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  CARMIGNANELLO, ROCCA CERBAIA

a cura di Fernando Giaffreda

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Veduta della rocca.

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Cantagallo  Cantagallo

 

Il ponteggio dell'attuale cantiere per la messa in sicurezza della Rocca di Cerbaia da parte dell'appaltante Comune di Cantagallo  Il cartello dell'appalto lavori si trova sulla Statale 325, all'inizio del sentiero che dal ponte sul Bisenzio porta alla Rocca di Cerbaia  Dopo aver lasciato la Statale 325, il visitatore si trova a guadare il Bisenzio grazie a questa passerella recentemente restaurata, e che ancora viene definito "ponte medievale".  Il ponte sul Bisenzio sulla via della Rocca di Cerbaia visto dopo il guado  Particolare di un angolo meridionale della seconda cinta muraria

 

Porta meridionale con volta a tutto sesto in stato precario e semicadente  Alla sera, vista dalla Statale, la Rocca di Cerbaia sembra davvero un dente rotto che morde il cielo  Angolo a strapiombo sullo sperone roccioso in direzione nord ovest  Così il visitatore può scorgere fra le recinzioni del cantiere alcune parti della Rocca di Cerbaia  Un rudere di una delle tre cinte murarie

 

Una delle porte d'ingresso vista di profilo sullo sfondo dell'Appennino toscano  La fortificazione muraria della Rocca di Cerbaia mostra ancora tutta la sua imponenza, a testimonio della sua passata importanza  Alla sera, vista dalla Statale, la Rocca di Cerbaia sembra davvero un dente rotto che morde il cielo  Particolare delle rovine più interne. La luce mette in evidenza i blocchi di arenaria bianca con cui fu edificata dall'XI secolo la costruzione  La parte abitativa della Rocca di Cerbaia. Ancora si possono notare il tipo di finestre di cui era dotata

 

Un tabernacolo nella parete interna indica la probabile esistenza originaria di locali ad uso religioso  Il ponte sul Bisenzio che porta alla Rocca di Cerbaia ritratto in una vecchia fotografia, distrutto probabilmente dagli ultimi bombardamenti bellici. A sinistra nell'immagine, la Villa Mursarelli-Verzoni che si affaccia sulla SS 325. Lungo il fiume più a sud, in località Carmignanello, vi è ancor'oggi un ponte simile, non restaurato e che si trova attualmente pressoché nelle stesse condizioni  Il ponte per la Rocca di Cerbaia nell'attuale stato con a sinistra la villa Mursarelli-Verzoni  Quest'immagine rende giustizia a una visione panoramica e d'insieme che non sempre è possibile  Questa suggestiva veduta area permette di leggere la pianta originaria della fortificazione


      


Epoca: secolo XI - XII, edificata dai conti Alberti su concessione definitiva dell’imperatore Federico I, detto “il Barbarossa”.

Stato di conservazione: dopo lungo periodo di abbandono e di pericolo per crollo, il recente proprietario, Comune di Cantagallo, sta eseguendo il primo lotto1 (fig. 2) dei lavori per la messa in sicurezza, cui dovrebbero seguire, se le promesse di finanziamento permangono, il recupero e il riutilizzo veri e propri. La rovina e il diroccamento tuttavia rimarranno nell’aspetto anche dopo l’intervento pubblico.

Come arrivarci: in auto e poi a piedi. Dal capoluogo provinciale di Prato si percorre per una diecina di chilometri la SS 325 in direzione Bologna, che per sua buona parte si snoda a fianco del fiume Bisenzio, nell’omonima valle. Si parcheggia strettamente al km 61/II, giusto a fianco della villa Muzzarelli-Verzoni, anch’essa in corso di restauro; si attraversa il Bisenzio grazie all’antico e originario ponte medievale (almeno nell’impianto costruttivo), e si affronta il sentiero pratese del CAI n. 48, in salita per circa 1 km.

