza volta con un certo polacco con il quale, una volta resa indipendente ed autonoma Novgorod, sognava di essere la signora della città (o posadniza, come venne poi soprannominata), in nome di Casimiro.

A questo punto qualche settimana dopo arriva da Mosca un ambasciatore che, riferendosi alle solite e ripetute tradizioni che spiegavano perché Novgorod avrebbe dovuto sottoporsi a Mosca, nella Vece proclama in nome di Giovanni che Mosca non avrebbe mai permesso che il “proprio territorio novgorodese” passasse nella mani d’un altro sovrano, e peggio che mai, nelle mani di Casimiro!

All’Arcivescovo invece separatamente giunse la lettera di Sua Santità Filippo che lo avvertiva che darsi nelle mani di Casimiro significava abbandonare la vera fede russa lasciata in eredità da Bisanzio e  che quindi si rischiava di diventare semplicemente degli eretici.

Questi tentativi calunniosi furono comunque pubblicamente smentiti e respinti dalla Vece che rispose al messo di Mosca: «Noi non siamo un territorio demaniale di Mosca. Monsignor Grande Novgorod da sempre è stata una terra libera ed indipendente! Monsignor Grande Novgorod si governa da  !».

A quanto sappiamo quando i legati moscoviti ritornarono con questa risposta da Giovanni, il Principe non fece una piega, ma dopo qualche giorno mandò ancora un'altra ambasciata. Stavolta la portava un suo fido e nobilissimo bojaro: Giovanni Toropkov figlio di Teodoro.

In breve il messaggio era: «O Terra Mia, non staccarti dalla vera fede ortodossa. Togliete dalla vostra mente, o novgorodesi, questo cattivo pensiero. Non correte nelle braccia dei latini e venite invece da me che vi accoglierò come vostro sovrano e vi governerò come era nella nostra tradizione di famiglia!».

Il lettore non deve meravigliarsi della ripetitività degli argomenti perché in realtà ciò nascondeva la debolezza stessa dei moscoviti e il timore di non riuscire ad inglobare Novgorod senza dover ricorrere a troppe spese militari. Giovanni di fronte al problema politico di abbattere il potere della Vece e dei bojari in quel momento storico aveva questi unici mezzi: i proclami e il riferimento a chissà quale tradizione da lui scoperta nelle Cronache e cose simili! Naturalmente lo sosteneva nell’intento il Metropolita, visto che Novgorod era la più grande e più ricca eparchia della Metropolia di Mosca …

Michele Olelkovic’ intanto, avendo evidentemente sperato di scendere spesso in campagne militari qui a Novgorod e riuscire quindi a costruirsi una certa ricchezza, stanco di essere usato da Marta solo quale tramite per trasmettere lettere e notizie a Casimiro e saputo che suo fratello Simeone è morto, decise di lasciare la città per impedire a Casimiro di porre sul trono a Kiev un suo uomo. Sulla via per il sud, chissà per quale ragione vendicativa, saccheggiò Russa con grande scandalo per i novgorodesi antimoscoviti.

Questo allontanamento di Michele però non significava il rifiuto di Casimiro di proteggere Novgorod poiché sappiamo che il re infatti si sta già movendo ed ha mandato un suo ambasciatore all’Orda d’Oro per convincere questi Tatari a muovere contro Mosca.

Allo stesso scopo il partito dei Borezkii hanno contattato il Gran Maestro dell’Ordine Livonico contro Pskov che rimane l’anello debole pericoloso nella lotta per l’indipendenza da Mosca.

E’ l’inverno del 1470 quando Novgorod comincia ad essere preoccupata per lo strano silenzio di Casimiro Jagellone e la responsabilità di Marta nei confronti della città aumenta di giorno in giorno e tutti cominciano a temere il peggio, non tanto perché non condividevano le idee della bojara sull’indipendenza e sull’onore della libertà novgorodese, quanto invece pensando alle rappresaglie che si stavano preparando.

