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             MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 10


 

  

    

Alla fine del X secolo Vladimiro figlio di Svjatoslav decise l'opzione per il sistema cristiano di Stato. Fino ad allora il capobanda variago aveva continuato ad essere inteso come colui che, giungendo ad entrare in contatto con le forze superiori della natura, poteva portare il suo progetto o la sua avventura oltremare a buon compimento: questo era il suo carisma! Quando la banda era formata, era costume del capobanda scegliersi un dio del pantheon nordico e allearsi con lui con cerimonie e sacrifici per conseguire col minimo pericolo i fini prefissati, d'altronde noti solo a lui! Oggi si parlerebbe di connivenze e di conoscenza con le autorità superiori, ma allora si parlava di contatti con gli dèi…

Di solito i Vichinghi sceglievano Thor (variante del germanico Donnar, il tuono), dio della guerra del tuono e del fulmine, a loro protettore ed è anche logico che in terra baltica i Variaghi lo identificassero con l'omologo Perkuns o Perkunas, anche questo dio del tuono e del fulmine, trasformandolo e assimilandolo allo slavizzato Perun o Peryn. 

Altro era l'atteggiamento invece presso gli Slavi. Questi, da buoni contadini e amanti della pace, non riconoscevano un capo armato nella loro comunità e perciò godevano di un pantheon più ricco fondato sulle forze della natura che si manifestavano durante lo svolgersi delle stagioni nei campi. Così adoravano molti dèi del Sole, proprio perché, qui nel nord, l'astro si mostrava con vari effetti quasi sempre benevoli sulla terra coltivata: ora come luce del giorno, ora come calore di vita etc., e così la luna o l'acqua, anche questa manifestantesi sotto varie forme di fiume portatore di benessere o di neve o di ghiaccio etc.

Per gli altri popoli vicini agli Slavi, allevatori e raccoglitori, gli dèi erano invece altri ancora e spiccava su tutti gli altri specialmente il dio protettore del bestiame. Siccome gli Slavi all'estremo nord, con un modo di coltivare molto primitivo e quindi soggetto a frequenti cattivi raccolti o agli altri guai conseguenti, avevano dovuto adattarsi a ricorrere anche loro ai prodotti della foresta per far quadrare la loro economia di sussistenza, il pantheon dei Finni alla fine, a causa dell'intima assimilazione delle due etnìe, si era anch'esso insinuato e fuso con quello slavo e ne era risultata una religione composita, ma con santuari e sacerdoti comuni. 

Inoltre la questione del potere, nel mondo slavo, non era il dominio su uomini e su cose, ma solo un problema di dipendenza temporanea dovuto a circostanze particolarmente sfavorevoli ad una parte degli uomini della comunità e quindi la soggezione non era una situazione dovuta a qualcuno per sempre o imposta con la forza, ma uno stato temporaneo. L'unica soggezione assoluta era al ciur, al saggio anziano della comunità, deposito di giustizia, ma non di potere! 

Tutto il contrario delle bande variaghe in cui la soggezione dovuta al capo era assoluta e senza condizioni, se non quella di fuggire via dalla banda per sempre! Si può capire che quando i Variaghi pensarono di porsi a capo di una società organizzata come quella slava, specialmente come essa si mostrava a Kiev, si trovarono di fronte al dilemma di non sapere come imporsi, se non con la forza, ma anche col pericolo di venir rovesciati ad ogni occasione possibile. I modelli come il Kaghanato Cazaro o l'Impero Romano erano troppo complicati per poterli applicare per semplice imitazione…

Prima però di proseguire il nostro racconto dobbiamo descrivere un po' meglio alcuni termini introdotti da noi prima, come knjaz per indicare il capomafia variago, la vece per indicare l'assemblea del popolo slavo, la druzhina per indicare la banda variaga armata e i bojari, termini che vanno spiegati meglio.

Per il termine knjaz dobbiamo dire che esso apparve nella lingua di Kiev molto tardi. Esso è il norreno kuningas che si attribuiva ad una persona di cui si conosceva la discendenza e quindi era considerato nobile (è affine al latino Gnaeus, prenome dello stesso significato di Pompeo, ad esempio) ed arrivò in russo tramite il bulgaro verso l'inizio del XII sec. Il significato originale è quindi quello di leader e sacerdote (amico del dio protettore del gruppo) e non di principe, significato che invece prese solo in seguito, dopo il consolidamento del potere dei Rjurikidi. Prima di knjaz fu usato invece la parola kaghan presa in prestito dal turco dei Cazari, col significato originario di Gran Signore, ed infatti Vladimiro si titolerà a suo tempo «Kaghan vseja Rusi»… in altre parole Gran Signore delle Mafie Rus!

Ritorniamo dunque ora a Vladimiro e a Kiev. 

Si può esser sicuri che il lungo soggiorno presso i "parenti" scandinavi, dette modo a Vladimiro di stare a guardare come funzionavano là alcune cose e come il Cristianesimo, talvolta, era l'ideologia alternativa per mettere su un'organizzazione migliore di quella della druzhìna variaga e del suo sistema da racket. Sa pure che l'élite novgorodese che ha finanziato il suo viaggio fin là aveva in mente altro. Probabilmente nella città nuova del nord Dobrynija e l'élite dominante stavano accarezzando un progetto in cui Novgorod, come centro di una zona ricchissima, poteva diventare l'unica città dominante della Terra Russa e soggiogare non solo Kiev, ma anche il panorama baltico, attraverso Vladimiro e i Variaghi che costui era riuscito a reclutare.

