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   MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 56


 

  

   

Mettiamo da parte per un momento la steppa e le sue vicissitudini e, senza mai abbandonare il teatro più vero per gli eventi che raccontiamo, volgiamoci ad una questione primaria estremamente intricata: Quali stirpi arrivarono sul Medio Volga per prime e quali dopo. Sarebbe auspicabile infatti riuscire ad identificare la prima stirpe portatrice di identità bulgara che possa aver dato inizio alla storia, ma come si fa? Si potrebbe già partire dal fattore geografico ponendo la condizione che la stirpe da noi cercata abbia dei riscontrabili legami spaziali con Bolgar e col suo hinterland dove questi luoghi siano riconoscibili. Dopodiché dovrebbe essere possibile individuare una cultura materiale e spirituale primitiva e collegarla con quella derivata che appare come bulgara nei diversi eventi succedutisi nel tempo e costituire appunto la sua storia. è un lavoro che si può fare se ci sono i documenti e se essi sono affidabili. Purtroppo a questo proposito gli scritti sono talmente pochi e oscuri che si può ben dire che non si parla di Bulgari del Volga prima del IX-X sec. e ciò è già il primo ostacolo difficile da aggirare!

Premesso ciò, ci siamo affidati agli studiosi locali in primo luogo e abbiamo preferito agli altri i lavori di G. I. Tafaev, ciuvascio, e di M. Z. Zakiev, tataro, sebbene i due dibattano su sponde opposte, ciascuno geloso della propria identità etnica. Ci siamo infatti accorti che è indispensabile evitare speculazioni e malintesi sull’argomento dell'eredità bulgara giacché nel Tatarstan e nelle repubbliche limitrofe con le minoranze o le maggioranze turcofone esso ha grande risonanza politica, oltre che culturale, e ciò si riflette persino pesantemente nella ricerca storica! Ciascuna repubblica ex sovietica dell'area in questione (Medio Volga) è alla ricerca delle radici e discendere dai Bulgari del Volga è questione d'orgoglio nazionale più che di critica storica!

Un elemento distintivo di una stirpe è la lingua parlata e l'indagine più immediata di solito è linguistica. Tuttavia un idioma, ahimè, lascia poche, seppur preziose, vestigia nel tempo e nelle cose e le tracce a volte sono riconoscibili con fatica nelle parlate superstiti. Guai poi se la lingua sotto osservazione si estingue perché allora scompare per sempre con le sue informazioni. Nel nostro caso abbiamo un po' di fortuna poiché a stretto contatto più di una stirpe (slave, baltiche, ugro-finniche e turche) sono sopravvissute qui con le proprie parlate e per noi, sapendo a posteriori che il bulgaro è una lingua turca, diventa spontaneo cercare le vicende bulgare nelle etnie turcofone odierne che qui si trovano...

I turcofoni in questione appartengono a ben tre popoli abbastanza consistenti e ognuno di essi contende all'altro l'onore di discendere dai Bulgari. Per questa ragione, soltanto se si riuscisse a provare la filiazione più diretta di uno di questi idiomi rispettivamente del Tataro di Kazan o del Ciuvascio o del Basc'kiro dal bulgaro originario, avremmo il fil rouge giusto sulla bocca di testimoni viventi e per il tramite della tradizione orale conservatasi presso di loro potremmo tracciare le prime righe del nostro racconto.

Già nel IV-V sec. d.C. nel Ponto e nella Depressione Caspica si parlava un turco che possiamo denominare lingua bulgara antica. Successivamente essa si modifica e dal VII sec. la si può ridefinire come bulgaro medio. Dopo il disfacimento dello stato bulgaro pontico o Grande Bulgaria, i Bulgari spariscono e la scena tradizionale risulta sempre più massicciamente occupata dai Cazari con la loro lingua che, lo ribadiamo, non è dissimile dal bulgaro medio. Del bulgaro medio non abbiamo però grossi riscontri nell’area del Medio Volga, benché da altri dati indiretti possiamo presumere che dovesse essere certamente parlato anche qui seppur in modo  sparso e in concorrenza per la supremazia, com'è naturale, con le numerose parlate ugro-finniche presenti. Tuttavia, soltanto quando nel IX sec. finalmente appare Bolgar nei documenti come centro commerciale sul Volga, è logico dedurre dalla storia delle migrazioni che qui si usasse il bulgaro medio portato dal Ponto.

