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Radicofani
 

RADICOFANI, RESTI DELLA FORTEZZA

a cura di Fernando Giaffreda

scheda    cenni storici    video


 

 

 

Immagini della rocca.

 

VIDEO

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Epoca: IX secolo, Radicofani è feudo dei monaci della Badia di S. Salvatore, ma di origine carolingia su un preesistente sito etrusco-romano, con rocca (torre) costruita ad opera degli Aldobrandeschi, stirpe comitale longobarda discendente dai primi re d’Italiaa.

Ubicazione:
Radicofani si trova nel complesso montuoso del Monte Amiata, in provincia di Siena, da cui dista per 71 km. Il castello ha le sue fondamenta su un basalto vulcanico di quasi 900 m d’altezza, tale da farlo sembrare all’orizzonte un capezzolo che allatta il cielo o, alternativamente, un dente che lo morde, stretto dalle valli fluviali del Paglia e dell’Orcia.

Come arrivarci: provenendo da Roma (distanza 169 km) si lascia la Cassia svoltando a destra una ventina di km dopo Acquapendente (VT), seguendo le apposite indicazioni. Provenendo da Siena si lascia la stessa Cassia (SS 2) all’altezza della Bisarca, diciotto km dopo S. Quirico d’Orcia (SI).

Stato di conservazione: più che buono, grazie a un restauro per il finanziamento FIO (Fondo per gli Investimenti e l’Occupazione, creato dal Ministero del Bilancio nel 1982) di quasi dieci milioni di euro. Riaperto al pubblico nel 1999, la fortezza pentagonale è visitabile fin nei sotterranei e nelle bocche di fuoco.

Come visitarlo: si lascia il paese comunale sottostante (1170 abitanti nel 2010) per visitare la fortezza, il cui ingresso è a pagamento.

   

Cenni storici

La rocca di Radicofani è menzionata la prima volta nel 973 in un documento edito dal marchese Lamberto di Ildebrando. Essa controlla dall’alto dei suoi quasi mille metri la via Cassia, che le passa più in basso e poco distante fra il Lazio e la Toscana. Nel quindicesimo secolo, quando era già una fortezza, i Senesi, che la ebbero in proprietà, costruirono addirittura un nuovo tracciato stradale per sfiorare il maniero, una deviazione della Cassia, con danneggiamento di questa, per far sì che i pellegrini in cammino per la via francigena verso Roma fossero controllati e possibilmente gabellati. La presenza di tre spedali nel borgo omonimo vicino raccontano della sua originaria funzione di sosta e ricovero per i tanti viaggiatori verso la benedizione e l’indulgenza papale. Nel suo viaggio lungo la via Romea, un pellegrino di Canterbury scrive di Rodecoc, piazzaforte maestosa identificabile in Radicofani nella Val di Paglia.

Grazie a una non lontana scoperta di un tempio consacrato a Vortumno, dio etrusco della maturazione dei frutti, ora si sa che il luogo in cui sorge Radicofani era attivo già avanti Cristo e poi in epoca romana ovviamente. Ma la torre, poi trasformata in un mastio di 37 metri in epoca medicea, fu edificata in epoca carolingia; e fu Desiderio, primo re dei Longobardi in Italia, a rendere importanza al luogo, restituendolo dopo le devastazioni barbariche alla sua funzione di cerniera e confine fra la Tuscia longobarda e la Donazione di San Pietro, composizione amministrativa, questa, istituita da Innocenzo III, primo tutore di Federico II.

Il feudo di Radicofani prende le mosse il 29 settembre del 1028, quando il conte Ildebrando degli Aldobrandeschi cedette quei luoghi a un piccolo nobile locale, tale Foscolo di Pietro. Due anni dopo il figlio di questi la donò all’Abbazia di San Salvatore che la tenne per diverso tempo recuperando la tradizione carolingia di donare territori alla Chiesa romana.

Una pergamena del gennaio 1075 scritta a Chiusi ma conservata nell’abbazia amiatina si riferisce ad una donazione a suo favore di diversi beni patrimoniali fra cui il piviere di S. Donato a Radicofani.

Per la storia di Radicofani è fondamentale però la bolla del 23 febbraio 1143, con la quale papa Celestino II conferma all’abate del monastero di S. Salvatore sul Monte Amiata tutti i beni in possesso della badia, fra i quali le chiese ed il castello di Radicofani, ponendo fra l’altro il convento sotto la protezione della sede apostolica, a compenso della quale la badia doveva pagare 220 denari d’oro l’anno.

