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   MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 53


 

Guerrieri bulgari, immagine tratta dalla Cronaca Anglosassone.

  

   

Mettiamo da parte per un momento la steppa e le sue vicissitudini, sebbene non la lasceremo così presto visto che è lo scenario costante dei vari nomadismi che attraversano gli eventi che raccontiamo, e rivolgiamoci alla questione di chi arrivò sul Medio Volga prima e chi dopo con lo scopo di ricostruire l’epopea dei Bulgari fra le genti che qui si avvicendarono.

Cominciamo da una carta geografica moderna dove rintracciamo subito la Repubblica di Bulgaria nel cuore della Penisola Balcanica! Se però ci riuscisse di trovarne un’altra modernamente disegnata, ma basata sulla descrizione di qualche dotto musulmano medievale o addirittura tratta dagli scritti di Marco Polo, ecco che, sovrapponendola alla prima, a 3000 e più km di distanza in linea d’aria verso nordest (vicino a Mosca!) noteremmo un’altra Bulgaria. A questo punto l’interrogativo sarebbe: Chi fondò questo stato? E i fondatori erano forse gli antenati dei Bulgari balcanici? E come mai questi ultimi ne persero il ricordo una volta sistematisi sul Danubio? Naturalmente le domande si rifanno alla sorpresa tutta “occidentale” di trovare una nazione con ugual nome a monte del corso del Volga poiché in realtà nel Medioevo fino al XIV sec. l’unica e vera Bulgaria nota, dalla Spagna alla Persia, fu proprio e soltanto questa!

Non solo! Sapendo che forse i Bulgari parlavano una lingua turca, sarebbe più legittimo chiedersi come mai, visto che quella Bulgaria si trovava in piena area di parlate ugro-finniche. Dobbiamo forse accettare l’idea di chi suggerisce che i Bulgari fossero degli Ugro-finni che persero la loro lingua originaria quando si divisero dai Magiari? E’ un punto in discussione e ne riparleremo. Se invece i Bulgari fossero veri Turchi, allora le loro radici si troverebbero nella steppa asiatica ed essi sarebbero degli epigoni dell’ethnos turco che ebbe i suoi primi successi storici nella lontana Mongolia e che poi per qualche ragione da investigare si diressero verso l’Occidente. Di conseguenza per la ricerca della patria prima dei Bulgari dovremmo guardare al di là degli Urali e quale fonte d’informazioni sarebbe migliore dell’archeologia, dato che i Turchi d’Asia non ci hanno lasciato molte notizie scritte? Da quasi 150 anni nella steppa europea, lungo il Volga e ad est, nei territori steppici asiatici, sono state condotte molte spedizioni archeologiche che hanno lavorato con metodi sempre più raffinati. Si è scavato moltissimo in Turkestan e nelle regioni limitrofe e si sono raccolti numerosi reperti, quasi tutti ormai classificati e pubblicati. Malgrado ciò, non è stata individuata alcuna cultura bulgara, distinta da quella degli altri nomadi e sedentari! Non esiste (almeno finora) alcun oggetto che sia attribuibile con sicurezza ad un’ipotetica etnia bulgara in Asia Centrale! Ciò è deludente perché il nostro è un tentativo di risalire alle origini, ma in mancanza di dati archeologici certi e con le contraddizioni a cui abbiamo appena accennato è davvero difficile cercar di conoscere la cultura materiale di questa gente per farne un confronto con quella delle altre vicine. Non ci resta, per il momento, che accontentarci delle presenze classiche dei Bulgari nel continente europeo e cioè in ordine cronologico: 1. quella intorno al Volga, 2. un’altra nella steppa ucraina e un’altra ancora 3. nei Balcani.

Altra questione è sperare di raccogliere informazioni partendo dal nome: Bulgar o Bolgar. In questo caso il problema è più controverso. Già lo aveva affrontato al-Garanati, dotto musulmano granadino in visita da queste parti alla fine del XI sec. affermando che significasse “saggio” da una supposta parola turca bular trasposta in arabo in bulghar. In realtà però lo studio etimologico recente dell’improbabile etnonimo suggerisce un’altra derivazione dalla radice verbale turca bulğa che significa mettere in disordine o mescolare. Dunque più che saggi i Bulgari sarebbero meticci (Vassmer) o ribelli o mestatori (Lebedynsky), ma nemmeno tali etimologie sono accettate dalla totalità degli specialisti. E se fosse un nomignolo affibbiato a qualche capetto oppure a qualche gruppo di potere militare che millantava una genealogia di prestigio? Di élites turche che passavano il proprio nome ad intere tribù di cui si ponevano a capo se ne conoscono più d’una nella storia…

