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     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


  


Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. LE EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


3.2 Assistenza e cura [5]

 

I trattati di medicina, che in un primo tempo erano scarsamente rappresentati nelle raccolte dei conventi, venivano più che altro trascritti per l’uso pratico dei medici-monaci.

La trasmissione dei testi di medicina più importanti è merito precipuo dei monasteri orientali.

Si possono così ricordare il convento Leimon a Lesbo, quello di San Giovanni a Patmos, la biblioteca del convento-fortezza di Mar-Saba, fondato in Palestina dall’Eremita Sabas (ca. 439-532).

La massima importanza per la trasmissione del patrimonio scientifico dei medici antichi spetta però ai conventi di Monte Athos.

Uno dei più famosi codici di scienze mediche e naturali è l’erbario di Dioscoride, salvato per merito del convento Prodromo di Costantinopoli ed oggi conservato a Vienna.

Celebre fu anche la biblioteca del convento di Betlemme, che probabilmente conteneva le opere di Galeno.

Importantissimi furono i conventi italiani di Vivarium, Fondi, Alatri, Orta ecc., fondati nel VI secolo.

Si ricorda anche il celebre monastero di Bobbio, la più antica abbazia del regno longobardo, fondata da un monaco irlandese, san Colombano, nel 612.

Il periodo di splendore dei trascrittori monastici fu dall’VIII al XII secolo: nell’ultimo periodo ebbero prevalenza i trascrittori di Montecassino e Salerno.

  

Assistenza monastica ai malati

Già san Pacomio, nella più antica regola monastica conosciuta, nel 315, conteneva alcuni precetti sulla cura dei confratelli ammalati. I monaci infermi, alloggiati in apposito edificio, dovevano seguire le norme dietetiche osservate nel convento.

Sembra però che il santo avesse osservato che l’assistenza dei malati non era compito dei monaci, bensì del clero e dei vecchi devoti.

Abbiamo indicato più sopra come venissero a conformarsi i primi ospizi (xenodochi) fino a costituire i primi “ospedali” per i pellegrini ed i forestieri oltre ai poveri e agli infermi locali.

Quello che appare è che tali istituti continuarono a formarsi e a sostenersi coi mezzi forniti dalla Chiesa e dallo Stato ed erano generalmente posti sotto la sovrintendena dei singoli vescovi e delle autorità civili locali.

Da una predica di san Basilio si comprende che il personale d’assistenza negli xenodochi era formato da laici.

Nella Historia Lausica del vescovo Palladio (ca. 364 – 431) vengono indicate le mansioni del medico o dell’infermiere, e si informa che comunque i monaci davano spesso assistenza e alloggio negli atri delle chiese ai malati poveri.

Sono state descritte quali “miracoli” alcune guarigioni ottenute dagli eremiti del deserto egiziano. Sono anche documentate guarigioni di paralitici in seguito a veri e propri trattamenti terapeutici (applicazione di pomate, massaggi con olio benedetto).

Risulta che i monaci, erranti di chiostro in chiostro, esercitavano spesso la medicina durante le loro peregrinazioni, mentre i monaci egiziani si dedicavano soltanto occasionalmente all’assistenza dei malati, a differenza di quelli siriani.

Durante una carestia il siriano san Efrem (ca. 306 – 373) fondò a Edessa  un ospedale capace di accogliere 300 malati. In seguito Rabbula, vescovo di Edessa (m. 435) sviluppò ulteriormente tale fondazione, giungendo ad avere tre ospedali: uno per uomini, gestito da monaci; uno per donne, gestito da suore, ed un lebbrosario, affidato ad un gruppo di monaci.

Dagli scritti del vescovo Giovanni d’Efeso (m. 586) risulta che  quasi tutti i monasteri della Mesopotamia e della Cappadocia avevano locali per gli infermi ed in seguito i monaci di quei conventi fondarono ospedali  in molte grandi città dell’Occidente.

Si ricorda Teodosio, originario della Cappadocia (ca. 424 – 529), che fondò  presso Gerusalemme l’ospedale di Der-Dosi i cui ruderi sono ancora visibili: c’erano tre ospizi (per monaci, pellegrini, mendicanti), tre ospedali (per monaci, poveri, benestanti), un ricovero per monaci vecchi e un reparto per psicopatici.

Delle Istitutiones divinarum et saecularium litterarum di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro abbiamo già detto più sopra.

Sorano di Efeso

Esse rappresentarono il tipico libro di testo di una scuola medievale: per quanto riguarda la medicina, egli prese a modello la scuola di Nisibi (Siria orientale), dove tale materia era insegnata nello xenodochio, nelle versioni greche e latine dei classici (Ippocrate, Dioscoride, Galeno) ed alla traduzione di Sorano di Efeso, considerato il padre della ostetricia e della ginecologia, compiuta da Celio Aureliano (V secolo).

Merito di Cassiodoro fu certamente quello di diffondere le conoscenze mediche “classiche”; comunque fu per suo impegno e ordinamento che vennero  messe a disposizione le strutture mediche, balneari ed i prodotti alimentari del convento.

