Sei in: Mondi medievali ® Medioevo e Medicina ® Per una storia della medicina antica e medievale ® La medicina nell'alto Medioevo ® 5. Le epidemie


     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


  


    Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


 

5.1.4 ALTRE CONSIDERAZIONI

Miniatura dalla Cronica di Giovanni Villani, dal Codice Ghigi (XIV secolo).

Il secolo XI vide l'apogeo delle conseguenze scaturite dal dominio della feroce potenza araba, iniziata nel 632 e decaduta nel 1096 (periodo islamitico) e delle invasioni e dei movimenti dei popoli europei barbari.

Le invasioni germaniche, apportatrici di desolazione e di morte, furono causa di spostamenti, di emigrazioni di intere popolazioni e specialmente dei coloni: l'uomo ritornò alla terra e trovò garanzia all'assistenza attorno alla curtis o villa o nel latifondo.

Lo scopo di queste invasioni non era la conquista, bensì il saccheggio e la rovina.

Gli abitanti, protetti dalla saldezza delle mura, vedevano regolarmente arse le campagne, distrutte le messi, le piantagioni e le case, il bestiame e i cultori trascinati via. L'Europa cadde così in una spaventosa depressione economica.

Quello che subito colpisce è il carattere «popolare» delle epidemie; esse colpivano infatti le popolazioni più povere, dove più evidente era lo stato di denutrizione e di ipovitaminosi.

La terra è la realtà fondamentale dell'Occidente cristiano nel Medioevo, la base dell'economia in un'economia di sussistenza, quale basata sulla soddisfazione dei bisogni elementari. Il verbo latino che esprime l'idea del lavoro, laborare, significa essenzialmente lavorare la terra, dissodarla, rivoltarla.

L'inclemenza del tempo dovuta a piogge eccessive, siccità, e l'insorgenza di malattie di piante o attacchi di insetti, poteva far scendere i raccolti al di sotto del minimo di sussistenza; per l'uomo dell'XI secolo si trattava di carestie generali.

Naturalmente le carestie generali, come quelle del 1005-1006, 1032-33, 1043-45 e 1090-95 mostrarono effetti catastrofici a causa della ripetizione di cattivi raccolti e lasciarono i periodi intervallari in uno stato di desolazione e di fame.

Durante la carestia del 1032-33, scrive Raoul Glaber [3]: «dopo aver mangiato le bestie selvatiche e gli uccelli, gli uomini si misero, sotto la sferza di una fame divorante, a raccogliere, per mangiarle, ogni sorta di carogne e di cose orribili a dirsi. Certi, per sfuggire alla morte, ricorsero alle radici delle foreste e alle erbe. Una fame rabbiosa spinse gli uomini a cibarsi di carne umana. Viaggiatori erano rapiti da uomini più robusti di loro, le loro membra troncate, cotte sul fuoco, divorate. 

Molte persone che si trasferivano da un luogo all'altro per fuggire la carestia e lungo il cammino avevano trovato ospitalità, furono sgozzate durante la notte e servirono di cibo a coloro che le avevano accolte.

Molti, mostrando un frutto o un uovo a qualche bambino, lo attiravano in luoghi appartati per massacrarlo e divorarlo. In molti posti i corpi dei defunti furono strappati alla terra e anche essi servirono a placare la fame.  

Nella regione di Macon molti traevano dal suolo una terra bianca simile ad argilla e la mescolavano con quel tanto di farina o di crusca che avevano e con questo miscuglio facevano pani grazie ai quali contavano di non morir di fame; pratica che peraltro dava soltanto una speranza di salvezza e un sollievo illusorio. Non si vedevano che visi pallidi ed emaciati; molti avevano la pelle tesa da gonfiori; le voci stesse erano diventate esili, simili al fioco grido di uccelli morenti...».  

  

Si aggiungano i danni legati alle occupazioni dell'aristocrazia: la guerra (con l'incendio e la distruzione dei raccolti, degli edifici, dei villaggi) e la caccia (immense tenute sottratte all'espansione lavorativa dei contadini). Inoltre l’azione della Chiesa, con l'obbligo di pagare le decime sui prodotti della terra e sul bestiame, è addirittura paralizzante.