Era una cosa fattibile e da farsi prima che altre bande variaghe si installino profondamente lungo i fiumi russi e prendano nelle loro mani i traffici. Come Ragnvald-Rogvolod anche un certo capo variago Tur ha costruito il suo forte poco lontano a nord di Kiev, nell'area di Turov (città di Tur). Se Polozk è ormai legata a Vladimiro, tramite Roghneda, Novgorod lo appoggerebbe pienamente, anche per gli intrighi di suo zio, se Vladimiro mettesse ordine e opace e poi unificasse il potere nelle mani dell'élite novgorodese. 

Vladimiro però vuol volare più in alto e qui a Kiev si sente più indipendente lontano da Novgorod, dove pesano suo zio e i potenti bojari. Per questi motivi il momento della vittoria su Jaropolk gli sembra adeguato per richiamarsi alla religione, quale legame forte per tener insieme tutta la sua druzhina variaga. Così il suo primo atto, è la decisione di costruire un santuario sulla collina dei Variaghi di Kiev dove verrà celebrato il trionfo degli dèi pagani che lo proteggono. 

L'impresa che lui ha condotto fin qui infatti, è riuscita grazie alla protezione di Thor-Perun, oltre che ai soldi di Novgorod. Ora, visto che tutto è andato come si voleva, questo suo dio deve essere ringraziato e quindi Vladimiro fa elevare un grande spiazzo dietro la sua residenza (terem) dove pone i simulacri di legno (kumiri) di Perun e degli altri dei slavi e tutt'intorno fa accendere il fuoco sacro e affida il tutto ai volhvy.

Il dio principe, ripetiamo, è Perun, suo primo alleato, ed è rappresentato da un bel bastone con una testa d'argento e due bei baffi di filo d'oro. Poi ci sono i simulacri di Khors, Dazhbog, Stribog, Simarghl, e finalmente anche della dea Mokosc. E in questo santuario (kapisc'cia) celebra lui stesso, come pontifex maximus, i riti pagani dovuti, con sacrifici anche umani. 

Questo elenco degli dèi pagani, in cui stranamente manca Veles, dio del bestiame, è dato dalla CTP, ma purtroppo, senza indicare le competenze di ciascun dio, tanto che si può dedurre la loro funzione sacra solo da rassomiglianze, da affinità dei nomi con gli dèi persiani e con il pantheon indiano, ma niente di più. 

Probabilmente in occasione di questa consacrazione avviene l'episodio del sacrificio del figlio del Variago. Si racconta che il sacerdote di Perun avesse deciso di fare un sacrificio umano nel santuario e, tirate le sorti, destino volle che queste cadessero su un giovane di bell'aspetto, figlio di un Variago cristiano di Kiev. Furono mandati gli anziani a dare l'annuncio a casa del Variago il quale naturalmente si rifiutò di consegnare suo figlio per un'operazione che per la sua fede era oscena ed assurda, dicendo (CTP): «Se i vostri idoli sono veramente degli dèi lasciate che essi stessi tirino via dalle mie braccia questo mio figlio!». Al che la folla che si era raccolta intorno alla casa, aizzata dai sacerdoti, cominciò a tumultuare finché non uccise padre e figlio e dette fuoco alla casa. Questi furono i primi martiri cristiani di Kiev: i santi Teodoro e Giovanni!

Come si può capire il paganesimo era perciò ancora molto potente a Kiev, almeno nel quartiere variago!

A parte ciò, l'unica cosa chiara delle azioni di Vladimiro è che l'asse Novgorod-Kiev deve essere mantenuto intatto poiché è da quest'asse che dipende l'unico cespite di ricchezza del nostro personaggio: i traffici! Per questo motivo suo zio Dobrynija costruisce anche a Novgorod un santuario simile a quello di Kiev, e la persona di Vladimiro vi è celebrata come il protetto di Perun e degli altri dèi slavi. 

Il problema dell'unione intorno alla persona di Vladimiro delle altre città e dei relativi villaggi in seguito si vedrà che non può risolversi soltanto con queste cerimonie, poiché ogni villaggio ha i propri dèi, e quindi finché non esista un pantheon unitario non si riesce di tenere insieme tutte le Terre Russe. 

Inoltre fra questi dèi non c'è mai stato un dio supremo che possa contare più degli altri e Perun, benché sia il dio del capomafia, non è facile farlo diventare il primo degli dèi, e perciò non può essere usato per imporsi sugli altri dei (e quindi sui villaggi e sulle città e i loro abitanti). Insomma il paganesimo, slavo soprattutto, non poté costituire in poco tempo la religione unitaria così potente che riuscisse a legare tanti popoli e di così diverse credenze.

Vladimiro però non può aspettare, deve realizzare il suo progetto di dominare questo immenso territorio ad ogni costo e prima che suo zio prenda altre iniziative, e allora consigliandosi con i suoi risolve di fare un altro tentativo in senso religioso. 