Passa il tempo e nel XII sec. ci sono i primi scontri sul Basso Volga con i genghiscanidi giunti dall’Asia Centrale, alleati prima degli Alani precaspici (naturalmente vinti in battaglia) e poi dei Kipciaki della riva sinistra del Volga. Bolgar è attaccata e direttamente coinvolta nella prima vera guerra di conquista della Pianura, dato che l'Impero Cazaro è scomparso da tempo. Nell’organizzazione dell'invasore, se quella politica fa capo alla Mongolia, i “veri” Mongoli (Halka) sono ai vertici militari. I Nojon, come si chiamano i generali mongoli, non sono però più di 3-4 mila su un’armata di varie decine di migliaia, mentre i Kipciaki tatari (chiamati in fonti diverse Polovzi o Cumani a causa della loro eterogeneità culturale e linguistica) ne sono la casta dominante, almeno dal punto di vista del numero.

Dobbiamo chiarire che già da un po' di tempo prima dell’arrivo dell'invasore, per ragioni fisiche ambientali che più in là preciseremo, Bolgar stava perdendo peso politico e culturale e i suoi cittadini si stavano trasferendo un po' alla volta nella Nuova Bolgar (Kazan) sulla riva opposta del Kama più a nord. E' quest'ultima città che con i nuovi governanti genghiscanidi verrà elevata a fortezza di confine e, considerata più importante di Vecchia Bolgar, attirerà sempre più gente dalla vecchia capitale (e da altre aree nordiche vicine). Questi bulgaro-parlanti in realtà non devono adeguare la loro alla lingua parlata in loco perché il bulgaro e il tataro dei Kipciaki sono poco diversificati fra loro. I Kipciaki, suggerisce G. Enikeev, non rappresentavano un'etnia omogenea. Kipciak è una denominazione generica per un collettivo di gruppi di provenienza varia raccoltisi a sudest del Mar Caspio con la caratteristica peculiare che il loro tataro era una koiné turca circolante fra un dialetto e l'altro. Per questa ragione comprendersi reciprocamente a Kazan non richiese che sforzi minimi. Non dimenticando che questa comunque è città bulgara e che il bulgaro medio era la lingua locale quando la guarnigione kipciaka è arrivata qui e si è installata, questi armati seppur numerosi sono maschi con al seguito poche famiglie e non ci volle molto perché i Bulgari arrivata dalla riva opposta li assimilassero ricostituendo la casta colta.

Se la lingua bulgara sembra sparita, si deve pensare o che si sia fusa con il tataro-kipciako e trasformata in una variante o, meglio, che abbia cambiato la sua denominazione “interna”,  semplicemente perché il bulgaro medio era visto dai Kipciaki come la lingua dei vinti.

Riscontri della “nuova lingua” restano le iscrizioni sulle lapidi tombali delle necropoli situate sulle due rive opposte del Kama cioè sulle steli di pietra entrate nell’uso funerario locale ad opera degli stessi Kipciaki al tempo del loro arrivo. Gli usi islamici a Bolgar in ambito funerario erano infatti altri e rispondevano alla credenza che fosse auspicabile per il defunto entrare subito a contatto col terreno per disfarsi e poter passare così rapidamente fra le braccia di Dio. Nessun nome occorreva sulla sepoltura (a che serviva ormai?) né altro tipo di abbellimento e la stessa sepoltura si aspettava che scomparisse! Fortunatamente per i glottologi, l'uso delle steli durò dal XIII sec. fino alla seconda metà del XIV sec. quando scomparve del tutto.

Orbene noi chiamiamo la nuova lingua tataro, ma J. K. Begunov giustamente avverte che il significato di Tatar era straniero o estraneo (a quei tempi) e quindi nessuno avrebbe mai accettato per sé e per la propria parlata un tal illogico nome. Tatar è chiaramente un aggettivo di nazionalità dato da non-Bulgari giacché, aggiunge Begunov, nella realtà la lingua di Kazan è detta saban

E qui sorge un'altra complicanza: Saban è anche aratro (lingua dei contadini?) o è una possibile variante di Sabir e Sabir di Sever, etnonimo di una tribù turca migrata dal nord del Caspio verso il nordovest e poi slavizzata sotto il nome di Severiani intorno al VII sec.

