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a cura di Danilo Tancini

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La facciata anteriore dell'Abbazia

  

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Panoramica  Veduta esterna dell'abside  Lato ovest  Resti dell'antico oratorio di Santa Giustina

 

Veduta del chiostro  Il campanile  Veduta della navata centrale  Affresco dell'abside

 

Capitello: particolare con aquila  Capitello: particolare con testa di scimmia  Acquasantiera ovest  Acquasantiera est

 

Abside: particolare dell'affresco  Abside: particolare dell'affresco  Abside: particolare dell'affresco  Abside: particolare dell'affresco

  

 

     

LA STORIA

«Gioiello del romanico lombardo», così Federico Farina sottotitola la sua guida storico-artistica (Edizioni dell'Abbazia) dedicata all'abbazia di Piona, e proprio di un gioiello si tratta nonostante le vicissitudini della sua storia.

Posta sulla radura della collina di Olgiasca, nella parte nord di «quella sponda del lago di Como che volge ad oriente», si protende verso le cittadine di Dongo e Gravedona, sull'altra riva del lago, quasi a volerle incontrare.

La prima documentazione storica della presenza di una comunità monastica in questa terra è costituita da un cippo fatto scolpire dal vescovo di Como Agrippino (607-617) nel decimo anno del suo mandato, nel quale si ricorda l'erezione e la dedicazione di un oratorio dedicato a santa Giustina martire. Conferma dell'esistenza di tale edificio ci viene dal Tatti il quale, nell'elencare i monasteri della diocesi, afferma, senza citare la fonte, che nell'824 il primo monastero che si incontrava sorgeva a Piona e portava il nome di santa Giustina. Di questo edificio resta una piccola abside posta in posizione rialzata poco discosta dal livello dell'attuale chiesa.

Alla fine del secolo XI, Piona fu inserita nel movimento della riforma cluniacense. Non esiste più l'atto ufficiale di adesione, ma dall'analisi dei documenti di altri priorati cluniacensi della zona, San Pietro di Vallate (1107), San Giovanni Battista di Vertemate (1084) e San Nicola di Figine (1107), si può asserire che anche la comunità monastica di Piona sia entrata nel movimento di riforma in quel periodo.

Pochi sono i documenti giunti fino a noi relativi a quel periodo di storia dell'abbazia, ma sufficienti a tracciare la parabola della vita che vi si svolgeva. Il più interessante è un documento della metà del XIII secolo in cui si menziona una tassa di 13 lire imperiali riscossa da Guglielmo da Lenora visitatore della casa madre di Cluny; in un altro documento del 1277 è attestata la presenza di otto monaci che osservavano regolarmente la regola monastica.

Tuttavia, il documento più importante è costituito dalla struttura stessa del monastero; infatti l'adesione alla riforma cluniacense non solo comportava l'invio di un folto numero di monaci dalla casa madre, ma anche una concezione nuova del monachesimo che si concretizzava in una disposizione delle strutture disposte in modo armonico e funzionale intorno al chiostro, che diventava punto di riferimento ideale della pianta e perno intorno a qui ruotava tutta la struttura.

Gli studiosi ipotizzano che i monaci di Piona siano intervenuti sull'oratorio di Santa Giustina in attesa della nuova chiesa che diverrà, secondo una prassi documentata, la prima delle quattro ali del monastero ad essere realizzata.

Dopo l'adesione al movimento della riforma cluniacense il monastero di Piona fu dedicato alla beata Vergine Maria e, sedici anni dopo, viene indicato come Ecclesia sancti Nicolai.

Il Giussani riferisce che nel 1906, mentre erano in corso i primi interventi di restauro della chiesa, venne alla luce un'iscrizione, oggi quasi totalmente illeggibile, con la data del 1138 come anno di consacrazione alla beata Vergine da parte del vescovo Ardizzone di Como, ma non si è in grado di stabilire se la dedica a san Nicola di Bari quale co-patrono, culto che tra l'altro è largamente attestato in zona in quanto protettore dei naviganti, avvenne in quella occasione o in un momento successivo. Certamente nel 1154 era già attestata la dedicazione, così come si ricava da un documento di vendita in cui si afferma «a mane sancti Nicolai de Piona».