A chi rivolgerci allora? Le fonti primarie più consistenti e più affidabili sarebbero (e alla fin fine lo sono!) gli scritti dei geografi e dei viaggiatori musulmani come pure degli storici ufficiali e degli osservatori militari della corte romea (noi preferiamo l’aggettivo romeo a bizantino) che furono a più stretto contatto (in guerra, ma e soprattutto negli scambi mercantili) con i popoli della steppa.

Sugli scritti e sugli autori, M.I. Artamonov ha fatto un puntuale e meticoloso studio nei primi capitoli del suo monumentale lavoro Storia dei Cazari e ci avverte che le prime apparizioni storiche dei Bulgari sono difficili da interpretare nei documenti a disposizione giacché, semmai sia esistita come popolo a sé, questa gente solitamente si trovava in leghe di popoli diversi e negli elenchi compilati dai vari autori che ne ebbero notizia appare e scompare con gran frequenza. Per di più, da quando acquisì una sede stabile nella regione balcanica, il nome “bulgaro” non fu più il distintivo di una gente ben precisa, ma venne usato per riferirsi genericamente agli Unni o persino a singole tribù della lega unna. Di qui i numerosi anacronismi in certe fonti scritte che creano altra confusione.

A questo punto urge qualche considerazione ambientale, soprattutto per capire lo spirito col quale le fonti romee, prima di altre, scrivono.

L’area nella quale ci stiamo movendo ha subito per secoli (dal IV fino alla metà del XV sec. d.C.) l’influenza culturale dell’Impero Romano d’Oriente (in modo analogo la steppa asiatica ha subito quello della Persia) per cui i popoli che accedevano nelle vicinanze guardavano l’Impero con rispetto scegliendolo come faro di civiltà e modello da imitare e da emulare. E’ chiaro che molte delle categorie culturali, filosofiche, religiose che i Romei diffondevano dalle loro basi in Crimea e dal loro Bosforo attraverso un’espertissima diplomazia (il più delle volte impersonata da esponenti religiosi cristiani come, ad es., i santi Cirillo e Metodio) diventarono per il “barbaro” nomade altrettanti punti di vista, atteggiamenti e maniere ai quali confarsi, pena il disprezzo e l’ostilità dei popoli vicini e giustificando persino la lotta armata talvolta elevata a supremo mezzo d’emancipazione. L’Impero, da parte sua, volentieri favoriva le misure militari impelagandosi a volte in guerre dirette o suscitandole fra i nomadi, con smaccate esaltazioni del valore dell’un capo rispetto all’altro, con insinuazioni di sospetti di tradimento fra parenti, con doni e concessioni speciali e quant’altro che provocasse ostilità intestine. In altre parole, nelle questioni del rapporto con gli stranieri che premevano ai confini, l’Impero spendeva grandissima parte del suo budget nazionale. In tali circostanze s’accumulò nel tempo tanta documentazione preziosa sui nomadi della Steppa Ucraina che, addirittura, l’Imperatore Costantino VII Porfirogenito, riuscì a mettere insieme nel X sec. in una specie di manuale storico-geografico, diventando uno degli autori più consultati sull’argomento. Le sue pagine rappresentano una miniera ricchissima di testimonianze, spesso più tarde rispetto a quanto ancora racconteremo, ma la cui parte più importante è quella in cui l’Imperatore descrive le prassi diplomatiche consolidate a Costantinopoli, le fondamentali politiche per interpretare la scelta delle notizie di cui tener conto. Tutto ciò, per quanto ci riguarda, spiega meglio certe apparenti stranezze o peculiarità della steppa com’è descritta dai Romei e quindi ci torna utilissimo.

Ci interessano moltissimo allora i principi giuridico-religiosi sui quali si fondava la prassi diplomatica, ma che erano pure la base della civiltà romana, al di là delle realizzazioni materiali che chiunque poteva ammirare nella vita e nei monumenti (le ricche chiese!) delle città greche. I concetti più frequentemente diffusi col chiaro scopo di assoggettare lo straniero materialmente e ideologicamente partivano già dalle figure dell’Imperatore Romano d’Oriente e del suo Patriarca (o dei loro delegati, naturalmente). Questi erano presentati come le due uniche e le massime autorità sulla Terra alle quali era dovuta obbedienza e sottomissione. Il loro potere era infatti universale e sacro e derivava dal dio unico abitante nei cieli.