Esiste anche un protocollo d’intesa del 29 maggio 1153, firmato a Roma da papa Eugenio III con alcuni consoli romani e dall’abate Ranieri, primo dei monaci della abbazia amiatina, nel quale si sancisce col consenso dei vassalli di Radicofani, la cessione al Papa della metà del borgo di Radicofani e di quello sottostante il castello, con tutti i diritti, censi e livelli eccetto la giurisdizione canonica delle chiese situate nel castello stesso e nel borgo di Radicofani. A contropartita la Camera apostolica si obbligava a retribuire l’abbazia amiatina di sei marche d’argento l’anno. Se non fossero state pagate le marche per tre anni consecutivi, il contratto sarebbe stato nullo così da far ritornare in mano ai monaci di san Salvatore Radicofani e tutto il feudo.

Anche papa Clemente III, con una bolla datata 19 febbraio 1187, riconobbe e confermò l’atto del 1153 a Rolando abate dell’Abbazia di San Salvatore, cioè tutti i privilegi allora concessi, la proprietà di metà del castello di Radicofani e il debito delle sei marche annuali.

Il 13 maggio 1196 Celestino III vieta all’abate priore di Abbadia San Salvatore la costruzione di una chiesa nel feudo di Radicofani a motivo che ciò costituiva pregiudizio per la Badia medesima, confermando così anche lui la giurisdizione dei monaci sul castello e quant’altro.

Nel frattempo la proprietà della metà di Radicofani aveva consentito alla chiesa di Roma di istituire un castellano alla rocca di Radicofani con un manipolo di soldati: Adriano IV, approfittando del possesso della metà del feudo e temendo l’avanzata di Federico il Barbarossa, aveva infatti costruito nel 1159 una cinta muraria a perimetro di Radicofani, munendola di quattro torri a difesa della rocca. Le fortificazioni furono potenziate da Innocenzo III nel 1198, fino a che nel 1201 l’imperatore Ottone IV riconobbe lo stato dei fatti, cioè il castello di Radicofani come punto di confine della Donazione di San Pietro.

Nel 1262 la famiglia guelfa senese dei Salimbeni trovò scampo a Radicofani dove riparò insieme ad altri fuoriusciti guelfi. Per quasi due secoli, tranne l’intermezzo del possesso del ghibellino Ghino di Tacco fra il 1295 e il 1300, la fortezza, divenuta così una parte importante nelle lotte politiche e armate della storia della Toscana, fu gestita sostanzialmente dalla Repubblica senese e dallo Stato Pontificio fino a tutto il Quattrocento.

Nel 1352 la Repubblica di Siena riuscì a sottomettere Radicofani, mentre nel 1379 ebbe luogo nei pressi di Radicofani la guerra omonima contro i Farnese, dove ebbe gloriosamente la meglio la popolazione armata del castello, alleata e sostenuta dai Senesi.

Giunto al soglio pontificio il senese Pio II Piccolomini, questi con una bolla del 1469 attribuì il vicariato perpetuo di Radicofani al Comune di Siena con tanto di tributo annuale da versare, ma soprattutto tacendo in quella bolla i vecchi padroni del feudo, cioè i monaci del Monte Amiata.

In epoca medicea il castello di Radicofani era stato ulteriormente rinforzato dai tipici bastioni voluti da Cosimo I tramite l’architetto Baldassarre Lanci.

Da allora in poi Radicofani seguì le sorti politiche della Repubblica di Siena fino alla caduta di Montalcino. Nel 1555 Chiappino Vitelli, generale di Cosimo I, provò invano a espugnare Radicofani con una potente artiglieria, ma solo con la caduta di Montalcino (1559) ultima piazzaforte dei repubblicani senesi, ci fu la resa anche di Radicofani.

Il 17 agosto del 1559 guarnigioni e popolazione dovettero far giuramento al Granducato della Toscana, la quale per il possesso di quella terra dovette cionondimeno pagare l’antico censo alla Camera apostolica. Tali condizioni furono rinnovate col trattato del 1580 fra il Granduca e il Pontefice.

Il 1559 per Radicofani e Siena è una data da ricordare, perché grazie al trattato di Cateau-Cambrésis lo stato senese è assorbito al Granducato di Toscana che grazie all’abile politica di Cosimo I rimase esclusa dal predominio spagnolo su tutta l’Italia.

Dopo lo scoppio della polveriera del 1735 il castello crollò in gran parte fino a essere abbandonato del tutto. Della Rocca più antica, che aveva una struttura triangolare, rimase solo la torre principale, a foggia di mastio, largamente integrata coi restauri fascisti del 1929.

Intorno alla rocca si sviluppa una cinta muraria che le dà l’aspetto di una fortezza bastionata, sia pur mossa sui suoi quattro lati irregolari, poi integrato da un altro lato a nord.

Infine delle pareti murarie difensive del borgo resta solo qualche pezzo, con qualche porta e una torre circolare.

   

       

 

© 2014 Fernando Giaffreda. Le foto sono tratte rispettivamente dai siti http://thebinutrek.wordpress.com, www.confraternitadisanjacopo.it, e www.facebook.com/pages... (le ultime due). I video non sono stati realizzati dall'autore della scheda.

    


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