Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Campania ® Provincia di Caserta

TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI CASERTA

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

Fermando il puntatore del mouse sulla miniatura di ogni foto, si legge in bassa risoluzione (tooltip) il sito da cui la foto è tratta e, se noto, il nome del suo autore: a loro va riferito il copyright delle immagini.


  = click image to enlarge / clicca sull'immagine per ingrandirla.
= click also image to enter / puoi entrare nella pagina anche cliccando sull'immagine.
= click image to castelliere.blogspot / clicca sull'immagine per castelliere.blogspot.
= click image to wikipedia / clicca sull'immagine per wikipedia.


Ailano (resti del castello o palazzo baronale)

Dal sito www.comune.ailano.ce.it   Dal sito www.comune.ailano.ce.it   Dal sito www.comunitamontanazonamatese.it

«L'antico castello di Ailanum fu costruito prima dell'anno 1000 sulle rovine di una villa romana - Villa Aebutiana - ed appartenne, in epoca normanna, alla baronia di Prata Sannita. Dal 718 al 1186 il territorio appartenne prima al Convento di San Giovanni, successivamente al Monastero di Santa Maria in Cingla ed infine all'Abbazia di Monte Cassino. Nel 1229 Ailano cadde nelle mani del Papa e fu liberato l'anno successivo da Federico II. Dal 1187 alla fine del feudalesimo (1806) si susseguirono numerose famiglie di feudatari: i Rosso (1187-1229), i D'Aquino (1229-1329), i Capuano (1329-1381), i Gaetani (1381-1389), i Capuano (1399-1530). Intorno alla metà del Cinquecento lo troviamo abitato dalla famiglia di Giulio Carafa dei Principi di Stigliano, che, nel 1546, lo offrì in dono al proprio primogenito, Giovan Francesco, ed alla sua sposa, Anna Toraldo, Marchesa di Polignano. Fu proprio quest'ultima a scrivere la pagina più suggestiva, ed insieme più stravagante, della storia del castello facendo colorare le pareti di tutte le stanze nelle varie sfumature di uno stesso colore, il rosso. Cosicchè, da quel momento, in molti documenti ufficiali, come gli atti notarili, l'edificio è più volte ricordato come il "castello rosso". Gli ultimi signori di Ailano furono i Ravola Pescarini, che ne ebbero il controllo fino all'eversione della feudalità (1806). Del castello di Ailano rimane ben poco, solo una torre situata alle porte del borgo. La rocca, innalzata dagli ultimi conti longobardi su preesistenze romane, fu presa dai normanni, i quali aggiunsero diverse strutture di rinforzo, e radicalmente trasformata dai conti Rainulfo e Roberto. Il castello era fortificato per scopi difensivi, con le sue alte torri merlate, preceduto da un fossato lambito da un corso d'acqua e munito di una costante guarnigione militare. Passato di mano ai vari conti che si alternarono al potere, il castello subì notevoli danni causati dai diversi terremoti che colpirono il territorio alifano. Il castello è oggi ridotto ad un'unica torre integra per quanto rimaneggiata, a resti di una seconda torre con qualche tratto di mura. La torre di sud-ovest presenta un ampio finestrone, ha un diametro di 10 metri ed è alta 15 metri. La torre di nord-ovest, svuotata e dimezzata in altezza, è conservata nel solo lato occidentale ed ha un diametro di 9,50 metri. La torre di sud-est è stata inglobata in una costruzione e ne restano soltanto tratti superstiti di muratura».

http://castelliere.blogspot.it/2013/04/il-castello-di-giovedi-4-aprile.html


Alife (castello normanno)

a cura di Angelo Gambella


Alife (mura, porte)

Dal video www.youtube.com/watch?v=FEu-rE9bAXI   Porta Napoli, dal sito https://altocasertano.wordpress.com

«Le mura romane cingono l'attuale abitato all'interno delle quali sono facilmente raggiungibili il criptoportico, gli edifici del foro, i resti di terme e teatro; all'esterno delle mura sono i resti dell'anfiteatro ed il mausoleo degli Acilii Glabrioni; i mausolei di Madonna delle Grazie e Torrioni sono a circa 2 km dall'abitato sulla strada per Prata. ... Dell'età romana resta praticamente intatta la struttura urbanistica ad impianto ortogonale racchiusa da possenti mura a pianta rettangolare (m. 540 x 405). Quelle attualmente visibili risalgono al I sec. a.C. nella loro parte inferiore in opera incerta di calcare, ed al periodo medioevale (forse longobardo o angioino) nella loro parte superiore. L'altezza attuale è di circa 7 metri, ma occorre tener presente che altri 2 metri sono interrati. Su ciascuno dei quattro lati presentano una porta (Porta Napoli, Porta Piedimonte, Porta Roma, Porta Volturno), nonché alcune postierle. Ciascuna porta era sormontata da bastioni quadrati in buona parte distrutti, mentre lungo le mura erano mezze torrette quadrate o circolari. All'interno della città le strade erano organizzate in maniera ortogonale. La via principale che univa Porta Napoli a Porta Roma era chiamata Decumano Massimo, mentre quella che univa le altre due porte era denominata Cardine Massimo. Provenendo da Caserta, si accede alla città da Porta Napoli, immettendosi sulla strada che ricalca l'antico Decumano Massimo, attuale Via Roma. Sul lato destro è possibile raggiungere in Via Criptoportico, l'accesso ai resti del Criptoportico, costruito in opera incerta con pianta su tre bracci rettangolari collegati. Lo spazio interno è suddiviso in due navate da una fila di 31 pilastri che sorreggono volte semiogivali. Probabilmente la costruzione aveva funzione di sostegno di un edificio soprastante.

Tornati sul Decumano, all'altezza dell'Ufficio Postale centrale, è possibile scorgere i resti, di recente portati alla luce, di alcune "tabernae" che si affacciavano sull'area del foro, corrispondente all'attuale Piazza O. Michi. In detta piazza il Decumano Massimo incrociava il Cardine principale. Seguendola strada a destra si giunge a Porta Piedimonte, meno interrata rispetto alle altre, che mostra bei piedritti e, sul fianco, una torre quadrata. Ritornati in Piazza Michi, si prosegue dritto giungendo a Piazza Vescovado dove si affaccia la Cattedrale dell'Assunta. ... Proseguendo oltre, si raggiunge Porta Roma, sorretta da grandi piedritti nei quali si osservano gli incassi per le saracinesche. Da questo punto si possono seguire le mura verso sinistra, raggiungendo l'ultima porta, Porta Volturno, nella quale è possibile ammirare un fregio d'armi reimpiegato e proveniente da qualche monumento funerario. Appena fuori Porta Napoli, in direzione Caserta, si può osservare l'area occupata dall'anfiteatro della città romana che è ancora del tutto da scavare (si scorge soltanto qualche rialzo sul terreno) e che è stato individuato di recente grazie a riprese aeree. ... Proseguendo, poco lontano, è un altro mausoleo romano denominato "Il torrione". Vi si riconosce un basamento quadrato alto 1,5 metri su di uno zoccolo a gradini, il tutto sormontato da un corpo cilindrico alto circa 8 metri».

http://www.archemail.it/arche9/0alife.htm


Alvignano (castello)

Foto di Alvimas, dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.campaniatour.it

  

«Il Castello di Alvignano è costituito da quattro possenti torri cilindriche angolari di forma circolare; nell'orditura dei tufi spezzettati del vecchio maniero, si riconosce la compresenza di una torre quadrata preesistente, che fu incorporata nel castello, ipotesi che fa supporre che in origine il castello fosse molto più piccolo e spartano. Diverse sono state le modifiche apportate alla struttura originaria: fu ampliato nel 1282, rinforzato nelle mura in epoca angioina e, nel 1400, accresciuto con quattro possenti torri cilindriche. All'interno sono ben conservati i due cortili, le cucine, i depositi e le stanze residenziali. Il mastio conserva ancore il suo caratteristico decoro di beccatelli in tufo locale. Possesso di Altardo prima e Ruggiero poi, il castello fu poi feudo di Bareusonus e successivamente affidato a Marcantonio de Clovellis. Nel 1504 fu la volta di Geronimo al quale successe il figlio Francesco».

http://www.campaniatour.it/poi.view.php?id=782


Aversa (castello angioino o castello reale)

La chiesa dei SS. Filippo e Giacomo (chiesa di Casaluce) era la cappella del castello, dal sito www.ecodiaversa.com   Nella foto di Dinamo86, la chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, cappella del castello, dal sito it.wikipedia.org

«Nel 1285, con Carlo II d’Angiò e Roberto d’Angiò, la città visse un periodo florido. Gli Angioini scelsero la città come meta per la caccia. Tanto che il castello reale, di cui oggi restano poche tracce nella centralissima via Roma, nei pressi della parrocchia della Madonna di Casaluce, per lunghi periodi ospitava la corte angioina. In particolare la regina Giovanna I scelse Aversa come sua sede preferita. Ed è proprio nel castello aversano, che si consumò una delle pagine più cruente della storia del XIV secolo. Infatti alcuni nobili napoletani capeggiati da Carlo di Durazzo, pretendente al trono di Napoli, forse in congiura con la stessa regina Giovanna I, uccisero, lanciandolo da una finestra con un cappio al collo, il principe consorte dell’angioina, Andrea d’Ungheria. Il cruento assassinio del giovane principe non rimase impunito. Il fratello, il re Luigi d’Ungheria, con l’esercito scese in Italia, e dopo aver attraversato l’intera penisola, si fermò nel castello di Aversa. Qui tramò la sua vendetta, con Giovanna I che scappò ad Avignone, ed i nobili, invitati ad un pretestuoso banchetto di riconciliazioni, incarcerati e sommariamente processati. Addirittura Carlo di Durazzo fu impiccato dalla stessa finestra del principe ungherese. La presenza della corte angioina, però, non portò solo tristi vicende. In questo periodo nacque la Real Casa dell’Annunziata (1315 circa), istituto benefico, orfanotrofio ed in seguito anche ospedale, che tanto ha segnato la vita e lo sviluppo sociale dell’intera comunità aversana. Numerose furono poi le chiese ed i monasteri edificati per volere dei d’Angiò. Dalla chiesa di San Luigi dei Francesi (oggi dedicata a San Domenico), fatta erigere dal nipote, re Carlo II d’Angiò, a San Nicola, solo per citarne alcune».

http://www.aversaturismo.it/breve-storia-della-citta/


Aversa (castello di Ruggero II o castello aragonese)

Dal sito www.visititaly.it   Dal sito http://noicaserta.it

«Il Castello di Ruggiero II sorse nei pressi della chiesa di Santa Maria a Piazza, nell'area del Patibulum, al limite settentrionale della terza cerchia di mura. Venne costruito di forma quadrata, con le torri merlate agli angoli, e orientato, secondo un'antica ripartizione, sui quattro angoli del mondo: zona àntica, pòstica, dell'occàso, dell'ovest. Si ergeva su quattro livelli ed un sottopiano, le carceri e i magazzini. Il primo piano terminava col terrazzo mentre la zona centrale, il castello vero e proprio, comprendeva altri due livelli. Il terzo nelle torri est ed ovest aveva scale nella muratura: quando veniva espugnata una torre l'altra, essendo isolata, era ancora salda. La tipologia segue schemi di derivazione orientale le cui origini vanno cercate nelle fortezze di Antiochia che i nostri costruttori hanno certamente conosciute. Concludevano le torri merlate una sorta di incastellatura ancora visibili nella tavola di A. Arcuccio (1468). Nella I Crociata a raggiungere per primi la Terrasanta furono i normanni aversani, partiti forse proprio da questo castello e, con Goffredo di Buglione e Boemondo, vi crearono quattro stati. Poiché i costruttori del castello di Saone (Francia) furono Roberto, figlio di Tancredi, e Guglielmo suo figlio, gli stessi che erano al seguito di Ruggiero, anche a costoro potrebbe assegnarsi il Castello di Aversa, che per l'appunto presenta analogie con quello di Saone; e poiché Federico II ben conosceva il castello di Aversa per averlo visitato in più occasioni, non si può escludere che gli sia servito come modello di base per i castelli pugliesi e siciliani. Il castello fu elaborato col modulo della sezione aurea, 'media ed estrema ragione', che vediamo ripetersi più volte nell'impianto dello schema, ritenuto già nell'antichità "proporzione divina". A Federico II, invece, si deve la creazione del portico interno, forse il rifacimento delle torri angolari, il restauro di qualche ala e, probabilmente anche la sistemazione del nuovo fossato.

In seguito è stato dimora e rifugio di principi, di regine famose, regnanti e capitani di ventura, tra cui Giovanna I d'Angiò (Giovanna la pazza), tristemente nota per il suo carattere volubile e sensuale, e Muzio Attendolo Sforza, padre del più famoso Francesco. Dopo i danni del 1382, del 1456 e 1457, nel 1492 il castello ebbe una nuova sistemazione da Alfonso d'Aragona così come appare nella veduta della città di Aversa (XVI-XVII sec.) riportata da Pacichelli dove è visibile il quadrato con i filari di pietre sovrapposte e il terrazzo: fu allora che prese il nome di Castello Aragonese. Il castello, circondato da un alto fossato e munito di bastioni, si sviluppò intorno ad un cortile quadrato e porticato, con al piano terra una loggia con un numero pari di arcate per lato ed al primo piano grosse sale coperte con volte a botte che danno sul cortile centrale. Il Re Alfonso lo abitò spesso sostandovi lungamente nel corso dei suoi spostamenti fra Napoli e Capua. Nel 1700, per le alterne fortune e l'incuria umana il castello era di nuovo in rovina, finché nel 1750 Carlo III di Borbone, (che volle anche la Reggia di Caserta), ne affidò il restauro al suo architetto migliore, Luigi Vanvitelli, per farne un Quartiere di Cavalleria. Furono eseguite aggiunte sia sulle ali dell'antico corpo che sul secondo e terzo livello, ed il quarto, integrato nelle torri, fu costruito ex novo. A seguito di tale intervento scomparve del tutto la struttura originaria poiché le cortine perimetrali furono recintate da un unico ordine architettonico, il tuscanico, ed il fossato fu completamente coperto. Il maestoso castello, che si può ancora oggi ammirare nella Piazza Trieste e Trento, misura circa 103 metri per lato e 27 di altezza, ed è dotato di spesse mura quadrate e dall'alto delle sue quattro torri, domina la vasta zona circostante. Ma sia per i travagli storici, sia per l'incuria umana alla fine dell'800 il castello era di nuovo in rovina, e solo nel 1931 ritornò alla ribalta per merito del noto frenologo aversano Filippo Saporito (di cui il manicomio porta il nome), che dopo averlo fatto restaurare, lo utilizzò per ampliare la sua adiacente Casa di Cura e di Custodia, divenendo così un Carcere Giudiziario tra i più famosi d'Italia. Infine, l'ultimo (per adesso) utilizzo, quello di Scuola di Polizia Penitenziaria [ora è sede del Tribunale], dopo la separazione (solo amministrativa) del Castello dal Manicomio Criminale. La scuola è nel Castello, il manicomio è tornato negli edifici originari degli anni '30».

http://www.aversalenostreradici.com/31.02CastAr.htm


Aversa (mura, porte)

Tratto di antiche mura, dal sito http://larampadinapoli.com   Porta Napoli, dal sito www.comune.aversa.ce.it

  

«La città di Aversa ebbe varie cerchie di mura, a seconda della sua grandezza: più volte distrutta, fu sempre accresciuta e ampliata, ed ebbe sempre una nuova cerchia, di cui resta ancora qualche traccia. Il perimetro più antico è segnato dalle seguenti strade attuali: partendo da via Drengot (Scalpella), chiesa di S. Giovanni, via S. Maria della Neve, chiesa di S. Maria a Piazza, viottolo dietro il castello aragonese, terreno del Manicomio Giudiziario, via S. Andrea, via Cimarosa, via Cesare Golia e di nuovo via Drengot. Ogni cerchia successiva di mura, ebbe delle porte: delle più antiche, se ne ricordano sette; ma una sola è rimasta: la porta di S. Giovanni. Un ultimo tratto delle mura di Aversa è visibile a via Monserrato, alla periferia estrema di Aversa, andando nella direzione della località detta “cinque vie”; quivi si conserva ancora una delle antiche porte – di S. Giovanni, appunto - della città. Delle altre porte ricordate si sa che quella di S. Nicola fu distrutta nel 1760; quella verso Capua, il 3 giugno 1840; quella verso Napoli, che si trovava nei pressi di piazza Vittorio Emanuele, nel 1844, e la Porta Intoreglia a S. Andrea, vicino al convento di S. Francesco di Paola, successivamente abbattuta. Un’altra delle porte della città, è l’Arco dell’Annunziata che si incontra venendo da Napoli, ed è perciò detta “Porta Napoli”. La sua costruzione avvenne in due momenti. Infatti: - il campanile quadrangolare risale al 1477,  - mentre l’arco e l’orologio furono realizzati, con lo stesso materiale e lo stesso disegno del campanile, nel 1776, dall’Architetto Giacomo Gentile. Il campanile ha base quadrata di circa venti metri di lato, l’arco è lungo circa dieci metri; l’altezza è di trentotto metri circa. Sotto l’arco, a destra e a sinistra, vi sono due lapidi che ricordano la fondazione di Aversa, e quella dell’Ospedale dell’Annunziata».

http://www.ecodiaversa.com/blog/2007/06/enciclopedia_di_aversa_1_monum.shtml  (a cura di Enzo Di Grazia)


Aversa (palazzi)

Palazzo Gaudioso, dal sito www.vocenuova.tv   Cortile di Palazzo Golia, dal sito www.comune.aversa.ce.it

«Palazzo Golia, palazzo nobiliare, sito in via Seggio, fu dei baroni Ricciardi Serafino de Conciliis. Edificio di tipo a corte, che emerge per l'equilibrio e l'eleganza delle proporzioni. L'ampio cortile interno, sullo sfondo del quale campeggia una leggiadra statua raffigurante la Campania Felix, è sormontato da un giardino pensile che, con le sue piante secolari, prospetta frontalmente l'alto portale d'accesso. Al piano terra di questa dimora gentilizia erano un tempo ubicati i locali destinati alle attività agricole, alle scuderie ed alle altre attività di servizio. Di notevole pregio architettonico lo scalone principale in pietra vesuviana che conduce al primo piano dell'abitazione che ospitò Giuseppe Garibaldi alla vigilia dello storico scontro sul Volturno, il 1º ottobre 1860. Garibaldi, che era alla ricerca di finanziamenti che potessero servire per l'equipaggiamento del proprio esercito, si recò a Santa Maria Capua Vetere e ad Aversa. Qui si rivolse per un prestito alla famiglia dei baroni Ricciardi Serafini de Conciliis, promettendo la restituzione della somma da parte dello Stato Sabaudo ad un tasso centuplicato. Questo non fa che dimostrare come il Garibaldi, contrariamente a quanto si afferma nella storiografia ufficiale, fosse partito con l'accordo dello Stato Piemontese, dato che poteva impegnarsi in suo nome. Il prestito gli fu accordato, ma non dalla nobile famiglia, che risultò al verde, ma da un commerciante suo inquilino, Giuseppe Motti, cui i nobili si erano rivolti. In particolare, fu la moglie di costui ad impegnare la dote di paterna. Garibaldi dopo aver pernottato nella dimora dei de Conciliis, se ne ripartì, preparandosi ad affrontare la battaglia sul Volturno. Al sopraggiunto esercito piemontese che aveva invaso lo Stato Pontificio senza dichiarazione di guerra restava da terminare l'annessione, cosa che avvenne con la presa di Capua e Gaeta. Lo Stato Sabaudo, provvide a restituire i debiti contratti dal Motti al tasso promesso. Questo permise alla famiglia Motti di acquistare il palazzo della servitù ed il proprio negozio dai nobili de Conciliis.

Palazzo Gaudioso, sito in Piazza Federico Santulli, è un edificio del XV secolo di aspetto severo e turrito, insistente su di un'area dell'antico borgo San Nicola, nella sua lunga vita ha subito numerosi rimaneggiamenti, tanto da perdere, in buona parte, la configurazione originaria. Gli interventi degli anni novanta sono quelli che ne hanno maggiormente alterato l'aspetto, proprio per l'aggiunta della torre nell'angolo nord-ovest. L'interno presentava una corte e un giardino, il viridarium, consueta caratteristica topologica dell'edilizia abitativa della città. Il prospetto impianta un solido portale di disegno catalano, realizzato con pietra grigia e bianca. Le cornici degli stipiti del portale, e quelle delle finestre di tipo "inginocchiato", sono finemente lavorate per la presenza di scalanature. Il portale alla sommità si conclude con un arco ribassato e la presenza nella chiave dello stemma gentilizio del casato. La facciata del portale non è baricentrica, questo perché vi era la presenza della chiesa di San Nicola, per cui, se il portale fosse stato collocato centralmente, l'aria antistante all'accesso sarebbe rimasta ridotta, ma tale collocazione indica anche che il palazzo è successivo all'ampliamento gotico della chiesa. L'interno presenta un decoroso aspetto quattrocentesco, con l'ala settentrionale su un doppio ordine di arcate collegate da una comoda e larga scala. Nel marzo 2007 è stata inaugurata la nuova sede della Biblioteca Comunale, ubicata nel palazzo. La Biblioteca è intitolata a Gaetano Parente. Tra gli altri palazzi presenti in città si ricordano:Palazzo Motti, Palazzo Candia, Palazzo Monticelli-Della Valle duchi di Ventignano, Palazzo De Fulgore, Palazzo Masola-Bonavita, Palazzo Azzolini, Palazzo d'Ausilio-Pozzi, Palazzo Pacifico-Lucarelli, Palazzo Parente, Palazzo Saporito, Palazzo Cappabianca-Capone, Palazzo del Tufo, Casa natale di Domenico Cimarosa, Casa natale di Niccolò Jommelli».

http://it.wikipedia.org/wiki/Aversa#Palazzi


Baia e Latina (borgo, palazzo Ducale, resti del castello)

Torre del castello, dal sito http://baiaelatina.asmenet.it   Una piazza del borgo, dal sito http://baiaelatina.asmenet.it   Resti del palazzo ducale, foto di Enzo Maiello, dal sito www.presepebaiaelatina.it

«All'altezza di Palazzo Scotti, si trova sulla destra una stretta traversa in salita: imboccandola e prendendo verso sinistra, ci si incammina verso il borgo medievale. Da questo punto in poi, il panorama cambia radicalmente (e quasi improvvisamente) ed alle strade asfaltate o cementate si sostituiscono gradualmente i caratteristici gradoni lastricati in pietra: tutto, qui, è rimasto esattamente nelle stesse condizioni di qualche centinaio di anni fa (nel bene e, purtroppo, anche nel male: diverse costruzioni sono infatti miseramente pericolanti...)! ... Quindi, dopo essere saliti per circa un centinaio di metri, incroceremo due bellissime scalinate in pietra, una in salita sulla destra. ed un'altra in discesa a sinistra: prendiamo quest'ultima e percorriamola tutta. Incontreremo fantasmi di costruzioni che un tempo erano abitate dalle popolazioni locali, mentre ora sono cadute miseramente in rovina. Alla fine della strada, dopo aver percorso un brevissimo tratto sterrato in discesa, si prende la scalinata a destra che sale curvando a gomito: dopo alcune decine di metri si giungerà in una piccola piazzetta detta della "Basulata", dal nome dialettale della caratteristica massicciata in pietra viva locale che la caratterizza.