E non basta! Sabir varia anche in Suwar e Suwar in Suwaz cioè Ciuvascio e che sappiamo dei Ciuvasci e della loro lingua più antica? Praticamente nulla. Nelle Cronache Russe appaiono nel 1524 e poi nel 1551. La loro tradizione pretende che giungessero da queste parti moltissimi anni addietro dall'Anticaucaso dopo aver superato monti e fiumi e dunque avrebbero le carte in regola per essere i primi Bulgari migranti usciti dalla compagine cazara.

Il ciuvascio denuncia nel lessico uno sviluppo separato dal tataro(-kipciako) ossia peculiare di un ambiente forestale e, se il ciuvascio era parlato prima delle menzioni nelle Cronache, per certe particolarità è più probabile che si sia sviluppato nell'ansa di Samara a contatto coi Burtasi più a valle in una delle altre Bolgar e non qui nella Vecchia Bolgar. Oggi nella zona di Samara ci sono le rovine di un castello detto dei Murom (ugrofinnici) che risalgono più o meno al X sec. e qui, permettendoci un'ipotesi fortemente speculativa, potrebbe essere la sede politica più antica dei Ciuvasci, se ammettessimo che fossero degli Ugro-finni che persero la propria lingua per adottare una varietà di turco. In tal caso saremmo in presenza di una lingua molto giovane di genti acculturatesi ai Bulgari intorno al IX-X sec. d.C. e solo più tardi passate in maggioranza al Cristianesimo ortodosso dei Russi e in minor parte all’Islam. L'ipotesi al momento però non è provata e non è d'alcun aiuto alla soluzione del problema eredità bulgara. Anzi! Essa sarebbe in contrasto con gli argomenti portati da G.I. Tafaev il quale pone in maggior evidenza il folclore della sua gente che è riuscita a conservare la storia del cammino fatto dai Ciuvasci per giungere nella sede dove si trovano oggi conservando gli antichi riti e miti pagani e le antiche divinità “bulgare” nascoste dietro il nome dei santi cristiani. E' un patrimonio culturale orale grandioso nel cui ambito l'analisi glottologica è di grande apporto per pretendere che la lingua ciuvascia sia più vicina di altre al bulgaro medio.

è pur vero che il ciuvascio antico è riconoscibile sulle lapidi di cui parlavamo sopra, ma... solo in poche di esse e sembra più una variante dialettale che lingua da considerare a sé! Senza troppi tecnicismi, diciamo che è un turco di tipo “r” diverso dal bulgaro medio che invece è un turco di tipo “z” così come appare nelle scritte più numerose. Di qui, se il ciuvascio fosse la figlia più giovane e diretta del bulgaro medio, non è forse strano che negli epitaffi risulti tanto poco rappresentata, visto che i bulgaro-parlanti erano la quasi totalità fra il XIII e il XIV sec. a Kazan?

I resti documentari in ogni caso sono scarsi e a volte incerti nella lettura, ma la realtà della “filiazione linguistica” dal bulgaro medio dovrebbe essersi realizzata in loco nel tataro di Kazan nel modo dimostrato da M. Z. Zakiev che, oltre alle famigerate steli funerarie, ha preso in esame gli altri pochi oggetti con scritte ricavati dagli scavi.

E possiamo diseredare i Basc’kiri (meglio Basc'kort) della loro “bulgarità” solo perché per al-Idrisi e Ibn Fadhlan erano un'etnia selvaggia e guerriera? Non possiamo evitare di notare che, secondo le regole fonetiche dell'antico turco, la -sc'- nell'etnonimo corrisponde ad una -l- originaria... Al-Balkhi li individuò alla fine del X sec. d.C. già divisi in due tronconi, uno più a sud e l'altro sul Medio Volga, quasi rimasti indietro nella marcia dei Bulgari verso il nord. Il primo troncone, ci dice l'autore, è soggetto a Bolgar... Purtroppo della storia delle migrazioni dei Basc'kiri prima del XIV sec. sappiamo poco e per di più c'è il collegamento “inquinante linguisticamente” del troncone meridionale con i Magiari ungheresi che deve essere spiegato. Probabilmente tale legame era già sospettato da al-Istakhri quando avverte che Bulgari e Cazari sono stirpi sorelle poiché parlano la stessa lingua (turco “z”), ma non include nella parentela i Basc'kiri.