Visto che tutti quegli Stati che si proclamano cristiani o musulmani funzionano e bene da secoli, perché non studiare come imitarli in modo da costituire un dominio unitario, anche nella Terra Russa? Gli diranno che ciò significa costituire uno Stato, con un principe in cima che non deve più perseguire i suoi proprii fini personali. Gli diranno che è un sistema molto complicato e che il benessere dei suoi soggetti è un fattore importante di stabilità del potere e che quindi le tassazioni, i prelievi di ricchezza e simili non possono pià essere arbitrari. Bisognerà gestire la giustizia attraverso i tribunali, la difesa del territorio contro i nemici esterni, gli accordi con i territori e i principi limitrofi, l'amministrazione economica etc. etc. è una cosa troppo complessa che sicuramente né lui né i suoi consiglieri sarebbero mai in grado di fare e che, lo ricorda bene, sua nonna Olga aveva già cominciato, ma mai finito.

Cerchiamo di capire meglio chi è Vladimiro, o come è diventato, dopo la sua fuga in Scandinavia e dopo i sanguinosi avvenimenti del 980. 

è difficile fidarsi delle parole del Cronografo russo, poiché lo scopo di costui è di mettere in evidenza che prima del battesimo Vladimiro era un selvaggio, una bestia sanguinaria e uno stupratore di donne, e poi, convertendosi al Cristianesimo, è diventato un santo. Perciò lungo questo filo rosso i toni sono molto marcati dal punto di vista religioso e le parole della CTP da prendere con molta precauzione. 

Vediamo invece che dicono le fonti non russe su di lui.

Cominciamo dalle Cronache compilate dall'arcivescovo Bruno di Querfurt, già cappellano dell'imperatore Ottone III, il quale nel 1006-1008 incontrò Vladimiro e ne ebbe una buonissima impressione, anche se lo giudica ancora non così raffinato come dovrebbe essere un principe cristiano. Bruno si era recato dai Peceneghi in missione cristiana ed era passato da Kiev sulla via dalla Polonia. Vladimiro lo accoglie al confine del suo dominio e, dopo averlo trattenuto qualche giorno presso di lui (circa un mese!) perché la strada non era sicura, s'informa della sua attività e, quando capisce che la missione può dargli qualche utile e che la strada è libera, lo guida verso la steppa dei Peceneghi. Da Kiev Bruno manda una lettera a Enrico II ed ecco com'è descritto l'aspetto e il comportamento del principe russo. Lasciamo la parola al vescovo latino-tedesco:

«Quando [Vladimiro] non potè trattenermi oltre … con la sua druzhìna mi accompagnò per due giorni di cammino fino ai confini del suo regno, dove, a causa dell'ostilità delle popolazioni nomadi è rinforzato da tutti i lati con un lungo e possente vallo di legno [questo è il famoso Vallo Serpentino di cui gli archeologi russi hanno trovato i resti a sud di Kiev]. Saltando giù da cavallo mi è venuto poi dietro in testa ai suoi e uscendo dalle porte del Vallo. Si è fermato in piedi su una collina su un lato del fossato e noi sull'altro lato, su un'altra collina. Abbracciando una croce che portavo fra le mani (l'ho salutato accennando le parole di Cristo): Pietro, mi ami tu? Pasci le mie pecore! Al responsorio Vladimiro mi ha mandato dei bojari che mi hanno detto da parte sua: Ti ho accompagnato fino ai confini della mia terra e di qui comincia la terra nemica. In nome di Dio ti prego non farti uccidere perché ciò sarà a mio grande rammarico. La tua vita è così giovane ed io so (sembra che lo avesse visto in sogno, il nostro Vladimiro) che domani alla terza ora tu sarai giudicato senza appello e senza colpa assaporerai il gusto della morte». A parte il fatto che Vladimiro sembra averer ereditato la facoltà della premonizione da sua madre, perché accadde proprio come Vladimiro aveva sognato, dobbiamo riconoscere che il nostro personaggio meglio non poteva agire verso l'importante ospite…

Le Cronache (e le notizie) raccolte da Bruno, interrotte dalla sua morte, furono poi continuate da Titmaro di Merseburgo e anche qui s'incontrano notizie su Vladimiro (in latino chiamato Vlodemirus, Rex Ruszorum) molto interessanti. 

Queste notizie sono più intriganti di quelle precedenti perché sappiamo qualcosa in più sull'indole di latin lover del nostro rus. Qui si parla, e Titmaro è praticamente un contemporaneo di Vladimiro, del matrimonio del suo figlio (adottivo) Svjatopolk con la figlia di Boleslao di Polonia, del suo proprio matrimonio con la sorella dell'Imperatore Romano Anna (con qualche confusione con la moglie di Ottone II), e del fatto che Vladimiro «…portasse ai fianchi una cintura fatta per stimolarlo sessualmente…», e perciò sempre pronto a fare all'amore con una bella donna!!

Useremo anche di queste informazioni per ricostruire la seconda parte degli anni di regno di Vladimiro e quindi non andremo a vedere per ora tutti i particolari dalla Cronaca tedesca, mentre, prendendo nota che non ci sono altre fonti non russe così dettagliate sul nostro personaggio, ritorniamo al nostro racconto e seguiamo gli eventi attraverso la CTP.