Proseguendo dritto ci imbatteremo di nuovo nel crocevia formato dalle due scalinate in pietra e stavolta, invece, percorriamo quella che sale a sinistra. verso il Castello medievale di Baia. Ci ritroveremo di lato rispetto alla Torre principale, quindi sarà bene girare subito a sinistra. per ritrovarsi la costruzione di fronte. Il grande squarcio alla base del monumento è da attribuire parte al tempo ed all'incuria e parte ai postumi dei danneggiamenti dovuti alla II Guerra Mondiale. ... La forma inusuale del Castello non deve ingannare: purtroppo ben poco rimane in piedi della struttura originale! Anzi, per averne un'idea migliore, conviene girarci attentamente intorno scendendo la ripida strada immediatamente alla nostra sinistra. Potremo così ammirare anche una piccola Torre di avvistamento circolare, che era evidentemente utilizzata dalle guardie per l'avvistamento e la difesa precoce della costruzione da attacchi esterni. Al proposito, a rigor di logica, non pare concepibile che un castello fosse dotato di una sola torre di avvistamento ma, se è vero che probabilmente doveva esisterne più di una, per lo stesso motivo parrebbe piuttosto esagerato avere predisposto un sistema di avvistamento così articolato per difendere un castello costituito tutto sommato da un unico (e relativamente piccolo) corpo centrale.

Tuttavia, se proseguiamo ancora per qualche decina di metri sulla strada che stiamo percorrendo, ci imbatteremo in quello che, impropriamente, noi definiamo il Palazzo Ducale, ad indicare una bellissima costruzione abbellita da varie finestre a bifora, evidentemente modificata svariate volte nel tempo (le opere murarie realizzate in sovrapposizione alle originarie sono ancora perfettamente visibili e ben distinguibili) e recentemente restituita ad uno splendore di altri tempi dagli attuali proprietari, dopo il recente restauro cui il palazzo è stato sottoposto. Nel definirlo Palazzo Ducale, abbiamo non a caso parlato di termine improprio in quanto, storicamente, non ci sono molti documenti su di esso e men che meno ve ne sono che indichino il fatto che esso fosse da sempre adibito a residenza nobiliare. Beninteso: che nel passato il Palazzo fosse stato utilizzato quale residenza di qualche notabile dell'epoca è fuori discussione, ma quello che colpisce, e su questo sono in corso vari studi, è la probabilità che il Palazzo Ducale e la Torre del Castello, fossero in realtà parte integrante di un'unica costruzione costituente il blocco centrale del vero castello di Baia (andato parzialmente, ma irrimediabilmente, distrutto per motivi sconosciuti ma apparentemente non riconducibili al solo passare del tempo ed all’incuria)! Infatti, con un po' di immaginazione, unendo le due sommità delle costruzioni, peraltro sospettosamente troppo vicine fra di loro, si noterà che esse sono effettivamente costruite sullo stesso piano, alla stessa altezza e finanche con gli stessi materiali.

Inoltre vanno ancora notati altri due o tre particolari che potrebbero avallare questa suggestiva ipotesi: 1) osservando la Torre da questo lato, si noterà che essa non solo non è rifinita bensì mostra evidenti segni di sgretolatura, con l'Opus Incertum (un materiale di riempimento non lavorato) in bella evidenza; 2) dallo stesso lato, quasi a voler sottolineare che c'era un collegamento con un'altra costruzione limitrofa (per forza di cose, forse, il Palazzo stesso), ci sono varie rovine tra le quali, ancora parzialmente visibile, una scalinata (apparentemente interna alla costruzione); 3) ritorniamo indietro verso la facciata principale della Torre (dove avevamo preventivamente esaminato la pietra con la "croce normanna") e scendiamo giù verso il Baglio medievale: fiancheggeremo, sulla nostra sinistra, una fortificazione muraria con tanto di "bocche da fuoco" per gli arcieri, ove addirittura sono ancora ben visibili i buchi per gli ancoraggi dei camminamenti in legno. Orbene questo muro collega perfettamente la Torre al Palazzo senza soluzione di continuità, segno evidente che, almeno da questo lato, un tempo la costruzione doveva formare un corpo unico...! Comunque, visto da questa angolatura, il Palazzo Ducale è ancora più maestoso nella sua solida struttura in pietra. Struttura che va ad innestarsi direttamente nello stupendo Baglio medievale: il più grande del paese. La maestosa architettura a volta è ancora perfettamente conservata ed è possibile ammirarla nella sua semplice ma efficace solidità. I portoni che si aprono a destra e a sinistra della costruzione costituivano probabilmente dei magazzini, pertinenze del Palazzo. In un angolo sulla sinistra. sono visibili dei macigni di pietra viva su cui poggiano le stesse fondamenta di parte del Baglio e del Palazzo Ducale. Uscendo dal Baglio prendiamo a destra e percorriamo la stradina, in lastricato locale, che scende fino ad arrivare in una piccola piazzetta in cui si respira davvero l'aria di un passato lontanissimo e pieno di tradizioni secolari. Continuiamo la nostra passeggiata ...».

http://www.presepebaiaelatina.it/itinerario2.htm (a cura di Enzo Maiello)


Caiazzo (castello longobardo)

Dal sito www.tripadvisor.it   Foto di Rosario Serafino, dal sito www.archemail.it   Dal sito www.paesionline.it

«Il castello, in posizione dominante la valle e la città, si presenta ora in veste ottocentesca, ma conserva molte testimonianze dei periodi passati. Il castello longobardo, costruito sui resti dell'Arx romana, nella seconda metà del IX secolo era tenuto da Teodorico, conte di Caiazzo. Nell'anno 982 troviamo signore del feudo Landolfo, nel 1029 e nel 1034 i documenti attestano che Landone, conte di Carinola, era anche signore di Caiazzo. In epoca normanna tra i conti di Caiazzo emerge (1070) Rainulfo, che accompagnò a Roma l'abate Desiderio, eletto papa col nome di Vittorio III. Con la conquista del regno da parte di Ruggiero II il castello viene dotato di una guarnigione permanente. A tal proposito l'abate Alessandro di Telese ricorda: "il re, salito sul castello, e osservato il vasto territorio che si poteva controllare, decise di fortificarlo ordinando a tutti i maggiorenti di costruire le loro case intorno al castello per dimorarvi assieme a tutti i cavalieri, in modo tale che Caiazzo, già forte per la sua posizione naturale e per le sue mura, divenisse più forte con la presenza di abitanti che esercitavano la milizia". Tale testimonianza viene confermata dal Catalogus Baronum e dalle pergamene dell'Archivio Capitolare di Caiazzo. Nel 1229, sotto gli Svevi, Caiazzo, assediata dalla truppe pontificie guidate da Giovanni Brienne, fu liberata per l'intervento diretto di Federico II. L'imperatore in persona soggiornò nel castello, ed ebbe in molta considerazione la città di Caiazzo, che era anche la patria di Pier delle Vigne (suo prezioso segretario). In un documento pontificio si evince che Caiazzo nel giugno del 1251 entrò a far parte dei possedimenti di Riccardo, conte di Caserta. Con gli Angioini, Caiazzo fu concessa da Carlo I a Bonifacio di Galimberto, per poi passare nel 1269 nelle mani di Guglielmo Glignette. Successivamente furono padroni e residenti del castello i Sanseverino, e gli Origlia per poi arrivare a Lucrezia d'Alagno che l'acquistò, nel 1461, per 15.000 ducati con l'intercessione di Alfonso I d'Aragona. Nel 1596 il feudo fu acquistato da Matteo de Capua, principe di Conca, e fu durante questo periodo che Giovan Battista Marino, segretario dei De Capua, compose nel castello di Caiazzo il suo famoso "Adone". Nel 1607 il feudo fu venduto a Bardo Corsi, patrizio fiorentino, che resse la città col titolo di Marchese. Il feudo fu tenuto dalla famiglia Corsi fino al 1836 quando gli ultimi discendenti vendettero il castello al signor Giuseppe Andrea de Angelis per 150.000 ducati. Il castello appartiene tuttora alla famiglia de Angelis.

Dati caratteristici del castello. Il castello occupa il punto più alto della collina, con un circuito a forma quadrangolare, rinforzato da tre torri tonde negli angoli ed da una torre quadrata nell'angolo nord-est. Attualmente vi si può accedere per due ingressi: uno posto a nord, alla fine di una lunga gradonata che lambendo il muro perimetrale termina sotto la grande torre quadrata, l'altro, posto a sud, al termine della strada che attraversa tutto l'antico fossato. L'accesso immette in una vasto cortile dove affacciano i vari corpi di fabbrica del castello. Il primo corpo di fabbrica a sinistra è la chiesa di Santa Maria a Castello, fatta edificare dal conte Roberto nel 1116, poi rifatta ed abbellita nel 1832 durante il marchesato di Americo Corsi. Alla chiesa si accede mediante una doppia rampa di scale posta la centro del cortile. Di fianco all'ingresso della chiesa si trovano anche le sale principali del castello. Nell'angolo sud-ovest, adiacente alla torre tonda si trova la famosa stanza dove la tradizione vuole che vi avesse dormito Federico II nel suo soggiorno a Caiazzo. Tutti gli ambienti di questo livello sono stati completamente trasformati nell'800 per renderli più confortevoli a chi vi abitava, mente risultano più originali e suggestivi quelli del livello sottostante, adibiti prevalentemente a deposito e locali di servizio. Tutti gli ambienti del livello inferiore sono caratterizzati da volte rette da arconi ogivali in tufo grigio che configurano una spazialità tipicamente medioevale. La caratteristica esterna fondamentale è data dalle torri tonde costruite in pietra calcare e poggiate direttamente sulla roccia. Tra le sale del castello e la grande torre quadrata si trova un corpo di fabbrica rettangolare allungato, che ospita diversi ambienti organizzati su due livelli e terminanti con una terrazza che permette l'accesso alla grande torre, meglio conosciuta come torre di Lucrezia, perché era uno dei luoghi dove il re Alfonso d'Aragona preferiva soggiornare con la sua favorita Lucrezia d'Alagno (le notizie riportate sono state stralciate dal servizio Il Castello di Caiazzo, curato da Federico Cordella, pubblicato sul periodico "Le Provincie")».

http://www.caiazzo.gov.it/castello


CaIAZZO (palazzi, castello delle Femine)

Palazzo Egizi, dal sito www.caiazzo.gov.it   Il borgo, dal sito www.prolococaiazzo.it

«Palazzi Marocco: la famiglia Marocco, la stessa cui appartenne lo storico e letterato Carlo Marocco, fece costruire quattro edifici (di cui uno sito al vico Marocco, l’altro in via A.A. Caiatino e due in via de Simone). Il primo risale al ‘600 e ospitò S. Alfonso Maria de’ Liguori. Nel secondo, oggi detto Palazzo Santoro, abitò prima la famiglia Fortebraccio e nei secoli successivi la famiglia Marocco, da cui fu restaurato. Durante la seconda guerra mondiale subì incendi e danni notevoli. Fu acquistato dalla famiglia Santoro che, dopo il terremoto del 1980, ha provveduto al rifacimento della facciata. Oggi appare in forme barocche in seguito ai successivi interventi di ripristino del XVII secolo. Il terzo appartenne ad Ermenegildo Marocco ed è sormontato da uno stemma datato A.D. 1788.
Palazzo Maturi: sito in via Cattabeni, nel XIII secolo era sede dell’Ospedale dei Gerosolimitani o di S. Giovanni di Gerusalemme. Pervenne alla famiglia Maturi negli anni sessanta dell’Ottocento che ne modificò la struttura, la stessa di oggi, agli inizi del ‘900 apportando ampliamenti soprattutto nella parte retrostante. ...
Palazzo Puorto: sito in vico San Francesco, è palazzo quattrocentesco costruito durante la dominazione Aragonese da artigiani catalani. Dell’epoca conserva solo lo splendido portale catalano in piperno nero.
Palazzo Savastano: costruito al centro del decumano nel tardo ‘600, è appartenuto alla famiglia Mordente, poi successivamente ai De Simone, ai De Pertis e infine ai Savastano che ne sono gli attuali proprietari. L’edificio si presenta con la facciata tardo barocca scandita da sei botteghe e dal portale, cui corrispondono - nel primo piano - sette aperture (finestre) con ricche cornici sormontate da nicchie con busti allegorici che rappresentano i giorni della settimana. Nonostante i due incendi del 1860 e del 1943 e i danni del terremoto del 1980, il palazzo si presenta nel suo aspetto originario, conservando, al primo piano, il salone affrescato la cui volta è decorata con dipinti inseriti in medaglioni, stucchi e, al centro dei quattro lati, stemmi di famiglie che hanno posseduto il palazzo. La stanza da pranzo conserva affreschi del pittore caiatino Vincenzo Severino.
Palazzo Egizi: sito in via A. A. Caiatino e costruito intorno al XII secolo dalla famiglia Egizi, fu più volte restaurato. Sede dei Decurioni, i primi amministratori locali dopo la dominazione sveva, e della scuola elementare, è attualmente sede dell’ ISISS “Nicola Covelli”.
Palazzo del Governatore e Seggio dei Cavalieri: posizionato in Piazza G. Verdi, dell’originario edificio rimane solo la lapide che ricorda la sentenza del Sacro Regio Consiglio emanata il 18 dicembre 1539, che riconosceva alla città alcuni diritti di cui era stata privata dal principe Giulio Cesare de’ Rossi, conte di Caiazzo. Ora ospita la Direzione Didattica e la Pro Loco; nei locali di quest’ultima si conserva un’iscrizione romana dedicata alla dea Venere.
Palazzo Mazziotti: sito in via Umberto I ed edificato nel XV secolo dal vescovo Giuliano Mirto Frangipane, divenne in seguito proprietà dei Mazziotti. Nell’androne del Palazzo è murata una lapide in cui viene ricordata la nomina del Vescovo Giuliano Mirto Frangipane, Cappellano Maggiore e Consigliere Reale, nonché Governatore dei Regi Studi di Napoli. Tali cariche gli furono conferite dal re Ferdinando I d’Aragona nel 1492. Più volte ristrutturato, fu ereditato dalla Congregazione di Carità e nel 1987 acquistato dal Comune per ospitarvi Biblioteca, Archivio e renderlo sede di attività culturali. Nel corso dei lavori di restauro sono venuti alla luce resti archeologici risalenti all’età romana e all’alto Medioevo.
Palazzo Pier della Vigna: sito nell’omonima strada, si ritiene essere una delle case di colui che tenne ambo le chiavi del cor di Federigo. La dimora era una piccola reggia che si estendeva da Est ad Ovest, lunga 44 metri e larga circa 18, disposta su tre livelli con 20 stanze per piano e al centro della casa si elevava un imponente torre. Dell’antica abitazione oggi non esiste più niente, vi è solo un portale in pietra con stemmi attribuiti alla famiglia della Vigna. Questa abitazione oggi è degli eredi del defunto Giovanni Chichierchia.
Palazzo Lamperio: sorge all’incrocio di via Pier della Vigna e vico Marocco ed oggi appartiene alla famiglia De Angelis, dopo essere passato nelle mani dei Lamperio, dei Palazzeschi e dei Faraone. Il fabbricato esisteva già nel Duecento, non come autonoma abitazione ma in quanto ala estrema del palazzo che un tempo fu di Pier della Vigna. Prima ancora che facesse parte del suddetto palazzo si può ipotizzare che nel luogo dove esso sorge esisteva una casa romana, data la particolarità di alcuni sotterranei. Recenti studi hanno fatto emergere un portale del XV-XVI secolo, posizionato di fronte e via S. Felice.
Palazzo Foschi Carotenuto: sito in Via Umberto I, presenta una facciata nuda su cui spicca solo il portale cinquecentesco in pietra (a piano terra) e un ordine di finestre sormontate da cornice, il tutto con linee pure ed eleganti.
Palazzi Prisco: alla famiglia Prisco, un cui membro partecipò con Rainulfo alla Prima Crociata, appartenevano due edifici (uno sito in via Fontanelle, in prossimità di vico Egizi, e l’altro in via Fabio Mirto). Il primo probabilmente sorse su un edificio termale in opera laterizia del II sec. d.C. e conserva ancor oggi un bel portale del Cinquecento in pietra calcarea su cui si trova un’iscrizione latina (1514), sormontato dallo stemma della famiglia, in cui si cita il valoroso guerriero Alessandro Prisco e si prega il Signore di custodire gli abitanti della casa.
Castello delle femine: è citato prima in una pergamena del 1119 dell’Archivio Vescovile di Caiazzo, poi in una pergamena del 1348. Il castello sorgeva a nord-est di Caiazzo e, secondo il Melchiori, presso la fontana di Magranello o Marcianello. Questa fontana era detta delle “Fate” perché il castello, secondo i racconti popolari, ospitava fanciulle esperte non solo nell’arte dell’amore, ma anche nello spionaggio, causa forse della sua distruzione. Oggi, nel luogo dove sorgeva il castello, si vede una doppia cinta di grosse mura».

http://www.prolococaiazzo.it/home/it/caiazzo-la-sua-storia/13-caiazzo-la-storia/23-i-palazzi


Calvi Risorta (castello aragonese)

Dal sito http://mediovolturno.guideslow.it   Dal sito http://caserta24ore.altervista.org   Foto di Carmine Troise, dal sito www.flickr.com   Da Lucia Modugno

«...Durante il periodo normanno Calvi fu possedimento di Riccardo, principe di Capua, che restituì alla sede episcopale. Durante la lotta tra Marino Marzano di Sessa e Ferrante d'Aragona, il feudatario ribelle si impadronì del castello corrompendone la guarnigione. L'aragonese, allora, assediò il maniero, ma grazie alla strenua difesa dei difensori non riuscì a conquistarlo. Ritornò la primavera seguente, e se ne impadronì con un assalto notturno di sorpresa. Nella sua attuale struttura architettonica, dunque, è da ritenersi di epoca aragonese con pianta quadrata e quattro torri cilindriche a base scarpata, innestate agli angoli. I lavori di restauro attualmente in corso potranno darci indicazioni preziose per leggere la sua storia. Essendo situato alle porte settentrionali della pianura campana, il castello di Calvi aveva una funzione di controllo sulla vecchia Via Latina, un'arteria stradale che ancora nel basso Medioevo assicurava la maggior parte dei collegamenti tra Roma e la Campania, ciò soprattutto perché l’Appia, l'altra grande strada consolare, risultava del tutto impraticabile all'altezza delle paludi pontine. Circondato in buona parte da un ripido fossato, il maniero di Calvi sembra essere stato studiato a tavolino come risposta a precise esigenze strategiche e militari. Non è molto grande, ma è ordinato, essenziale e compatto nelle sue linee architettoniche, presentando volumi che si distribuiscono razionalmente sulla sua di una pianta quadrata e sulle quattro torri cilindriche. Le torri non sono piene nella loro parte inferiore, così come accadeva nell'alto Medioevo, con varie finestrelle e feritoie dietro le quali trovavano forse posto i balestrieri e gli archibugieri. C'è da aggiungere, infine, che il paramento murario delle torri si presenta realizzato con blocchi di piperno scuro, lisci e regolari, disposti con cura per linee orizzontali. Questo, almeno per quanto riguarda la loro parte inferiore, poiché più in alto il paramento quattrocentesco dei grossi conci pipernini cede il passo ad una diversa struttura muraria, realizzata con blocchetti di tufo a faccia ruvida ed alquanto irregolari, espressione evidente di un rifacimento effettuato in epoca successiva.