Ci tocca dire che gli osservatori musulmani medievali di solito sono esperti poliglotti oltre che attentissimi studiosi dei costumi altrui, ma è evidente che qualcuno di loro non era andato a fondo nella questione “parentela linguistica” e non aveva “studiato” le varianti classiche della pronuncia turca. Al-Biruni (XI sec.) dice semplicemente che i Bulgari parlano una lingua che è “mescolanza di turco e cazaro”! Mahmud al-Kashgari invece è più tecnico e più preciso e avverte che la lingua dei Bulgari, dei Suwar e dei Peceneghi è un “turco puro con finali monche” sebbene non spieghi meglio quest'ultima peculiarità.

Con tale situazione, molte sono le ipotesi plausibili che si fanno su chi siano gli ascendenti e gli epigoni dell'antica Bolgar, partendo dai confronti linguistici. Non sempre e non tutte queste ipotesi corrispondono ai risultati ottenuti dalle diverse discipline impiegate sul campo in collaborazione con l'archeologia linguistica a partire dalla numismatica e dalla toponomastica e per finire con la paleografia.

Insomma ricostruire la stirpe bulgara e la sua storia dalle sole indagini linguistiche è molto difficile e ci tocca tornare all'archeologia. Ci sono però anche qui dei problemi che rendono il lavoro interpretativo arduo per lo storico. Ad esempio quando gli archeologi non riescono negli scavi ad individuare con chiarezza una cultura bulgara... distinta dalle altre che qui vengono contemporaneamente alla luce! Finora ciò non è stato possibile per tutta una serie di impedimenti. In particolare la natura del terreno nell'area del Volga-Kama che è paludosa e incerta a causa dei frequenti cambiamenti di alveo dei fiumi. Se a ciò s'aggiunge l'uso di materiali come il legno che deperisce rapidamente nel limo ricco di microorganismi, ecco che le suppellettili e gli oggetti d’uso o i resti di costruzioni, se ci sono, risultano difficili da definire e, nel caso peggiore, lo scavo rimane del tutto muto. Tuttavia qualcosa di importante riusciamo a saperla: Un “trasloco” di gruppi di famiglie verso il nord ebbe luogo ancora intorno al VIII-IX sec.

Ma è sicuro che fossero i Bulgari a spostarsi visto che l'area sembra occupata da culture umane poco differenziate? Vediamo un po'. I Cazari si erano spostati sulla foce del Volga nella nuova capitale Itil avendo perso in quel periodo il controllo dell'Anticaucaso quando alcune delle loro città erano andate distrutte. Le circostanze danno adito al sospetto che mandare i Bulgari più a nord fosse stata un’impresa forzata giusto dai Cazari, viste le tracce contemporanee di questi ultimi quasi sicure fin nella zona del Samara. Forse ci si voleva liberare dei Bulgari o li si voleva usare per colonizzare meglio gli Ugro-finni che si trovavano presso il misterioso Mar Glaciale Artico. In quegli anni il traffico dei prodotti nordici (le pellicce!) stava rendendo sempre di più nelle tasche dei mercanti, a parte le guerre con gli Arabi. Spingere la gente a migrare è un'operazione complicata e delicata e solo la concomitanza di più fattori contribuì a far spostare la gente e, se non certo in massa, almeno gruppi famigliari allargati risalirono il Volga. E' noto infatti che le acque caspiche stavano invadendo le coltivazioni in quel periodo e potrebbe darsi che i Bulgari fossero i più colpiti da questo mutamento nella loro agricoltura tradizionale.

Può essere stato persino un qualche accordo col Kaghan cazaro, ad esempio col mandato di “mediatori culturali”, che aveva convinti i Bulgari a porsi in cammino per il nord! Erano già accaduti casi del genere nel passato, ad esempio, con la gente Saparda...