Occorreva dunque un impegno sicuro e chiaro da parte di Casimiro e Marta cominciò a mandare un ambasciata dopo l’altra chiedendo che il Re rispondesse  e non solo a parole, ma con i fatti concreti.

Mandò forse in quei giorni la famosa lettera a Casimiro nella quale sono contenuti i fondamenti di libertà di cui aveva da sempre goduto Novgorod e che il figlio di san Vladimiro di Kiev, Jaroslav, aveva concesso per iscritto.

Ecco il testo della lettera “finale” a Casimiro, come è riprodotto dallo storico N. Karamzin:

«Onorevole Sovrano! Re di Polonia e Gran Principe di Lituania, abbiamo concepito un accordo con il nostro Arcivescovo Teofilo, con i nostri posadniki, con i nostri tysjazkii, con i nostri bojari, con i nostri “borghesi”, con i nostri mercanti e con tutta la città, Monsignor Grande Novgorod. Per stipulare questo accordo ti abbiamo mandato in Lituania il posadnik Atanasio figlio di Eustachio, il posadnik Demetrio figlio di Isacco (questo è il figlio di Marta)… fra i borghesi c’era Panfilio figlio di Selifonte, Cirillo figlio di Giovanni… per informarti, onorevole sovrano, che Monsignor Grande Novgorod con questa lettera benedetta riconosce di mantenere nella Cittadella il proprio namestnik con non più di cinquanta uomini armati. Al namestnik è concesso partecipare e ad emettere sentenze nella casa di Santa Sofia, insieme al posadnik, sui delitti compiuti da bojari, borghesi, giovani cittadini, come pure sulla gente dei villaggi, secondo le nostre leggi e il namestnik non pretenderà altro in questo esercizio della sua funzione di giudice oltre quanto assegnatogli dalla legge. è invece vietato al namestnik di prendere parte al processo e al giudizio nei tribunali dei tysiazkii, in quelli della Chiesa e dei Monasteri. Al funzionario del namestnik è concesso di vivere nella Cittadella e di raccogliere la tassa  insieme col posadnik e trattenere quel  che ti è dovuto. Al tìun (questo era una specie di sottocapo al servizio del namestnik) è concesso agire solo all’unisono coi nostri funzionari. Se il principe di Mosca scenderà in campagna contro di noi allora tu, onorevole signore e re, oppure in tua assenza la rada (consiglio dei nobili) lituana ci fornirà immediato aiuto. Rzhev, Grandi Anse, il pogost di Holm rimane terra novgorodesi, ma l’usufrutto sarà pagato a te, onorevole sovrano. Il cittadino novgorodese in Lituania sia giudicato secondo la vostra legge e il lituano a Novgorod secondo la nostra, senza alcuna particolare misura restrittiva… A Russa avrai in concessione ben 10 saline e per i giudizi e i processi che farai in quei luoghi riceverai quando è già stato fissato nelle nostre ordinanze in passato. Onorevole re, non deportare i nostri cittadini, non comprare villaggi, non comprare schiavi né riceverli in dono, nè gente tua né lituani, e a noi non nasconderai le somme che incasserai. Ai legati, ai namestniki e alla gente tua non sia concesso trasportare roba con i carri fuori dal nostro territorio alcunché e l’amministrazione delle aree del territorio potrà essere gestita solo dai nostri funzionari. A Grandi Anse avremo invece i funzionari doppi, uno per conto tuo e uno per conto nostro, non si potrà fare un processo ad un uomo di Toropez nelle terre di Novgorod. A Mercato Nuovo e a Volok Lamskii avrai il tuo tiun, mentre toccherà a noi avere il posadnik. I mercanti lituani potranno lavorare con i tedeschi solo per il tramite dei nostri mercanti. La Corte di San Pietro e quello dell’Hansa non è sottoposta a te e tu non potrai chiuderla. Tu, onorevole sovrano, non impedirai mai il culto della nostra fede ortodossa e il nostro Arcivescovo lo faremo consacrare dove vorremo, a Kiev o a Mosca. Mai farai costruire una chiesa latina nei nostri territori. Se riuscirai a farci far pace con Mosca, Novgorod te ne sarà grata ed un segno materiale di gratitudine sarà di cederti il tributo che noi raccogliamo ogni anno nei Quinti, ma non per sempre, soltanto per quell’anno. Per confermare questo accordo ti preghiamo di baciare la Croce senza inganno e i nostri legati faranno lo stesso in nome della nostra città, Monsignor Grande Novgorod!».