Rispetto, venerazione, soggezione, sacralità del potere creavano un’atmosfera che condizionava pesantemente i modi di presentarsi a trattare con l’Impero e, siccome analoghi concetti erano ben noti e rispettati e usati per gli stessi scopi pure in Asia Centrale, restavano perciò credibilissimi e legittimi anche per un nomade non romeo! Dunque tutto sarebbe dovuto andare liscio… E invece no! Prima di tutto occorreva essere riconosciuti “uomini” e appartenere ad una “nazione” secondo le regole dettate dall’ideologia imperiale e solo come nazione si era ammessi a trattare e inoltre, siccome il Cristianesimo era passato a religione dello stato già dal IV sec., ci si doveva riferire esclusivamente alle Sacre Scritture per averne i fondamenti teorici e santificati. Qui era scritto che Dio avesse creato da Noè in poi 72 stirpi alle quali tutti gli esseri umani appartenevano. In base a ciò ecco tutta una serie di criteri per distinguere fra le “selvagge bande nomadi” e una “nazione”. Non solo! Qualche capetto nomade dové inventarsi un nome proprio per la sua gente pur di facilitare l’assimilazione al contesto biblico e passare dal rango di “bestie” a quello di “uomini”! Da parte loro i relatori romei, soffocati dalle innumerevoli denominazioni a volte rinunciarono a trascrivere tutti quegli incomprensibili nomi ed elencarono le genti semplicemente sotto gli etnonimi più classici, ma soliti (ad es. Cimmeri, Sciti, Unni).

Un altro aspetto ideologico (e pedagogico) degli incontri coi Romei era il fatto che la Corte Imperiale aborriva dalle discussioni assembleari dei Germani o dei nomadi dove le decisioni erano prese con difficoltà e con perdita di tempo e si pretendeva che negli eventuali contatti si presentasse al cospetto del diplomatico di turno un ristrettissimo numero di persone raccomandando che gli argomenti fossero ben chiari e concisi. Ogni conclusione o accordo preso sarebbe poi stato scritto e le parole fissate “per sempre” in questo (magico) modo. Alle udienze con la diplomazia romea quindi, un capo da solo, magari con qualche dignitario, ma, soprattutto, accompagnato da ricchi omaggi per l’Imperatore.

In quell’occasione nelle lunghe conversazioni (lo si fa ancora oggi nei contatti internazionali) si approfittava per raccogliere ogni possibile informazione: geografica, militare, etnografica etc. allo scopo di vagliare la credibilità dell’interlocutore e di capire gli eventuali piani militari in preparazione contro l’Impero.

I Romei inoltre erano fortemente cerimoniali, sempre e comunque tesi ad evidenziare la superiorità della loro civiltà rispetto agli usi dei nomadi, marchiati, questi ultimi, al contrario di assoluta “inciviltà”, e in ciò il ruolo della religione cristiana con la sua tradizione e i suoi riti elaboratissimi era primario per lo spettacolo del potere. Le cerimonie impressionavano i barbari tanto da affascinarli al punto di farsi battezzare per “farne parte” mentre, allo stesso tempo, s’affermava che chi non fosse battezzato con la Chiesa Cristiana (ancora non lacerata dal Grande Scisma del 1054) non poteva che restare una specie di uomo a metà.

Per tutto il tempo in cui Costantinopoli e il suo dominio politico-religioso furono riconosciuti in qualche maniera nell’area del Mar Nero, questa sfilza di “regole” e di “prescrizioni” dovette essere rispettata. In più, quelle regole furono persino imitate dai “barbari” o calorosamente consigliate loro dai missionari cristiani perché soltanto così s’entrava in un nuovo mondo più alla moda.

Capito lo sfondo ideologico romeo, abbiamo fatto la scelta di non passare attraverso il ginepraio delle menzioni scritte che dibattono il probabile percorso storico dei Bulgari e abbiamo preso fra esse soltanto alcuni episodi, più salienti o più affidabili di altri che speriamo c’illustrino l’evolvere della diaspora bulgara conducendoci al punto della divisione nelle tre correnti che portarono ai detti tre focolai (presenze).