  

Cenni storici

Quando non appartengano alla letteratura ottocentesca, ovviamente sempre di stampo leggendario o romanticheggiante, le poche notizie disponibili sulla Rocca di Cerbaia si possono acquisire dalla storia generale della Toscana del Dugento e del Basso Medioevo, oppure più sicuramente dai documenti catastali o notarili che giacciono dispersi negli archivi privati e istituzionali, cioè mai raccolti in una seria monografia dedicata. Esiste tuttavia un’interessante, inedita tesi universitaria2 della dottoressa autoctona Veronica Vignolini, specifica per gli interessantissimi aspetti archeologici a cui ha connesso il fortilizio.

La storia della Rocca di Cerbaia andrebbe insomma ricostruita unitariamente, anche facendo perno sulla nuova situazione immobiliare creatasi dopo il recente atto di acquisto (1999), per soli 30.000 euro, circa, da parte del Comune di Cantagallo, che l’ha rilevato dai proprietari stranieri, signori Eldmann. Le motivazioni della compera infatti sono state benemerite: quella di ricondurre all’uso pubblico un patrimonio storico specifico del territorio d’appartenenza, per sottrarlo finalmente allo stato diruto, all’insicurezza e all’abbandono in cui si trovava fino a ieri. Non solo, proprio in connessione all’acquisto si sono potuti muovere i primi timidi, ma seri e preziosi, lavori archeologici ufficiali3, cui dovrebbero seguire quelli tesi a fondare il tipo di recupero e uso in atto oggi (2005).

Il nome Cerbaia rivela un toponimo antico, preesistente alla costruzione della Rocca, che avviene presumibilmente all’inizio dell’Alto Medioevo nel generale infeudamento (incastellamento) della regione ad opera di Goti e Longobardi. La folta vegetazione di cerri è più probabile abbia dato origine al nome del luogo più delle primitive colonie di cervi, anche se il mix lessicale sarà stato probabilmente la soluzione più facile e sapiente per connotare entrambe le situazioni. L’erto e acuto sperone di roccia (400m s.l.m), il cospicuo Bisenzio sottostante, fiume di bacino, forza motrice e di scolo, il vasto territorio di valle coltivabile, sia pur montano e proto-etrusco, hanno giustificato l’edificazione già prima del Mille di una fortificazione di controllo, di posizione e sfruttamento. Nel 1164 infatti risulta assegnato da Federico Barbarossa ai Conti Alberti, presenti in tutta questa parte della Toscana settentrionale, un vasto possedimento feudale nella valle del Bisenzio comprendente Cerbaia, Magona, Montato, Vernio, Codilupo, oltre a Prato ovviamente. Segno evidente che il conferimento significa il riconoscimento diplomatico di una situazione di fatto esistente in epoca post-carolingia. Non è fuori luogo ipotizzare, come si è già fatto grazie ad alcuni ritrovamenti archeologici e razzie, che per l'imponenza della costruzione, originariamente munita di tre cinte murarie di cui oggi ne rimangono due, di un capiente pozzo a volta per la raccolta dell’acqua piovana, di torri d'avvistamento, che le diverse generazioni degli Alberti vi abbiano eletto qui una delle dimore principali almeno fino al 1361, quando l’ultimo conte di Cerbaia, Niccolò d’Aghinolfo di Orso di Napoleone, la vendé alla Repubblica di Firenze per 6.200 fiorini, quale atto estremo per liberarsi delle pressioni e delle strategie politiche del periodo, e presupposto della decadenza della casata albertesca in tutta la zona. I Fiorentini vi stanziarono una legione che trasformò il castello in un presidio militare a guardia e protezione da bolognesi e lombardi.

Eppure, almeno dal XII secolo fino al XIV secolo, il nome dei Conti Alberti, padroni della Rocca di Cerbaia, feudatari travolti dalla crescita politica della città comunali, è legato a insediamenti importanti della storia di quel periodo, a testimonianza del peso e del ruolo strategico del territorio dominato.