Ci scusiamo col lettore per il lungo testo, ma esso ci dice e ci conferma quali erano i diritti di cui Novgorod godeva da sempre e che poi perderà quando sarà inglobata nel Granducato di Moscovia. Nella lettera inoltre non si capisce perché e in virtù di quale convenienza la Lituania dovrebbe prestare aiuto a Novgorod o considerarla una parte delle Terre Russe da tenere sotto la propria protezione. Certamente ci sono alcuni diritti di riscossione che vengono “concessi” a Casimiro, ma sembrano troppo pochi… per cancellare l’idea che sia meglio conquistare e assoggettare Novgorod, più che “proteggerla”!

D’altra parte come mai tali proposte non sono fatte pari pari a Mosca? E’ vero! Mosca da anni va dicendo che Novgorod è un demanio suo perché il Principe di Mosca ha ereditato questo territorio come discendente di Rjurik, di san Vladimiro etc., ma Novgorod non ha mai tentato di negoziare seriamente su questo piano, mantenendosi sempre ambiguamente a metà strada…

Dunque ci sono molti punti oscuri probabilmente dovuti alla mancanza di unità politica della classe bojara al potere. Unità che, se Marta Borezkaja avesse avuto più tempo, avrebbe forse potuto costruire con le armi economiche di cui disponeva e porsi per davvero a capo della città.

Giunge la primavera del 1471!

Mosca indugia ad intervenire direttamente contro Novgorod perché evidentemente non ha forze (e denari) sufficienti e non riesce a giudicare quanto forte possa essere il legame della città del nord con la Lituania o con le altre realtà statali vicine. In più Giovanni è una persona riflessiva ed estremamente prudente, come abbiamo detto, e dunque starà raccogliendo informazioni. Insomma vuol essere sicuro che sia veramente necessario un intervento militare per portare Novgorod verso la sua Mosca e perciò, se occorre ricorrere a questa estrema misura, essa deve essere anche efficace subito e non solo un nuovo tentativo.

Mosca non è ricca e non ha una grossa armata che possa essere divisa sia per portare la guerra al nord sia per difendere Mosca dai nemici più vicini e Giovanni non desidera che si sguarnisca troppo la città perché ciò darebbe immediatamente l’occasione ai vari personaggi interessati a rovesciare la sua dinastia per annientarla.

Dunque deve prima organizzare il nuovo stato che ha in mente e gli stati di quel tempo disponevano per prima cosa di un esercito unito e ben armato che difendevano non solo i confini, ma andavano poi alla conquista delle regioni limitrofe che interessava accorpare. Purtroppo non ha un modello da imitare che gli piaccia, vista la confusione ideologica e i rivolgimenti territoriali che la regione intorno a Mosca sta subendo e deve perciò ricorrere ai soliti vecchi metodi dei rjurikidi per tenere insieme lo stato e cioè attraverso parentele e matrimoni. L’arma più forte poi per legare tutte queste persone è la Chiesa e il giuramento religioso e perciò questo sarà uno dei mezzi più frequenti ai quali Giovanni ricorrerà per concentrare nelle sue mani tutto il potere del suo regno. Attenzione! Siamo sempre in pieno mondo medievale del XV sec. in cui il giuramento non è formale come per noi oggi, ma è un gesto impegnativo molto importante, specialmente fatto in pubblico e con la garanzia di un prelato!