C'è però la possibilità che i Bulgari invece che dal Ponto o dal Basso Volga siano partiti da una sede più orientale transuralica e che la loro migrazione verso nord sia stata del tutto autonoma e in contrasto coi Cazari.

Soltanto col regime sovietico da ca. 50 anni sono state intraprese delle spedizioni archeologiche lungo il Grande Fiume che hanno scavato con metodi sempre più raffinati necropoli e siti abbandonati alla ricerca di questa verità. Ad est poi, nel Turkestan, s’è scavato fin nelle regioni limitrofe a nord della Cina e i numerosi reperti raccolti sono stati ormai quasi tutti classificati e pubblicati. Sebbene alcuni popoli, ora europei per geografia e per cultura, riconoscano le loro radici in quelle aree ormai diventate loro estranee (l'Asia Centrale!), per i Bulgari non si trova nel terreno alcuna cultura nettamente tipica! Non esiste alcun oggetto archeologico trovato lontano dal Grande Fiume (almeno finora, 2011) che si possa attribuire con certezza ad un’etnia bulgara… prima del X sec. d.C.!

Ricordiamo qui gli sforzi di qualche autore medievale nel descrivere minuziosamente i tratti fisici dei Bulgari per trovare dei segni distintivi della stirpe nella forma del viso o nel colore di occhi e di capelli che li riporti alla steppa asiatica, ma le ricerche paleoantropologiche condotte finora, fra le tante incertezze sistematiche, hanno confermato che un tipo fisico antico “puro e tipico bulgaro” nei fatti non c’è. Da questo punto di vista i Bulgari del Volga sono la somma e il prodotto di etnie diverse al di qua degli Urali fra le rive del Mar Caspio e del Mar Nero e, per di più, mescolate con gli Ugro-finni man mano che migravano verso nordest visto che è possibile riconoscere moltissime tracce “bulgare” (nella toponomastica specialmente) fin negli angoli più recessi degli Urali ugro-finnici, forse lasciate in tempi più antichi e denuncianti ascendenze “bulgare” nelle genti locali... 

A questo punto ci si chiede pure perché pochi autori parlino di Bolgar prima del X sec. quando la città, come sede dell'Illetver (signore locale) dipendente dal Kaghan cazaro, era già il fulcro di contatti talmente importanti col Grande Nord nel VIII o IX sec.?

Per la stragrande maggioranza le fonti che s'interessano di queste aree sono musulmane per cui si deve pensare che solo con l’Islam i Bulgari del Volga si distinguono bene dai Cazari ebrei e diventano addirittura interessanti nel XI-XIII sec. per gli osservatori e per gli altri visitatori della Pianura coinvolti politicamente nelle lotte contro il nascente impero tataro-mongolo.

In realtà la conoscenza di Bolgar è sempre limitatissima. Pochissimi sono i musulmani che si azzardano a venire in queste aree e quei pochi che lo fanno notano come essa rimase a lungo pagana malgrado la “conversione ufficiale all'Islam” nel 922 d.C. lamentando che la cremazione continua ad essere in uso! Alla stessa stregua la vecchia storiografia eurocentrica assegnava ai Bulgari le radici nella steppa asiatica affondate nell’ethnos tataro che ebbe i primi successi nella lontana Mongolia...

Ma forse ci sono storie diverse da questa quando veniamo a sapere che poco al di là degli Urali lo studioso bulgaro (del Danubio) P. Dobrev in una cronaca anonima latina del 345 d.C. trova una strana toponomastica, in stretta relazione con la nostra questione. Il nostro autore legge che i declivi del Pamir e dell’Hindu-Kush erano chiamate dai Sogdiani Terra di B’lgar, dagli Arabi Terra di Burgar (dagli afgani Falgar o Palgar ancora oggi)! L’area è più o meno l’antica Bactriana non lontana dal Volga né dalla Choresmia con cui Bolgar aveva contatti stretti e costanti. Intorno al Mare d’Aral esisteva persino il toponimo Balkh (senza però la desinenza -ar che in turco significa “uomo”) e ci sembra perciò che non si possa negare, da un lato, la profonda antichità della gente bulgara su un'area sia un po' al di qua sia un po' al di là degli Urali, ma, dall’altro, che non si debba necessariamente pensare a massicce migrazioni dall’Asia Centrale fra le tante genti turche in movimento.