Oltre a quello di Vivarium (in Calabria) si ricordano gli altri conventi con installazioni terapeutiche e  di assistenza ospedalieriera: Thevesse (Tebessa) in Numidia; la Basilica di San Menas, presso Alessandria; il monastero di santa Caterina, tra l’Egitto e la Palestina; la chiesa ed il convento di Maria Nea, a Gerusalemme e via via gli altri a partire dal VI-VIII secolo, in altre vie di pellegrinaggio, come a Murbach nei Vosgi, chiamato «Vivarium Peregrinorum» a ricordo degli insegnamenti di Cassiodoro.

Gli orti dei semplici e le farmacie dei conventi erano importantissimi elementi della medicina monastica. Nell’Alto Medioevo, gruppi di monaci conducevano vita randagia e si nutrivano esclusivamente di piante selvatiche, donde i soprannomi dati loro di “boskoi” e “pabulatores”. 

Anche per le provviste delle erbe intercorrevano stretti rapporti fra i conventi di Oriente e Occidente.

Gregorio di Tours (538/9 – 594) riferisce che tramite gli eremiti egiziani, i monaci della zona di Nizza importavano regolarmente dal paese d’origine le radici e le erbe.

Quando tali rapporti vennero ostacolati o interrotti a seguito delle conquiste compiute dagli Arabi nell’VIIII secolo, i monaci, preoccupati dai danni che si potevano avere nella medicina e nella terapia, iniziarono a coltivare piante mediche o ad utilizzarne di simili.

Alla stessa epoca appartengono due codici erbari: 1) il codice cassinese di Dioscoride, in scrittura longobarda e 2) il codice sangallese dell’erbario dello pseudo-Apuleio.

  

Attività medica monastica

Il XXXVI capitolo della regola benedettina si intitola De infirmis fratribus: la regola monastica era impostata all’assistenza degli infermi, in onore di Dio. Essi stessi non dovevano, per altro, riversare sui monaci le loro “indiscretezze”; era raccomandata la pazienza e aver cura sia del ricovero, sia dell’igiene sia del vitto.

Perlomeno fintanto che non erano in guarigione!

L’assistenza sanitaria venne poi limitata, in molti conventi, ai membri della comunità monastica e vennero elencate norme precise: il salasso in certe stagioni, purganti ad intervalli regolari. I malati poveri esterni erano trattati ambulatoriamente alla porta del convento.

Il beato Notkero Balbulo (m. 912) del monastero di San Gallo scrisse argomenti medici nelle Sequentiae,  e si dedicò totalmente ai malati, seguendo in ciò l’esempio dei suoi due predecessori l’Abate Othmar (m.759) che si dedicò completamente ai malati poveri ed al lebbrosario, ed il medico-monaco Iso (m. 871) dedito ai pellegrini ed all’insegnamento della medicina. Simile era l’organizzazione sanitaria nel convento di Marmoutier, ove i monaci cluniacensi si dedicavano con tale devozione ai malati, da uscire dal convento per l’assistenza, contravvenendo così ai fini

Corso di medicina

religiosi. Il monaco Radulfus Malacorona (prima metà XI secolo) implorava dal cielo la lebbra, per poter assistere i malati fuori dal convento.

Dopo il triplice divieto di papa Innocenzo II, negli anni 1130-1143, di esercitare la medicina come fonte di profitti materiali, vi fu un ritorno all’ascetismo, soprattutto da parte dei Cistercensi, ed a rinnovate attività mediche all’interno dei conventi.

  

Si svilupparono le infermerie che fungevano da ricovero e cura, anche per lebbrosi e appestati. Si può ricordare quella del monastero di Ourscamp (sopra), tra le più grandi, potendo contenere fino a 100 degenti: fu fondata nel 1129 e distrutta durante la rivoluzione francese.

I medici-monaci potevano uscire dal convento soltanto per curare i malati nelle vicinanze del convento.

Recenti ritrovamenti hanno dimostrato che anche l'attività chirurgica era sviluppata: si potevano effettuare ad es. trapanazioni, trattamento di fratture complicate, drenaggio delle osteomieliti. Sono stati ritrovati anche cateteri di piombo, aghi da esplorazione, fili metallici.

Tra  i più celebri abati-medici benedettini si ricordano Adalrico (m. 768), del convento di S. Vedasto (Arras), Dido (m. 866) di Saint-Pierre a Sens, e san Bertario (856-883) a Montecassino. Celebre medico fu anche Baldovino di Chartres (m. 1097/1098) che curò, con successo, i re sant'Edoardo il Confessore e Guglielmo il Conquistatore.



5 A. Castiglioni, Storia della Medicina cit., pp. 263-266. H. Caprez, Il monachesimo medioevale cit., pp. 1127-1136. Id., Assistenza ai malati e medicina monastica fino al IX secolo cit., pp. 1138-1144. Id., L’attività medica dei Benedettini e dei Cistercensi cit., pp. 1145- 1148.

 

 

©2004 Raimondo G. Russo

  


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