Tuttavia come fare con i Tatari che tutti cristiani non sono?  L’Orda d’Oro ormai non conta più, tanto che Giovanni decide di non pagar più nemmeno il vyhod, ma ora c’è Kazan’ ed occorre cercare altri mezzi per tenere amici questi Tatari. Un mezzo potrebbe essere quello della loro conversione al Cristianesimo moscovita oppure i matrimoni dinastici o anche le concessioni di territori da governare dove i Tatari si stabilirebbero e metterebbero nuove radici. Naturalmente poi quando si tratterà di andare in spedizione militare Giovanni avrà cura di tenere presso di sé i figli dei khan di Kazan’, onde evitare problemi di ribellione.

Sul fronte sudoccidentale ci sono poi altri Tatari, quelli di Crimea contro i quali suo nonno ha combattuto e vinto, i quali ultimi, con l’affermarsi della potenza selgiuchida e dopo la presa di Costantinopoli, data l’affinità etnica con la nuova Istanbul, sono diventati i naturali alleati di Maometto II. Giovanni con molto preveggenza nel 1468 si è assicurato un’alleanza e una cooperazione con il khan di Crimea Menghli Ghirey e da questo lato dovrebbe poter star tranquillo.

Per quanto riguarda invece il Granducato di Lituania e Polonia, come ora si chiama la grande nazione regionale del suo avo Vytautas, Casimiro sta distruggendo in questi anni i vecchi ordini stabiliti in Ucraina dai suoi cugini, discendenti dei vari figli di Olgherd. Casimiro IV è il primo successore di Jogaila a governare in Lituania dopo Vytautas e quindi per consolidare il suo stato deve eliminare questi numerosi concorrenti che tendono a separarsi dal potere centralizzato fra Cracovia e Vilnius.

Ad esempio è quel che sta succedendo a Kiev, sede naturale di Olelko (ossia Alessandro) figlio di Vladimiro che a sua volta era figlio di Olgherd e padre di quel Michele che abbiamo visto andar via da Novgorod. Addirittura Michele ha come madre Anastasia, la figlia di Basilio di Mosca, e quindi è il cugino di Giovanni III. Michele Olelkovic’ è ritornato a Kiev proprio per essere diretto partecipe ai cambiamenti che Casimiro sta introducendo nella “sua” Ucraina. Oltre a ciò la sua presenza è stata richiesta perché i Tatari di Crimea ora alleati dei Selgiuchidi partecipano a varie spedizioni nei territori del Granducato e, causando disordini e confusione, devono essere affrontati militarmente e Michele sembra essere la persona adatta.

Alla fine del 1470 quindi la situazione a Giovanni sembra finalmente tale per poter mettersi in campagna contro Novgorod. L’unica incognita rimasta è la collaborazione di Pskov.

Vediamo adesso brevemente il sistema di fortezze di cui Novgorod si era guarnita da quasi ogni lato.

Abbiamo detto in altro luogo che Novgorod era una grande città fatta di legno e questo è vero, ma per quanto riguarda le mura e le fortificazioni che la difendevano verso l’esterno era anche la più antica città russa che usò la pietra, insieme a Pskov, e senza l’apporto tecnologico di architetti stranieri.

Orbene dobbiamo immaginarci l’effetto spaventoso dell’imponenza di queste costruzioni sul nemico che le vedeva già da lontano! Figuriamoci l’impressione sui moscoviti, i quali nella Bassa l’unica città che conoscevano e che conservasse ancora tracce di coperture di pietra sulle mura di difesa era proprio Mosca, dopo le varie distruzioni e danneggiamenti subiti nel XIV sec. La centralizzazione dello stato inoltre rendeva inutile un’eventuale ricostruzione di queste difese, dato che il Gran Principe risiedeva a Mosca, se non lungo i confini, quando questi fossero ben definiti e consolidati!

