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  a cura di Giuseppina Deligia

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Santa Maria di Tergu, facciata e campanile.

   

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Castelsardo  Castelsardo  Castelsardo

 

L'ordine superiore  Particolare dell'oculo  Particolare di un capitello

    

 

     

La chiesa, oggi a croce commissa, era originariamente ad aula unica conclusa da abside semicircolare e copertura in legname.

L’intera fabbrica è in rossa trachite ad eccezione di alcuni elementi decorativi della facciata, quali le ghiere degli archi, i capitelli delle paraste angolari e le colonnine con annessi capitelli del secondo ordine (tutti in calcare bianco).

La facciata priva del frontone, di cui restano soltanto le basi di due colonnine, è divisa in due ordini da una modanatura (sempre in calcare bianco) con un fregio ad ovoli classici, foglie d’acqua e caulicoli.

L’ordine inferiore è mosso da tre arcate scolpite in calcare bianco; quella centrale è sostenuta da due colonnine, con capitello corinzio decorato con foglie d’acanto, che inquadrano elegantemente la porta con architrave monolitico in trachite, sostenuto da capitelli calcarei ornati con foglie e con caulicoli, su cui poggia l’arcata di scarico a cunei alternati, chiari e scuri, contornata da una cornice in calcare bianco intagliata con un fregio fitomorfico simile a quello della modanatura.

La parte superiore, che nasconde gli spioventi del tetto retrostante, è animata da cinque arcate bianche sostenute al centro da quattro esili colonnine, di cui le mediane a fusto dritto e le laterali a fusto spezzato, con capitelli a foglie ritorte .

Al centro dell’arcata mediana si apre un bel rosone bianco a quattro lobi con ghiera esterna modellata a ovoli, così come i lobi stessi. Tra le arcate e sopra di esse sono visibili delle formelle intarsiate con ruote e motivi geometrici.

I lati della navata sono decorati con una teoria di archetti pensili e divisi da lesene in quattro specchiature in cui s’aprono altrettante monofore centinate  a doppio strombo.

In entrambi i lati si apre un piccolo portale d’accesso con architrave a timpano rialzato che, come fa notare la Serra (1984, pp. 420-421), trova riscontro in quello del S. Michele di Salvenero.

Nel transetto e nell’abside quadrangolare si nota una diversa pezzatura e messa in opera del materiale lapideo rispetto alla navata e alla facciata, tale differenza è visibile anche all’interno ed è da riferire all’ampliamento avvenuto in epoca gotica.

Dietro il transetto, nel lato sinistro, è visibile il tozzo campanile a canna quadrata, diviso da modanature in quattro ordini.

Una volta all’interno ci si rende conto di quanto questo sia semplice e suggestivo; il paramento murario infatti è completamente liscio se non fosse per le lesene che dividono, come all’esterno, come all’esterno, i lati della navata in quattro sezioni e per la modanatura cui s’attaccano le lesene.

La copertura è a capriate lignee, mentre la zona presbiteriale è coperta con volta a botte in cui predomina il colore bianco.

Vicino all’ingresso principale, nel lato destro della navata, è visibile un’antica iscrizione, ormai quasi illeggibile:

A. EGRILIVS A. F.
PLARIANVS
DECVRIAL. SCR. CER. ET
CL. TIFHERMIONE

FECERVNT

CL. TIF. IRENAE
LIB. LIBERTABVS. POSRISQ. EORVM

Il cippo annunzia la presenza di un sepolcro di famiglia eretto da Aulo Egrilio, figlio di Aulo Plauriano, e da Claudio Tifermione a Claudia Tifermione Irene, e ai liberti, liberte e loro posteri.

Lo Spano (1860, pp. 139-144) ritiene che questo Egrilio Plariano fosse un notaio o uno scriba di Cerico (antico nome di Tergu) interpretando così l’abbreviazione Cer. presente nell’epigrafe e poiché l’autore si definisce Decurial egli lo ritiene uno scriba decurialis, ossia colui che doveva scrive i nomi dei soldati arruolati nella matricola.

Le analogie della facciata di Tergu con quella della SS. Trinità di Saccargia sono state evidenziata già a partire dallo Scano (1907, pp. 198-200).

All’altezza dell’ingresso, sulla destra, sono visibili i resti dell’antico monastero cassinese (oggi oggetto di scavi) che fu non solo il più ricco, ma anche quello maggiormente legato alle vicende politiche dell’Isola, tanto che il suo abate fu insignito del titolo di legatarius venerabilis patris domini abbatis Monticassini nei confronti dei monasteri minori come quelli di S. Niccola in Solio e di S. Pietro di Nurchi.

Va anche ricordato che la nostra abbazia figura al primo posto fra le filiazioni sarde celebrate nelle porte bronzee di Montecassino: IN SARDINIA/S(AN)C(T)A MARIA IN/THERCO CUM/PERTINENTIIS SUIS.

La data dell’erezione di quest’edificio è resa incerta da una lacuna presente nello Pseudo Condaghe di Tergu; comunque la critica concordemente la vuole eretta nel 1117.

Callisto II, nella bolla del 1122, inserisce la chiesa di Tergu prima di tutti gli altri monasteri sardi e la stessa cosa fanno i suoi successori Anastasio IV, Alessandro III, Innocenzo III, Onorio III, Urbano V e Sisto IV.

La posizione di spicco di cui godeva il monastero di Tergu indusse le autorità competenti a sceglierlo addirittura come il luogo d’esilio per l’abate di Montecassino Teodino de Capestrello che si era schierato con gli imperiali di Manfredi.

Nel 1443, con bolla di Eugenio IV, i beni di questa badia furono aggregati alla mensa dell’arcivescovo turritano; il monastero decadde così d’importanza (la presenza di un abate è testimoniata fino al 1448) e la chiesa venne alterata con aggiunte e manomissioni.

Successivamente Giulio II, con bolla del 26 novembre 1503, aggregò quest’abbazia alla sede d’Ampurias che in quell’anno si era trasferita al castello aragonese, ossia l’odierna Castelsardo.

    

TESTI DA CONSULTARE

  

G. Spano, Città di Cerico e Iscrizione Romana, in «Bollettino Archeologico Sardo», Cagliari 1860, pp. 
                       139-144;
D. Scano, Storia dell’Arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari 1907;
A. Saba, Montecassino e la Sardegna Medioevale , note storiche e Codice Diplomatico Sardo-Cassinese
                       Montecassino 1927;
A. Sanna - A. Boscolo, Libellus Judicum Turritanorum, Cagliari 1957;
R. Serra, La Sardegna, in Italia Romanica, vol. X, Torino 1984.  

               

   

   

©2006 Giuseppina Deligia, testo e immagini. Vietata la riproduzione non autorizzata.

               


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