Per quanto concerne le cortine interposte, c'è da dire che due di esse - quella a Sud e l'altra a Nord - poggiano su di uno zoccolo murario lievemente scarpato e piuttosto sfalsato all'esterno rispetto al fronte delle mura. Sul suo lato superiore è realizzato un cammino di ronda, utilizzato dai difensori per il tiro radente. Inoltre, questa specie di corridoio esterno risulta collegato tramite due piccole porte alle due torri lateráli, da dove poi è possibile accedere sia al primo piano del castello, che è situato allo stesso livello del cammino di ronda, sia alla sommità dei bastioni, salendo le scale interne delle torri. Anche la parte superiore delle cortine appare ricostruita. Infatti, le file terminali delle muraglie sono costituite dallo stesso materiale tufaceo utilizzato nel rifacimento della cima delle torri e identica appare anche la tecnica costruttiva, per cui si può dedurre che l'opera di ristrutturazione interessò tutta la parte superiore del castello. è molto probabile che questi lavori furono effettuati verso la fine del '400, dopo i ripetuti assedi che il castello subì nel corso della «congiura dei baroni» contro Ferrante d'Aragona di cui si è prima accennato. Al castello si accede attraverso una porta arcuata situata alla base della sua cortina occidentale. Questa immette in due successivi cortili ai lati dei quali vi sono diversi locali, destinati evidentemente agli alloggiamenti dei soldati. Dopo essere passati nel secondo cortile, si può salire al piano superiore salendo una scala situata nel primo ambiente a sinistra. Si arriva così a quello che un tempo veniva definito il piano nobile, dove si trovavano i saloni e gli ambienti riservati al feudatario ed ai suoi ospiti. è probabile che al di sopra di questo piano ci fosse anche una grande soffitta coperta che si estendeva il perimetro delle cortine. A seguito dell’assedio di Ferrante fu riparato e reso funzionale per altri tre secoli tanto che testimonianze ci informano che nel castello abitava ancora il governatore e Pacichelli (Regno di Napoli in prospettiva, 1702) in una sua stampa ce lo restituisce ancora tutto integro».

http://cales.it/it-it/Da-visitare/Castello


Cancello (castello di Matinale o di Rudovaco)

Dal sito www.campaniaonline.it   Dal sito www.comune.sanfeliceacancello.ce.it   Dal sito http://archivio.saperincampania.it

  

«Il Castello sorge sulla collina di Cancello, a circa 212 metri di altezza sul livello del mare. Il suo fondatore fu, intorno all'839, il longobardo Rudovaco. che, prima di morire, ne fece dono al conte di Acerra, Cullezio. Secondo la tradizione il conte, nel tentativo di unire l'edificio, tramite un cunicolo sotterraneo, al castello del suo feudo, provocò il crollo di un'intera ala della costruzione. Non fece in tempo a porre rimedio al danno perché trovò la morte nella battaglia di Sclavi, dove combatté al fianco di Landone di Capua. A ricostruire il castello fu il normanno Ramperto che di lì a poco, però, ne ordinò la distruzione. L'edificio, comunque, fu di nuovo ricostruito nel XII secolo ad opera dei conti Mattaloni assumendo le forme attuali, fatta eccezione per le piccole modifiche apportate dai vari proprietari e, naturalmente, per gli inevitabili danni dovuti al trascorrere dei secoli. Nel 1437 Giovanni Vitellesco da Corneto, patriarca alessandrino, avendo fatto prigioniero l’Orsino ricevette, mentre era al Castello di Cancello, il cappello cardinalizio dal papa Eugenio. Dal 1443 al 1460 Giacomo Candida di Benevento fu castellano del Castello di Cancello, quindi il Castello fu per un certo tempo feudo degli estinti duchi di Maddaloni. Dopo essere stato posseduto dai principi di Caraminico, per successione femminile è passato agli attuali Barracco. Nel periodo del brigantaggio il Castello divenne il regno del brigante Mucusiello. Nel 1785, durante il periodo napoleonico, per la sua posizione strategica, il castello (nel 1799) ospitò il generale Championnet che, al comando dell'armata francese, costrinse alla fuga il re Ferdinando IV consentendo ai rivoluzionari napoletani la proclamazione della Repubblica partenopea. In quello stesso periodo fu annoverato dal Lavigny, nell'elenco preparato per l'arrivo di Giuseppe Bonaparte, tra le opere di interesse artistico. Tutti ebbero rispetto per il Castello. Nel 1943 il Castello fu sede dei Comandi della Quinta e della Settima armata delle truppe alleate. Il colonnello Spencer J. Braw grande disegnatore e appassionato di opere d’arte, preparò degli schizzi del Castello esposti in seguito a New York nel 1949, ad una mostra di monumenti dell’Italia meridionale. Al corpo centrale sono addossate cinque poderose torri quadrate. Sulla sinistra del lato che guarda a sud-ovest, accanto a una torre, è visibile l'ingresso, segnato da un arco a ogiva. Una delle torri presenta al suo interno una stanza con intonaco affrescato alla maniera pompeiana, secondo la moda che si diffuse nelle dimore della nobiltà sul finire del XVIII secolo, all'indomani della scoperta di Ercolano e di Pompei».

http://www.comune.sanfeliceacancello.ce.it/il-castello-di-rudovaco


Capriati a Volturno (ruderi del castello)

Dal sito www.comuniverso.it   Dal sito www.comunitamontanazonamatese.it

«La prima notizia certa sul borgo risale all'881, quando Capriata era divisa in due quartieri appartenenti l'una alla chiesa di San Pietro di Isernia e l'altra al monastero di San Vincenzo al Volturno. Dal 979 passò ai Benedettini di Montecassino nel cui patrimonio rimase fino al 1290; in questo periodo, quando le popolazioni locali furono costrette a raggrupparsi in luoghi più sicuri e meglio difendibili da attacchi di invasori e si trasferirono alle pendici dell'attuale Cesa Iannitti, cominciò a delinearsi il centro abitato di Capriati; su questo nuovo insediamento fu costruito il Castello [ne rimane oggi la torre circolare]. Dal 1290 Capriati appartenne alla famiglia Villacublai-Sangiorgio. Dal 1329 appartenne alla famiglia Capuano; dal 1390 fu feudo dei Sanfromondo. Nel 1450, Capriati insieme a tutta la baronia di Prata, passò sotto il dominio di Francesco Pandone, conte di Venafro. Dal 1528 fu feudo della famiglia Lannoi fino al XVII secolo, quando fu assegnata ai Carafa. Da questo secolo si cominciò a costruire fuori le mura e a quel periodo risale anche la Chiesa S. Maria delle Grazie. Tra il 1645 e il 1653 la Baronia di Capriati fu venduta dai Carafa a Francesco II Gaetani d'Aragona, quarto duca di Laurenzana. Iniziò così il possesso dei Gaetani d'Aragona che si protrasse fino al 1806 con l'abolizione della feudalità.  L'antico nome di Capriata rimase fino al 1863, quando divenne ufficialmente Capriati a Volturno. Le vicende del paese dopo l'unità d'Italia sono state caratterizzate da miseria e da fenomeni di emigrazione massiccia verso l'America e i paesi del centro Europa. Con l'avvento del Fascismo e con l'abolizione nel 1927 della provincia di Caserta, Capriati fu aggregata alla provincia di Campobasso, ma nel dopoguerra, con la ricostituzione della provincia di Caserta, ritornò di nuovo a far parte di quest'ultimo».

http://capriatiavolturno.asmenet.it/index.php?action=index&p=76


Capua (castello delle Pietre o dei Principi normanni)

Dal sito www.visititaly.it   Dal sito www.sulleormedeiborbone.it

«La fondazione del castrum lapidum è attribuita ai Normanni subito dopo aver conquistato la città nel 1062 per tenere in soggezione i Longobardi vinti e come difesa verso Meridione, cioè dal lato dove il castello manca di un prospetto, distrutto in occasione di successivi ammodernamenti delle fortificazioni. Per la costruzione sono stati utilizzati blocchi calcarei provenienti dal vicino anfiteatro Campano, ai quali si sovrappone, nella torre, un'architettura ottocentesca. Ampliato nel 1062 e più volte rimaneggiato a seguito delle diverse destinazioni d’uso (difensive, militari, residenziali), conserva della struttura originaria tracce della cinta muraria, parte del corpo di fabbrica principale e una torre completamente in tufo, quadrata con tre grandi finestre bifore, feritoie e merli ghibellini a coda di rondine. Intervento quest'ultimo insieme alla merlatura, eseguito nel 1875, a cura del Genio Militare, allorché la torre venne dichiarata monumento nazionale. Di età aragonese invece, sono le otto finestre inserite nella parte centrale. Ricordiamo inoltre che nel Quattrocento il castello fu la residenza della potente famiglia Marzano che lo ampliò nel 1388, successivamente passò in proprietà della famiglia Di Capua e poi ancora dei duchi di Migliano. Nel 1734 venne adibito ad ospedale per le truppe spagnole e dal 1806 ad arsenale militare».

http://www.capuaonline.it/storiadicapua/castellodellepietre


Capua (castello di Carlo V)

Dal sito www.ancientcapua.com   Dal sito www.cittadicapua.it   Dal sito www.incampania.com

«La sorte di Capua come città fortificata e militare per antonomasia del Regno meridionale è da far scaturire dalla scelta deliberata di Pandolfo I che nel 853 trasferì da Sicopoli (sita sul colle sovrastante l’attuale Triflisco) la Capua antica plurisecolare. E così, fin dalla fondazione munita di mura, la città conobbe, in ogni epoca, ammodernamenti, rafforzamenti, allargamenti del perimetro murario. Gli esempi più rilevanti delle fasi medievali sono senza dubbio il Castrum Lapidum normanno e le torri federiciane. Della prima fase aragonese, intervenuta a risanare i danni prodotti dal sisma del 1456, non resta traccia né si sa molto del secondo intervento suggerito da Guidobaldo da Montefeltro e probabilmente realizzato da Francesco di Giorgio Martini. Infatti dei lavori aragonesi nulla restò dopo l'allargamento della cinta e la costruzione dei bastioni, opere necessari in quanto le vecchie mura erano assolutamente inadatte a reggere il tiro delle nuove armi da fuoco, che avevano rivoluzionato l'arte della guerra. Si cercò in un primo momento di correre ai ripari modificando la murazione della generazione precedente: i muri di cinta furono rinforzati con terrapieni, si crearono delle trincee basse per consentire il tiro dall'interno della murazione. Erano tutte soluzioni insoddisfacenti a confronto della nuova invenzione dell’architettura militare, la cinta bastionata in cui il bastione, elemento fortemente sporgente dalla cortina muraria notevolmente meno elevata e più spessa di quelle dell'età precedente, era l'elemento principale di offesa (tiro avanzato sul nemico) e di difesa (protezione fiancheggiante per difendere le cortine). In una prima fase (1515-41) ci si accontentò di apportare delle modifiche parziali: il progetto fu a cura di Antonello da Trani (realizzatore di lavori ad Otranto, Gaeta, Crotone e Manfredonia) ma benché già proposto e approvato, nel 1520 i lavori erano ancora allo stadio iniziale dello scavo dei fossati. Il progetto prevedeva dei bastioni tra porta S. Angelo e porta S. Eligio circondati da fossati (circa 1,8 Km). Un progetto alternativo prevedeva un perimetro minore. Un progetto concorrente del marchese Gian Vincenzo Carafa fu parimenti esaminato. Fatto fu che nessuno dei tre fu attuato, se non per effettuare (ante 1532) lavori particolari presso porta Napoli. Nel 1535 fu il viceré Pedro di Toledo in persona ad ispezionare la fortificazioni e a ritenerle insufficienti. Nel marzo del 1536 era il sovrano stesso Carlo V (presente a Capua) a constatare l'urgenza dei lavori. In quell'anno eseguirono lavori generali il capuano Cesare Falco e lo spagnolo Berardino Cervellone (costruzione dei torrioni di S. Angelo e S. Eligio). Nel 1536 venivano trovati i finanziamenti annui per intraprendere un'opera più generale tassando pane, grano, farina, vino, canapa e lino con un gettito annuo di 3000 ducati da parte dei casali capuani.

La seconda fase (1542-52) di fortificazione della città fu quella del rinnovamento totale. Fu affidata a Gian Giacomo d'Acaja progettista delle più famose fortezze del regno, con la direzione dei lavori di Ambrogio Attendolo. Il d'Acaja, più volte a Capua dal 1543 per studiare e redigere il progetto, incaricò l'Attendolo dei disegni. Essi realizzarono una cinta bastionata a 3 punte (S. Angelo, Porta Napoli, bastione Castello), con bastione a tenaglia isolato a S. Caterina, il tutto incentrato sul Castello di Carlo V. Quest'ultimo (ispirato alle teorie del Sangallo, come quasi tutta l'opera del D'Acaja) è a pianta quadrata, con corte anch’essa quadrata, e bastioni romboidali lanceolati nei quattro angoli (ciascuno con orecchioni) ed un quartiere sopraelevato (probabilmente settecentesco) destinato al Comandante della Fortezza. L'opera è ancora più toscaneggiante nel risultato in quanto vi lavorarono maestranze appositamente richieste ai Medici, Granduchi di Toscana. Una terza fase di lavori (1552-89) si rese necessaria dopo la decisione del viceré di potenziare il controllo sociale e militare sulle città. C'erano state delle insurrezioni popolari (contro il tentativo di introdurre l'Inquisizione) e le fortezze erano risultate insicure. La cinta del d'Acaja appena compiuta sembrava già antiquata. Pedro di Toledo incaricò dei lavori lo spagnolo Ferdinando Manlio (già attivo per le mura napoletane). Furono modificati i bastioni e si creò, abbattendo le torri federiciane, il bastione cavaliere a Borgo Casilino. Esecutore dei lavori fu ancora l'Attendolo (morto nel 1585) cui successe Benvenuto Tortelli. L'ultima fase dei lavori (1586-95) fu ordinata dal viceré conte di Miranda su progetto del Marchese di Grottola e di Carlo di Loffredo. Gli interventi portarono la cinta bastionata da 3 a 5 fronti realizzando, tra i primi due già esistenti, i bastioni Conte ed Olivares. Su questa cinta si inserirono le opere settecentesche tutt’ora visibili».

http://www.trionfo.altervista.org/Monumenti/carloVcap.htm (a cura di Pietro Di Lorenzo)


Capua (mura, bastioni, torre campanaria)

Foto di JoNapo, dal sito www.skyscrapercity.com   Foto di JoNapo, dal sito www.skyscrapercity.com   Dal sito www.youreporter.it

«Le mura bastionate costituivano, insieme ai fossati, il sistema difensivo della città di Capua, sul lato meridionale aperto verso la campagna dalla parte non circondata dal fiume Volturno. La cintura fortificata con cortine murarie a scarpa, è opera d'impianto e di rinnovamento, degli Spagnoli e degli Austriaci, durante il periodo del viceregno. Le opere di fortificazione datano dai primi del Cinquecento al primo trentennio del Settecento. La cinta muraria è del tipo bastionato a fianchi rientranti. Essa era costituita perciò da bastioni, torri, frecce, mezze frecce e polveriere. La murazione, del tipo a tracciato poligonale, presenta numerosi fronti che, iniziando dal lato orientale della città, prendono i nomi di: Sperone, Olivarez, del conte, d'Aragona, Eugenio e Daun. A questi due ultimi bastioni, siti sul fronte occidentale, furono cambiati i nomi in quelli di Carlo e Amalia per onorare il sovrano, Carlo di Borbone che ne volle il restauro nel secolo XVIII. All'interno di questi due bastioni, più prossimi al fiume Volturno, è sita la cittadella con il maestoso castello cinquecentesco fatto erigere tra il 1542 ed il 1552 (nel luogo detto la portella) dall'imperatore Carlo V. Sull'ansa interna del Volturno nella zona detta limata, si erge il bastione Sapone. In realtà le fortificazioni di Capua davano la possibilità di sviluppare la difesa frontale (ficcante). la difesa piombante (o radente) e quella fiancheggiante (a mezzo delle torri). è un complesso maestoso di opere murarie ancora oggi visibile per chi proviene da Napoli o da Roma (entrando in città dalle Torri di Federico) oppure per chi visita la zona di S. Caterina e di Piazza S. Francesco. ... Torre campanaria del Duomo. La torre eretta in età longobarda (861), ristrutturata in età normanna e consolidata nel Quattrocento dopo le lesioni riportate in seguito al terremoto del 1456 che arrecò molti danni alla città, rappresenta uno dei segni maggiori della città d'impianto longobardo. Essa svolgeva anche un ruolo nel sistema difensivo del nucleo urbano: a pianta quadrata, era concepita strutturalmente robusta con l'uso, sul basamento, di blocchi lapidei, profilata sugli angoli da colonne di marmo cipollino nel registro inferiore; essa presenta tuttora nei tre ordini superiori una tessitura muraria di mattoni e di piperno, con finestre bifore. Sono presenti sul basamento tre grossi conci squadrati, alcune feritoie che dovevano assolvere la palese funzione difensiva, mentre sulla canna sono incastonate, in ordine sparso, alcune protomi. Nel 1873, dal Ministero dell'Istruzione Pubblica, fu dichiarata edificio monumentale».

http://www.capuaonline.it/storiadicapua/bastioni/index.html - ...torrecampanaria/index.html


Capua (palazzi)

Palazzo Fieramosca, dal sito www.nobili-napoletani.it   Palazzo Antignano, dal sito www.tripadvisor.co.uk

«Palazzo Antignano: rifacimento quattrocentesco di un palazzo già esistente; dal 1874 vi ha sede il Museo Campano. Palazzo Fieramosca: la costruzione originaria è un gotico di fine duecento, della quale esiste ancora il portale archiacuto d'ingresso, venne ristrutturato nella seconda metà del XV secolo dalla famiglia Fieramosca. Oggi vi ha sede la A.S.L. di Capua. Nel 1476 vi nacque Ettore Fieramosca, l'eroe della disfida di Barletta. Palazzo di Giustizia o del Governatore: ha sede in Piazza dei Giudici, costruito nel 1585 su disegno di Ambrogio Attendolo, con l'arengario situato in posizione centrale rispetto alla piazza. Edificio della Gran Guardia o Bivach (1608 - 1611), posto di fronte al precedente, ospitava il Corpo di Gran Guardia del Governatore. Palazzo Friozzi-Azzia (seconda metà del '700), di scuola vanvitelliana. Palazzo Lanza, acquisito dalla famiglia Lanza nel 1453, ristrutturato nel XVII e nel XIX secolo; nel '700 vi soggiornò Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Palazzo Rinaldi-Campanino (secondo '400) di stile misto tardo-gotico catalano e pre-rinascimentale, fra gli archi del portico cortilizio interno vi è un interessante reperto scultoreo romano, una testa di giovane. Palazzo Rinaldi-Milano della metà del XV secolo, con una facciata manieristica napoletana. Palazzo cosiddetto delle "Centopersone", probabilmente era una caserma d'appoggio delle truppe all'epoca di Fieramosca. Dopo un lungo periodo in cui versava in uno stato di rovina nel 2010 sono cominciati lavori di restauro».

http://viaggi.virgilio.it/guide_di_viaggio/europa/italia/campania/capua/monumenti-e-luoghi-d-interesse.html


Capua (porta Napoli)

Dal sito www.ancientcapua.com   Dal sito www.cittadicapua.altervista.org

«Detta anche Porta delle due Torri, la monumentale struttura fortificata fu costruita per espresso volere di Federico II di Svevia, fra il 1234 e il 1239-1240, dinanzi al ponte Casilino, di epoca romana, che attraversa il fiume Volturno, all'ingresso nord della città di Capua (l'antica Casilinum), considerata l'avamposto più settentrionale del Regno di Sicilia, ai confini con lo Stato della Chiesa. Fatta demolire nel 1557 dal viceré spagnolo di Napoli, l'imponente costruzione era caratterizzata dalla presenza di due massicce torri ‒ di cui resta in piedi il basamento poligonale ‒ collegate fra loro da un corpo di fabbrica intermedio, forse un po' meno alto delle torri stesse, attraversato sul piano stradale da una sorta di androne voltato in muratura. Abbellivano il monumento, specie sulla fronte settentrionale, numerose sculture, molte delle quali sono oggi conservate nel Museo Provinciale Campano di Capua. L'imperatore, dopo aver siglato direttamente il progetto della Porta per approvazione (manu propria consignavit), come ricorda Riccardo di San Germano nel suo Chronicon (ad annum MCCXXXIV), nominò Niccolò da Cicala direttore dei lavori, mettendogli a disposizione come mano d'opera gli abitanti dei territori compresi fra Capua e Mignano. Si trattò di un intervento architettonico di tale rilievo da capovolgere, nell'ambito della stessa città campana, il rapporto fino allora esistente fra il nevralgico Castrum lapidum di fondazione normanna, passato ormai in secondo ordine, e il ponte Casilino che con la Porta a mo' di castello divenne il punto urbanistico di maggiore riferimento, un punto di forza di straordinaria efficacia difensiva che assicurava il controllo della Via Appia e contribuiva a rendere la città un'autentica piazzaforte.

Oltre a questi aspetti, il monumento deve la sua straordinaria importanza al fatto che sul piano storico-artistico costituisce una tappa fondamentale del percorso dell'arte federiciana che culmina in Castel del Monte, mentre sul piano storico-ideologico, come si vedrà più avanti, si configura come il più esplicito e sorprendente manifesto politico del sovrano committente. Le testimonianze storico-letterarie, i disegni dei secc. XV-XVII, i ruderi superstiti abbinati alle indagini archeologiche condotte tra il 1928 e il 1936, riprese poi nell'ultimo decennio del Novecento, nonché le sculture conservate al Museo Campano hanno consentito agli studiosi di formulare ipotesi ricostruttive dell'intera Porta in termini complessivamente attendibili, nonostante alcune incertezze nei dettagli. Durante i restauri più recenti, condotti dalla Soprintendenza ai Beni ambientali architettonici artistici e storici di Caserta, si è pure proceduto ad effettuare un minuzioso rilievo architettonico computerizzato del complesso, a cui sarebbe opportuno affiancare un rilevamento analitico di tutte le murature interne ed esterne che ne evidenziasse le alterazioni subìte, distinguendoli ad esempio i blocchi di marmo e di tufo originari da quelli aggiunti, talora molto arbitrariamente, nei molteplici interventi del passato, a partire già dal 1557. ...