Dunque per Mosca Novgorod era all’apparenza imprendibile…

Per quanto riguarda i Quinti di nordest, poichè un attacco da questa parte era difficilissimo per chiunque a causa del terreno deserto e impervio (ancor oggi!) sia d’estate che d’inverno, a parte i pogosty altre fortificazioni non erano richieste.

Per il lato sud del lago Ilmen a monte sulla Scelon' dominava la fortezza di Porkhov a poche decine di km da Pskov. Il maggior numero di fortezze invece erano lungo le rive meridionali della Nevà e del Ladoga e nell’estremo nord dello stesso lago (Keksholm) o lungo il lago dei Ciudi (di Pskov) e la Narva, contro cioè Cavalieri e Svedesi.

 Ciò detto pensiamo che ora è comprensibile l’indugio di Giovanni e i tentativi di sgretolare il controllo novgorodese del territorio.

Sottolineiamo inoltre che, al fine di sollevare anche la gente semplice contro Novgorod, la campagna militare del 1471 (e del ’78) non fu proclamata come una guerra di conquista, ma come una crociata contro una parte delle Terre Russe che, già riconosciuta quasi come eretica e pagana, stava addirittura per compiere il grande passo dello scisma dalla Chiesa moscovita e il Metropolita Filippo, quando benedisse Giovanni e i suoi uomini che si apprestavano a marciare, dicono le Cronache che agisse come Samuele quando benedisse Davide che andava contro Golia.

«I non credenti al principio non conoscono Dio: e questi novgorodesi quanti anni sono stati nella fede cristiana ed ora prima della fine (qui ci si riferisce alla circostanza della fine del mondo di cui abbiamo parlato) hanno cominciato a rivolgersi ai latini e verso gli apostati della fede ortodossa. Si sono allontanati non solo dal proprio sovrano (cioè dal Principe di Mosca), ma anche dallo stesso Signore Iddio. Come il suo (di Giovanni) bisavolo Demetrio (del Don) si armò contro l’infedele Mamai, così fa il buon credente Gran Principe».

Filippo poi non si esime di parlare di Marta Borezkaja dicendo persino che: “Questa maledetta Marta avrebbe voluto incantare tutto il popolo, deviarlo dalla retta via e portarlo dalla parte dei latini poiché la tenebrosa attrazione dei latini aveva accecato la sua anima…”

Dunque nella primavera del 1471 Giovanni raduna la Duma dei bojari e dei preti intorno a sé e dichiara: “Sia guerra a Novgorod!”

Tutta la campagna fu studiata a tavolino.

La strada per il nord era molto lunga: oltre 500 km! Ed era anche non facile da percorrere lungo fiumi, foreste sconosciute e fittissime, fra marcite e paludi a non finire, specialmente durante la primavera quando la neve e il ghiaccio si scioglievano.

Occorreva poi non far notare grandi movimenti di truppe nella Bassa per cogliere il nemico di sorpresa e quindi si evitò di concentrare le diverse armate che venivano dai diversi udel in uno stesso punto e si decise che ogni armata sarebbe partita verso nord per suo conto, stimando di giungere al concentramento ad una certa data. Allo stesso tempo una parte dell’esercito moscovita avrebbe impegnato quello novgorodese lontano dalla città. A maggio infatti fu mandato verso Ustjug il generale Obrasez per organizzare i “ribelli” della Dvina e minacciare la parte sudorientale del lago Ilmen, a monte della Mstà, così che i novgorodesi avrebbero mandato le loro truppe in quella regione sguarnendo il lato sud.

Bisognava poi impedire che la città riuscisse ad approvvigionarsi dall’esterno e quindi occorreva prima d’ogni altra cosa occupare Mercato Nuovo e cercare poi d’ impedire l’accesso al Mar Baltico con la collaborazione di Pskov.

