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a cura di Stefania Mola

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La facciata esterna

 

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Brindisi: in alto la zona di Santa Maria del Casale

  

Esterno  Prospetto  Protiro pensile del prospetto  Particolare del paramento murario  Particolare del paramento murario

   

Interno, verso il presbiterio  Particolare dell’arco trionfale  Particolare dell'interno  Particolare di un capitello  Particolare di un capitello  Particolare del chiostro  Particolare del chiostro

  

  

     

LA SCHEDA

Il luogo

Il ruolo di Brindisi nel sistema viario della regione pugliese è indiscusso da tempi antichissimi, tant’è che proprio per l’esigenza di raggiungere questa meta nel più breve tempo possibile all’originario tracciato della via Appia si affiancò in un secondo momento quello della Traiana. L’itinerario proveniente da Roma concludeva idealmente il suo percorso davanti al porto, laddove si concretizzavano le aspirazioni, i desideri e le necessità delle moltitudini di viaggiatori diretti ad Oriente; lì si aprivano, in prospettiva rovesciata, le porte dell’Europa per quanti fossero di ritorno dai luoghi santi o in procinto di raggiungere le grandi mete europee di pellegrinaggio.

Nella città misero gradualmente radici i ricordi e le memorie di quell’Oriente verso il quale l’intera Puglia idealmente si protende, le cui tracce monumentali sono ravvisabili ad esempio nel cosiddetto portico della residenza dei Cavalieri Templari (XII secolo) o nella chiesa di S. Giovanni al Sepolcro. Una memoria assai particolare per il culto e la tradizione popolare è costituita ancor oggi da un vaso di porfido, conservato nell’Arcivescovado brindisino, che viene nientemeno indicato come una delle idrie delle nozze di Cana; se ne trova menzione già nell’Itinerario di Giovanni e Anselmo Adorno del 1470, e in molti testi storici locali che attestano la devozione dei fedeli brindisini a questa particolare reliquia che la tradizione vuole sia stata portata in città dai Crociati di ritorno  dalla Terra Santa.  Ed è suggestivo che  una delle tappe ufficiali del Giubileo del 2000, la chiesa di Santa Maria del Casale - che si trova a pochi chilometri dalla città, seguendo la provinciale per S. Vito - abbia al suo interno un affresco con la scena delle Nozze di Cana nel quale le sei idrie rivestono il ruolo di protagoniste. Che è solo uno tra i tanti rimandi del ricco gioco di metafore e di allusioni indecrittabili affidate all’iconografia di questa chiesa; la quale, eretta in età angioina  da Filippo principe di Taranto e teatro di un celebre processo ai Cavalieri Templari, è uno di quei luoghi dove reale ed immaginario si incontrano, e dove ogni “giudizio”, lungi dal riuscire a cancellare le colpe dei dannati, piuttosto che a consegnare all’oblio e alla damnatio memoriae, pare esorti a non dimenticare.

Santa Maria del Casale: particolare delle idrie nella scena delle Nozze di Cana

Leggenda, devozione e storia

Si narra che san Francesco d’Assisi, reduce da un viaggio a Gerusalemme, dopo aver girovagato per tutto il giorno tra le viuzze della Brindisi medievale predicando ed esortando al bene, al calar della sera - dovendo pensare al suo riposo corporale - avesse deciso di rifugiarsi nella penisoletta a destra della città dove, intorno ad un’edicoletta con la sacra immagine della Madonna, sorgeva la borgata detta il Casale. Al suo risveglio il Santo avrebbe osservato con sorpresa una tela di ragno che, come un velo, occultava la vista della Vergine e, con umiltà, avrebbe parlato a frate ragno che per tutta risposta rimangiò i fili della sua tela liberando la sacra effigie.

Così la tradizione racconta di una sacra immagine e di una cappelletta che sarebbero stata all’origine della fondazione della chiesa intitolata a Santa Maria del Casale. E così precisa in pieno Seicento il padre carmelitano Andrea Della Monaca, che conferma come «eravi all’hora una picciola cappella con l’imagine di nostra Signora, per mezzo della quale si compiaceva Iddio mostrar molti miracoli, la fama de’ quali mosse quei pietosi signori di edificarvi un tempio, che racchiudesse la picciola cappella nel mezzo, circondandola per maggior riverenza d’una grossa rete di ferro, benche hoggi sia stata tolta l’Imagine con tutto il muro in cui era dipinta, e portata all’altare maggiore per darli luogo piú nobile, e piú adorno. Vi si celebra ogn’anno la festività della Natività della gloriosa Vergine con universal concorso de’ popoli salentini. Questa devotione è stata dal principio della detta chiesa, come dimostrano le diverse insegne, e arme de’ prencipi, che per voto, o per segno d’haver visitato quel santo tempio vi lasciaro dipinte su le mure con i loro nomi».

I «pietosi signori» di cui si parla sono i principi di Taranto Filippo e Caterina, che altre fonti indicano aver fondato la chiesa - a cavallo tra XIII e XIV secolo - come soluzione del voto fatto per avere un figlio. Già ai primi del Trecento, ben prima degli atti di munificenza che si è soliti legare alla liberalità dei principi di Taranto, la chiesa è sede estiva dei vescovi brindisini; come racconta ancora il della Monaca «si vede sin’ad hoggi [1674] in quella chiesa in luogo sublime sopra un palco la statua della predetta Caterina imperatrice moglie di Filippo fondatore di essa, e la principal cappella è da loro detta imperiale. Fu data dal principio da quei devoti signori la giurisdittione di questa lor chiesa a gl’arcivescovi brundusini, i quali continuamente sin’a tempi nostri l’han posseduta, e possedono».

I locali annessi erano in grado d’ospitare non solo l’arcivescovo ma l’intero suo seguito; è qui, nel 1310, che alloggiano i componenti del tribunale incaricato di processare i Templari del Regno di Sicilia. Sono anni, insomma, in cui la chiesa pare «egualmente cara ai principi di Taranto e agli arcivescovi brindisini tanto che le concessioni dei primi sono spesso condizionate all’impegno che assumono i secondi di curarvi la celebrazione di messe quotidiane in ricordo di Filippo e dei suoi successori».

Il convento annesso alla chiesa, invece, fondato dai Minori Osservanti qui chiamati nel 1568 dall’arcivescovo Bovio, fu completato dai Minori Osservanti Riformati fra 1635 e 1638. Lo ricorda ancora una volta il Della Monaca nel 1674, quando riferisce che la chiesa «è hoggi servita da’ padri riformati di San Francesco, che vi hanno un nobilissimo monasterio, successi in quello a Padri Osservanti dell’istesso ordine, ch’a differenza de’ reformati son detti della fameglia». I frati trasformarono nel tempo la chiesa addossando altari alle pareti e, conseguentemente, danneggiando vaste aree affrescate. Mantennero vivissima la devozione mariana e la funzione di chiesa di pellegrinaggio, conferendo alla festa della Natività della Vergine, l’8 settembre, un ruolo di grande richiamo grazie alla concomitanza di una fiera «alla quale concorrono molti mercanti forestieri».

Vedi anche, nel sito: Pavimenti musivi figurati. Brindisi, Cattedrale (di Luisa Derosa).

  

Le immagini che corredano questa pagina (ne sono autori Nicola Amato e Sergio Leonardi), sono tratte da volumi di Mario Adda editore, Bari.

   

©2002 Stefania Mola

   


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