Nel corso del XIV secolo cominciarono ad affiorare i primi sintomi di una decadenza alla quale la casa madre di Cluny tentò di porre rimedio con l'invio di sussidi in denaro per far fronte alla manutenzione dei fabbricati e al ripianamento dei debiti, e monaci per rinsanguare la comunità.

Nel XV secolo la situazione continuò a peggiorare. Da un documento del 1432, rinvenuto dal Giussano nell'archivio comunale di Como, risulta che, alla morte del priore Imblavado de' Caimi, ultimo monaco rimasto a Piona, il duca di Milano Filippo Visconti nominò, con atto del 20 febbraio 1432, un tale Stefano Castello quale amministratore economo dei beni del priorato.

Questa amministrazione provvisoria a Piona si protrasse per tre secoli provocando guasti che vengono più volte descritti nelle visite pastorali che si susseguirono dopo il concilio di Trento.

In queste visite l'antico priorato cluniacense viene descritto in uno stato di estrema povertà e di assoluto abbandono; significativi sono gli atti della seconda visita pastorale del vescovo di Como Feliciano Ninguarda, del 7 novembre 1593, dove si lamenta che "nel cimitero vi entrano bestie e le campane stanno per cascare".

A seguito della legge del 19 florile anno VI della Repubblica Cisalpina (8 maggio 1798 del nostro calendario) il Direttorio incamerava tutte le abbazie con decreto del 14 pratile (2 giugno).

Con atto notarile dell'11 aprile 1801 i fondi dell'ex priorato di Piona furono assegnati al cittadino grigionese Salis Tagstein. Dal Tagstein la proprietà passò alla famiglia Sacchi di Gravedona, poi ai Genazzini di Bellagio, quindi ai Pezoni e ai Casati di Gravedona, infine, nel 1904, alla signora Angela Rizzi in Secondi.

Il risveglio d'interesse per il patrimonio culturale che caratterizzò il 1800, attirò l'attenzione anche su Piona, che fu interessata da una serie di restauri che, pur tamponando i malesseri del tempo e dell'incuria, non riuscirono a restituire all'antico priorato la vitalità che lo aveva distinto nei suoi primi anni di vita. La sua vita sarebbe rinata da una terribile sciagura.

Il 12 novembre 1935 il commendatore Pietro Rocca, esponente di una famiglia imprenditoriale, acquisì la proprietà del monastero; il fratello di lui, Cesare, aveva ottenuto l'affidamento della costruzione di un tratto di strada in Etiopia, nella zona di Fil-Fil. In seguito il cantiere fu trasferito a Mai-Lalà, a poche centinaia di metri dalla prima linea dove allora era attestato il fronte italiano durante la campagna etiopica.

Nella notte tra il 12 e il 13 febbraio l'esercito etiopico compì una sortita nel cantiere uccidendo, tra gli altri, Cesare Rocca e la moglie Lidia Maffioli.

Dopo questa tragedia, il fratello Pietro e la madre Annetta Pogliani, per ricordare il sacrificio di Lidia e Cesare, decisero di affidare il monastero di Piona alla Congregazione di Casamari quale segno di purificazione e di perdono; gesto tangibile di superamento di ogni inimicizia.

Il 13 febbraio 1938, a due anni esatti dal massacro di Mai-Lalà, un gruppo di monaci provenienti da Calamari prese possesso dell'abbazia di Piona non solo riaprendola «al culto e offrendo ai turisti un'altra squisita testimonianza di un'arte lombarda, ma dando a Piona una vita feconda di bene»

   

Per saperne di più:

Federico Farina, L'Abbazia di Piona gioiello del romanico lombardo, Edizioni dell'Abbazia.

                 

     

   

©2003 Danilo Tancini

   


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