Appare certo che la Porta nel suo insieme, pur avendo una sua precisa collocazione nel tracciato dell'arte federiciana, proprio in virtù delle sue caratteristiche doveva configurarsi come un unicum nel panorama delle strutture fortificate dell'epoca. Rifacendoci alle parti superstiti della Porta sul ponte, si constata che l'interno di ciascuna delle torri era collegato tramite una doppia scala a un ambiente sotterraneo, ricavato sotto il piano stradale, nel quale era sistemata una cisterna che, grazie a un sofisticato sistema idraulico, poteva essere alimentata dalle acque del Volturno. Vista dall'esterno, la parte inferiore delle torri, rivestita di pietra calcarea a bugne regolari e di buon taglio, poggia su uno zoccolo di tufo a forma di ferro di cavallo e termina con eleganti pennacchi prismatici posti in corrispondenza degli spigoli, con la funzione di raccordare dinamicamente la struttura poligonale di base con quella sovrastante di tipo circolare. Gli elementi di raccordo, conclusi ai lati da graziose volute e originariamente abbelliti al vertice da erme o antefisse riproducenti perlopiù visi umani, non solo sembrano assecondare il passaggio dalla struttura poligonale a quella circolare, ma attenuano nel contempo il contrasto cromatico che si viene a creare fra il basamento in calcare chiaro e il resto delle torri, costruito con grossi conci di tufo grigio scuro. Il gusto per la bicromia, mediato verosimilmente dalla tradizione locale attestata nel campanile della cattedrale cittadina risalente al vescovo normanno Erveo (1073-1081) e, pressoché contemporaneamente, nella torre campanaria della non lontana abbazia desideriana di S. Angelo in Formis (1072-1087), dove alla pietra calcarea del basamento segue il cotto della parte alta, trovò immediata eco in un'altra struttura fortificata federiciana, ovverosia nel grande mastio circolare inserito, tra il 1240 e il 1250, nel castello di Caserta Vecchia a opera di uno dei fedeli vassalli di Federico, il conte Riccardo di Lauro che nel 1246 ne sposò la figlia Violante ...».

http://www.treccani.it/enciclopedia/porta-di-capua_(Federiciana)  (a cura di Mario D'Onofrio)


Capua (torri di Federico II, porta Roma)

Dal sito www.fotoeweb.it   Dal sito www.visititaly.it   Dal sito www.cittadicapua.altervista.org

«L'imperatore Federico II volle realizzare sul Ponte Romano, sul quale passava la Via Appia, una monumentale costruzione fortificata che oltre alla funzione strettamente difensiva potesse essere considerata come un vero e proprio arco trionfale. ​La struttura infatti possedeva tra le due torri a base ottagonale, un vero e proprio arco di trionfo ricco di decorazioni e sculture, a dimostrazione della potenza imperiale che si contrapponeva al vicino Stato Pontificio. L'intera porta fu demolita in parte dal duca D'Alba nella seconda metà del '500 nel periodo in cui l'intera cinta muraria cittadina fu modernizzata secondo i criteri più avanzati. Essendo la porta posta a protezione di un punto nevralgico quale il ponte che dava accesso alla città, si decise di inglobarla in un vero e proprio forte detto del "Cavaliere", che verrà poi smantellato a sua volta agli inizi del XX sec. Tutte le decorazioni e sculture furono in parte disperse e in parte riutilizzate. Oggi alcune di esse sono conservate all'interno del Museo Campano, insieme ad alcune rappresentazioni della porta federiciana» - «Dell'intero complesso, voluto da Federico II nel 1234, restano le basi ottagonali delle torri, la porta d'ingresso e le feritoie, mentre i sotterranei, articolati in più ambienti, presentano i resti di due scale a chiocciola. La ricostruzione delle due torri, danneggiate nel periodo 1552-89 in occasione della sistemazione viceregnale delle mura, è possibile attraverso descrizioni ed immagini. L'unico disegno esistente, anteriore al '500, è conservato nella Biblioteca Nazionale di Vienna e mostra la porta con le sculture in trono tra le due torri. I reperti della porta, distrutta nel 1557 dal conte di S. Fiora, e altri elementi terminali delle torri sono attualmente conservati nel Museo Campano. Delle sedici sculture poste ad ornamento di protomi umane, restano quelle raffiguranti Federico II, Pier delle Vigne, Taddeo da Sessa, la testa di Zeus e la Capua Fidelis. Proseguendo lungo il tracciato della Via Appia si attraversa il Ponte Romano ricostruito in cemento armato dopo la Seconda Guerra Mondiale sui resti dell'antico Ponte Romano di Casilinum. Nelle sue vicinanze affiora dall'acqua un rudere attribuito alle antiche strutture del molo. Sulla sinistra del corso Appio vi è il vicoletto che conduce alla piazza Commestibili. Già sede della Bagliva, in età medievale fu adibita alla vendita dei commestibili, antica tradizione tuttora conservata. Presenta al centro la fontana della Mensa Arcivescovile Capuana e, in aderenza al Duomo, la chiesa di S. Maria a Piazza».

http://prolococapua.wix.com/prolococapua... - http://www.capuaonline.it/storiadicapua/torridifedericoII/index.html


Casale (palazzo Ducale)

Dal sito www.comune.castelmorrone.ce.it   Dal sito www.incampania.com

«Nella frazione Casale sorge l' antico Palazzo Ducale, un tempo dimora dei ricchi e dei potenti feudatari di Morrone. ... Fatto costruire nella prima metà del 300 dalla famiglia De Capua, è stato ingrandito e modificato, nella seconda metà del '600, dalla famiglia De Mauro. La porzione di edificio a sud, lungo la strada, di proprietà comunale, è stata rifatta dalle fondamenta, ad iniziare dal 1896, su progetto dell'architetto Salvatore Bianco di Napoli; quella a nord, all' interno, di proprietà privata, si mantiene nelle sue forme originarie, ad esclusione del secondo piano, dove sono stati realizzati interventi post-terremoto che hanno modificato le antiche strutture. L'intero complesso è vincolato dal Ministero ai BB.CC. per la rilevante valenza storica e monumentale» - «Una piacevole passeggiata a Castel Morrone, può diventare un vero momento di riscoperta del patrimonio architettonico campano, non sempre molto noto. Riconosciuto dal Ministero dei beni culturali come un bene di importanza storico artistica, il Palazzo Ducale è l’unico tra le costruzioni civili del borgo ad affondare le radici nel ‘300, allorquando la famiglia De Capua decise di erigere nella prima metà del secolo, il proprio palazzo residenziale. Il ritrovamento di alcuni documenti confermerebbe questa datazione rispetto alle altre strutture del luogo, risalenti al ‘600 quando in effetti il palazzo subì numerosi cambiamenti, conferendogli d’altro canto l’aspetto attuale. L’ampia corte, caratterizzata da giardini e spazi lastricati, conduce all’impianto semicircolare, il quale mostra l’ala sud completamente rimodernata in seguito ad interventi strutturali di fine ‘800, a differenza di quella nord ancora fedele all’aspetto originario. Questa è preceduta da una loggia a due arcate che porta nei diversi locali di servizio (magazzini, scuderie, etc.), al piano nobile e all’appartamento principale che conserva ancora tracce di un affresco a soggetto allegorico e lo stemma della famiglia De Mauro, antichi proprietari. Manifesto della storia locale, oggi è sede di eventi e attività culturali».

http://www.comune.castelmorrone.ce.it/index.php?action=index&p=271 - http://www.incampania.com/beniculturali.cfm...


Casaluce (castello normanno)

Dal sito www.iststudiatell.org   Dal sito www.incampania.com

  

«Il Castello normanno di Casaluce, sito nel comune omonimo - piccolo centro rurale a una manciata di chilometri da Aversa - costituisce ancora, benché stravolto nella sua fisionomia originaria dalle numerose trasformazioni d'uso succedutesi nei secoli, uno degli episodi storicamente e architettonicamente più interessanti dell'Agro aversano. Fatto edificare probabilmente dal conte Rainulfo (1024-30) come avamposto dei domini di Aversa contro le mire espansionistiche di Capua, esso si collocava al centro di un'area in gran parte coperta dai boschi su un tracciato di centuriazione risalente alla colonizzazione romana e corrispondente grosso modo a un antico asse viario - la via Campana - che collegava Capua con Pozzuoli. La sua localizzazione ne faceva pertanto un insediamento di grande rilevanza strategica, dal quale era possibile controllare un territorio vastissimo: da Capua a Maddaloni, da Casertavecchia a Napoli. Distrutto quasi del tutto nel 1135 da Ruggero II nella durissima rappresaglia contro Aversa e le fortezze che gli si erano ribellate, il Castello rimase a lungo abbandonato - anche per via dello scaduto ruolo strategico - subendo delle riparazioni soltanto qualche tempo dopo, quando il villaggio di Casaluce, seguendo le vicissitudini politiche dell'intera zona, cadde prima sotto il dominio degli Svevi e poi di quello degli Angioini. Venuto in possesso dei De Balzo, nel 1359 fu donato ai monaci Celestini, i quali, riprendendo l'opera di ricostruzione iniziata dal Conte Raimondo che aveva già realizzato la chiesa, v’impiantarono un monastero: una destinazione d'uso conservatesi per parecchi secoli, soprattutto per la presenza in chiesa della Sacra Icona, nota giustappunto come Madonna di Casaluce, che secondo la tradizione era stata portata da Gerusalemme a Napoli nel 1277 da Ruggero di Sanseverino per farne dono a re Carlo d'Angiò; il quale l'aveva poi donata al nipote Ludovico, il futuro santo, che l'aveva donata a sua volta ai De Balzo, suoi congiunti, per adornare l'Oratorio del Castello.

Soppresso il convento nel 1808 in seguito alle riforme bonapartiane, il complesso fu venduto - ad esclusione naturalmente della chiesa e dell’attigua canonica - a privati che lo trasformarono parte in fattoria, parte in abitazioni: funzioni con cui è giunto fino a noi. Le strutture del Castello, di pianta quasi quadrata, sono ancora leggibili nella poderosa cinta muraria rafforzata agli angoli da quattro grosse torri, anch'esse quadrate, ancora parzialmente conservate. Intorno al maniero - circondato da un profondo fossato nel quale s’immetteva probabilmente l'acqua di qualcuno dei numerosi rivoli del Clanio, un fiume ora scomparso in seguito ai diversi lavori di bonifica dei Regi Lagni susseguitosi dal Cinquecento a tutt'oggi - si sviluppava una seconda cinta muraria (ancora adesso perfettamente visibile) costruita con lo scopo di proteggere l'annesso insediamento agricolo. Allo stato attuale, il complesso, fatto oggetto recentemente di massicci lavori di restauro da parte della SBAAS di Caserta e Benevento, conserva, oltre a quanto già citato, alcune finestre ogivali, il chiostro, qualche cella dell'ex monastero e l'appartamento abbaziale, arricchito in età tardo-barocca da decorazioni a tempera con le rappresentazioni di prospettive architettoniche che simulano - secondo un uso assai invalso nelle residenze signorili di campagna dell'epoca - loggiati, balconi e porticati. La chiesa, preceduta da un piccolo atrio, fu costruita nella prima metà del Trecento ...».

http://www.iststudiatell.org/p_ext/articoli_pezzella/castello_di_casaluce.pdf  (a cura di Franco Pezzella)


Casapulla (palazzo marchesale Buonpane)

Dal sito www.prolococasapulla.it   Dal sito http://casapulla.altervista.org

«Il palazzo dei Marchesi Buonpane si colloca in prossimità della piazza della chiesa dedicata al Santo Patrono, fondendosi nel tessuto dell’edilizia storica del paese. Fonti storiche documentano l’esistenza del nucleo abitativo intorno al XVII sec., dando l’attribuzione della proprietà ai fratelli Buonpane, Mattia (1617-1690) e Tommaso (1780-1837). La facciata settecentesca è costituita da regolari aperture contraddistinte, al piano nobile, da timpani regolari ed interrotti da una decorazione a roccaile. Dal portale principale si accede all’atrio con il classico soffitto a botte dove è raffigurato lo stemma di famiglia, sostenuto da due angeli con trombe e da due puttini alati, con la corona marchesale alla sommità. La corte interna di forma rettangolare e lastricata da blocchi di calcare, racchiude il nucleo interno del corpo di fabbrica. Al piano nobile si accede da una scala che divide sulla destra il piano settecentesco e sulla sinistra l’ala nuova (ultimamente l’incuria e l’abbandono ha danneggiato la volta della scala facendola franare su se stessa). L’articolata stratificazione succedutasi nel corso dei secoli, rende difficile l’individuazione dell’edificio alle sue origini. Ipotesi del nucleo originario di tardo rinascimentale è da ritenersi, probabilmente, nel piccolo cortile retrostante alla cappella racchiuso a forma di U. La successiva trasformazione, testimonianza data dalla costruzione della Cappella risalente al 1704, risale ai primi del XVIII sec. La Cappella, costituita da un unica navata con soffitto a botte ricoperto da stucchi in gesso, fu dedicata a san Giuseppe per volere di Giulio Antonio Buonpane e destinata a sepoltura della famiglia. ...».

http://www.prolococasapulla.it/index.php?option=com_content&view=category&id=18&Itemid=201&lang=it


Caserta (palazzo del Boschetto)

Dal sito http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it   Dal sito www.vivicasagiove.it

«Di rilevante interesse storico-artistico, costituisce una rara e preziosa testimonianza della Caserta preborbonica. Fatto costruire da Andrea Matteo Acquaviva, nel periodo in cui egli fu principe di Caserta (1594-1634), l'edificio quale residenza suburbana, fu luogo destinato allo svago e al divertimento. Nel suo interno conserva, a tutt'oggi, affreschi di pregevole fattura, opera quasi certamente di Belisario Corenzio, un pittore di origine greca, molto attivo a Napoli e provincia tra la fine del ‘500 e la prima metà del '600. Negli affreschi del palazzo al Boschetto, Belisario Corenzio ha affrontato, con freschezza narrativa, vivacità espressiva e colori chiari e luminosi, temi religiosi e mitologici (scienze e virtù, le fatiche di Ercole, la storia di Giuditta e quella di Susanna, il paradiso terrestre, Saturno e le 4 stagioni in un sincretismo intellettualistico di origine ancora rinascimentale, che possiamo attribuire allo stesso committente, persona colta e raffinata. Probabilmente realizzati in occasione delle nozze del principe, essi esprimono quasi sicuramente "la volontà di celebrare il trionfo delle virtù maschili e femminili, che unite insieme portano ad uno stato di benessere spirituale e materiale, vero e proprio ritorno alla condizione paradisiaca" (C. Marinelli). Di tutte le sale affrescate, solo una e stata restaurata; le altre versano in uno stato di pericoloso degrado, cui bisogna porre rimedio con urgenza, per impedire un'irrimediabile perdita. L'edificio, oggi di pertinenza militare, per la sua storia ed i suoi preziosi affreschi merita una particolare attenzione».

http://www.pietrelcinanet.com/caserta.php


Caserta (Reggia)

Dal sito www.casertace.net   Dal sito www.italia.it   Dal sito www.sudalia.it   Dal sito www.eptcaserta.it

«Nel 1750 Carlo di Borbone (1716-1788) decise di erigere la Reggia quale centro ideale del nuovo regno di Napoli, ormai autonomo e svincolato dall’egida spagnola. La scelta del luogo dove sarebbe sorta la nuova capitale amministrativa del Regno cadde sulla pianura di Terra di Lavoro, nel sito dominato dal cinquecentesco palazzo degli Acquaviva. Il progetto per l’imponente costruzione, destinata a rivaleggiare con le altre residenze reali europee, fu affidato, dopo alterne vicende, all’architetto Luigi Vanvitelli (1700-1773), figlio del più importante pittore di vedute, Gaspar Van Wittel, già attivo a Roma sotto Benedetto XIV nel restauro della cupola di S. Pietro. La costruzione della Reggia ebbe inizio con la posa della prima pietra il 20 gennaio del 1752 e procedette alacremente sino al 1759, anno in cui Carlo di Borbone, morto il re di Spagna, lasciò il regno di Napoli per raggiungere Madrid. Dopo la partenza di Carlo i lavori di costruzione del Palazzo nuovo, come veniva denominata all'epoca la Reggia, subirono un notevole rallentamento, cosicché alla morte di Luigi Vanvitelli, nel 1773, essi erano ancora lungi dall'essere completati. Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi e successivamente altri architetti, che si erano formati alla scuola del Vanvitelli, portarono a compimento nel secolo successivo questa grandiosa residenza reale.

La Reggia di Caserta ha una pianta rettangolare articolata su corpi di fabbrica affacciati su quattro grandi cortili interni e si estende su una superficie di circa 47.000 metri quadrati per un’altezza di 5 piani pari a 36 metri lineari. Un imponente portico (cannocchiale ottico”) costituisce l'ideale collegamento con il parco e la cascata, posta scenograficamente al culmine della fuga prospettica così creata. Lo scalone d’onore, invenzione dell’arte scenografica settecentesca, collega il vestibolo inferiore e quello superiore, dal quale si accede agli appartamenti reali. Le sale destinate alla famiglia reale vennero realizzate in più riprese e durante un intero secolo, secondo uno stile che rispecchia la cosiddetta “unità d’interni” caratteristica della concezione architettonica e decorativa settecentesca ed in parte secondo il gusto ottocentesco per l’arredo composito e l’oggettistica minuta. Sul vestibolo superiore, di fronte al vano dello scalone d'onore, si apre la Cappella Palatina. Progettata dal Vanvitelli fin nelle decorazioni, è di certo l'ambiente che più di ogni altro mostra una chiara analogia con il modello di Versailles. Il teatro di Corte, ubicato nel lato occidentale della Reggia, è un mirabile esempio di architettura teatrale settecentesca.

La tradizionale visita nella Reggia di Caserta si è arricchita di recente di percorsi inediti che offrono al visitatore la possibilità di scegliere le modalità i tempi e le tematiche più aderenti ai propri interessi e curiosità culturali. Il Percorso A comprende la visita dell'Appartamento Storico, e, subito dopo il Presepe, si completa con la visita della Pinacoteca, che si sviluppa su due ali completamente riallestite e della Cappella Palatina. Il Percorso B si snoda attraverso la “Quadreria. Dipinti inediti dai depositi”, allestita al piano terra del secondo cortile. Il Percorso C prevede la possibilità di visitare, su prenotazione, la volta ellittica di copertura dello Scalone d'Onore e gli spazi dei sottotetti corrispondenti. I visitatori potranno accedere ad esso direttamente dal Vestibolo Superiore, mediante la scala posta a destra dell’ingresso all’Appartamento Storico. Il Percorso D che presenta le Arti decorative a Palazzo è allestito nel secondo piano del Palazzo; ad esso si potrà accedere su prenotazione dopo aver effettuato il percorso C o direttamente dal Vestibolo Superiore».

http://www.reggiadicaserta.beniculturali.it/index.php/guida-alla-reggia.html


Casertavecchia (borgo)

Dal sito www.nikj.it   Dal sito www.casertamusica.com

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Nietta Pastore (https://www.facebook.com/nietta.pastore)

«Casertavecchia sorge alle pendici dei mondi Tifatini ad una altezza di 401m, è facilmente raggiungibile da più punti, e dista dalla Reggia Vanvitelliana di Caserta, circa 10 Km in direzione Nord-Est. Le origini del paese ancora oggi non sono certe, ma secondo alcuni scritti del monaco Benedettino Erchemperto che risalgono all'anno 861, si parla di un primo nucleo urbano, sulle montagne denominate Casahirta (dove casa sta per villaggio e hirta o erta per aspra, ripida, di difficile accesso). Il Borgo originalmente edificato su un pre-esistente villaggio romano nel corso degli anni ha subito varie dominazioni. Originalmente appartenne ai Longobardi nell'879 fu dato al conte Pandulfo di Capua. Nel secolo IX a seguito di vari eventi bellici, quali incursioni saracene e devastazioni di Capua, gli abitanti e il clero si videro costretti a cercare rifugio in luoghi più sicuri, come quelli montani. E fu proprio in seguito a questi eventi che la popolazione aumento notevolmente, cosicché alla fine fu trasferita anche la sede vescovile. Nel 1062 Casertavecchia venne occupata da Riccardo I di Aversa, e da qui ebbe inizio la dominazione Normanna che porto il paese al suo massimo splendore nell'anno 1100-1129 con la costruzione della attuale Cattedrale sotto l'episcopato di Rainulfo, e la sua consacrazione nell'anno 1153 al culto di san Michele Arcangelo. Con alterne vicende altri feudatari successero a Riccardo I, finché il Borgo non passo sotto la dominazione degli Svevi con Riccardo di Lauro (1232-1266), il quale ne accrebbe la fama e lo valorizzò fino a farlo giungere al suo massimo splendore e importanza anche in campo politico. E pare che si debba proprio a Riccardo di Lauro la costruzione al castello della grande torre cilindrica superstite. Nel 1442 il Borgo passa sotto la dominazione aragonese, e qui inizia la sua parabola discendente, Casertavecchia vede lentamente decadere la sua importanza, poiché la vita incomincia a svilupparsi in pianura. Restano a Casertavecchia solo il vescovo e il seminario, che continuano a dare una minima importanza al Borgo. Questo fino all'anno 1842, quando papa Gregorio XVI ne sancì il definitivo trasferimento alla nuova Caserta. In seguito con il dominio dei Borboni nell'Italia meridionale e la costruzione della reggia, il nuovo centro di ogni attività diventa Caserta e per forza di cose gli abitanti della vecchia cittadina dovettero spostarsi in pianura. A ricordo ancora dello splendido passato che fu restano il Duomo, il campanile, i resti del castello e le strade dell'intero Borgo tutte in stile siculo-normanno».

http://www.casertavecchia.net/schede/casertavecchia-la-storia


Casertavecchia (castello)

Dal sito www.clarusonline.it   Dal video www.youtube.com/watch?v=wgY7EUYrv6w   Dal sito www.casertavecchia.net

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Samuele Romano (https://www.facebook.com/samuele.romano.9)   Foto di Samuele Romano (https://www.facebook.com/samuele.romano.9)  --  Foto di Nietta Pastore (https://www.facebook.com/nietta.pastore)   Foto di Nietta Pastore (https://www.facebook.com/nietta.pastore)

