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  a cura di Giuseppina Deligia

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San Pietro di Zuri.

 

   

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Zuri  Zuri

 

L'abside  Dettaglio della ghiera dell'arco centrale  Particolare della cornice  Particolare di un capitello interno

    

 

     

L’edificio sorge all’interno dell’abitato di Zuri (frazione di Ghilarza) di cui è la parrocchiale.

L’impianto tardoromanico ad aula mononavata, con copertura lignea e paramenti in conci di media pezzatura accuratamente tagliati nella trachite rossa delle cave di Bidonì, è datata al 1291 dall’epigrafe che celebra il maestro Anselmo da Como e la badessa committente Sardinia del Lacon e che recita:

ANNO D(OMI)NI MCCXCI/FABRICATA E(ST) H(AEC) ECCL(ES)IA ET CO(N)SE/CRATA IN HONO(R)E BEATI PETRI/AP(OSTO)LI DE ROMA SUB (TEM) P(O)R(E) IV/DICI(S) MAR(IANI) IVDI(CIS) ARBOREE ET/FR(ATR)E IOH(ANNE)S E(PISCO)P(V)S S(AN)C(TA)E IVST(A)E EO/DE(M) T(EM)P(O)R(E) ER(A)T OP(ER)ARIA ABADISSA/DOM(IN)A SARDIGNA D(E) LACO(N)./MAG(ISTE)R A(N)SELEM(VS) D(E) CUMIS FAB(R)ICAVIT.

Non sono documentate altre opere di Anselmo ed è ancora tutta da verificare l’ipotesi che al Maestro si debba la facciata duecentesca della cattedrale di S. Pietro a Bosa, anche se è innegabile una certa vicinanza dei due edifici.

La pianta di quest’edificio, con quella del quasi coevo S. Francesco di Stampace a Cagliari, portò nell’Isola un’eco diretta delle piante generatrici di spazi unici allungati che in quel periodo si andavano diffondendo sulla terraferma.

Essa, infatti, ha una lunghezza circa quattro volte maggiore della larghezza, quando in età romanica questo rapporto era sempre stato di uno a due, o al massimo di uno a tre.

La sua larghezza non è, però, proporzionale alla sua ingente lunghezza; questo perché alla misura gotica (lunghezza 4; larghezza 1) si accompagna una cubatura ancora romanica (larghezza 1; altezza 1).

La facciata è divisa in due ordini; quello inferiore, con zoccolo a scarpa sagomata, è movimentato da tre arcate, modanate a toro multiplo e sopraccigliare.

Nell’arcata centrale si apre il portale lunettato  che ha gli stipiti ribattuti da un robusto torciglione (che ritroviamo anche in una ghiera dell’arco di scarico) e nel cui architrave sono scolpiti ad altorilievo le effigi di S. Pietro, della Madonna col Bambino, degli Apostoli e di una figura femminile inginocchiata (identificata comunemente con la committente, la badessa Sardinia de Lacon), tutti con le teste nimbate e incassate nel busto, quasi non avessero collo.

I fregi a più risalti, contigui all’architrave, presentano teste umane sovrapposte a foglie d’acanto appallottolate.

Nella parte superiore (risalente al 1504), quasi del tutto liscia (se non fosse per la teoria di archetti intrecciati che corre lungo gli spioventi del tetto), si apre una finestra rettangolare che sostituì la bifora originaria, i cui frammenti sono ancora conservati all’interno.

Parallelo alla facciata, sul lato sinistro, si erge il maestoso campanile a vela, diviso in due ordini (ognuno con due alloggiamenti per le campane) e databile entro il XV secolo.

Ogni lato è diviso in quindici specchi da lesene sensibilmente aggettanti che sostengono, mediante capitelli variamente decorati (a crochet, foglie d’acanto dalla cima riversa), gli archi a doppia ghiera.

Sotto i terminali del tetto ritroviamo la teoria di archetti intrecciati (che si riscontra anche nel S. Pietro extra muros a Bosa).

Nelle fiancate si aprono i portali laterali, che utilizzano come stipiti le basi delle lesene, e quattro (due per parte) finestre trilobate con ampio davanzale inclinato.

All’esterno la chiesa conserva il ciclo di decorazione scultorea, coevo alla fabbrica duecentesca, fra cui sono da evidenziare: in facciata, Daniele nella fossa dei leoni, e nel fianco meridionale, il cosiddetto “ballo sardo”, teoria di figure maschili,col capo coperto dalla tipica berritta, e femminili con mani allacciate nell’atteggiamento della danza.

Tutte queste sculture sono sentite per masse sode ed i dettagli, quali occhi e bocche, sono evidenziati a graffito sulle superfici dei volumi. Lo stesso modellato dei fregi moltiplica le superfici lisce e rotondeggianti allo scopo di meglio riflettere la luce.

L’abside ha pianta semiesagonale e copertura a catino emisferico. Anche qui ritroviamo la ripartizione in specchi, precisamente tre: in quello mediano si apre una monofora trilobata con strombo che incassa a toro multiplo e in quelli laterali degli oculi con rosoni.

L’attuale posizione dell’abside a nord non è originaria, ma frutto della ricostruzione anastilotica dell’edificio avvenuta fra il 1923 e il 1925, quando la chiesa è stata trasferita dal sito storico di Zuri all’odierno, per evitare che fosse sommersa dalle acque del lago Omodeo, bacino artificiale del Tirso. Già precedentemente, prima del 1336, l’abside richiedette un intervento di recupero perché andata in rovina visto che priva di fondamenta (come si poté constatare durante la ricostruzione degli anni ’20 del secolo scorso).

L’interno, alquanto spoglio, si caratterizza per la soluzione d’innesto dell’abside al muro, nei due punti in cui da una semicolonna nascono un archetto e la più esterna delle ghiere a toro multiplo, che segnano l’arco frontale del catino, impostato su cornice pure modanata.

In età aragonese, nella parete destra dell’abside fu ricavata una nicchia, basata a sinistra su un piastrino ofitico che replica quello di destra, probabilmente asportato dal vertice della facciata originaria.

Consiglio vivamente una visita a questa chiesa perché merita di essere ammirata in quanto testimonianza di una civiltà ricca di cultura e tradizione.

   

TESTI DA CONSULTARE

  

R. Delogu, L’Architettura del Medioevo in Sardegna, Roma 1953;
C. Maltese Arte in Sardegna dal V al XVIII, Roma 1962;
R. Serra, La Sardegna, in Italia Romanica, vol. X, Torino 1984
R. Coroneo, Architettura Romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro 1993.
A. Ingegno, Storia del Restauro dei Monumenti in Sardegna dal 1892 al 1953, Oristano 1993.

               

   

   

©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.

               


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