Se rammentiamo la Cronaca Sira (documento giudicato molto affidabile) dell’armeno Zaccaria Retore del VI sec., ricorderemo che l’autore nel XII capitolo in un elenco di popoli descrive i Bulgari per una prima volta e li colloca subito a nord di Derbent. Poche righe dopo li nomina ancora associati ai Kutriguri, già un po’ più lontani verso il nordest del Caucaso. Dice che sono barbari pagani con una loro propria lingua (rispetto all’armeno dell’autore e non alle altre parlate turche), che vivono in tende e si nutrono della carne degli animali e dei pesci, ma anche degli animali selvatici! Questa menzione è stata finora ammessa come la più antica per i Bulgari del Volga dagli specialisti e come prova del loro nomadismo prima del riscontro di Dobrev.

C’è chi ha sperato di raccogliere maggiori e più sicure informazioni dalle origini dell'etnonimo. Anche questa è una questione molto controversa. Gli etnonimi del Medio Volga sono di vario genere e in prevalenza turchi. Composti per la stragrande maggioranza da monosillabi, si somigliano fra loro e sono portati persino da genti che di primo acchito sembrano di ceppo indoeuropeo. Solitamente si riferiscono all’apparenza fisica (bell’uomo, capelli rossi e sim.) o ai totem eponimi (cane, leone, falco e sim.) o al luogo dove la gente vive e poco, invece, alle attività tipiche della steppa.

Il problema delle origini bulgare lo aveva creduto risolto in maniera univoca al-Garnati, dotto musulmano granadino in visita sul Volga nel XII sec. (1150 ca.), quando scriveva: “Siccome una persona saggia è chiamata (in turco-bulgaro) bul’ar, di conseguenza questa terra è chiamata Bul’ar cioè Terra dei Saggi e in arabo è stato trascritto Bulghar. Ho letto ciò nella Storia di Bolgar scritta da un giudice (qadi) bulgaro (Jaqub ibn-Nugman che al-Garnati conobbe di persona) che aveva studiato con Abu ul-Masali Juwaini.” A questo proposito, studi recenti suggeriscono la derivazione dalla radice verbale turca *bulğa- che significa mettere in disordine o mescolare più l’affisso –ar, uomo. Per il francese I. Lebedynsky più che saggi i Bulgari sarebbero dei ribelli o mestatori e per il tedesco M. Vassmer dei meticci mentre il tataro M. Z. Zakiev predilige gli etimi che portano a chiamarli gente di fiume o, nella possibile variante biler/bailar a gente ricca, abbiente, con quest’ultima semantica più vicino al bul’ar di al-Garnati.

Nessuna di tali etimologie però è accettata in toto dai turcologhi e l’opinione più generale che ci siamo fatta è che bulgar fosse un soprannome, diventato abbastanza comune fra persone imparentate, affibbiato a caste al servizio del potere in grado di millantare una qualche superiorità.

Di gruppi e persone che passavano i propri nomi e nomignoli a tribù o a parti di esse per distinguersi in certe particolari attività “sociali” se ne conoscono più d’uno (il khan Özbeg dà il nome alla nazione Uzbeka, ad esempio, per questioni militari). Certo, conosciamo l'ardore antico delle persone al potere alla ricerca di antenati prestigiosi per costruirsi alberi genealogici e giustificare in tal modo la propria posizione all'interno di una comunità. Ricordiamo che le genealogie erano chiamate con parola araba sc’eg’ere – albero – e che è rimasta famosa lo Sc'eg’rei Türki messo insieme dal sovrano di Khivà, Abul Ghazi Bahadur Khan, nel XVII sec., ma ciò contribuisce poco a risolvere i nostri dubbi perché la detta moda “genealogica” andò in voga fra le élites turche non prima del XIV sec. d.C.!

Può anche darsi che b’lgar sia il soprannome di qualche eponimo. La parola però ha tali e tante varianti (legittime dal punto di vista linguistico) che la troviamo non solo negli etnonimi e nella toponomastica, ma anche nel folclore e nelle tradizioni locali della Pianura e ogni volta che la si riscontra è difficile disconoscerne l'identità bulgara.