è da notare altresì che l'XI secolo appartiene all'epoca delle paure collettive, è quello in cui il diavolo prende il posto nella vita quotidiana; gli uomini trovano rifugio e speranza 

                                                                            Assedio

solo nel soprannaturale; cresce la sete dei miracoli, s'intensifica la caccia alle reliquie, ci si abbandona al misticismo. Il disprezzo del mondo, il contemptus mundi, trova eloquente espressione in vari autori ma sopratutto in Pier Damiani [4] (1007-1072).

  

Importanti sono lo sviluppo e l'espansione demografica

 

Già manifestatasi nei primi decenni del secolo XI, essa appare in continuo aumento e viene a sopperire ampiamente le perdite dovute all'epidemie, alle carestie, all'endemica fragilità costituzionale.

Parallelamente o, per meglio dire, alla base, sta un miglioramento dell'agricoltura che, apportando nuovi e più redditizi metodi e strumenti, incrementa anche il progresso artigianale e industriale. Questa espansione demografica ed economica permette la formazione e lo sviluppo di centri di consumo: le città, dove si svolgono esperienze tecniche, sociali, artistiche, intellettuali.

Conseguentemente aumentano di circa un terzo il numero delle bocche da sfamare, dei corpi da vestire, delle famiglie cui dare alloggio, mentre le campagne si spopolano.

Contadini al lavoro

Lo sviluppo agricolo portò ad un diverso trattamento del terreno, una diversità di utilizzazione dei cereali. Mentre nella Germania Settentrionale, in Scandinavia, in Inghilterra, primeggiava l'orzo, come principale cereale panificabile in Polonia, ad esempio, si ebbe il passaggio dalla coltura del miglio a quella di cereali, tra i quali la segale, comparsa come erba parassita mescolata al frumento e che assumeva una posizione di primo piano.  

L'arricchimento dell'alimentazione dovuto a questi progressi dell'agricoltura generalizza l'uso del pane, ma naturalmente aumenta il consumo di cereali contaminati dalla claviceps purpurea.

 

  


3 Raoul Glaber, o Rodolfo il Glabro (Glaber Rodulfus), monaco borgognone, cronista, nato verso la fine del X secolo. Aveva appena dodici anni quando suo zio, un monaco, lo fece entrare nel monastero di Saint-Léger de Champeaux, da dove venne espulso per l’irregolarità della sua condotta. Entrò allora nel monastero di Notre-Dame du Moutier and St-Benignus di Digione (1025-30). L’abate Guglielmo divenne suo amico e lo accompagnò in Italia, a Susa, nel1028. Risedette temporaneamente a Bèze tra il 1025 e il 1028, e poi passò a Cluny (1031-33), sotto il governo di san Odilone. Infine divenne monaco di Saint-Germain d'Auxerre (1039-40), dove i monaci gli fecero restaurare o comporre le iscrizioni dei numerosi altari e delle tombe dei santi colà sepolti. Soggiornò anche al monastero di Moutiers (Meleredense caenobium). Morì a Cluny nel 1050 circa.

Era orgoglioso, indocile, di spirito inarrestabile. Si dice fosse molto superstizioso. Scrisse Wilhelmi abbatis gestorum liber (pubblicato in Mabillon, Acta sanctor., ord. S. Benedicti, s. VI, t. I, p. 320, e in  Acta sanctorum, janv., t. I, p. 57), e Historiarum libri quinque ab anno incarnationis DCCCC usque ad annum MXLIV, in 5 libri (pubblicato da Pithou nel 1596). Una storia del mondo allora conosciuto, con inesattezze e carenze cronologiche e geografiche, ma importante per usi e costumi dell’epoca.

4  Pier Damiani (Ravenna 1007 - Faenza 22/2/1072). Monaco e santo italiano. Di famiglia poverissima, studiò e insegnò a Parma e a Ravenna. Si ritirò nell'eremo di Fonte Avellana dove ben presto divenne priore (1043). Intraprese in questo periodo una incessante attività contro la decadenza morale del clero. Nominato vescovo di Ostia suo malgrado, entrò nel gioco politico delle elezioni pontificie.

  

©2005 Raimondo G. Russo

  


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