Per esser sicuri della fedeltà dei Tatari li si incorporò nell’esercito moscovita e ci si mise d’accordo affinché costoro muovessero esclusivamente sotto il comando moscovita. Prima di partire Giovanni li avvertì molto chiaramente di non scivolare in inutili eccessi e di  non fare prigionieri da vendere schiavi!

Ricordiamo inoltre che al seguito di Giovanni c’era un certo Stefano il Barbuto che sapeva le Cronache Russe di Nestore quasi a memoria e quindi citava da esse con libertà, quando si trattava di confermare le pretese di Mosca su Novgorod, e questi fu una persona chiave che accompagnò quasi tutti le trattative di Giovanni con i colti novgorodesi.

Al principio di giugno si mossero dunque i moscoviti, compresi i contingenti tatari di Kazan’, al comando del principe Daniele Holmskii. Era questa l’armata che doveva raggiungere per prima a Russa e fermarsi per attendere l’arrivo del contingente di Pskov. L’altro generale, Giovanni Obolenskii-Strigà, invece si diresse verso l’altro angolo del triangolo formato dal lago Ilmen, sempre con moscoviti e tatari insieme, che avrebbe raggiunto la riva sinistra della Mstà almeno allo stesso tempo quando Holmskii fosse arrivato a Russa.

Il 20 giugno seguì poi la parte più grossa dell’esercito di Mosca e si diresse verso Tver per aggregarsi ai soldati di questo udel e poi proseguire per Mercato Nuovo ed occupare quest’ultima città.

Agli altri armati provenienti dai diversi udel fu comandato di dirigersi verso nord scegliendo ciascuno un tragitto diverso in modo da frammentare gli eventuali sforzi difensivi dei novgorodesi.

Il tempo atmosferico era favorevole perché non piovve per tutta la durata della campagna ed addirittura diventò così secco che nemmeno ci fu il problema di trovare campi allagati o troppo melmosi a causa della neve sciolta.

Mentre ciò avveniva a sud, Novgorod era anch’essa in pieno fermento mentre si preparava alla difesa. Il posto di Michele Olelkovic’ è stato dato al principe “senza terra”, il suzdalese Basilio Sciuiskii-Grabjònok.

E chi organizzare se non c’erano più professionisti alle armi? Tutti i cittadini furono comunque mobilitati e siccome i novgorodesi erano famosi per la loro Cavalleria, come abbiamo detto, dovettero raccogliere ed addestrare in breve tempo almeno 40.000 cavalleggeri ed armarli e possiamo immaginarci come questi armigeri improvvisati alla fine risultassero inetti ed inefficienti. Questo numero sembra che fosse il massimo che riuscissero a mettere insieme i novgorodesi, secondo Gilbert de Lannois che abbiamo già ricordato quale visitatore del XV sec. Tuttavia, secondo qualche storico russo più prudente, 40 mila sono sempre troppi poiché, siccome di solito per calcolare la popolazione approssimativa di una città russa di quel tempo, si moltiplica per 5 il numero medio di armati messo in campo da quella città durante un certo periodo, Novgorod dovrebbe contare  alla fine del XV sec. ben 250 mila abitanti, ciò che in realtà sembra eccessivo!

Comunque sia il risultato finale fu che ogni novgorodese capace di stare sui suoi piedi, fu messo su un cavallo e armato con armatura pettorale, ginocchiere metalliche e con picche, arco e frecce.

Il piano di difesa fu studiato dall’Arcivescovo il quale si riservò la difesa diretta della città con le proprie truppe, mentre le altre ebbero il compito di attirare i moscoviti a drappelli in vari posizioni in modo da poterli dividere e poi batterli drappello per drappello o per lo meno impegnarli in modo frastagliato. La Cavalleria fu immediatamente mandata lungo la riva occidentale del lago verso Russa. Essa poi avrebbe dovuto proseguire lungo la riva sinistra della Scelon’ per impedire che Pskov si riunisse a Holmskii.