Ad esempio la variante Bijar spiega, secondo noi, il toponimo Bjarmeland che Saxo Grammaticus tira fuori per primo nel XII sec. nella sua Storia dei Danesi. Bjarmeland ricompare nelle saghe della Heimskringla come uno stato situato nell’estremo nord della Pianura Orientale Europea che si estende dal Mar Glaciale Artico fino alle foreste del Volga-Kama e del Volga-Okà. Dagli studiosi russi è stata identificata, per la sua consonanza, con la Terra di Pjerm’ (Bjarm-/Pjerm) e D.V. Bubrikh in modo azzardato la fa derivare da Pjera Ma ossia Terra che si trova più oltre...

Per noi invece è un evidente riferimento a un dominio bulgaro di genere commerciale (o geopolitico?) riconosciuto dalle genti del Grande Nord, quasi come un'esclusiva di mercato (Chi può trafficare con voi in questo paese? Solo i Bijar!). A Bolgar, quando ancora era sulla via di riunirsi nelle mani di un solo sovrano, si avvertiva chi desiderasse avventurarsi al nord che gli abitanti di quelle contrade uccidevano i mercanti sconosciuti (non accreditati da una copertura bulgara)! Questa era pratica comune fra i mercanti medievali, ma ci sono altri punti che vanno evidenziati a favore della nostra tesi. In primis i famosi prodotti nordici che gli Scandinavi venivano a procurarsi qui passando per luoghi pericolosi e ignoti come il Mar Glaciale Artico e il fiume Dvinà Settentrionale erano merci di grande valore aggiunto che Bolgar da sempre trafficava! In secundis il fiume Dvinà è detto nelle saghe Riva cioè ha un nome simile al mordvino Rava dato però al Volga. In tertiis la parte componente Bijar- di Bjarmaland è una semplice variante di Biljar che corrisponde a Bolgar... su bocca ugro-finnica! Se a Bijar- infatti si appone il suffisso ugro-finnico –ma cioè paese (o –em, possessivo turco di prima persona usato per definire un dominio), si ottiene giusto Bijarma ossia Paese dei Bulgari dove -land è un pleonasmo.

A questo punto si prospetta un’ipotesi dissacrante per la storia antico-russa e per il suo classico impianto.

Se rammentiamo che  boljarin (sing.) e boljare (plur.) è la forma russa più antica del russo moderno bojarin (sing.) e bojare (plur.) ossia bojaro/bojardo in italiano, noteremmo subito, non solo la chiara identità dei termini con boljar (variante di “bulgar”), ma anche che bojarin ha la tipica desinenza -in  degli aggettivi russi di nazionalità! In più, siccome bojarin è accettata come istituzione di origine bulgara certa, ciò denuncia la presenza a Grande Novgorod, la repubblica medievale russa di nordest, di un’élite bulgara al potere... Questa analisi (condivisa con A. Róna-Tas) è da collegare cronologicamente al fatto che Bolgar era meglio organizzata come città prima della fondazione di Grande Novgorod che dalle prove dendrocronologiche appare fondata nel 930 d.C. In altre parole Bolgar poteva aver fatto benissimo da modello organizzativo o (e perché no?) essere stata una sede distaccata commerciale bulgara a guardia delle “entrate” dal Mar Baltico della Mafia dell'Acqua svedese. E0 possibile che ci fosse un momento nella storia linguistica di Novgorod in cui l'espressione Novgorodskii Boljarin significò sia in italiano d'oggi Bojaro novgorodese sia Bulgaro di Novgorod! Per di più Novgorod significa Città Nuova e potrebbe essersi chiamata Nuova Bolgar  perché postazione bulgara nel nord (Jan Halig' in tataro o Città Capitale Nuova), ma poi, passata in mano russa o avendo scelto di stare coi kieviani, abbia cancellato dalla propria memoria collettiva l'ascendenza primeva (o aver sofferto una cancellazione d'autorità) e boljarin sia stato  consacrato nel significato definitivo di bojaro ossia membro dell'oligarchia novgorodese repubblicana. Altre città lungo il Volga hanno avuto simili evoluzioni. Basta notare i nomi delle altre Novgorod Severskii o Città Nuova dei Severiani, in Nizhnii Novgorod o Città Nuova del Basso Volga rispetto a Grande Novgorod che pur essendo Città Nuova non ha alcuna apposizione a meno che non se ne presupponga una antecedente di cui però non si trova traccia! A questo punto svanirebbe da sola la leggenda della chiamata di Rjurik e dei suoi fratelli dalla Svezia nell’862 d.C. come è tramandata nelle Cronache Russe e sparirebbero i tre gloriosi antenati svedesi che Giovanni IV di Mosca rivendicò per la sua casata rjurikide. I tre Variaghi con i loro armati non furono chiamati, come raccontano le Cronache, “…per mettere ordine nella regione…”, ma per cacciar i Bulgari dal Grande Nord. Da chi partì l’idea di ricorrere agli armati? Certamente proprio da quelle Mafie Baltiche che risiedevano sulle rive del Lago Ilmen (il lago di Novgorod) da molto tempo e che conoscevano benissimo Bolgar perchè lavoravano come scorte per i convogli diretti a sud e ora avevano intenzione di gestire i traffici, alleati con gli Slavi locali, senza costose intermediazioni avendo forse percepito la decadenza dell'Impero Cazaro.