«L'abitato di Casertavecchia, in mancanza di documenti utili a datarlo, è dalla maggior parte degli studiosi ritenuto coevo alla conquista longobarda del Meridione (dal 570), per espansione di un "pago" romano preesistente che nel tempo aveva accolto le popolazioni locali, quivi rifugiatesi abbandonando le città della pianura. Il castello sorse a guardia del borgo, sul punto più alto del colle, a sentinella sulla pianura e sulle valli del Monte Virgo. Di quel primo castello, luogo di ricovero occasionale per abitanti, animali e masserizie piuttosto che residenza, l'attuale complesso conserva la distribuzione planimetrica irregolare, grosso modo ellittica. Esso esisteva con certezza nell'861, anno in cui Erchemperto, lo storico longobardo, ne da una descrizione, e dal 879 accolse il primo conte Pandolfo. Con la dominazione normanna "Casahirta", avviata ad una palese autonomia feudale, accrebbe la sua importanza religiosa (per la presenza della sede vescovile) e soprattutto politica e demografica. Ciò impose un rafforzamento delle strutture del primitivo recinto fortificato nei punti più vulnerabili con la costruzione di un mastio e 6 torri a pianta quadrata, erette con muratura a sacco, ancora oggi esistenti, allo stato di rudere. All’età normanna potrebbe risalire una delle torri rettangolari superstiti, quella di fronte all’attuale palazzo, che guarda verso O. L’ipotesi di lavoro è fondata sull’osservazione della grande regolarità del taglio e della dimensione dei tufi a vista del paramento murario, opus questo caratteristico di quell’età in Campania. Nel periodo svevo fu commissionata la completa ristrutturazione del complesso e l'edificazione del grandioso mastio circolare. Forse ad ordinarli fu Riccardo, figlio di Tommaso di Lauro, educato alla corte dell'imperatore Federico II, di cui sposò la figlia Violante nel 1246. La torre fu concepita con un paramento in blocchi di tufo squadrato a vista poggiante su uno zoccolo poligonale in calcare, raccordato al volume cilindrico attraverso unghie triangolari. Tale configurazione, chiaramente ispirata alle due torri federiciane di Capua, vicine per collocazione geografica e temporale, induce ad ipotizzare che alla erezione del mastio casertano parteciparono gli stessi artefici capuani o comunque maestranze ben a conoscenza di quell'esperienza. La torre è tra le più grandi d'Europa, seconda per diametro alla torre della cinta urbana di Aigues Mortes, in Provenza. è alta circa 30 metri per 19,14 di diametro, ha tre livelli voltati, di cui solo il primo accessibile dall'esterno grazie ad un ponte levatoio che la collegava al vicino castello; la sala superiore comunica con quella d'ingresso per mezzo di una scala in pietra ricavata all'interno dello spessore della muratura; il vano inferiore è accessibile solo per una botola. Alla cultura cosmopolita della casa sveva, cui i conti di Caserta erano legati in parentela, si dové la realizzazione dei "balnea" ubicati sulla cortina meridionale verso il borgo».

http://www.comune.caserta.it/pagina699_borgo-di-casertavecchia.html


Casolla (palazzo dei marchesi Cocozza di Montanara)

Dal sito www.terra-nostra-caserta.it   Dal sito http://lacittadelsale.blogspot.it

«Lungo la strada che conduce a Piedimonte di Casolla si trova il palazzo dei marchesi Cocozza di Montanara. L'impianto architettonico dell'edificio risale alla seconda metà del XV secolo. In origine apparteneva alla famiglia dei d'Amico, successivamente passò ai Tomasi, poi, attraverso legami di parentela, venne ereditato dai Cocozza. L'antico nome di questa casata era de Cucubertis ed erano nativi di Cogozzo in provincia di Brescia. Giunsero a Napoli agli inizi del Quattrocento con il conte Piergianni, capitano di lance a cavallo di Ladislao di Durazzo. Sin dal Cinquecento, fino al Settecento, i Cocozza si distinsero per fatti d'arme, civili ed ecclesiastici. Furono signori di numerosi feudi distribuiti tra la provincia di Caserta ed il napoletano ed, inoltre, si imparentarono con diverse famiglie di alto lignaggio. Il palazzo pedemontano, distribuito su tre livelli, ha una pianta ad U e possiede una corte centrale. La facciata principale è caratterizzata da un grosso portale d'ingresso in piperno, su cui è posto lo stemma di famiglia (la "cocozza" con le FF di fidelis familia), e da alcune finestre dal gusto neo-catalano. Agli appartamenti, completamente rifatti tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, si accede tramite una scala settecentesca. Parte della residenza, in corrispondenza di un'antica torre di avvistamento, risulta essere ancora danneggiata da un incendio provocato dall'esercito garibaldino durante l'occupazione avvenuta nel 1860. Dal cortile si accede, attraverso uno scenografico portale sempre in piperno, sormontato da una merlatura in tufo grigio, al giardino "romantico". Tale spazio presenta un notevole patrimonio botanico, caratterizzato da specie mediterranee ed esotiche, ed una serie di brani scultorei evocanti il mondo classico. Di fronte al palazzo è la cappella privata dei Cocozza, eretta nella prima metà dell'Ottocento, dedicata a San Rocco. Nel 1969, Pier Paolo Pasolini utilizzò il palazzo per girarvi alcune scene del suo Decameron».

http://www.casolla.net (a cura di Luigi Fusco)


Castel Campagnano (palazzo Ducale Aldi)

Foto di Sindaco Di Sorbo, dal sito www.panoramio.com   Foto di Sindaco Di Sorbo, dal sito www.panoramio.com

«L’assenza di studi specifici sul complesso palazziale comunemente chiamato “Palazzo Ducale”, non consente di assegnare una data certa alla nascita dell’edificio. L’attuale denominazione di “Palazzo Aldi” è probabilmente desumibile dal Casato dell’ultima famiglia che ne fu proprietaria. Certamente è più verosimile che l’edificio appartenesse al duca padrone del paese e delle sue contrade, da cui la più coerente denominazione di “Palazzo Ducale”.  tessa sorte per l’adiacente Castello che, già proprietà della famiglia “Campagnano” proveniente da Roma, divenne anch’esso Castello Ducale così come ancora oggi è conosciuto. La struttura si sviluppa sul lato destro della Chiesa parrocchiale dove sorgono tre antichi palazzi, notevoli per la cura nelle decorazioni delle facciate, allineati in successione a delimitare il tracciato curvilineo della strada. In particolare, il prospetto di Palazzo Aldi (quello centrale di proprietà comunale) è di gran pregio per il portale di accesso alla corte interna (in pietra lavorata a bugne rettangolari) databile alla fine del Seicento e le belle cornici in stucco delle finestre del piano nobile di gusto vaccariano. L’ultimo portale della strada da accesso ad una corte tardosettecentesca più vasta, di stile neoclassico, sorta come spazio di disimpegno per i locali di servizio del Palazzo Aldi. Al di sotto del cortile c’è una grande cisterna, poi utilizzata come cantina, datata 1777, probabilmente realizzata in concomitanza con l’ampliamento del Palazzo, allorquando divenne dimora gentilizia dei Ferrara Vastano e dei Satriano Ferrara.

Nel corso di queste campagne edilizie nell’arco di quattro secoli, furono tompagnati i due ingressi della sottostante grotta e l’accesso al sito rupestre fu assicurato da un passaggio sotterraneo scavato nel tufo che dalla corte centrale del palazzo conduceva sino all’antica Cappella, oramai sconsacrata ed utilizzata prima come cava di materiale lapideo e poi come cantina-cellaio. L’attuale aspetto del complesso tradisce, però, origini più remote, infatti al di sotto dell’ala in comune con Palazzo Aldi, è collocata quella che è possibile identificare come la Chiesa di Sant’Angelo, esempio di architettura ipogea di cui è possibile rintracciare numerosi esempi in altre aree dell’Italia centro-meridionale, tra i quali il più importante è certamente il Santuario di San Michele sul Gargano. L’attività antropica negli ipogei del centro urbano fu favorita dalle caratteristiche geomorfologiche del territorio (tufo facilmente lavorabile). Nonostante la frammentarietà dei dati riguardanti la dedicazione originaria della grotta che essendo sconsacrata da secoli, non ha mantenuto l’intitolazione, un valido aiuto, invece, giunge da una Bolla con la quale si conferiva dignità episcopale a santo Stefano Menicillo emanata nel 979 dal metropolita capuano Gerberto (978-980) e pubblicata da Michele Monaco già nel Seicento».

http://www.comune.castelcampagnano.ce.it/index.php?action=index&p=118&art=15


CASTEL DI SASSO (borgo, resti del castello)

Dal sito www.comune.casteldisasso.ce.it   Dal sito www.comune.casteldisasso.ce.it

«Piccolo borgo medioevale che offre alla vista un incantevole panorama. Dell’antica fortezza, benché poche le tracce, conserva ancora il torrione quadrangolare posto al centro della rupe su cui si ergeva e tratti di cinta muraria provvista di sei gritte difensive. ...» - «Attualmente il comune di Castel di Sasso è composto da alcune borgate e da quattro frazioni. Certo però, che quale Università della baronia di Formicola (inizio 1800), comprendeva anche il villaggio di Villa S. Croce, attualmente appartenente al comune di Piana di Monte Verna. Le prime notizie storiche riguardanti il territorio di questo comune si riferiscono alla frazione Strangolagalli. Si tratta di una battaglia combattuta nel 554 d.C. tra Buccellino, generale del re dei Franchi Teobaldo, e Narsete, generale di Giustiniano imperatore d'oriente. ... L'origine del nome del comune è facilmente attribuibile alla presenza in Sasso dei ruderi di un vecchio castello. Incerta, invece sarebbe l'epoca della sua costruzione che potrebbe risalire al 700, epoca in cui i duchi di Benevento, ridotti in loro dominio Campania e Sannio, ne apprestarono i bastioni difensivi. Tradizione vuole che il castello sia stato costruito da Gionata, capo di un ceppo di Longobardi cacciati da Caiazzo. ... L'esistenza del castello è comunque certa nel 979 nella famosa bolla di S. Stefano Menicillo in cui si legge "Sanctus Petrus ad Saxa". Nel Catalogus baronum (1154 - 1169) troviamo che il feudo di Sasso appartenne ad Alessandro di Montefusco».

http://www.comune.casteldisasso.ce.it/index.php?action=index&p=85 - http://www.tregliaonline.it/paese/paese_din.asp


Castel Morrone (mura sannitiche, ruderi del castello feudale)

Dal sito www.comune.castelmorrone.ce.it   A sinistra, ruderi del castello; a destra, la chiesa di Monte Castello, dal sito www.comune.castelmorrone.ce.it   Resti di mura di cinta, dal sito www.softwareparadiso.it

«Nel territorio di Castel Morrone vi è anche una fortificazione di età sannitica. La cinta si colloca sui monti Gagliola e Castellone, che fanno parte di una catena di colline che sovrastano il corso del Volturno a sud. Essa si estende per una lunghezza di circa 2 Km ed è formata da blocchi poligonali di calcare di notevoli dimensioni. L'individuazione di una cisterna scavata nella roccia (e di notevoli frammenti di tegoloni e ceramica grezza) fa presupporre una frequentazione dell' area non saltuaria. La cinta, lacunosa in più parti, non permette di stabilire con certezza il numero di porte; tuttavia, sembra che fosse dotata di due porte principali. L'area costituiva senz'altro un importante posto di vedetta (in rapporto d'interdipendenza con le cinte di monte S. Croce, di Calatia e di monte Alifano), a controllo dell'importante via di comunicazione costituita dal fiume Volturno. L'importante zona è dal 1992 sotto vincolo archeologico» - «Nel medioevo, quasi certamente al tempo dei Normanni, venne costruito a Morrone un edificio difensivo. La costruzione deve attribuirsi quasi certamente a Roberto di Lauro, conte di Caserta. Ma è da ritenere che, già nell'849, Morrone avesse un proprio fortilizio e che la mano normanna abbia solo ingrandito e rimaneggiato l'impianto esistente. Costruito sul colle più strategico del paese, diventato simbolo dell' oppressione feudale, il castello doveva essere simile ad altre costruzioni fortificate dell'epoca: una cortina muraria difesa da torri alte e possibilmente merlate. Della sua esistenza si hanno notizie certe già in un documento angioino della seconda metà del 1200, in cui si parla della castellana Margherita De Tucziaco, cugina del re Carlo I d' Angiò, che venne ospitata per alcuni mesi nel nostro castello. è documentato che, nel 1456, l'edificio rimase seriamente danneggiato da un terribile terremoto. Attualmente, nell'area in cui sorgeva il castello, sono visibili il torrione principale, a pianta quasi quadrata, i resti della cinta muraria e alcune casette in pietra. L'intero complesso è in pietra calcarea con elementi di riutilizzo, in tufo, tegole e laterizi. A titolo di curiosità, va riferito che una vecchia tradizione vuole che, al di sotto della torre, esista un passaggio segreto, che avrebbe messo in collegamento il castello con il paese. La vetta del monte Castello, per il grande valore storico e ambientale, è sottoposta a tutela dal Ministero ai BB.CC.».

http://www.comune.castelmorrone.ce.it/index.php?action=index&p=269 - ...270


Castel Volturno (castello, borgo San Castrese)

Dal sito www.comune.castelvolturno.ce.it   Dal sito www.campaniatour.it

«La caratteristica del Castello e dell'adiacente Borgo S. Castrese, situato nel centro storico di Castel Volturno, è quella del sito adagiato sull'ultima ansa disegnata dal fiume Volturno prima di sfociare nel mar Tirreno, in contrasto con le consuetudini medioevali, che preferivano innalzare i borghi fortificati su alture inaccessibili. La fondazione di un fortilizio o quanto meno di un luogo fortificato alla foce del Volturno risale, secondo i documenti storici, alla fine del IX inizio X sec, allorquando i castaldi longobardi della nuova Capua, rifondata ne 856 sulle rovine dell'antico porto romano di Casilino, ebbero bisogno, per difendersi dalle incursioni - soprattutto saracene - che arrivavano via mare risalendo a forza di braccia la corrente del fiume, di un avamposto militare strategico che bloccasse l'ingresso dei navigli nemici alla foce. La prima fabbrica del castello di Volturno fu certamente opera del vescovo longobardo Radiperto, fu, infatti lui, secondo il carme sepolcrale che chiudeva la sua tomba, a innalzare sul veloce scorrere del fiume un'alta torre (Extulit altifluam pracelso culmine turrim) e a cingere di mura (moenibus arcem) il borgo fortificato. Il castello fu eretto su un'arcata superstite dell'antico ponte romano sul Volturno della Via Domiziana fatto costruire dall'imperatore Domiziano nel 95 d.C., e che si snodava in un viadotto sorretto da pilae, che si susseguivano per un lungo tratto sulla sponda opposta del fiume.

L'antica costruzione dovette essere di forma oblunga, perpendicolare all'andamento del fiume e in asse con l'antico tracciato della via Domiziana. Adiacente alla torre dovette svilupparsi ad est il borgo murato di S. Castrese. Nel 904 il piccolo complesso fortificato era governato dal castaldo Gaideri; nel 982 erano conti di Volturno e Patria i fratelli Guaiferio detto Alo e Guaiferi figli di Wiferi; nel 988 conti di Volturno erano i fratelli Daoferi e Daoferio; agli inizi dell'anno 1000 conte di Volturno era Doferi, successivamente, il possesso del forte, fu assegnato, dai Normanni di Aversa a Guaferi. Con l'incoronazione di Ruggero II a re di Sicilia (1130), Castello a mare del Volturno fu tolto a Ugone conte di Boiano, che lo aveva occupato. Nel 1206 l'imperatore Federico II di Svevia donò il Castello del Volturno alla mensa arcivescovile di Capua, mentre durante il regno della regina Giovanna II d'Angiò (1414-1435) il castello fu recuperato dalle mani del de Sconnito grazie all'aiuto di Filippo Barile e rientrò a far parte dei beni della corona e come tale fu assegnato da Alfonso I d'Aragona (1435-1458) alla figlia Eleonora, che lo portò in dote al marito Marino di Marzano duca di Sessa e quando questi, nel 1460, si ribellò al cognato Ferrante o Ferdinando I re di Napoli (1459-1494), il castello fu costretto a subire un lungo assedio. Il Castello e il vasto tenimento di Castel Volturno, furono tenuti in signoria dai capuani. Il Castello e il Borgo murato di S. Castrese hanno conservato attraverso i secoli sia i limiti urbani che l'impianto viario originari; sono parte dell'arco del ponte domizianeo del I secolo d.C. e le grossa mura perimetrali, costruite con i basoli di roccia leucitica prelevate dall'antica via Domiziana e con i blocchi di travertino e tufo proveniente dallo spoglio di edifici della colonia romana di Volturnum. Sia l'impianto delle stradine (vico I, II, III, IV, V e VI) tutte perpendicolari alla piazzetta principale (Largo S. Castrese) a modello dei castra romana e che doveva costituire la piazza d'armi del forte.

I documenti storici attestano attraverso i secoli l'esistenza di un castrum, di una torre, di un castello e di un borgo fortificato alla foce del fiume Volturno fin da epoche molto antiche, ma non hanno tramandato le modifiche e le trasformazioni cui esso, attraverso il tempo, è andato incontro a causa delle intemperie, degli eventi sismici o bellici o della mano dell'uomo. In un'antica raffigurazione pittorica, conservata nella Chiesa Arcivescovile di Capua, oggi scomparsa, era raffigurato come una “Rocca cinta di mura”, con la scritta CASTRUM MARIS DE / VOLTURNO QUOD EST DE / MAIOR ECC. CAPUANA. Nel corso dei secoli le strutture murarie del Castello e del Borgo fortificato di S. Castrese hanno subito profonde modifiche, alla primitiva torre e mura, fatte costruire dal vescovo longobardo Radiperto, coniugando, evidentemente come era costume per le fortificazioni del IX e X secolo, legno, prelevato della vicina silva Gallinaria, e muratura, il cui materiale proveniva dalla spoliazione della via Domiziana e dalla colonia romana di Volturnum, fu sostituito, nel corso del XII secolo, un fortilizio in muratura con mura e mastio, che diventò la chiave di difesa dell'intero borgo fortificato. La primitiva torre longobarda, probabilmente in legno e circondata da una palizzata e da un semplice fossato, lasciò il posto ad un più massiccio mastio con un borgo attorniato da mura e fossati pieni d'acqua. L'avvento delle armi da fuoco, che distrussero l'antica cinta muraria durante l'assedio del 1460, portò ad un ulteriore modifica. Il Castello e il borgo dovettero essere difesi da un doppia cinta di mura, in parte ancora esistente e da diverse torri e posti di guardia fortificati con un maggior rafforzamento del mastio, che assunse la forma di un vero e proprio bastione nel XVII secolo, quando le coste campane ripresero ad essere oggetto delle incursioni piratesche, per cui si dovette provvedere a rafforzare le porte e le mura, che furono dotate di feritoie per gli archibugieri, le colubrine e le bombarde.

Tanto il castello quanto l'edilizia presente all'interno del borgo fortificato di S. Castrese è stato fortemente rimaneggiato attraverso il tempo, tanto che è difficile, senza il sostegno di un apposito scavo archeologico o lo studio dei vari strati sovrapposti di muratura, ascriverne, ad un periodo preciso piuttosto che ad un altro, le varie trasformazioni e sovrapposizioni stratigrafiche. Le attuali costruzioni esistenti, ad una prima ricognizione visiva, non vanno al di là del Sei-Settecento. Il solo Castello ha la forma quadrata delle torri difensive seicentesche del periodo vicereale, sul lato esterno di Piazza Castello; di antica fattura la rampa di accesso lastricata in opus spicatum, sulla cui sommità si erge un portone di più recente costruzione, che introduce nel cortile interno del mastio, che è ricavato quasi certamente nel camminamento della ronda della doppia cinta muraria. Sul lato opposto, in via Fratelli Daoferi e Daoferio sono ancora visibili un barbacane e nel muro due strette feritoie simmetriche, attraverso le quali, forse doveva scivolare la catena che azionava il ponte levatorio, che pure doveva esserci, se il Castello, come testimoniano le fonti, era circondato da fossati pieni d'acqua, in parte probabilmente ricavata dai bracci dal vecchio porto romano. Il Castello all'interno, a causa dei rimaneggiamenti otto-novecenteschi, ha perso la sua caratteristica natura difensiva. Il portone di acceso a Largo S. Castrese non deve essere più antico del Seicento, per la forma tozza e per l'assenza delle scalanature della saracinesca. L'attuale Torre dell'orologio in Piazzetta Radiperto, originaria torre posta a guardia della porta, non deve essere più antica del Settecento nella sua parte alta, in quanto solo dal 1757 è attesto, nei conti comunali, il pagamento dell'onorario all'orologista. Le facciate delle abitazioni interne al borgo S. Castrese non vanno al di là del XVIII-XX secolo per i continui rimaneggiamenti e stravolgimenti subito. Esse sono costruite in pietra e seguono tutte lo steso schema, per lo più sono costituite da due vani unici sovrapposti non comunicanti, l'accesso ai piani superiori avviene mediante una scala esterna in muratura. Lo schema strutturale presenta mura portanti, in comune i laterali, isolati i frontali e solai con travi in legno».

http://www.comune.castelvolturno.ce.it/index.php?option=com_content&view=article&id=37:castello-e-borgo-san-castrese...