Aggiungiamo una precisazione: sia gli Unni sia i Bulgari stessi non sono mai stati delle etnie omogenee, ma sotto il loro nome hanno sempre coperto una mescolanza di genti differenti.

Su questo palcoscenico un’inaspettata ambasciata nel 463 d.C. incontra la diplomazia romea. Narra Prisco di Pani che i Saraguri, gli Uroghi e gli Onoguri in missione unitaria chiesero di poter diventare alleati dell’Impero (foederati) e avere il permesso di risiedere pacificamente vicino al confine cioè in questo caso nella zona a nord e immediatamente ad est della Crimea. Il capo-missione riferisce di aver dovuto abbandonare la steppa abitata dai suoi (al di là del Volga) scacciato dai Saviri che a loro volta erano stati spinti via dagli Avari in fuga da un popolo arrivato da lontano delle rive dell’Oceano (Pacifico? Mar Giallo?)… Inoltre i Saraguri avevano battuto e conquistato gli Akatziri ed ora cercavano anch’essi aiuto!

Il racconto dei nomadi probabilmente è vero, se diamo uno sguardo agli avvenimenti contemporanei in Asia Centrale, e, a parte le strane denominazioni di popoli fino allora poco conosciuti dai Romei e gli eventi abbastanza sospetti, dovette suscitare a Costantinopoli una grande apprensione. Non solo! Qui sembra poter riconoscere una precoce menzione “indiretta” dei Bulgari perché le tribù nominate non sono che le componenti etniche che più tardi ritroveremo in una specie di grande lega bulgara. A parte il notare che gli Uroghi (Ugri?) sono forse gli antichi predecessori dei Magiari (Ungheresi) o un’altra schiatta ugrofinnica aggregatasi o imparentata, questo episodio ci riguarda, se lo consideriamo riferito a dei proto-bulgari e perciò lo terremo a mente.

Andiamo ancora avanti nel tempo e nel V sec. d.C. (482) dei Bulgari li troviamo alleati dell’Impero Romano d’Oriente invitati da Zenone per battere i Goti benché anche qui l’etnonimo “Bulgari”, ripetiamolo, non è sicuro né univocamente attribuibile ad una precisa entità etnica.

Sempre in ambito romeo, c’è un racconto interessante di Giovanni Efesino che scrive al tempo dell’Imperatore Maurizio (fine del VI sec. d.C.). E qui la storia comincia a diventare più complicata giacché si narra che tre fratelli provenienti dalla Bersilia Interiore (Ucraina? Alania o Cazaria?) a marce forzate si diressero con ben 30 mila Sciti (è un nome generico che i Romei attribuivano ai popoli della steppa “non turchi”) verso il Mare d’Azov. Qui giunti e accortisi di essere giunti al confine dell’Impero Romano d’Oriente, uno dei tre prese con sé 10 mila cavalieri e chiese all’Imperatore una terra dove stabilirsi con la sua gente al servizio dell’Impero. Il nome del personaggio in questione è Bulgar cioè l’eponimo dei Bulgari! Gli altri due fratelli invece si diressero verso est nella terra degli Alani dove c’era una città costruita dai Romani chiamata Caspium e là abitarono. Secondo il racconto ci sarebbero, da una parte, i Bulgari che abitano ormai nella zona dei Balcani e dall’altra i Puguri (forse Fanagori, fondatori della città di Fanagoria, oggi Kerc’) in Bersilia (tutti cristiani, ci rassicura l’autore). Da questi altri Bulgari deriverebbero i Khazari che presero il nome dal più anziano dei tre fratelli, Khazarik, e che assoggettarono successivamente le altre genti della regione per immetterle nel proprio stato. Questa potrebbe essere una prima notizia del legame che legò per secoli Bulgari e Khazari, se non fosse che purtroppo la versione di Giovanni Efesino è molto sospetta ed è contestata per i suoi vari anacronismi e dunque non è troppo affidabile…

Marcellino Còmite invece parla dell’Anticaucaso e delle sue genti e c’informa che gli “Sciti” si trovano lì da lungo tempo insieme con le genti turche ossia con gli Onoguri e i Kutriguri. Non solo! Nel racconto degli anni seguenti lo stesso autore parla finalmente di “bulgari comuni”! Purtroppo nel V-VII sec. sono anni in cui i contatti dei Romei con la steppa diventano più nebulosi e confusi a causa della situazione instabile. I nomi dei personaggi coinvolti sono trascritti in modo non preciso e le loro apparizioni sono poste in sequenze a volte anacronistiche e, benché ci sia perfino un famigerato elenco di sovrani bulgari al quale ci si può riferire, in pratica dobbiamo partire da Kubrat/Kuvrat e dalla sua storia personale…