Vladimiro presto si rende conto di aver bisogno di un consenso più largo nel suo nuovo ambiente kieviano e così, una volta al comando di Kiev, pensa che sarebbe utile prendere subito come moglie la vedova di suo fratello Jaropolk, un'ex monaca greca di nome Giulia, e tirare dalla sua parte il partito cristiano. Inoltre Giulia è già incinta e il figlio che nascerà sarà adottato senza problemi! Rimane il grosso problema dei Variaghi che ha portato con sé dalla Scandinavia e che premono su di lui per i compensi pattuiti…

Secondo l'uso, dopo la presa della città, era diritto dei conquistatori saccheggiarla per almeno tre giorni. Tuttavia Kiev non è stata conquistata, ma si è trattato in realtà di una resa di conti fra due bande variaghe, quella di Vladimiro e Dobrynija da una parte, e quella di Jaropolk dall'altra, e la città ne è stata, solo relativamente, coinvolta, anzi ha fatto da spettatrice, senza intervenire, per cui cedere la città al saccheggio non è giustificato e solleverebbe veramente Kiev contro di lui. Ora che è insediato a Kiev non vorrebbe dipendere dai ricatti di forza dei Variaghi, ma vorrebbe un'alleanza più solida con l'élite slava locale…

Possiamo immaginarlo quest'uomo, senza terra all'apice del potere, che non può, né vuole, attaccare il luogo dal quale invece pretende di essere ossequiato e omaggiato. Che fare allora? 

I Variaghi sono disposti, in cambio del saccheggio non eseguito, ad accettare dalla cassa di Jaropolk ora in mano a Vladimiro 3 grivne (1 grivna è all'incirca 100-200 g di argento) per abitante non toccato… 

Il giovane Vladimiro, fatti i conti, non ha abbastanza argento e così prende tempo: un mese ancora e cercherà di mettere insieme l'equivalente somma richiesta purché la città rimanga com'è. Intanto, fatta una cernita dei Variaghi più tranquilli e più affidabili, sotto forma di compenso anticipato e immediato Vladimiro manda chi a Novgorod e chi a Smolensk, chi a Polozk e chi in altre città. Rinforzeranno la guarnigione locale e godranno del tributo che si ricava dal posto. In questo modo riesce nello scopo di disperdere troppe teste calde che concentrate e arrabbiate si potrebbero rivoltare contro di lui. Nel frattempo, visto che le comunicazioni con Bisanzio sono buone, cerca degli ingaggi per i Variaghi che restano presso l'imperatore.

Gli altri Variaghi alla fine sono convinti di andare a Costantinopoli. L'ingaggio molto remunerativo è assicurato e così, con la prima occasione, si allontanano da Kiev. Con la lettera di credenziali che Vladimiro ha fatto preparare per l'imperatore Basilio II (lo rincontreremo!), fra le altre cose, c'è scritto di stare molto attento a questa gente, perché sono degli attaccabrighe e dei facinorosi.

Finalmente Vladimiro è padrone della situazione.

La "cacciata" dei Variaghi rappresenta la fine del predominio militare straniero nella città e significa più tranquillità per i kieviani tutti. Ma è un gran salto nel buio per Vladimiro, perché lasciare andare i suoi Variaghi via da Kiev significa anche svuotare il suo potere materiale dalle forze che lo hanno sostenuto finora! Evidentemente il nostro ha già tessuto una cerchia di amicizie intorno a sé e conta sulle promesse che i bojari (cristiani?) gli avranno fatto. In fondo questo è l'unico modo per avvicinarsi all'élite slava della città e lavorare per sottometterla.

Nei suoi primi tentativi verso la costituzione di un grande dominio Vladimiro finora non sa compiere altri passi politici, mentre continua le sue campagne militari, stavolta usando prima di tutto le forze locali. Sono spedizioni militari di rafforzamento dei confini e, se possibile, di allargamento, ma sono anche in realtà guerre di rapina perché ha bisogno di rimpinguare le sue casse. Così è contro i polacchi del Bug, così è contro i Vjatici eterni ribelli, così è contro i Jatvjaghi baltici che riesce a ricacciare nelle foreste dell'odierna Mazuria e così è contro i Radimici e i Bulgari dell'Okà…

Vediamo un po'.

La vicina Polonia ha un embrione di Stato con un primo principe convertito al cristianesimo, già nel 966: Mecislav (in polacco Mieszko I, morto nel 992) ed è a costui che Vladimiro forse guarda come elemento di confronto con i suoi sforzi per organizzare il suo stato di Kiev-Novgorod-Polozk. Chissà che, quando dichiara la guerra con la scusa che alcuni territori intorno alla città galiziana di Cerven', conquistati a suo tempo da Oleg, ora sono stati inglobati nel dominio del polacco, non speri di riuscire a portare con sé a Kiev da quei posti l'élite polacca che lo aiuti a riprodurre un modello di Stato. Riesce comunque nel suo intento di riconquista e la Galizia "ritorna" nel dominio di Kiev.