Castel Volturno (torre di Patria)

Dal sito www.rblob.com   Dal sito www.comune.castelvolturno.ce.it

«La torre di Patria, situata al km. 43 della via Domiziana in località Lago Patria, è tra gli esempi di torri di avvistamento e di difesa quella che si è meglio conservata, tra le tante che sorgevano lungo tutta la costa domiziana, nonostante le trasformazioni subite nel corso dei secoli. L'origine del nome della località è da attribuirsi alla frase pronunciata, secondo quanto scrive Valerio Massimo, da Publio Cornelio Scipione l'Africano, che dopo la vittoria di Zama su Annibale si ritirò in esilio volontario nella città di Liternum, dove morì nel 183 a.C. e dove fu seppellito, in un grande sepolcro sormontato da una statua, che fu visitato da Livio e Seneca. La tradizione vuole che l'attuale Torre sia sta fabbricata con i ruderi della tomba del grande condottiero romano; secondo alcuni storici essa fu fatta costruita dagli Aversani nel 1421, per difendere la costa dalle incursioni dei Saraceni, secondo altri fu eretta dagli Aragonesi e venduta dal re di Napoli Ferrante d'Aragona alla città di Aversa nel 1467. L'impianto dell'edificio rientra nella tipologia delle tipiche torri fortificate, sorte sia per l'avvistamento dei nemici, che giungevano dal mare, sia per il controllo delle rotte di contrabbando; la sua funzione era di raccogliere, in caso di pericolo, i segnali luminosi o di fumo provenienti dalle altre torri e di ritrasmetterli a quella successiva. La costruzione ha la forma di una piramide tronca con la base quadrata, che misura 11,40 m, ed un'altezza di 15 m. L'interno si articola su tre piani coperti con volte a botte, adibiti anticamente a magazzino la parte inferiore, ad alloggio il primo piano e a batteria il terzo. Il piano terra è posto a livello del basamento, conserva una cisterna, che serviva per raccogliere l'acqua piovana proveniente dalla copertura mediante un cunicolo canale, che dal tetto raggiungeva la cisterna. Gli armamenti erano posizionati in alto nella zona contornata a caditoie, che impedivano l'assedio ravvicinato».

http://www.comune.castelvolturno.ce.it/index.php?option=com_content&view=article&id=43:torre-patria&catid=25&Itemid=170


Castello del Matese (torri normanne)

Dal sito https://altocasertano.wordpress.com   Dal sito www.terredicampania.it

«Il centro storico è caratterizzato da un tessuto tipicamente medioevale, evidente sia nel tracciato urbanistico che nella presenza delle due torri (il Mastio e la torre piccola) lungo la parte di murazione di epoca normanna. Intorno all’anno Mille, con la nascita della “Terra di Piedimonte” distaccatasi dalla Alife, prima romana e poi longobarda, nacque l’esigenza di difendere il quartiere S. Giovanni da possibili attacchi dall’alto. Pertanto sul preesistente insediamento sannita si eressero le fortificazioni che diedero anche il nome di Castello. Le cinque torri che dall’alto della terrazza di Castello vigilavano sulle valli circostanti rappresentavano una vera e propria roccaforte insormontabile per qualsiasi nemico, per questo Castello divenne l’ultimo baluardo e rifugio degli abitanti delle pianure circostanti. Durante il Medioevo e più precisamente durante l’epoca Normanna Castello fu assediato per ben due volte: nella prima (1229) la resistenza dei castellani fu premiata dall’abbandono dell’assedio da parte delle truppe nemiche mentre nella seconda (1460) la resistenza, se pur strenua ed eroica fu vana. Nella prima delle due sortite offensive le mura di Castello diedero asilo e sicuro domicilio al ghibellino Tommaso D’Aquino veemente perseguitato dall’esercito guelfo. Nel secondo attacco, datato 1460, le mura di Castello non bastarono a difendere il conte di Fondi Antonio Gaetani ribelle a Ferdinando I di Aragona, infatti la grandiosa e memorabile difesa schierata dai cittadini di Castello fu piegata dall’esercito reale di Ferdinando I. Di cinque torri originarie ne restano due; la più piccola presenta una merlatura aggiunta posteriormente, mentre la torre grande rivela nelle sue fondazioni brani delle mura megalitiche preromane. A sud una antichissima mulattiera con gradoni e lastrico in pietra calcarea - in alcuni punti roccia viva - collegava il “Castello” con il quartiere S. Giovanni, sede un tempo del potere amministrativo della “Terra di Piedimonte”. ...».

http://www.castellodelmatese.gov.it/documents/16850/17160/guida+turistica+della+città.pdf...


Ciorlano (resti del castello, torre pentagonale)

Dal sito www.comune.ciorlano.ce.it   Dal sito www.comune.ciorlano.ce.it

«In epoca romana la parte pianeggiante del territorio fu interessata da una suddivisione agraria avvenuta al momento della deduzione della colonia augustea della vicina Venafro, nella cui area di influenza per alcuni secoli essa fu compresa. In seguito, all'inizio dell'VIII secolo, un insediamento di coloni alle dipendenze del monastero di San Vincenzo al Volturno si insediò a Torcino, dando vita a un primo nucleo del villaggio. Alla fine del XIII secolo il feudo, di proprietà di Malgerio Sorello, pervenne per testamento all'abbazia di Santa Maria della Ferrara di Vairano. Nel 1532 il castello di Ciorlano appartenne ad Isabella Mobel e, successivamente, ai conti Gaetani di Laurenzana di Piedimonte. Nel 1738 Ciorlano era una delle Università più ricche della zona, tanto che il duca di Laurenzana donò al re Carlo III la tenuta di Torcino, che divenne la riserva naturale di caccia più grande del tempo Real Caccia di Torcina. Nel 1786 la Real Caccia di Torcino fu ampliata con l'aggiunta di altri territori demaniali per volontà del re Ferdinando IV di Borbone. Con l'Unità d'Italia si sviluppò il fenomeno del Brigantaggio, e le montagne di Ciorlano furono rifugio di molti briganti tra cui la banda di Pietro Trifilio. Da vedere. Castello: è ancora visibile parte del Castello longobardo, adattato a civili abitazioni, con un torrione centrale di forma irregolare, quasi pentagonale, addossato al muro di cinta, e quattro torri circolari agli angoli della fortificazione. Torre medievale: di forma pentagonale, perfettamente conservata nei merli e nelle feritoie. Risale all'epoca normanna, ma fu edificata sui resti di strutture longobarde».

http://www.italynet.it/it/ce-ciorlano


FORMICOLA (palazzo Carafa)

Dal sito www.rterradilavoro.altervista.org   Dal sito www.rterradilavoro.altervista.org

«Tra il 1465 ed il 1466 i Carafa ottennero il feudo di Formicola, precedentemente appartenuto al barone ribelle Marzano. Anche qui la metodologia di insediamento adottata fu la stessa [di altre località]: costruzione del palazzo, adeguamento del palazzotto già dei Marzano in seggio, adeguamento della chiesa di S. Maria della Pietà (poi del Ponte) in Cappella di famiglia. Ad ulteriore conferma della costruzione del palazzotto da parte dei Marzano è l’evidente differenza morfologica del palazzotto e del palazzo, realizzato invece dai Carafa: il primo ha una struttura “chiusa”, fortificata da un alto contrafforte, circondata da un fossato in cui scorreva un ruscello e su cui si apriva un ponte levatoio; il secondo presenta una struttura più “aperta” e moderna, con ampia corte interna, arcate e logge. Il palazzo tutt’oggi si fa carico della testimonianza del potere civile a lungo esercitato dai Carafa e, come altri palazzi dell’epoca presenti in quelli che furono i feudi di Maddaloni e Formicola, anche questo, per la consistenza e la collocazione urbanistica, si fa rappresentante di un episodio di grande importanza nel panorama delle espressioni meridionali nel periodo rinascimentale ... L’edificio «con annessa torretta e seggio sorge al centro del paese, nello stesso sito su cui insisteva una precedente costruzione normanna», una torre merlata simile a quella fatta realizzare dai Marzano duchi di Sessa a Pontelatone, nel XIV secolo. Distrutta nel corso del XVIII secolo, di tale torre rimasero i ruderi fino ai primi decenni dell’Ottocento, poi al suo posto sorse una piazza che, a perenne ricordo della grandiosa mole scomparsa, venne chiamata Piazza Torre, nome che tuttora conserva. L’intera struttura baronale dei Carafa è inserita in un’insula delimitata a nord da via Roma, a sud da via Diomede Carafa, dove fino ai primi decenni del ‘900 scorreva un ruscello, in quello che veniva chiamato Vallone della Storzella, e dove negli ultimi anni è sorta una villa comunale, ad est da via Morisani, ad ovest da via Santa Cristina. Al palazzo si accede attraverso un portale a tutto sesto e si perviene in un grande cortile quadrato, su cui si aprono un porticato e logge con archi a tutto sesto impostati su pilastri, dominato, a lato, da un ampio scalone voltato che porta al piano nobile dove un’ampia porta di pregevole fattura immette in un grande vano a copertura piana lignea. Da questo si passa in una serie di ambienti minori, in uno dei quali si conserva ancora una volta affrescata con un dipinto di scuola settecentesca. ...».

http://www.rterradilavoro.altervista.org/articoli/11-02.pdf  (a cura di G. Stefania Catapane)


Francolise (castello)

Dal sito www.visititaly.it   Dal sito www.comunedifrancolise.it   Dal sito www.comunedifrancolise.it

«La Torre di Francolise, che al tempo era partizione della città di Calvi, fu infeudata a Bartolomeo d'Evoli fin dai primi tempi normanni. Nel 1273 si ha notizia che l'ormai defunto Bartolomeo l'ebbe in feudo insieme al villaggio di Schiavi, adesso viene riconfermata a Tommaso d'Evoli, balio di suo figlio Francesco1. Francesco d'Evoli succede nel feudo al padre e sposa Letizia Caracciolo figlia di Bartolomeo. A Francesco appartenevano anche il casale di Schiavi e il castello di Riardo. In questo periodo però il feudo di Calvi viene donato a Francesco del Balzo conte di Avellino e nella donazione è compresa anche la Torre di Francolise e Riardo, però comunque viene salvato Francesco concedendo in cambio di questi due feudi al Del Balzo la terra di Lauro. Forse il patto non viene del tutto rispettato se nel 1291 una quarta parte del castello di Francolise appartiene a un Giovanni Manzella di Salerno e a sua moglie Margherita, mentre Calvi e la stessa Francolise appartengono a Bertrando del Balzo. Nel 1417 Carlo Caracciolo, detto Carafa, acquista dalla regina la città di Agnone il cui possesso non riuscì ad ottenere e in cambio per 7000 ducati gli venne assegnata la terra di Calvi con Rocchetta. Nello stesso anno però con la riconferma nei feudi di Giovan Antonio Marzano, Francolise torna al duca di Sessa. Nel 1400 Antonello de la Rath, figlio di Francesco e fratello di Baldassarre, conte di Caserta, sposa Margherita Marzano sorella del duca di Sessa. Antonello è signore di Formicola. A lui in seguito il duca di Sessa intesta in feudo Francolise. Dal matrimonio nascono Marco, Giovan Antonio e Jacopo che fu arcivescovo di Benevento e una femmina di nome Caterina che sposa Guglielmo Sanframondo conte di Cerreto. ...».

http://erchempertoteano.it/Associazione/Il-Sidicino/Autori/Di_Marco_Giampiero/2013-12-1.htm (a cura di Giampiero Di Marco)


Gioia Sannitica (ruderi del castello normanno)

Dal sito http://gioiasannitica.asmenet.it   Dal sito www.skyscrapercity.com   Dal video www.youtube.com/watch?v=_6HuWeCcCzc

  

«Il castello di Gioia Sannitica sorge sulla sommità di un picco calcareo posto a m 561 s.l.m., discosto dalle pendici del Matese, al di sotto di M. Monaco. Il sito domina per sua natura tutta la valle settentrionale del Volturno ed i percorsi che portano alla pianura campana. Per questo motivo, probabilmente, ebbe un insediamento sannitico. La prima citazione nota è nel Catalogus Baronum (1150-1168). Abitato fino alla peste del sec. XVI, l'intero insediamento fu in breve tempo abbandonato definitivamente a favore dei casali oggi esistenti. Più propriamente, il castello di Gioia è un vero e proprio borgo, cinto da una cortina di mura verticali, tipicamente medievale e solo parzialmente aggiornata nelle difese inserendo tra le feritoie qualche bocca da fuoco (forse dopo il grande terremoto del 1456). L'intera cinta era percorsa da un camminamento a giorno, impostato su travate in legno, delle quali si leggono i fori di ammorsamento alla muratura. Le mura recingono il colle sui lati Est, Nord ed (in parte) Ovest, sfruttando, per il lato a Sud, il profondo orrido naturale. La cortina, dal perimetro a forma quasi triangolare, è interrotta da tre torri (di grande interesse quella lanceolata, forse la più antica, all'estremità N-E, le restanti a pianta circolare) e da spigoli acuti. La porta di accesso al borgo, oggi ricostruita ad arco, immette in una strada che lascia alla sua destra un pianoro (di superficie pari a circa metà della superficie dello spazio recinto), occupato dai resti delle case (disposte secondo un reticolo grossomodo rettangolare orientato NO-SE). La strada piega sulla sinistra, seguendo le mura esterne per raggiungere, dopo un ripido declivio, il castello vero e proprio. Si tratta di un complesso edificio a pianta trapezoidale, in cui si identificano almeno tre fasi. Quella più antica (probabilmente normanna) è relativa alla base prismatica, a pianta quadrata, su cui si eleva il mastio circolare (cui si accedeva mediante una porta-finestra al primo piano grazie ad un passerella poggiante sul corpo accessorio immediatamente postole di fronte). Ad una fase successiva (forse gotica), risale la configurazione del recinto della corte alta, a trapezio, cui si accedeva da una porta (munita e difesa da una torre quadrata) che conserva tracce di una volta a crociera ogivale. L'ala ad Est (il cui basamento è a scarpata) fu sicuramente rialzata, restaurata o costruita ex-novo, in età successiva (forse dopo il sisma del 1456), su tre livelli, separati da orizzontamenti piani in travi di legno, il terzo dei quali aveva luce da una serie di strette monofore allineate, direttamente aperte verso l'esterno. Questo prospetto affaccia su un piccolo pianoro sul quale spicca l'elevato della torre a pianta a mandorla della cinta muraria esterna».

http://trionfo.altervista.org/Monumenti/gioiacast.htm  (a cura di Pietro Di Lorenzo)


Letino (castello)

Dal sito www.letino.gov.it   Dal sito www.letino.gov.it   Dal sito www.letino.gov.it

  

«è posto su di un colle che domina l'abitato, a 1.200 metri sul livello del mare. Fu costruito durante il periodo delle invasioni dei Saraceni e dei Normanni, tra il IX e il X secolo, con lo scopo di ospitare una piccola guarnigione di soldati destinata a sorvegliare e vigilare il Matese da eventuali scorrerie. In seguito divenne baronia e possedimento di vari feudatari; nel Medioevo appartenne ai Rainone di Prata, successivamente, nel 1168, per volontà di Papa Alessandro III, fu concesso in feudo alla Badessa di San Vittorino di Benevento. Nel 1200, su investitura di Federico II di Svevia, don Giovanni Pagano, signore di Prata, prese possesso del Castello. Dal 1329, e fino alla prima metà del sec. XVI, Letino divenne feudo della Baronia di Prata. Feudatari del castello furono i Capuano, i Sanfromondo, i Pandone, i Mombel e, infine, i Lannoi. Dal 1570 ne divennero proprietari i baroni Della Penna, poi i D'Aragona e successivamente passò alla famiglia Carbonelli (dal 1770), che ne mantenne il possesso fino al 1806, quando, con l'arrivo delle armate napoleoniche, furono aboliti i diritti feudali. Il castello-recinto ha una struttura quadrangolare irregolare con il lato maggiore, posto sull'asse est-ovest, lungo 90 metri e quello minore, posto sull'asse nord-sud, lungo 40 metri. La poderosa cinta muraria è intervallata da cinque torri di avvistamento a pianta circolare. Al suo interno venne edificato intorno al XVII secolo il Santuario di Santa Maria del Castello che assorbì buona parte dell'edificio e che è stato recentemente restaurato. Attualmente non sono presenti altre costruzioni dentro le mura tanto è vero che lo spazio interno ospita il cimitero di Letino».

http://castelliere.blogspot.it/2012/10/il-castello-di-giovedi-25-ottobre.html


Maddaloni (castello)

Dal sito www.boxerdellatorreartus.it   Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.maddalonesi.it

  

«Notizie sull'esistenza del complesso fortificato di epoca normanna di Maddaloni si trovano già in un regesto del 1099 dell'abbazia di Sant'Angelo in Formis, e un atto giuridico del 1149 ne conferma senza dubbio l'esistenza. Tuttavia le origini potrebbero essere, con molta probabilità, ancora più antiche. Infatti, secondo il Cilento, la fabbrica risale all'epoca delle scorrerie dei Goti e dei Vandali, epoca in cui imperversavano le lotte dei Longobardi e le invasioni dei Saraceni. Giacinto de Sivo ipotizza l'esistenza di un castrum come presidio fortificato dell'antica Calatia romana, all'epoca delle guerre puniche. La denominazione di Mataluni si presenta per la prima volta in un diploma longobardo firmato dal primo principe di Benevento Arechi II nel 774. Pare che questo nome derivi da una chiesa della Maddalena ivi esistente che poi si è esteso a tutto il borgo medievale. Quest'ultimo, situato sulla catena dei monti Tifatini, si formò in seguito alla distruzione da parte dei Saraceni della suddetta Calatia nell'862 d.C. Nel medioevo il complesso era denominato Castrum di Kalata Maddala . Esso era in posizione strategica tale da controllare sia la via Appia che la via Sannitica. Il periodo di maggior splendore si ebbe nel 1134 con Ruggero il Normanno che munì e guarnì il Castello. Dopo il periodo normanno seguì quella svevo con la politica di ricostruzione voluta da Federico II. In questo frangente il castello di Maddaloni visse un periodo di prosperità. Infatti esso fu restaurato e trasformato per adeguarlo ai sistemi più moderni di difesa. Il castello rientrava proprio nel piano di recupero dei castelli medievali preparato nel 1231 da Federico II. Maddaloni possedeva un'importanza politica e strategica notevole e per questo fu data come feudo solo nel 1390, quando Carlo Angius ne ottenne la concessione, anche se essa terminò nel Quattrocento quando gli Artus vennero condannati all'esecuzione capitale. L'ultimo cinquantennio di splendore per l'intero castello si ebbe dal 1413 quando il paese fu dato a Ottimo Caracciolo di Napoli da parte del re Ladislao. Il declino ebbe inizio con l'incendio che nel 1460, sotto il dominio aragonese, si scatenò dopo la ribellione del feudatario Pietro da Mondrago al sovrano regnante. Inoltre si aggiunse la perdita di importanza strategica del paese che portarono alle prime condizioni di isolamento del borgo. Quando alla famiglia Carafa fu concessa l'intera città da parte del re Alfonso d'Aragona nel 1475, essi decisero di costruire un nuovo palazzo di loro proprietà ai piedi delle colline. Questo privò del tutto d'importanza la vecchia fortezza medievale. Tuttavia il castello ospitò lo stesso personaggi illustri tra Settecento e Ottocento, come papa Benedetto XIII, l'infante di Spagna Carlo di Borbone, Francesco I, Ferdinando II di Borbone. A partire dal 1821 la fortezza divenne di proprietà dei de' Sivo che effettuarono dei rifacimenti nel 1860. La causa di maggior rovina del castello è stata l'apertura di varie cave di ghiaia che tutt'ora deturpano e mettono in pericolo le alture di Maddaloni.

Il castello conferisce una caratterizzazione paesaggistica veramente notevole al territorio: un'immagine dai toni feudali, con le tre torri arroccate sulla cima rocciosa coperta da una densa coltre di verde. Il sito fortificato si eleva a quota 175 metri rispetto ad un abitato praticamente pianeggiante ed è in perfetta armonia con il paesaggio grazie anche ai materiali utilizzati che si adattano perfettamente all'ambiente circostante. In effetti definire questo complesso molto articolato con la denominazione di castello è una semplificazione notevole. La fortezza è costituita da tre unità posizionate sulle vette di due colline contigue: il complesso fortificato principale è situato nel mezzo fra due torri, una inferiore a sud detta degli Artus, ed una superiore, isolata, posizionata più in alto. Lungo il pendio, in direzione sud-est, corre una murazione di cinta con torrette di guardia a pianta quadrata che parte dal castello e si allunga verso il borgo sottostante. Oggi purtroppo si deve constare la sua condizione di assoluto abbandono. Nel suo aspetto attuale il castello, presenta ancora tracce della antica fabbrica medievale, pur essendo stato notevolmente modificato nel tempo. Il nucleo centrale costituisce il vero e proprio castello. Esso è formato da una grossa torre a pianta quadrata centrale rispetto ad un sistema interno di mura di cinta. Questa torre si sviluppa su due o tre livelli ma attualmente i piani superiori sono inaccessibili per il crollo delle scale e di alcuni solai. Accanto ad essa si sviluppa il palazzo i cui ambienti residenziali risalgono al quattrocento, ad opera della famiglia Caracciolo. Questi locali furono ottenuti tramite un allargamento della fortezza verso sud-est e furono adibiti ad ospitare una sala da pranzo e un piccolo cortile su cui affacciavano tre camere da letto con veduta panoramica. Tutt'oggi si scorgono tracce di affreschi di epoca tarda con motivi geometrici. La distribuzione degli ambienti si intravede solo a piano terra perché i crolli delle strutture superiori non consentono l'accesso. I locali interrati ospitavano prigioni, depositi, cisterne e cunicoli sotterranei. La torre di Guardia a sud-est doveva avere funzione difensiva, anteriormente alla costruzione della torre degli Artus.