Prima però, seguendo Lebedynsky, diciamo che dai reperti archeologici nella zona del Mar Nero i Bulgari sembrano ora più distinguibili (benché senza un’assoluta sicurezza) poiché siamo ai tempi del favoloso Orkhan (o Mohodu khan) quando si forma una grande lega di tribù turcofone, ugro-finniche e iraniche, già in parte trascinate verso ovest dagli Unni, lega che lascia tracce “tipiche” nella Steppa Ucraina. Orkhan si presenta come discendente della vecchia dinastia “sacra” turca dei Dulo, secondo quanto tramandatoci dagli storici romei Teofane Confessore e dal Patriarca Niceforo, e sembra che sia rimasto a lungo al potere della lega come reggente in quanto il successore, suo nipote Kubrat/Kuvrat (Orkhan è suo zio per parte di madre), è ancora un bimbo. Nel 584 Kubrat finalmente succede allo zio passato a miglior vita e resta a capo della lega finché nel 619 non decide di allearsi con Costantinopoli. E’ ormai sul trono da 26 anni e, sapendo che alleanza significa anche prendere la religione cristiana, Kubrat si reca dall’Imperatore Romano Eraclio (610-641) per farsi battezzare. Rimane qualche tempo nella capitale a studiare presso il Patriarca (il suddetto Niceforo) e finalmente se ne torna nell’Anticaucaso, consacrato quale unico capo cristiano.

Più tardi gli Avari, essi stessi una mescolanza di varie popolazioni non ben sedentarizzate, si scontrano con i Bulgari a nord del Ponto e portano confusione nelle loro relazioni tradizionali. L’Impero Romano a questo punto ha tutto l’interesse a sostenere Kubrat purché costui riesca a contenere le incursioni àvare. L’indipendenza (e la forza politica e militare) della Grande Bulgaria (è il nome storiografico convenzionale del regno di Kubrat) durerà fino alla sua morte nel 642 (o 665) d.C.

A causa delle liti per la successione fra i suoi numerosi figli lo sfascio della lega è inevitabile. Così i due fratelli maggiori Asparukh e Batbajan (o Bajan), forse a causa di dissidi sulla posizione da prendere contro la forte pressione militare khazara, si separano. Il primo, il minore, si dirige verso l’Impero Romano dove fonderà sul Danubio la Bulgaria danubiana con capitale Pliska (le cui rovine oggi sono nelle vicinanze della cittadina di Aboba) mentre Batbajan rimane nella Steppa Ucraina e confluisce nella realtà statale khazara. L’altro fratello Kotrag si dirige a nord e superato il Don si stabilisce sulla riva sinistra in vicinanza della riva alta del Volga. Che fine fa il cristianesimo di Kubrat? Non lo sappiamo, ma di sicuro non si diffonde fra i Bulgari di Kotrag.

La migrazione di Asparukh verso i Balcani è comunque ricordata nella lettera del khan khazaro Giuseppe (fine del X sec.) al cordovano Hasdai ibn Sc’aprut, gran visir ebreo del Califfo Abd-ur-Rahman III, in cui il khan afferma che «… (i Bulgari di Asparukh) abbandonarono la propria terra e fuggirono, e (noi Khazari) li inseguirono finché non raggiunsero la riva sinistra del Danubio». Quest’ultima è chiaramente una vanteria esagerata poiché il passaggio dei Bulgari già stava avvenendo in realtà da decine di anni fra il 660 e il 900 d.C. e non è registrato alcun trasferimento improvviso e affrettato di centinaia di famiglie nell’arco di poco tempo in direzione Sponda destra del Danubio. Ricordiamo invece che nei casi di migrazione “consensuale” con l’Impero di solito l’avanguardia armata prendeva possesso della nuova terra e successivamente i giovani vi si trasferivano, cercando di raggrupparsi per famiglie e per etnie in luoghi assegnati. Solo più in là nel tempo i vecchi, se ancora in gamba, si riunivano al resto della loro gente. Sarà perciò avvenuta la stessa cosa anche qui…

A parte ciò, è chiaro che il racconto delle vicende dei fratelli è l’idealizzazione popolare di un passato dei Bulgari in parte nebuloso che i Romei hanno ripreso come storia… Alla fine buona parte dei Bulgari rimase intorno alla Crimea e al Mare d’Azof e i loro resti sono le genti storiche odierne dei Balkhari e dei Karaciai.