Da una saga dell'Edda di Sturluson, apprendiamo che riesce persino a conquistarsi, almeno così sembra, tutta la Livonia (odierna Lettonia ed Estonia), allargando la sua influenza fino al Mar dei Variaghi…

Per quanto riguarda i Bulgari dell'Okà invece, d'accordo con suo zio e quindi sempre con l'aiuto dei novgorodesi, Vladimiro attacca Bolghar e riesce a sbaragliare la loro difesa. Dobrynja però non è d'accordo sul porre delle guarnigioni stabili sulla riva del Volga, perché capisce che i Bulgari e gli altri popoli slavi loro vicini sono troppo legati e mescolati fra di loro e difficilmente distinguibili fra amici e nemici, fra soggetti e indipendenti. I Bulgari dell'Okà poi sono troppo lontani per essere tenuti sotto controllo senza costi insostenibili. Dice Dobrynja testualmente, riferendosi al fatto che l'unico modo per dire chi sono i Bulgari e chi gli Slavi del posto (Vjatici e Radimici) erano le rispettive scarpe (fatte di pelle per i Bulgari e di corteccia di tiglio per gli Slavi): «I Bulgari non desiderano essere nostri sudditi, per cui è meglio cercarsene altri, ad esempio quelli che portano le scarpe di fibra vegetale (e quindi Slavi, più vicini a noi rus)!».

Nel 985, sicuramente d'accordo con Bisanzio, Vladimiro attacca la Bulgaria balcanica, terra slava malgrado il nome, sia per mare risalendo il Danubio, sia per terra percorrendo la Terra dei Peceneghi, con un grande sforzo militare e di spesa. Si giunge ad una pace e viene stipulato l'accordo con uno strano giuramento (CTP): »Non ci sarà più pace fra di noi (Bulgaria e Rus) se non quando un sasso galleggerà e il khmiel (specie di luppolo per far la birra) andrà a fondo!».

I legami con questi Slavi non si erano mai interrotti, sin dal tempo di sua nonna Olga, che probabilmente aveva accolto, senza sapere bene del pericolo dottrinario, qualche eretico bogomilo che cercava di sfuggire alle persecuzioni del Patriarcato di Costantinopoli e, in qualsiasi caso, chiese cristiane con preti bulgari ve n'erano e libri scritti in bulgaro certamente circolavano da tempo a Kiev. Questa pace deve quindi aver rafforzato non solo il legame coi bulgari, ma anche col Cristianesimo in generale. Ed ecco che nel 988 (o 989 date le discrepanze nei calendari di quel tempo) accade il grande evento che racconteremo, con quanti più particolari curiosi possibili: il Battesimo della Rus di Kiev!

Ufficialmente nel 1988 con grandi festeggiamenti e cerimonie ufficiali fu celebrato il millenario del Battesimo della Rus di Kiev, ma ci si è sempre domandati: è realmente questa la data dell'introduzione del cristianesimo nella Rus di Kiev? La questione sembra ingenua e superflua perché tutti sappiamo che sicuramente qualche comunità cristiana c'era già da tempi molto remoti nella Terra Russa, e quindi la conversione al cristianesimo per la maggioranza dei kieviani era già nell'aria da tempo. Perché dunque celebrare il 988 in particolare, come evento straordinario?

In realtà il Battesimo della Rus non è solo una cerimonia religiosa, ma è l'anno di inizio ufficiale di uno Stato rus organizzato, della fine del racket mafioso instaurato circa un secolo prima e della nascita di una dinastia di sedicenti sovrani di tutte le Terre Russe, con sede a Kiev, dal Mar Glaciale fino al Mar Nero.

C'erano già stati tentativi da parte di Bisanzio (e successivamente anche da parte di Ottone I) di coinvolgere in una conversione ufficiale i capi variaghi di Kiev. Già nel 860, Fozio affermava che era stato mandato un vescovo da quelle parti. Già san Cirillo (Costantino) e suo fratello Metodio avevano cercato di evangelizzare gli Slavi ai confini con l'Impero, a sud di Kiev. Abbiamo detto del battesimo di Olga e della di lei lotta per battezzare suo figlio Svjatoslav in modo da poter organizzare il potere a Kiev in modo moderno e sedare le continue lotte fra le varie bande mafiose del territorio. Tutto era finito sempre in un insuccesso clamoroso e la Rus non era nata. Il modo di gestire il potere del racket variago, era diventato sempre più antiquato benché avesse continuato a sussistere.

Quando il nostro Vladimiro arriva a Kiev, evidentemente ha con sé il retaggio di un'educazione principalmente avuta nella paganissima Novgorod e perciò, secondo la sua sensazione, proprio questo paganesimo che nella città del nord aveva tanto peso, poteva essere usato per tenere legate le bande variaghe e magari riorganizzare tutto il sistema di giuramenti di fedeltà dei mafiosi.

L'evento scatenante per una decisione a favore del cristianesimo fu probabilmente un'ambasceria, giunta da Bolghar nel 986, con la proposta di abbracciare l'Islam per entrare a far parte del sistema di società musulmane che avevano già tanto successo fra i popoli delle steppe, dove cominciavano a fiorire dopo la fine dell'oppressione di Baghdad e la caduta dei Cazari, Stati nuovi e potenti. L'intento dei Bulgari dell'Okà era chiaro, benché non riportato dalla CTP. Erano preoccupati dell'attività di Vladimiro sul versante occidentale in collegamento con Bisanzio. Erano preoccupati dei tentativi di divergere traffici e produzioni di Vjatici e Radimici verso Kiev, privando Bolghar dei suoi cespiti più importanti. Avranno detto: «Abbiamo visto che i traffici via Volga-Don sono di molto diminuiti e che invece via Dnepr sono molto aumentati. Vogliamo trovare un accordo per concentrare i traffici lungo il Volga-Don? Noi vi possiamo garantire, meglio che nel passato, convogli sicuri fino al lontano Oriente! Se poi abbraccerete l'Islam, avrete più facile accesso ai mercati egiziani e di al-Andalus, oltre che a quelli dell'Asia Centrale!».