L'evoluzione della fabbrica maddalonense dimostra la tipica trasformazione di preesistenze romane e bizantine in costruzioni longobarde e medievali. Infatti la presenza di blocchi squadrati isodomi in tufo grigio a corsi orizzontali (tipici dell'architettura bizantina) sulle pareti a sud e ad est del castello, presuppongono l'esistenza di un impianto bizantino antecedente a quello longobardo. Il mastio invece, con la sua disposizione irregolare di conci calcarei senza ricorsi, fa pensare ad una manifattura successiva (longobarda e normanna). Nell'XI secolo il castello assume una configurazione a pianta trapezoidale con camminamento coperto e tutt'oggi se ne può scorgere la forma. Nel restauro che effettuò Federico II si tentò di razionalizzare lo spazio residenziale attorno al cortile centrale; inoltre furono inseriti degli archi acuti nel taglio delle aperture. Le altre trasformazioni successive non si possono facilmente datare. Per chi veniva dal borgo l'ingresso al Castello era da sud attraverso una torretta quadrata adiacente al grosso torrione. Probabilmente a nord vi era il ponte levatoio. Le sale di residenza attualmente visibili assieme alla scala furono sistemate nella prima metà dell'800 dai de Sivo che trasformarono radicalmente l'interno per renderlo villa signorile. La zona a sinistra della torre quadrata si articola intorno ad un cortiletto che funziona da pozzo di luce e aria. Forse l'unica traccia dell'edificio antico resta nell'andamento del muro perimetrale. Oggi volte a botte e a padiglione ricoprono quasi tutti gli ambienti assieme ad affreschi mediocri».

http://www.castcampania.it/maddaloni.html (a cura di Imma Brunetti)


Maddaloni (torri)

Dal sito http://xoomer.virgilio.it/ilcastelloweb   Dal sito http://xoomer.virgilio.it/ilcastelloweb

«Oltre a questa fabbrica centrale [il castello] esiste ancora un altro monumento altomedievale che è rappresentato dalla torre longobarda del "castelluccio", sulla collina attigua a quella del castello e più in alto rispetto a quest'ultimo. Essa aveva funzione difensiva e di Torre di segnalamento. Un doppio circuito di mura con pianta dodecagona internamente e circolare esternamente, avvolge la suddetta torre di forma cilindrica, con base scarpata tronco-conica. Infine altra struttura è costituita dalla torre inferiore degli Artus, a sud dell'intera fortificazione che risale ad un arco temporale che va dal 1390 e il 1402. Alta ben 33 metri, anche essa è di forma cilindrica ed è circondata da un fossato, delimitato da mura di cinta. Dal vano di apertura si accedeva tramite una scala, ad un ponte levatoio al primo livello della torre. è costituita da tre livelli coperti a volte, di cui quello inferiore adibito a cisterna. Oggi, purtroppo, le condizioni statiche di questa torre sono veramente critiche anche grazie alla cava che ha creato un cedimento delle fondazioni, lesionandola seriamente».

http://www.castcampania.it/maddaloni.html (a cura di Imma Brunetti)


Marcianise (castel Airola)

Castel Airola, dal sito www.comunedimarcianise.it   Castel Airola, dal sito www.ambientece.arti.beniculturali.it

«La prima menzione del castello risale al 1501. Nella documentazione edita, e fino alla fine del XV secolo, il sito di Airola è citato sempre come villa. Tuttora il corpo della fabbrica, nonostante i ripetuti interventi di ampliamento e ristrutturazione compiuti negli ultimi secoli, presenta tracce leggibili del nucleo originario del castello, con la torre di guardia, un porticato, destinato ad accogliere internamente i magazzini, il piano nobile con i saloni e gli ambienti di servizio, un’ampia corte attigua, a base rettangolare, che ospitava la chiesa di S. Giovanni» - «Trattasi di una torre merlata di stile medievale, in buone condizioni perché restaurata di recente. Forma tutt'uno con un corpo di fabbrica che ha le impronte larvate di un antico maniero alquanto deformato, perché la vecchia costruzione ha perduto la sagoma originaria, in seguito alle trasformazioni subite per le nuove esigenze. Fino a pochi anni fa vicino alla torre si stagliava un maestoso pino dalle proporzioni veramente gigantesche, tali che nessuno più osava coglierne il prodotto a maturazione, perchè era alto circa quanto la torre e le ramificazioni si protendevano per una circonferenza dal diametro di circa cinquanta metri. Esso era l'ultimo esemplare di un esteso e folto bosco di pini che circondava l'avita dimora quasi a protezione ed ornamento. Del feudo di Airola si ha la prima menzione nel 1294, perché il 26 maggio di detto anno Carlo II d'Angò ne fece concessione come feudo a tal Gilberto Malbohe».

http://www.cittacampane.org/dizionari_pdf/marcianise.pdf  (a cura di Salvatore Marino) - http://www.comunedimarcianise.it...


Marcianise (castrum Marzanisii, castel Loriano)

Castel Loriano, dal sito http://chiamamarcianise.org   Castel Loriano, dal sito http://blog.studenti.it

  

«Nel Tardo Medioevo è documentata l’esistenza di tre castelli sul territorio di Marcianise: il castrum Marzanisii, oggi non più esistente, ma localizzabile nell’area dell’attuale piazza Umberto I, e i castelli di Loriano e di Airola, tuttora esistenti e situati rispettivamente a sud e a sud-ovest del Comune. Castrum Marzanisii: l’esistenza del castello di M. sarebbe documentata già prima del 1174, a stare alla testimonianza secentesca di Michele Monaco. In particolare, secondo l’erudito capuano, la cattedrale di Capua sarebbe stata decorata, durante gli anni di governo di papa Alessandro III (1159-1181), con diciannove quadroni di marmo effigiati, sull’ultimo dei quali sarebbe stato raffigurato uno stemma con un castello e sarebbe stata leggibile l’iscrizione "Castrum Marzanisii quod est de demanio Ecclesiae Capuae" (Monaco, Sanctuarium, p. 600). Nella documentazione superstite per i secoli XII e XIII Marcianise, tuttavia, non viene mai detta castrum, bensì, come già precisato, villa, casale o semplicemente locus. Viceversa, le notizie sul castello si fanno puntuali a partire dal 1370, allorché l’arcivescovo capuano Stefano della Sanità vi prese dimora, imitato in ciò dai successori. I danni ad esso inferti dagli scontri tra Muzio Attendolo Sforza e Braccio da Montone probabilmente lo resero inabitabile, giacché dopo il 1420 la torre, i gradoni di accesso alla stessa addizione difensiva, nonché gli appezzamenti finitimi al fossato furono dati in locazione. Prima del 1467 i capuani, in qualità di signori di Marcianise, ristrutturarono ed ampliarono la fabbrica del castello, inglobandovi la chiesa di S. Michele Arcangelo: edificio, questo, dal quale sarebbe partita da allora, ogni anno, la processione del Corpus Domini. Castel Loriano: nell’area meridionale dell’abitato di M., lungo la provinciale Loriano-Trentola, all’incrocio con l’asse viario che si collega all’antica via Atellana, sorge il castello di Loriano, emergenza monumentale quattrocentesca tra le più rilevanti di Terra di Lavoro; è attestato per la prima volta nel testamento del 1447, nel quale figura il nome del giudice Giovanni Falcone "de castro Loriani". La massiccia costruzione, immersa in un esteso bosco, in origine era circondata da un fossato e da una cinta muraria considerevole per estensione. Oggi risulta in massima parte distrutta e ormai inglobata in muri di contenimento. Della corte interna facevano parte la chiesa dedicata a s. Marcello e i locali per la servitù e per il magazzinaggio. Di notevole interesse sono tuttora le due torri cilindriche di guardia, originariamente orlate a merli aragonesi e munite di feritoie».

http://www.cittacampane.org/dizionari_pdf/marcianise.pdf  (a cura di Salvatore Marino)


Marzanello Vecchio (castrum Martianelli)

  Ruderi nello spazio a lato della chiesa di San Nicola, dal sito http://guidaturisticadivairano.weebly.com   Ruderi del borgo fortificato, dal sito http://guidaturisticadivairano.weebly.com

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Vincenzo Zito (https://www.facebook.com/vincenzo.zito.946)

«Il Castrum Marzanelli (o Castrum Martianelli), inteso come centro abitato fortificato con dignità urbana affonda le sue origini probabili nell’epoca delle prime invasioni barbariche, ma dovette assumere la sua piena dignità nei secoli IX e X, quando il territorio del Medio Volturno venne ad essere funestato in modo continuo dalle cruente scorrerie saracene. Anche tra le rovine di Marzanello Vecchio, come tra quelle del borgo di Vairano, è difficile individuare elementi architettonici che si possano datare con certezza ad un periodo anteriore al sec XV, mentre abbondano le strutture databili con certezza al sec. XVIII. ... L’aspetto attuale dell’agglomerato di fabbrica è quello di un enorme bastione con più livelli difensivi, che ha il capitale d’impianto nella zona mediana con orientamento Nord-Sud e i capitali di fuga orientati rispettivamente a Nord-Ovest e a Nord-Est. Il borgo, con gli elementi architettonici che avrebbero potuto essere utilissimi al fine di avere notizie più dettagliate e veritiere sull’evoluzione dell’abitato, furono distrutti dal tiro dell’esercito alleato, che, dalla collina di S. Felice di Pietravairano, effettuavano le tarature delle artiglierie facendo il tiro a segno sulle strutture di Marzanello Vecchio».

http://guidaturisticadivairano.weebly.com/borgo-di-marzanello-vecchio-contiuna.html


Mastrati (ruderi di Formicola, torre Umberto I)

Dal sito www.radice.ce.it   Dal sito https://sites.google.com/site/casertaitinerari/alla-torre-umberto-i   Dal sito https://sites.google.com/site/casertaitinerari/alla-torre-umberto-i

«A partire dalla documentazione altomedievale, l’insediamento più antico che si rinviene in territorio di Mastrati è il Castellum Sancti Arcangeli situato nei pressi dell’omonima fontana e costruito prima dell’anno Mille dai monaci cassinesi. La prima menzione, invece, di un Mastralis si ha nell’anno 819 d.C. quando appare un casale unito a Torcino, e più precisamente un casale della cellam Sanctae Agatae in Turcino, e ciò fino al 1290, quando la feudataria Albapia ne cedette i territori al Monastero della Ferrara di Vairano Patenora. Consegnato, con la bolla di papa Allessandro III del 1172, alla diocesi di Venafro, Mastrato è menzionato con una chiesa, in quel periodo in funzione, denominata Plebem S. Joanni. L’inclusione diocesana e la sua prossimità a Torcino, e quindi a Venafro, farà si ché Mastrati risulti, nei documenti, sempre edificata in territorio dicte Civitatis Venafri. Dai documenti angioini, concernenti gli anni 1268 e 1269, il piccolo villaggio conta IIII fuochi, il che sta a significare che i suoi abitanti dovevano essere all’incirca 20 – 25 abitanti. Infine, tra il 1320 e il 1328, fu in disputa per i confini con Turcino, e successivamente entrò nel feudo di Tommaso Capuano della baronia di Prata. Naturalmente l’insediamento qui menzionato è da riferirsi non all’odierna Mastrati, ma ai ruderi del villaggio medievale dove oggi sorge Torre Umberto, questa innalzata nel 1881 da re Umberto I sui resti dell’antico castello, ed anche soprannominata, dalle persone del luogo “Casino” (vale a dire: piccola casa, oppure costruzione realizzata per l’esercizio della caccia e, in particolare, per l’avvistamento della selvaggina), o anche Formicola (dal nome di un piccolo acquedotto a suo tempo realizzato nel villaggio, o ancora perché, secondo la testimonianza di qualche anziano del luogo, il villaggio venne assalito da cavallette e formiche quando si diffuse la malaria perniciosa del 1600.

Perché l’antico Mastrati venne abbandonato? Dalle Relazioni ad limina della diocesi di Venafro, risalenti al 1 dicembre del 1617, si apprende che la chiesa parrocchiale di Mastrati in quell’anno trova difficoltà a pagare la decima. Difatti denominata, nel documento, Villa Mastratus, essa appare quasi destituita dai suoi abitanti. Questa difficoltà in cui si trova Mastrati riguarda lo spopolamento dell’insediamento medievale; infatti tutta la popolazione contadina di Mastrati è costretta, proprio in quel periodo, ad abbandonare i propri luoghi in quanto in quella zona si diffonde la malaria perniciosa, dovuta all’impaludamento dei terreni fiancheggianti il fiume Volturno e con tutta probabilità anche alle risaie di Presenzano e si Sesto. Nel 1693 è parte integrante di Prata di Filippo Invitti e viene menzionata come terra disabitata e considerata feudo rustico di Rocca Vecchia. Rimase feudo della famiglia Invitti fino al 1806, dopo di che divenne, con Pratella e Rocca Vecchia frazione di Ciorlano. Nella seconda metà del 1800 il territorio di Mastrati inizia a ripopolarsi e a raggrupparsi per formare un nuovo nucleo abitativo in pianura, tra il villaggio medievale e il castrum di Sant’Arcangelo. L’intero territorio di Mastrati dunque, già residenza dei Savoia, nel 1881 venne donato alla principessa Emilia Pignatelli Strongoli, mentre soltanto alla fine dell’Ottocento la famiglia reale donava alla popolazione un piccolo edificio di culto dedicato a Sant’Anna. La famiglia reale Strongoli Pignatelli è ancora oggi proprietaria del territorio di Mastrati».

http://www.comune.pratella.ce.it/c061064/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/3


Mignano Montelungo (castello Fieramosca)

Dal sito www.comune.mignanomontelungo.ce.it   Dal sito www.amicideiborghi.it

«Le prime notizie del Castello di Mignano risalgono alla seconda metà del 1100. In quel tempo era signore di Mignano Malgerio Sorello, prima soldato e poi frate. Costui morì nel monastero di Santa Maria di Ferrara e lasciò ai frati "le possessioni col diritto di macinare, gli oliveti, la casa e parte della molitura delle olive dei montani del Castello di Mignano, con libera facoltà di frangere in essi le loro olive". ...  Da fonti storiche si sa che il castello di Mignano fu tolto agli eredi di M. Sorello quando scese in Italia Federico II e dato in custodia ai fedeli del re. Nel 1229 passarono a Mignano le truppe pontificie che circondarono il castello e riavutolo lo riconsegnarono ai legittimi proprietari. Federico II richiamato dalla Terra Santa mosse contro le truppe pontificie e riconquistò, tra le altre, le terre di Mignano e quindi il castello. Alla morte di Federico II, Mignano fu occupato dall’esercito Svevo contro cui si erano opposti invano i conti d'Aquino, aiutati dalle truppe pontificie. ... Molti altri si avvicendarono nel comando del borgo di Mignano ma di sicuro si sa che dal 1486 il feudo lo ottenne Rinaldo Ferramosca (cognome mutato poi in Fieramosca). Si sa da fonte sicura che nel 1495 il castello appartenne a quella famiglia. Originariamente c’erano tre torri rotonde, alle quali egli fece aggiungere una "torre quadrata" che precede gli appartamenti, il cortile e la sua recinzione con stalle e sale d’armi. Forse si deve a lui anche il restauro della torre rotonda sull’attuale Corso Umberto, che portava lo stemma di Fieramosca. Alla morte di Guido, nel 1531 il feudo sarebbe dovuto passare alla sorella Porzia Leognano Fieramosca ma la sera stessa in cui morì il marito, Isabella, cacciò Porzia da Mignano. Il feudo fu incamerato dalla Regia Corte ma Isabella ottenne la cessione vita natural durante.

In questo periodo il castello cominciò a perdere il suo antico splendore: infatti Isabella dopo la morte del marito regalò ai fratelli e ai nipoti tutti gli oggetti e gli ornamenti più preziosi. Spogliò il castello di arazzi pregiatissimi, suppellettili, vasellame di argento, armature e perfino di quattro cannoni posti sulle torri. Alla sua morte il castello ormai spoglio passò ai suoi parenti, ma la sorella di Guido e i figli di lei riuscirono a farsi riconoscere i possedimenti dopo vari ricorsi, ma poi vendettero il feudo a Cesare di Capua. Durante la dominazione spagnola durata due secoli, dal 1503 al 1700, Mignano ebbe una decadenza notevole anche dal punto di vista demografico. Il feudo fu tenuto dai di Capua fino al 1767 quando Vincenzo Tuttavilla ultimo feudatario di Mignano, fu spodestato ancora vivente, nel 1806 quando fu abolita la feudalità da Giuseppe Bonaparte. Mignano per la sua posizione geografica e strategica, stretto tra i monti, nel corso della storia è stato sempre teatro di guerra. Lo fu anche quando nel 1806 il re di Napoli dichiarò guerra all’Austria e la battaglia decisiva fu combattuta proprio a Mignano. Nel 1845 il castello passò alla famiglia Nunziante che vissero sotto il regno di Francesco II. Alessandro Nunziante ben presto si mise contro il re e parteggiò per la dinastia sabauda rassegnando le dimissioni dal suo incarico militare e rinviando al re tutti gli onori ricevuti; anche sua moglie restituì il posto di dama di corte. Il castello fu ereditato nel 1867 da Mariano Nunziante primogenito di Alessandro e poi nel 1913 fu ereditato dalla primogenita di costui Teresa Carolina. L’ultimo proprietario fu il figlio di quest’ultima, Carlo Alessandro di Pietro. Durante il fascismo il castello fu venduto a privati ma nel 1939 Maria Elena Nunziante sposò Beniamino Guinness che riscattò il castello e lo pose sotto l’amministrazione del sig. Turchi. Durante l’ultima guerra il castello precedentemente restaurato da Lord Guinness subì danni. Alla morte di Lord Guinnes il castello fu venduto alla diocesi di Teano, tramite monsignore F. Simeoni e da allora appartiene alla Chiesa».

http://www.prolocomignano.it/castello_fieramosca.html


Mignano Montelungo (mura, porta Fratte)

Dal sito www.prolocomignano.it   Dal sito www.prolocomignano.it

«Lungo le pendici del monte Cesima sono state scoperte ben quattro cisterne d'acqua collegate da mura perimetrali, che forse avevano il doppio scopo di trasportare acqua e di rappresentare la cinta muraria dell'oppidum. Tali mura oggi sono completamente scomparse, le cisterne invece, comprese in uno spazio di 3 km, hanno resistito. Ogni cisterna è costituita da due camere comunicanti. La prima, in cui si raccoglieva l'acqua piovana, era collegata alla seconda, che fungeva da filtro. Nei pressi delle cisterne sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici (tombe, anfore, ponti, busti, mosaici, iscrizioni ecc.), mentre altri sono stati ritrovati in altre località del territorio mignanese. Sul fiume Rava sono i ruderi di un ponte romano. ...» - «Anticamente Mignano Monte Lungo era un feudo protetto da mura che servivano a difenderlo da attacchi nemici. Attualmente l'unica testimonianza rimasta è Porta Fratte, costruita intorno al 1160 d.c. Nei tempi antichi era usata per controllare chi entrava ed usciva dal paese. La porta superiore e le mura sono andate distrutte, ora c'è solo un grande arco che recentemente è stato ristrutturato».

http://www.archemail.it/arche9/0mignano.htm - http://www.prolocomignano.it/porta_fratte.html


Mondragone (casa Catalana, palazzo Falco, palazzo Tarcagnota)

Casa catalana, dal sito http://tradizioni.mondragone.net   Palazzo Falco, dal sito www.prolocomondragone.net   Palazzo Tarcagnota, dal sito www.prolocomondragone.net

«Casa Catalana. L’edificio, sito in Via Vittorio Emanuele, presenta un portale d’ingresso con un arco a “sesto depresso” tipico dello stile catalano. All’interno si trovano archi e volte a botte, mentre sopra l’ingresso vi è una loggia con volta a crociera. Pregevole è la piccola edicola con l’immagine della ”Madonna col bambino e santi”, risalente al XV-XVI sec. Palazzo Falco. Il Palazzo (prima metà del XV sec.) è un esempio tipico dell’architettura poderale del luogo. Sul portale si legge A.D. MDCCLX, ma la data si riferisce molto probabilmente ad un intervento di risanamento dello stesso. L’ingresso presenta un magnifico portale d’accesso, con cornici laterali terminanti ai lati con dei paracarri cilindrici sui quali poggiano delle sfere. All’interno si apre un largo e spazioso cortile, preceduto da un androne con volta a botte ribassata e da caratteristici podi delimitanti un passaggio pedonale ed utilizzabili per montare a cavallo. Nella parte destra dello stesso androne vi è un ambiente molto ampio che forse era adibito a stalla e, nel cortile, la scala che conduce al piano superiore termina con un arco marmoreo impreziosito da cornici a tutto sesto. Palazzo Tarcagnota. Il Palazzo è un tipico esempio di residenza nobiliare del sec. XVIII a Mondragone. L’impianto originario è a pianta rettangolare con due corti quadrate e la facciata principale è caratterizzata da due portali, di cui uno sormontato da stemma, da balconi con ringhiere in ferro battuto, da una decorazione in stucco raffigurante volti umani e da un bugnato nell’angolo che si eleva fino alla chiusura del tetto. La facciata che dà sul giardino presenta al piano terra un porticato poco profondo, al primo piano un loggiato con archi a sesto ribassato, al secondo piano una balconata con soppalco arretrato ad esso. Il giardino sull’asse longitudinale androne-cortile sviluppa due viali attraversati da uno trasversale».

http://www.laduna.it/itinerari/mondragone/monumenti_mondragone.pdf


Mondragone (palazzo Ducale)

Dal sito www.prolocomondragone.net   Dal sito www.crerc.com

«Il Palazzo consta di tre livelli ed occupa una superficie di m. 2.796, per una superficie complessiva di mq. 5.733. L’edificio che ha annessa la Torre, ornata sulla sommità con archi sorretti da beccatelli, potrebbe risalire al sec. XIII. Nei vani terranei si notano volte a crociera ed archi a sesto acuto che testimoniano il gusto gotico e tardo gotico, mentre le monofore e bifore del lato nord furono realizzate secondo un gusto affermatosi nel periodo dominato dagli Aragonesi (sec. XV). La struttura fu realizzata con pietre di origine vulcanica e di origine sedimentaria, cementate con malta e calce, secondo un gusto tardo-gotico-catalano dei secoli XIII-XV».

http://www.laduna.it/itinerari/mondragone/monumenti_mondragone.pdf


Mondragone (ruderi della rocca)

Dal sito http://iluoghidelcuore.it   Dal sito www.prolocomondragone.net   Dal sito http://iluoghidelcuore.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Anto Smirne (https://www.facebook.com/profile.php?id=100004489604937)