Sono questi secoli VII-VIII gli anni del rafforzamento e della crescita dei Khazari che quasi certamente fanno parte della lega “bulgara” visto che Batbajan si sente parte del processo e vi si integra. Evidentemente ha subodorato il futuro successo dell’economia commerciale della regione attraversata dalle grandi vie d’acqua e controllabile proprio lungo i corsi inferiori. Lo stesso Kotrag deve aver avuto lo stesso sentore, se poi la sua gente allargherà la sua influenza fin sulla Kama dove sorgerà Grande Bolgar. è già il tempo in cui è cominciata a serpeggiare nella regione l’idea che occorre passare da uno stato organizzato militarmente per le guerre e le razzie ad un altro basato sul commercio, vista la crescita della domanda di certi prodotti di lusso da parte dei grandi mercati come Costantinopoli e Baghdad oltre che la ricca e lontana Cina. A questo punto mantenere un’organizzazione politica basata sui traffici implica naturalmente la possibilità di disporre dei mezzi per proteggere le vie di terra e d’acqua da dannose incursioni, di poter stipulare patti d’amicizia con i popoli confinanti, da pari a pari, e com’era costume in quei secoli si poteva o proclamare una religione di stato allo scopo di avvicinarsi o di distinguersi dagli stati vicini oppure adottare la tolleranza massima in campo religioso per non disturbare i mercanti che erano le persone da “coccolare” per davvero. Ed infatti saranno proprio i mercanti ad aver la meglio nella costruzione sia dello stato bulgaro del Volga che di quello khazaro più a sud.

Il commercio internazionale è ormai diventato più redditizio sui prodotti ad alto valore aggiunto, visto che la clientela sono le corti e i signorotti locali, in cui però servono investimenti ingenti e a lungo termine perché lungo è il tempo che impiegano le merci per muoversi da un mercato all’altro. E chi altri, se non i mercanti ebrei d’origine persiana detti Rahdaniti hanno i mezzi per gestirlo? E, se questi prodotti sono reperibili a costi convenienti nel Grande Nord d’Europa, quale luogo di smercio c’è, migliore della regione dove si trovano i Bulgari di Kotrag? Dunque forte e stretta alleanza fra Bulgari e Khazari è l’idea scelta per uno sviluppo.

Le aree migliori per il controllo e la difesa delle vie di transito sono individuate nella grande ansa che il Volga fa prima di costeggiare la riva alta dirigendosi verso sud e nella confluenza con la Kama ossia dove sorgeranno rispettivamente Grande Bolgar e Kazan’. Lungo quei fiumi si può penetrare nelle terre dei popoli del nord fornitori (Visu delle fonti arabe e Ves’ delle Cronache Russe, Jura o Ugri etc. di ceppo ugro-finnico) e dai punti strategici appena detti si possono controllare i passaggi e percepire i balzelli. Già non manca la concorrenza poiché contemporaneamente appaiono gli Scandinavi Rus’ organizzati in bande di tipo mafioso che cercano di sfondare verso sud.

L’archeologia conferma in gran parte il quadro: La quasi improvvisa apparizione nel settentrione del mondo della steppa portato dalla lega bulgara con Alani (Bersili) e Burtasi in un’area a maggioranza ugro-finnica, mentre nel Volga “nordico” appaiono gli Svedesi non ancora slavizzati.

Ibn Rusté (geografo-storico persiano musulmano che scrive alla fine del IX sec. e quindi quando ormai Grande Bolgar è una realtà cittadina da tempo) conferma che: «… la Terra dei Bulgari confina con quella dei Burtasi. Essi vivono lungo la riva del fiume che sfocia nel Mar dei Khazari (Caspio) e che si chiama Itil (il Volga inferiore)… la loro terra (dei Bulgari) è situata fra aree paludose e aree di foreste e i Bulgari si dividono fra genti: Una si chiama Bersela, un’altra Eseghel e la terza Bolgar, sebbene abbiano tutt’e tre lo stesso modo di vivere».

 


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©2010 Aldo C. Marturano.

 

 

 


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