Vladimiro, non contrario in principio, vorrebbe saperne di più sulle condizioni per una conversione all'Islam e sui vantaggi che essa offre.

La CTP riporta in verità degli argomenti futili su tutta questa questione, perché evidentemente l'odio e l'antagonismo religioso fra Islam e cristianesimo portava all'ignoranza reciproca delle rispettive dottrine e perciò gli argomenti sono i soliti pregiudizi che circolavano fra la gente cristiana comune sulle buone ragioni di non abbracciare l'Islam: 1. La dannosità della circoncisione; 2. Non mangiare carne di porco, unico animale da cortile allevato dai contadini, oltre ai volatili; 3. Non bere alcolici; 4. La concessione dei favori delle bellissime fanciulle del Paradiso dopo la morte. Era veramente così difficoltoso adeguarsi a queste nuove regole di vita? Vediamo di capire se effettivamente furono questi i motivi che spinsero Vladimiro a rifiutare l'Islam.

La circoncisione era un'operazione chirurgica molto comune fra ebrei e musulmani e in generale fra i nomadi della steppa, ma sempre pericolosa che, se fatta in modo errato, talvolta inficiava la mascolinità e per una persona in vista che si affidava alle mani del chirurgo, il rimanere handicappati avrebbe potuto essere una gravissima sfortuna. Chi si fidava poi dei medici bulgari? Potevano uccidere di proposito invece di circoncidere!

Altro problema: la carne di porco. La tavola del ricco signore del X secolo era sempre letteralmente ricoperta solo di piatti di carne, tanto che una dieta carnea così costante e abbondante provocava infezioni renali e la gotta era una malattia mortale molto comune presso le classi abbienti. La carne, nelle case ricche della Rus, proveniva o dalla selvaggina che poteva essere cacciata come qualche grosso cinghiale o di solito era costituita dai volatili e più raramente da altri animali di grossa taglia della foresta. Quando non si trattava di selvaggina allora la carne era o di cavallo (cavallino lituano) o di porco, che erano gli animali da macello allevati dai contadini con i quali si pagava il dan' (tributo) al knjaz. Tuttavia per i contadini, al contrario delle classi abbienti, che vedevano la carne sul loro desco come un piatto d'altissimo valore, non dover più mangiare il maiale avrebbe significato davvero eliminare grandissima parte di questo piacere. Come si vede, sia che fosse cacciagione (cinghiale), sia che fosse allevamento (porco), la carne suina era sempre presente, senza contare che il lardo serviva (e veniva esportato) come lubrificante nei meccanismi di legno del tempo. 

Rinunciare dunque al porco significava far perdere di significato i frequenti banchetti (pir) che si tenevano a casa del signore, nel suo terem, e non dimentichiamo che i banchetti (specie quelli di Vladimiro) dovevano essere qualcosa di epocale. Rinunciare poi ad una fetta delle esportazioni era insomma un tasto veramente dolente! 

Il bere poi era un'attività tradizionale e sacra, in quanto tutti gli accordi fra le persone erano sigillati, dopo il giuramento, da una bevuta e una bevuta nelle Terre Russe significava… bere fino alla sbornia totale! Un pranzo senza mjod o kvas o braga, le tre bevande russe fermentate dell'epoca, non era un pranzo!

L'attività sessuale sembra poi che sia stata una delle grandi debolezze di Vladimiro, almeno prima della sua conversione al cristianesimo, e quindi la proposta di continuarla anche dopo la morte era l'unica cosa buona che l'Islam aveva in più rispetto alle altre religioni, ma non poteva essere risolutiva visto che già qui, mentre era vivo, Vladimiro disponeva di numerose donne nel suo letto e sapeva bene che la forza sessuale declinava con l'avanzare dell'età.

Secondo la CTP, il nostro rifiutò l'Islam invece proprio per il bere, perché disse con orgoglio: «è la gioia dei rus e senza bere non potremmo mai vivere!». E così la richiesta di collaborazione o di alleanza da parte di Bolghar sulla base religiosa fu respinta.

Vennero da lui anche dei messi del papa con una proposta simile di alleanza, qui però esortandolo a convertirsi al cristianesimo romano, e ci fu una sottolineatura un po' più incisiva, specialmente riguardo al santuario pagano che Vladimiro aveva fatto costruire a Kiev per i suoi attuali dèi «…(Il nostro dio ha creato terra e cielo) e i tuoi dèi? Sono solo pezzi di legno!». Un approccio offensivo che nessuno poteva accettare. 

Quando fu chiesta qualche altra informazione sulla fede «del papa di Roma», ritornò a galla il problema del mangiar carne e di attenersi ai digiuni prescritti e, in ogni caso, di non eccedere nel bere e nel mangiare. Tuttavia le ragioni del rifiuto, perché anche stavolta Vladimiro respinse qualsiasi tipo di legame con potenze straniere, furono che suo padre non si era convertito a questa fede e che, secondo lui, le ragioni di suo padre erano ancora valide per respingere il cristianesimo anche questa volta.