La leggenda racconta che uno dei tre fratelli di Rjurik fu mandato a Lago Bianco (Beloozero) per governarvi e là morì precocemente. Ora, siccome la presenza bulgara sul lago è accertata molto prima dei novgorodesi “russo-svedesi”, ecco che questo episodio è da interpretare come uno scontro coi Bulgari! E quando nel 1237 Batu Khan a capo dei suoi Tatari tentò di conquistare Grande Novgorod, per Bolgar potrebbe essere stato il momento per riassoggettare l’antica colonia del nord perduta. Certamente furono i Bulgari ad indicare alle armate il guado più comodo per passare con le macchine d’assedio, cavalli e uomini a condizione però che non distruggessero la città che avrebbero voluto recuperare al loro dominio. Non è vero perciò che Batu Khan rinunciò a proseguire verso il nord a causa del fango che si genera in primavera lungo i bordi della foresta, come afferma la storiografia sovietica. E’ vero l'opposto:  La campagna s’interruppe perché i bojari di Grande Novgorod pagarono per non essere annientati, come i loro amici bulgari suggerirono, probabilmente. Nelle Cronache Russe tutto ciò è taciuto e lo scampato attacco si attribuisce all'intervento divino! La transazione in denaro è riferita nelle Cronache Tatare di Gazi Barag' (tradotte da Z. Z. Miftahov e accettate come affidabili dal noto storico militare russo contemporaneo, A. Sc’irokorad).

C’è anche la storia (e la vedremo più in là) della famosa Repubblica di Vjatka, sorta poco a nord di Bolgar, e delle imprese dei pirati usc’kuiniki che là facevano base per   imperversare sul Volga contro Mosca.

Oggi non c'è niente di male ad ammettere che Cazari e Bulgari influissero sull’organizzazione della Rus’ di Kiev e non si contraddice più il primo metropolita kieviano Ilarione quando chiama lo stato russo Kaghanato di Kiev e allora, analogamente, perché i Bulgari non possono aver agito su Grande Novgorod con la loro provata esperienza politica e commerciale attraverso gli antichissimi e solidi legami con il Grande Nord?

Per noi è la prova in più che b'lgar descrivesse, più che un’etnia, una corporazione di consulenti che organizzavano il commercio, i traffici e le relazioni con fornitori e stranieri (in termini moderni, ma naturalmente adattati all’epoca) e daremmo ragione alle informazioni di al-Garnati. Né si può dimenticare come in senso analogo l’aggettivo di nazionalità lombardo nel Medioevo si trasformò e perse il significato geografico e etnico per indicare chi prestava denaro su pegno e come tale significato persiste ancor oggi in molte lingue del Nord Europa!

Sono delle ipotesi che chiedono di essere studiate meglio  logicamente, ma ci rammarica il fatto che finora la questione sia rimasta nelle pieghe di qualche libro per l'intenzione di un qualche ignoto censore.

 


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©2011 Aldo C. Marturano.

   

 


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