Completamente priva di fondamento invece è da considerare la leggenda di stampo cinque-ottocentesco imposta all’inizio del ‘900 dal cronista V. U. Fedeli, e che si può ritrovare puntualmente scodellata in ogni scheda informativa reperibile che riguardi la Rocca di Cerbaia, secondo la quale nel 1285 un Dante ventenne, esule e fuggiasco da Firenze (!?), bussò al portone del maniero albertesco per ripararsi da una notte nevosa (...!) che gli impediva momentaneamente il viaggio verso Bologna; e gli fu negata offensivamente l’ospitalità. Che invece trovò – continua la favola fedeliana – in un misero mulino sottostante la rocca. In quanto tali, le fiabe parlano morbido di se stesse quando un evento è completamente assente.

Al contrario invece, è grazie alla cronaca poetica di Dante che si possono raccogliere elementi preziosi per una deduzione storica attendibile circa, in questo caso, il regime della proprietà feudale intorno alla Rocca di Cerbaia. Alessandro e Napoleone, due rampolli gemelli degli Alberti, vissuti evidentemente poco meno prima di Dante, sono posti dal poeta nel girone infernale dei traditori dei parenti, così descritti:

Quand'io m'ebbi dintorno alquanto visto,         [40]
volsimi a' piedi, e vidi due sì stretti,
che 'l pel del capo avieno insieme misto.

«Ditemi, voi che sì strignete i petti»,                 [43]
diss'io, «chi siete?» E quei piegaro i colli;
e poi ch'ebber li visi a me eretti,


li occhi lor, ch'eran pria pur dentro molli,         [46]
gocciar su per le labbra, e 'l gelo strinse
le lagrime tra essi e riserrolli.

Con legno legno spranga mai non cinse             [49]
forte così; ond'ei come due becchi
cozzaro insieme, tanta ira li vinse.

E un ch'avea perduti ambo li orecchi                 [52]
per la freddura, pur col viso in giue,
disse: «Perchè cotanto in noi ti specchi?

Se vuoi saper chi son cotesti due,                       [55]
la valle onde Bisenzo si dichina
del padre loro Alberto e di lor fue.

D'un corpo usciro; e tutta la Caina                    [58]
potrai cercare, e non troverai ombra
degna più d'esser fitta in gelatina.

(Inferno, XXXII)

    

La tradizione leggendaria che riferisce per la Rocca di Cerbaia questo supremo riferimento poetico a misura di invalsa fama consisterebbe nel fatto che Dante volle stigmatizzare gli Alberti con questo contrappasso infernale solo perché gli negarono l’ospitalità in quella tempestosa notte del 1285. Il ragionamento dantesco sugli Alberti fondiari in Val Bisenzio invece è un altro, d’insieme come sempre, e forse più istruttivo circa la feudalità in generale e la decadenza della casata. Posto che Alessandro e Napoleone si uccisero ad un tempo per un forte conflitto sull’eredità di famiglia, creando peraltro grande stupore e incredulità negli ambienti urbani dell’epoca, Dante indica nell’avidità di danaro, nel veleno mercantilistico e monetario di Firenze il germe e il fomite della corruzione, del decadimento, anche futuro, della migliore e più antica gens aristocratica. È la stessa tesi, questa, del Canto XVI del Paradiso, in cui sono spiegati ugualmente i motivi della decadenza dei Conti Guidi a Montemurlo.

Da un altro Canto del Paradiso (IX, 13-36) si viene a sapere inoltre che Cunizza, discendente degli Alberti, dimorò nella Rocca di Cerbaia in espiazione e carità alla fine di una vita sentimentale piuttosto tormentata, la cui devota soluzione le valse il beneficio dell’elevazione paradisiaca. Cunizza era figlia di Adelaide degli Alberti e di Ezzelino III da Romano, l’empio ed eretico alleato di Federico II e signore di Verona. Aveva abbandonato il marito, conte Rizzardo da Bonifacio, per dedicarsi a diversi amanti: l’epilogo devoto del suo riscatto cristiano lo consumò interamente nella Rocca di Cerbaia.

   

    

    

© 2002 Fernando Giaffreda, testo e foto; per la foto 24: © Aldo Innocenti; per le foto 33 e 34: © Andrea Moni. Si ringrazia il C.D.S.E. della Val di Bisenzio per la gentile concessione delle foto 25-34 I video (inseriti nel 2013) non sono stati realizzati dall'autore della scheda.

   


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