In questa seconda metà del X secolo, dalle altre situazioni nell'Europa slava, sappiamo che il Patriarcato di Costantinopoli e quello di Roma erano da qualche tempo in aspra concorrenza, mentre cercavano di evangelizzare quanta più gente slava fosse possibile. Roma aveva già avuto grande successo in Cechia e stava avanzando in Polonia con l'appoggio degli Ottoni, ma questa pseudo-alleanza, fra tedeschi e romani, non era abbastanza solida. Gli Ottoni erano sempre più attirati dal titolo imperiale che avevano ereditato da Carlomagno e che la Chiesa di Roma aveva confermato ormai da quasi cento anni, e, mentre continuavano ad avanzare nell'est europeo, colonizzandolo, cercavano ambiguamente anche l'appoggio di Costantinopoli (e la conferma dell'equivalenza del proprio titolo imperiale con quello bizantino). Avevano tentato persino di contrarre matrimoni dinastici con la corte del Bosforo... 

Con le costituzioni di nuovi Stati slavi, la futura costituzione di un altro Stato intorno a Kiev era, per la sua probabile estensione e ricchezza, un grandissimo polo attrattivo della politica internazionale degli Ottoni, e quindi Roma e gli Ottoni si stavano dando da fare in tutti i modi per legare il futuro Stato, quello che fosse, nella Pianura Russa alla Cristianità Romana. Anche Costantinopoli però aveva analoghi interessi su questa parte d'Europa e così fra Roma e Costantinopoli era da tempo in atto una specie di guerra di religione, non più del cristianesimo contro l'Islam che incalzava da sud e da est, quanto invece per un problema economico e di prestigio, in cui entrambi i Patriarcati erano alla ricerca di nuovi cespiti (le famose prebende orientali) per accrescere il rispettivo potere politico.

è chiaro quindi che alla missione romana ne seguì immediatamente una bizantina.

La CTP, forse per bilanciare "religiosamente" tutto il racconto, dice che, dopo i romani, giunsero i Cazari ebrei a far propaganda per la loro fede, ma questo è pochissimo probabile perché, data la natura del Giudaismo che non faceva proselitismo ufficiale, una missione per convertire Kiev alla Legge di Mosè era una cosa assolutamente inconcepibile. 

Naturalmente registriamo l'incongruenza e diciamo che anche il Giudaismo fu respinto.

Toccò finalmente ai bizantini, come abbiamo detto.

La discussione che Vladimiro tenne con l'incaricato religioso bizantino (chiamato "il filosofo", che poi in realtà in greco significa soltanto il saggio) è riportata dalla CTP come segue: «[dicono i messi di Bisanzio] Abbiamo sentito che sono venuti da te i Bulgari [dell'Okà, musulmani] e ti hanno parlato della loro fede. Essa però insozza il cielo e la terra e che essi siano maledetti fra tutti gli uomini come le genti di Sodoma e di Gomorra sulle quali il Signore fece cadere pietre di fuoco e li annegò e li soffocò. Ed ecco questo li aspetta il giorno della loro fine, quando verrà Dio a giudicare gli uomini e sterminerà tutti coloro che hanno coltivato il paganesimo e la sozzeria… Vladimiro ascoltato ciò, sputò per terra [in segno di disprezzo per i musulmani, naturalmente!] e disse: Non mi piace questo fatto. E disse il filosofo: Abbiamo anche sentito che sono stati da te i romani a propagandare la loro fede che solo per qualche cosa si differenzia dalla nostra… Disse Vladimiro: Sono venuti anche gli Ebrei da me e mi hanno detto che voi credete in un tale che essi avrebbero messo in croce. E il filosofo rispose: In verità in ciò crediamo! [e via a riassumere come era stata predetta la nascita di Cristo e come i Romani, distruggendo lo stato ebraico di Palestina, avevano sparsi gli ebrei per il mondo, a punizione del loro peccato contro Cristo, dio e uomo]. Vladimiro chiese: Perché Dio scese sulla terra e subì tale supplizio? Rispose il filosofo: Se vuoi, ti posso raccontare tutto dal principio… Con piacere! Disse Vladimiro. E il filosofo cominciò…». 

Dobbiamo credere che il nostro "filosofo" non si fermasse a questi pochi concetti nella sua esposizione e discussione sulla fede cristiana, ma, notata l'attenzione con la quale era ascoltato, parlò a Vladimiro anche di altre questioni più ideologiche. Ciò che specialmente evidenziò, fu il concetto di salvazione dopo la morte e quindi la necessità di scampare al Giudizio Finale, in cui le pene per i miscredenti erano veramente spaventose e per di più senza fine… Questa era sempre l'arma più efficace per convertire i pagani! Sicuramente poi passò ai problemi pratici che questa fede risolveva e lo iniziò a comprendere che significa essere il sovrano di una nazione, secondo l'autorevole concezione romano-cristiana che era fondata su un'esperienze antichissime. 