Un’armata di 12 mila novgorodesi invece fu affidata a Sciuiskii perché si scontrasse coi moscoviti che erano apparsi sulla Dvina. La fanteria novgorodese infine fu traghettata attraverso il lago verso il villaggio di Korostyno dove avrebbe dovuto sbarcare e attaccare Holmskii dall’altro lato, sulla riva destra della Scelon’.

Holmskii arrivò a Russa molto prima degli altri mentre Pskov invece non si era ancora fatta vedere e quindi Holmskii, senza perder troppo tempo, dette ordine di attaccare Russa. La città fu presa e data alle fiamme e una volta costituitasi una testa di ponte su questa riva del fiume, Holmskii attese sia l’arrivo del resto dell’esercito moscovita che i novgorodesi.

Gli esploratori riportarono all’Arcivescovo questo isolamento momentaneo di Holmskii e perciò il comando novgorodese decise di attaccare prima con la fanteria che era ormai arrivata a Korostyno e poi con la Cavalleria che si trovava sulla riva opposta della Scelon’. La fanteria si divise in due: una parte avrebbe dovuto attaccare Homskii sul fianco mentre l’altra guadando il fiume Polist’ avrebbe preso Holmskii alle spalle.

Holmskii però era anche lui ben informato dei movimenti novgorodesi e contando sulla lentezza degli spostamenti mosse velocemente verso Korostyno e attaccò la fanteria prima ancora che si fosse messa in movimento dall’accampamento. La sorpresa e il fatto di non avere una vedetta di guardia vinse sui novgorodesi e Homskii potè dedicarsi all’altra divisione di fanteria novgorodese che, presa alle spalle a sua volta, fu annientata. La Cavalleria intanto si era arrestata ed era in attesa di scontrarsi col contingente di Pskov mentre il 13 luglio Holmskii giungeva sulla riva della Scelon proprio in vista con la Cavalleria sulla riva opposta.

Holmskii in realtà non era più nelle condizioni di continuare a battersi poiché aveva già perso metà degli uomini che aveva portato con sé e preferì tergiversare, invece che scontrarsi. L’avvicinarsi della notte (con il sole naturalmente che calava molto tardi) dette ad entrambi gli avversari la possibilità di riposare e di rifare dei piani.

La mattina si cominciò a sparare frecce dall’una e dell’altra riva, ma un attacco decisivo occorreva per interrompere quell’inutile logorìo di forze e di munizioni e Holmskii giocò il tutto per tutto. Arringò i suoi dicendo che bisognava attaccare guadando il fiume gettandosi a corpo morti sull’avversario o morire e, dando l’esempio coi suoi ufficiali, si lanciò nella acqua con i cavalli mentre il resto della truppa seguì proprio dove il fiumiciattolo Drjan’ si versa nella Scelon’. Lo scontro fu decisivo. I novgorodesi  non si aspettavano una tale mossa improvvisa, visti i pochi armati rimasti a Holmskii. Insomma furono ancora una volta battuti!

C’era anche la Cavalleria dell’Arcivescovo che non si mosse in aiuto ai propri concittadini e, successivamente il loro comandante si scusò, dicendo che aveva avuto ordine solo di attaccare quelli di Pskov e non i moscoviti e che inoltre i suoi non era armati con armature e non avrebbero resistito alle frecce avversarie. Tradimento o disorganizzazione?

Intanto anche Giovanni era arrivato alla foce della Scelon’ dove pose il campo a Korostyno.

Mentre era nella sua tenda giunse la notizia che insieme ai quattro bojari era stato catturato uno scrigno con una lettera…

Era la lettera scritta da Marta a Casimiro il cui testo abbiamo riportato sopra, che di conseguenza non giunse più a destino!

 Fu immediatamente messo insieme un tribunale di guerra che doveva giudicare gli ufficiali novgorodesi catturati per alto tradimento e cioè quattro bojari fra cui il figlio di Marta Borezkaja, Demetrio, probabile latore della lettera, e il coppiere dell’Arcivescovo, Geremia Suhoscek.