Oggi Vladimiro s'impone agli uomini con la forza del numero e delle armi proprio perché la sua autorità è senza base. Domani, quando i suoi uomini lo abbandonano, che ne sarà di lui? Oggi ringrazia e adora pezzi di legno senza voce e senza potere che magari possono servire a dargli coraggio, ma non sono essi a guidare gli eventi. Il sovrano battezzato invece non è un uomo, è l'unto del Signore, e per questo motivo è al di sopra di qualsiasi uomo, che non sia o l'imperatore o l'autorità massima della Chiesa. Un re è il padrone del territorio che gli è affidato in dominio perché il suo potere è la legge di Dio. è Dio che gli concede di governare gli uomini e cose e, in particolare, gli è affidata quella parte d'umanità, a lui soggetta, affinché sia lui, quale principe cristiano, a condurla verso la salvezza finale. Il sovrano non fa, ma fa agire gli altri ai suoi ordini. Egli è il giudice supremo perché le sue sentenze sono emesse secondo la legge eterna del Vangelo e delle scritture sacre. E così via via… 

Certamente sono concetti che Valdimiro ode per la prima volta con tali particolari e che non avrebbe mai potuto concepire da solo, ma che probabilmente ha visto mettere in pratica durante il suo soggiorno in Scandinavia e ne ha sentito parlare da sua nonna, santa Olga. Finora tuttavia ha visto il territorio sotto il suo racket come la sua macchina personale per produrre ricchezza e per vivere bene e… basta! Non aveva mai immaginato di poter essere investito di una missione celeste, una volta consacrato sovrano cristiano, da poter trascinare dietro di sé folle di persone e di poter essere ossequiato lui stesso quasi come un dio.

Tornando alla CTP, a parte il linguaggio semplice e semplicistico del Cronografo che scrive dietro le indicazioni, non solo del suo Metropolita, ma anche di Jaroslav (figlio di Vladimiro, come vedremo), allo scopo di portare la fede a livello più comprensibile possibile per tutte le persone di corte fino ad allora ignoranti dei ragionamenti troppo complicati, essa ci dice che Vladimiro dopo questo lungo discorso ebbe dei ripensamenti e, dopo aver rimandato in patria il filosofo greco con grandi doni, radunò il consiglio dei suoi intimi per discutere con loro sul problema della scelta delle alleanze internazionali. 

Sicuramente in questo consiglio ci sono cristiani e pagani e ognuno tira l'acqua verso il proprio mulino e, non riuscendo nessuno di loro a dargli un consiglio convincente, tutte queste fazioni trovano l'unico modo per rimandare la decisione dicendo: «Signore! Ogni uomo [venuto qui] ha illustrato la sua fede. Se vuoi scegliere quella migliore allora manda i più istruiti di noi nelle diverse terre a vedere quali di queste genti servono la divinità più degnamente!». 

Vladimiro sceglie dieci dei più esperienziati fra di loro e li manda in giro. Premettiamo subito che, come si usava a quei tempi, questi ambasciatori non sono che dei mercanti e la loro attenzione è rivolta esclusivamente a guardarsi attorno, per vedere come i luoghi che vanno a visitare si presentano loro per futuri contatti di acquisti e di vendite! Sono perciò delle vere e proprie "missioni commerciali" quelle che vanno ad incontrare i possibili alleati e collaboratori della futura Rus di Kiev, dove i problemi filosofici e religiosi non occupano assolutamente il primo posto! 

Costoro perciò ritorneranno con molte impressioni, ma saranno soprattutto sui costumi e sui "consumi" dei luoghi visitati che possono più o meno essere riassunte così.

Su, nelle montagne della Bulgaria danubiana, hanno visto le costruzioni dei bojari arroccate sui declivi con le loro chiese nude di decorazioni all'esterno, fatte di mattoni e pietre, in complesso piccole e povere. Poco interesse per eventuali scambi…

Nelle terre cattoliche invece hanno osservato le cerimonie religiose molto corte e in lingua latina incomprensibile, ma anche il grande sfarzo delle chiese e il consumo di candele… E, finalmente, a Costantinopoli dove c'era il più grande tempio cristiano del mondo di allora, hanno visto la bellissima ricchissima e meravigliosa Chiesa di Santa Sofia, e probabilmente sono stati invitati ad assistere alle celebrazioni fantasmagoriche che l'Imperatore dava della sua apparizione con le sue ricche vesti e con i gioielli e le corone preziosissime, ad esempio durante la Pasqua, quando veniva calato dal cielo della Meghnaura con un ascensore che sembrava librasi nell'aria, e quindi, naturalmente abbagliati da tanta ostentazione e dalla possibilità di fare buoni affari in questo mercato, sponsorizzeranno di più l'alleanza con Bisanzio che con qualsiasi altra potenza di quel tempo... 

Dall'altro versante anche gli inviati in terra musulmana raccontarono ad esempio dell'assoluta assenza di cerimonie dell'Islam per il Signore del Cielo e della Terra, ma anche delle lunghissime carovane che viaggiavano lungo le rotte delle terre dei nomadi della steppa… 

Insomma, per farla breve, alla fine la CTP, con una metafora molto chiara ci annuncia che la scelta è fatta e dalla bocca dei mercanti in missione vengono le seguenti parole, all'incontro con Vladimiro: «Ogni uomo che ha assaggiato il dolce, non vuole più assaporare l'amaro. Così siamo noi dopo aver visto come celebrano i greci. Non vogliamo altra fede!».

Il nostro però non è ancora convinto e chiede di nuovo consiglio agli anziani. La risposta stavolta è netta e a suo modo convincente: «Se la Legge dei Greci [cioè il cristianesimo] non fosse stata migliore delle altre [religioni], l'avrebbe accolta Olga, tua nonna e la più saggia fra gli uomini?"

A questo punto, non si può tergiversare troppo! Anche lui deve diventare cristiano al più presto! 

 

 

  

©2004 Aldo C. Marturano

 

 


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