Giovanni fece decapitare i quattro bojari, parte della bassa nobiltà fu mutilata orribilmente, a chi fu tagliato il naso e a chi le orecchie e a chi le labbra  e poi mandati in queste condizioni a casa, mentre al resto della gente del popolo fu concessa la libertà dopo aver giurato fedeltà a Giovanni!

Intanto Sciuiskii, scontratosi con Obrasez e la sua armata di Ustjug e di Vjatka, era stato battuto e costretto a tornarsene a Novgorod con quello che rimaneva dei suoi.

A questo punto in una concitatissima Vece fu discusso il dafarsi. Novgorod aspettava ormai da due settimane l’intervento o l’aiuto di Casimiro, ma questo non venne. Fu mandato un ambasciatore attraverso la Livonia, ma costui tornò dicendo che il Gran Maestro non l’aveva lasciato passare…

Che stava mai accadendo? In città addirittura fu scoperto che un novgorodese aveva bucato, insieme ad altri accoliti pagati da Mosca, tutti i cannoni degli spalti che ora erano là inservibili, sebbene fossero state  proprio queste armi che aveva tenuto lontano Mosca e il suo esercito finora!

Si riunirono i Gospodà con a capo la stessa Marta Borezkaja e fu decisa la difesa ad oltranza. Si ricorse ai metodi del passato della terra bruciata tutt’intorno alla città, ma qui c’era poco da distruggere, se non i numerosi conventi, ma si bruciarono anche questi oltre alla pochissime e povere izbe fuori le mura! Si misero vedette e sentinelle, si mandarono esploratori in giro e spie per sapere e prevenire le prossime mosse dei moscoviti.

A questo punto cominciò ad aver la meglio la delusione e la disperazione, Marta era completamente depressa. Suo figlio Demetrio era stato giustiziato e le rimaneva solo la lotta e il figlio minore Teodoro, non molto intelligente in verità sul quale si poteva fare pochissimo affidamento.

Alla fine prevalse la rassegnazione e una delegazione di Novgorod con a capo Teofilo, l’Arcivescovo, fu mandata a trattare.

Giovanni affermò che fra Novgorod e Mosca c’era un patto che non era stato rispettato e che quindi quello scontro aveva lo scopo di ripristinare il vecchio ordine e soprattutto di battere il partito dei lituani con a capo Marta Borezkaja. Gli armati moscoviti e alleati quindi non sarebbero entrati in città, ma se ne sarebbero ritornati ed avrebbero lasciato la Scelon’ solo con la gloria della vittoria e Giovanni ordinò al suo bojaro Teodoro figlio di Davide di presiedere la Vece quello stesso giorno per raccogliere personalmente il giuramento di fedeltà di ogni novgorodese.

Marta Borezkaja non fu mai nominata in tutti quei discorsi, secondo gli standard oscurantisti di Giovanni in cui una donna non poteva far politica e tanto meno trattare con la sua sacra persona! 

Quando Giovanni lasciò i dintorni del lago Ilmen, Novgorod piombò nella tristezza più buia.

Si racconta che la folla di persone chiamate a rafforzare le difese della città e che ora erano costrette a ritornarsene a casa si trasformarono in numerose bande di masnadieri tanto che era difficile viaggiare fuori città, senza doversi difendere dall’assalto di questi banditi, anch’essi, si disse, pagati e sostenuti da Mosca per mettere confusione nelle Terre di Santa Sofia.

Per gli abitanti di Russa invece la sorte fu più cruda. Mentre tornavano sulle navi attraversando il lago Ilmen per ritornare alle ceneri della loro città li colse una tale tempesta che ne morirono ben 7000!

A Novgorod ci furono degli incendi e anche la casa di Marta andò a fuoco…

 

 continua

  

    

Estratto dal libro di Aldo C. Marturano, è caduta la Repubblica!, Vignate 2005.

    

©2005 Aldo C. Marturano

        


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