«La rocca di Mondragone venne costruita tra l'VIII ed il IX secolo dai reduci della città di Sinuessa. Sorge alla sommità del Monte Petrino. La struttura originaria di quest’edificio non è la stessa che oggi si può immaginare osservando i ruderi ancora esistenti. Le torri che ancora s’intravedono, alcune quadrate, altre circolari, ci inducono a pensare che esse furono costruite in epoche differenti e che senza dubbio già esisteva un’antica costruzione prima che si realizzasse l’imponente rocca. Le linee architettoniche ci fanno dedurre che sia una costruzione sorta tra l’Alto ed il Basso medioevo, e che ha subito modifiche nel corso dei secoli. L’attuale castello si presenta come un massiccio edificio quadrato composto da due piani poggiati sulla parte scoscesa del monte, con le sue fondamenta che seguono l’ondulata roccia viva. L’entrata principale era posta verso occidente. La rocca venne abbandonata tra il XV e il XVI secolo. A partire dal 2001 il Comune di Mondragone ha iniziato a finanziare una campagna di scavi archeologici presso la "Rocca Montis Dragonis", che sta riportando alla luce un vero e proprio villaggio medievale di particolare interesse archeologico, richiamando il cd. fenomeno dell'incastellamento di età medievale sul territorio dell'alta Campania. Molti dei resti asportabili delle campagne di scavo vengono custoditi all'interno del Museo Civico Archeologico della città. Da qualche anno, grazie all'impegno di alcune associazioni del territorio, il castello viene interamente illuminato durante i giorni della festa di San Michele Arcangelo, agli inizi di Ottobre. Le stesse associazioni organizzano escursioni serali durante i mesi estivi, con percorsi di luce all'interno dell'area archeologica. Presso la sommità della rocca è possibile ammirare un panorama che spazia da Sud, con Ischia ed il Golfo di Napoli, a Nord con il promontorio del Circeo. Per quanto riguarda il raggiungimento del castello, va specificata l'impossibilità materiale di raggiungerlo dalla facciata anteriore del monte, visibile da Mondragone, data l'estrema ripidità della salita. Turisti e abitanti del luogo sono soliti raggiungere la rocca attraverso la parte posteriore del rilievo, raggiungibile attraverso una strada sterrata - recentemente riqualificata - che conduce sino ad una grande distesa erbosa, a metà del percorso. Da qui in avanti non è più possibile salire in autovettura e bisogna quindi intraprendere un sentiero pedonale che conduce fino in cima».

http://it.wikipedia.org/wiki/Mondragone#Rocca_di_Mondragone


Mondragone (torre del Paladino)

Dal sito http://mondragonece.altervista.org   Dal sito http://tradizioni.mondragone.net

«Torre del Paladino. è un mausoleo a m. 8 per lato, di epoca romana. Fu edificato lungo la Via Appia nel I sec. a.C. e presenta una camera sepolcrale, costruita con grossi blocchi calcarei e con una volta a botte. La luce all’interno filtra attraverso tre feritoie ed il portale di cui non esiste più la chiusura. All’esterno si notano le tracce di un incasso forse per un rivestimento di marmo. Originariamente il mausoleo doveva essere sormontato da un’edicola nella quale si presume che vi fosse l’iscrizione con il nome del personaggio o della gens di appartenenza del monumento».

http://www.laduna.it/itinerari/mondragone/monumenti_mondragone.pdf


Montanaro (palazzo baronale dei De Renzis)

Dal sito www.borgomontanaro.it   Dal sito www.instaura.it

«Il castello di Montanaro, situato su un piacevole colle, divenne proprietà dei de Renzis nel 1589, quando la ricca famiglia d'origine romana (discendente da Cola di Rienzo, lo sfortunato tribuno che capeggiò l’insurrezione popolare di Roma nel 1347) fu investita del titolo baronale sul feudo di Montanaro, acquistato da Francesco Caracciolo. A partire dal 1875, e fino ai primi del Novecento, il castello fu interessato da radicali modifiche che lo trasformarono in una splendida residenza, di gusto neo-medioevale, decorata con merli, finestre, stemmi. Quella che ora vediamo è il frutto di una ricostruzione, simile all’antico disegno, effettuata dopo che nel 1944 i tedeschi in ritirata avevano minato e raso al suolo la dimora. Allora non fu devastato il grande parco di circa 80.000 metri quadrati che, infatti, conserva ancora l’impianto e molte delle essenze vegetali, risalenti al tardo Ottocento. L’asse principale del parco è un lungo e largo viale alberato con ottocenteschi cedri atlantici. Esso collega l’ingresso antistante il palazzo con il cancello del parco posto su via pubblica. Un tono militaresco, ispirato agli elementi dell’architettura della dimora, lo troviamo in una vicina siepe a topiario di bosso che simula, squadrate, le merlature di una torre medioevale. ...».

http://www.borgomontanaro.it/giardino.html


Piedimonte Matese (castello ducale dei Gaetani d'Aragona)

Foto di Michele Menditto, dal sito http://bancacapasso.it   Dal sito http://noicaserta.it

«Il palazzo dei Gaetani dell’Aquila di Aragona torreggia maestoso nel quartiere medievale di Piedimonte d’Alife, ora Matese. Nonostante sia da anni in malinconico abbandono, praticamente disabitato e privo di manutenzione, per la sua posizione e la sua mole severa è certo la più imponente testimonianza storico-architettonica di un antico e notevole comparto edilizio peraltro non privo di altri monumenti, come la chiesa gotica di S. Giovanni che svetta sul borgo, o la basilica di S. Maria, o il convento domenicano. Continua così a testimoniare i fasti di una delle più antiche e cospicue famiglie italiane, imparentata con le più nobili casate del regno, che vanta nella sua secolare storia pontefici e condottieri, viceré, letterati e scienziati. Il Palazzo presenta stratificazioni e prospetti; l’ultimo rifacimento risale all’inizio del XVIII secolo con grandi balconi adorni di ringhiere di ferro e ottone; dei periodi costruttivi precedenti rimangono alcune finestre ogivali; due portali: seicentesco quello della facciata, durazzesco del XV secolo quello che affaccia sulla strada a gradoni, sul fianco orientale, con busti negli angoli superiori; la fontana delle aquile nel cortile. Nell’interno si trovano un salone con decorazioni del ‘500 e altre sale con stucchi e dipinti dei secoli XVII e XVIII. Un recente studio iconografico ad opera di Anna Barbiero ha permesso di individuare gli artisti che hanno lavorato alle decorazioni del palazzo nelle diverse epoche, quali Franceso Solimena, che replicò per donna Aurora Sanseverino “L’Aurora” dipinta per l’elettore di Magonza, Nicola Maria Rossi che lavorò a Vienna e per il conte Harrach, Bernardo De Dominici che fu nominato pittore di corte».

http://bancacapasso.it/la-nostra-terra/i-paesi/piedimonte-matese/il-palazzo-ducale/


Pietramelara (borgo, palazzo Ducale)

Foto di Vincenzo Lerro, dal sito www.flickr.com   Il palazzo Ducale, dal sito http://quotidianoitalia.it

«La struttura del centro di Pietramelara testimonia che l'insediamento fu frutto di un'attenta pianificazione che presupponeva una rocca a difesa e controllo del territorio. Il borgo medioevale, cuore del centro storico, si articolava in un complesso radiocentrico il cui asse era rappresentato da un'antica torre longobarda ed il cui perimetro era dato dalla grande cinta muraria stretta da 12 torri. Fondata da Landolfo ed Adenolfo, principi longobardi, nel primo medioevo, Pietramelara fece parte prima dei possedimenti della badia di Montecassino e, successivamente del feudo della limitrofa Roccaromana. Alla morte di Filippo de Roccaromana, il vasto feudo passò in potere della regia corte non molto tempo dopo lo divise e lo dette in concessione. Quindi Pietramelara, fu data a Eduardo Colonna ed in seguito a Federico Monforte, che fecero abbellire il castello trasformandolo da fortezza in un elegante palazzo. Il 13 marzo 1496, dopo 15 giorni d'assedio, durante i quali il paese fu messo a ferro e fuoco dagli Aragonesi, perirono i 2/3 degli abitanti mentre i sopravvissuti vennero venduti come schiavi. I vincitori lasciarono libere soltanto sette famiglie che iniziarono la ricostruzione sulle rovine della città distrutta. Poco dopo la comunità di Pietramelara risultava eretta in Università con propri statuti e notevoli poteri di pertinenza feudale. Segno delle antiche origini della città sono le Grotte di Seiano che sorgono sulle pendici del Monte Maggiore nella fascia compresa tra i comuni di Pietramelara e Rocchetta. Si tratta di un vastissimo complesso sotterraneo di gallerie in muratura che si estendono sino a raggiungere le mura ciclopiche circondanti gli imponenti ruderi. Il comune di Pietramelara vanta la presenza di due antiche chiese che custodiscono al loro interno un patrimonio artistico di notevole entità ed importanza. San Rocco e SS. Annunziata. Ad ogni modo tutto il territorio tradisce il fasto di un nobile passato. ... Palazzo Ducale. Fu eretto tra il XV ed il XVI secolo, fu tra i primi esempi nel Meridione di dimora genmtilizia esteticamente e funzionalmente connessa ad un grande parco-giardino, denominato Pomario. Il Palazzo ducale dei Paternò Caracciolo ospitò casati molto importanti e famosi; la tradizione vuole che il Palazzo fosse frequentato da Ferdinando II di Borbone quando si trovava nel territorio per ragioni di caccia. Il Palazzo Ducale fu fatto costruire nel 1497 Faustina Colonna feudataria del tempo».

http://www.comune.pietramelara.ce.it/index.php?action=index&p=76 - ...228


Pietravairano (castello)

Dal sito www.paesenews.it   Dal sito www.campaniatour.it   Dal sito www.campaniatour.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Vincenzo Zito (https://www.facebook.com/vincenzo.zito.946)

«Il documento più antico, nel quale è menzionato il castrum Petrae, risale al 1070 e si conserva nell’Archivio di Montecassino. Pietravairano fece parte della Baronia di Roccaromana ed in seguito fu feudo, tra gli altri, dei Montaquila, dei Marzano, dei Consalvo ed infine dei Grimaldi che lo possedettero con il titolo di marchesato sino al 1805 quando la feudalità fu abolita nel Regno di Napoli. Nel 1544 il feudatario don Paolo Mastrogiudice concesse ed approvò gli Statuti Municipali che il 15 febbraio 1547 ottennero anche il Regio assenso. Negli Statuti, quantunque non sia presente un’organica suddivisione per materia, è possibile distinguere, in funzione dell’interesse tutelato, le norme attinenti al settore pubblico (attività amministrativa, commerciale, giudiziaria e di polizia locale) da quelle concernenti il settore privatistico, rappresentate in massima parte dalle norme relative ai danni dati, cioè ai danni provocati alle proprietà private da animali o da persone. L’agglomerato medievale era racchiuso da una cinta di mura, con numerose torri rotonde, che iniziava e si concludeva con il Castello che conserva tuttora l’intera cortina con due porte, una dal lato del paese e l’altra verso la montagna; nel suo interno vi sono una grande e robusta torre a forma cilindrica, una piccola Cappella dedicata alla Santa Croce e grandi cisterne sotterranee per raccogliere e conservare l’acqua piovana. Nella fortezza era ubicato il carcere locale».

http://www.comune.pietravairano.ce.it/index.php?option=com_content&view=article&id=57&Itemid=97


Pietravairano (mura, porte)

Porta del Cauto, dal sito www.pietravairano-ce.it   La Portella, dal sito www.pietravairano-ce.it

«Porte storiche di accesso al borgo di Pietravairano. Probabilmente nel X e nella prima metà dell'XI secolo i primi abitanti di Pietravairano occuparono il costone di montagna, all'altezza dell'attuale via Guglielmo Marconi senza l'adozione di una vera e propria struttura difensiva a cortina, per la presenza sul lato orientale di difese naturali (strapiombo roccioso) e, bisogna supporre, vista la struttura urbanistica che dovesse esistere un accesso al borgo in prossimità della Porta Vigna, anche se alcuni studiosi locali tendono ad accreditare l'ipotesi di un accesso ancora più antico quale la Porta delle Grotte. Una vera e propria cinta muraria si può far risalire al XII secolo in quanto nel 1129 si ha notizia della costruzione della chiesa di S. Martino, dove è sorta successivamente la chiesa di S. Eraclio, che sicuramente era situata all'interno del paese. Alla Porta Vigna e la Porta delle Grotte, si aggiunse naturalmente la "Portella", una piccola porta ancora esistente, di facile accesso al borgo. A partire dal XIII secolo, anche a causa di un forte incremento demografico, viene costruita una vera e propria cinta muraria, intervallata da torri. Venne costruita anche la porta denominata del Cauto (Guardiano), che permetteva un accesso facilitato nella zona dell'attuale via Trivio nel cuore del paese. Nel corso del XVI secolo vennero aperte le ultime tre porte ossia Porta S. Andrea, S. Sebastiano e Portanova, che permettevano l'accesso ai Quartieri extra moenia».

http://www.pietravairano-ce.it/i%20luoghi.htm


Pontelatone (borgo, torre cilindrica)

Dal sito www.agriturismolefontanelle.it   Dal sito http://itasformicola.blogspot.it

«Pontelatone, borgo murato circondato da fossati, sorse in epoca medioevale, intorno a un castello che serviva al controllo del vasto territorio circostante, ricadente nell' area del massiccio di monte Maggiore, circondato dalle acque del torrente San Giovanni che, biforcandosi nei canaloni Maltempo e Montano, rappresentavano una difesa naturale. La zona, abitata a partire dal periodo sannitico fu poi occupata dai Romani. Alla fine del X secolo, dopo che i Saraceni avevano distrutto l'insediamento sannitico-romano, sorse l'attuale centro abitato di Pontelatone che, ricadendo nei territori della longobarda Contea di Capua, fu incluso nel vicino Gastaldato di Caiazzo e sottoposto alla sua giurisdizione vescovile. Posseduto dal 1189 al 1268 dalla famiglia Montefusco, il feudo di Pontelatone passò nel 1306 a Tommaso Marzano, duca di Sessa, che, in un vasto programma di fortificazioni del litorale domizio, più esposto agli attacchi dei nemici, incluse anche il castello di Pontelatone, nonostante fosse situato a notevole distanza dalle coste e lontano dalla capitale del regno. Dopo l'avvento degli aragonesi e l'espulsione degli angioini, Pontelatone passò nel 1420 al nobile Cubello d'Antignano di Capua e, nel 1445, alla famiglia Della Ratta, imparentata con i Marzano. Nel 1459 Ferrante d'Aragona, per punire Marco Della Ratta che aveva appoggiato Renato d'Angiò contro di lui, lo privò del feudo di Pontelatone. Nel 1465, lo stesso Ferrante ricostituì la Baronia di Formicola, unendovi anche Pontelatone, e la affidò a Diomede Carafa, conte di Maddaloni, i cui discendenti ne rimasero in possesso fino al 1806, anno in cui fu soppresso il feudalesimo. Il nucleo originario di Pontelatone era delimitato da mura interrotte da due porte urbane, di cui oggi sopravvive quella ubicata a nord-ovest. Del castello fatto costruire da Tommaso Marzano in epoca angioina resta solo la Torre cilindrica che, con i suoi circa venti metri di altezza, domina tutto il piccolo centro urbano. Testimonianza del periodo aragonese è l'architettura catalana che ha molto caratterizzato gli edifici e la struttura urbana di Pontelatone con i suoi portali ad arco depresso, le sue bifore dagli svariati motivi a traforo, i tipici fregi ornamentali di alcuni edifici, come i Palazzi Scirocco, Galpiati, Rotondo e Affinito».

«Pontelatone è caratterizzata da una torre rimasta testimone dell'antichità, essa è alta circa 20 metri e domina tutto l'abitato. La torre, chiamata anche “torre angioina di Pontelatone”, nasce dall'intersezione di un elemento tronco-conico, con uno cilindrico, tra i quali è inserita una cornice a toro di notevole effetto plastico. Alla sommità del corpo cilindrico è riconoscibile l'archeggiatura, che costituiva lo sbalzo e permetteva la realizzazione delle caditoie. Questi elementi di coronamento rappresentano degli ulteriori accorgimenti difensivi che l'architettura militare trecentesca aveva elaborato per potenziare le capacità di resistenza delle fortificazioni. Le torri conservano le cortine merlate, utili alla difesa frontale, essendo adibite a difesa e non ad abitazione, richiedevano un accesso difficile da raggiungere e facile da proteggere. All'interno si accedeva a mezzo di corde e non esistevano scale o ponti levatoi, che vennero installati in epoche più recenti. ...».

http://www.agriturismolefontanelle.it/Documento.aspx?DocId=15 - http://itasformicola.blogspot.it/2013/02/pontelatone.html


Prata Sannita (borgo, porte)

Dal sito http://blog.ritacharbonnier.com   Dal sito http://trionfo.altervista.org

«Costruito su un costone di roccia a destra del fiume Lete, il borgo è dominato da un poderoso castello che ha assunto la sua forma architettonica attuale durante il periodo angioino, dopo un ampliamento dell’antica struttura longobarda. In origine aveva quattro torri di cui una è crollata; gli ambienti all’interno ruotano attorno ad un cortile con pozzo. Ospitò numerose famiglie nobili, tra le quali citiamo i Sanframondo, i Pandone, i Rota ed ultimi feudatari gli Invitti nel XVIII secolo. Il borgo era controllato tutt’intorno da castelli e torri di avvistamento dei paesi vicini, ed è tuttora racchiuso da un alto muro di cinta rafforzato da numerose torri cilindriche con base troncoconica. Lungo le mura si aprono le porte di accesso al paese (Portelle, Porta di Rotta Cupa, Porta di Lete e Porta Santi Janni) affiancate ognuna da una torre cilindrica dove risiedeva la gendarmeria. Le più antiche notizie storiche risalgono a prima dell’anno 1000, ma l’abitato raggiunse la massima estensione intorno alla fine del 1500. All’esterno delle mura di cinta si è ben conservato il ponte medioevale dalla tipica forma «a schiena d’asino», attraverso il quale si imboccavano strade a mezza costa per Ailano, Valle Agricola e proseguendo fino ad Alife. Entrando nel borgo attraverso "Porta di Lete", lungo le strette e tortuose stradine troviamo le abitazioni addossate l’una all’altra secondo un criterio urbanistico ben preciso, adatto ad una miglior difesa ed al contenimento degli spazi entro la cinta muraria. Proseguendo per via Nunziatella si incontra una curiosa casetta che presenta ai lati della porta due "edicole" in stucco a rilievo, si tratta della cosiddetta "casa del Maone" (casa del mago) ove secondo la tradizione orale, sembra abitasse una specie di "santone" della medicina popolare; l’abitazione presentava fino a poco tempo fa degli stucchi anche all’interno rappresentanti simboli magici e religiosi; lavori recenti di consolidamento non appropriati non hanno risparmiato queste testimonianze.

Lungo la stessa strada si incontrano più avanti due "case torri", esse ospitavano le famiglie più importanti e costituivano un sicuro rifugio in caso di attacchi. Le "case torri" sono un simbolo delle Signorie e le famiglie cadute in rovina ne venivano private. Lasciando Via Nunziatella percorrendo la Via S.Maria delle Grazie si incontra "Casa dei Viti", costruzione assai singolare per la presenza in facciata di un alto pilastro con capitello che sorregge una loggetta, e di tufi scolpiti riutilizzati come elementi decorativi. Di notevole interesse araldico è lo stemma in pietra scolpita di epoca angioina posto sull’arcata all’ingresso. Proseguendo verso la parte alta del borgo si incontra la chiesa di S. Maria delle Grazie, che presenta sulla facciata gotico-romanica un portale a sesto acuto in pietra scolpita con lunetta affrescata di recente, ed un rosone circolare in tufo grigio scuro in alto. L’interno è stato completamente rinnovato di recente, interessante è invece una fonte battesimale in pietra scolpita. Attraversando poco distante la Porta Santi Janni, più avanti si incontra la cappellina del Carmine costruita nel XVII secolo, di proprietà della fam. Castallo al cui interno si sono conservati degli affreschi dello stesso periodo, poco appropriata invece la pavimentazione rifatta anni fa. Tornando indietro dopo la chiesa di S. Maria delle Grazie proseguiamo attraversando via Portelle fino ad uscire attraverso l’omonima porta ai piedi del castello, alla nostra destra è visibile nel totale abbandono, la cappella della S. S. Annunciazione utilizzata al momento come deposito».

http://www.gruppoarcheologicopratasannita.it/Borgo%20Medioevale.htm


Prata Sannita (castello)

Dal sito www.incampania.com   Dal sito http://trionfo.altervista.org   Dal sito http://blog.ritacharbonnier.com

«Forse già nella seconda metà del IX secolo (per proteggere il territorio devastato dalle incursioni arabe ricorrenti dall’841 al 882), nell’attuale sito del castello di Prata, in splendida posizione a dominare la valle del Lete, sorse un presidio fortificato. Non citato nel Catalogus Baronum (1150ca, in cui, però, compare un “Rajnonus de Prata filius Ugonis”), né nello Statutum de reparatione castrorum (1231-69), il castello assunse la sua attuale forma in età angioina, quando il precedente complesso fu ampliato e radicalmente modificato secondo le forme proprie dell’architettura militare dell’epoca. A quel periodo risalgono le tre torri cilindriche poste su basi tronco coniche disposte agli angoli della pianta quadrilatera allungata. Intorno al castello sorse il borgo, successivamente completamente murato. Al castello si accede immediatamente appena varcata la porta superiore del borgo (“portella”), mediante un arco dal quale un’erta rampa sale all’ingresso seguendo il profilo dell’edificio. L’antico accesso fu modificato alla fine dell’Ottocento. L’edificio si sviluppa su tre livelli intorno a due corti rettangolari. Nella torre Nord sono un affresco con racemi e una piccola Annunciazione. La torre “piccola” (a Sud) conserva interessanti graffiti (dal XV al XIX secolo). Il primo piano è costituito da una serie di ambienti riservati ai proprietari del castello; il secondo piano ricalca la suddivisione delle stanze di quello inferiore e consente l’accesso alla terrazza posta sulla torre piccola, dalla quale si può osservare l’intero borgo di Prata Sannita. Le sale del secondo piano ospitano il Museo dedicato alla Prima e alla Seconda Guerra Mondiale e il Museo della Civiltà contadina. Il Museo delle due guerre conserva ed espone materiale fotografico, uniformi dei militari italiani, inglesi, tedeschi, austriaci e americani, che hanno partecipato ai due conflitti, armi e utensili legati agli eventi bellici, utile documento per comprendere l’equipaggiamento dei soldati. Il Museo della Civiltà Contadina mostra oggetti legati alla vita dei campi, oggi quasi del tutto scomparsi in quanto sostituiti dalle macchine».

http://trionfo.altervista.org/Monumenti/pratasan.htm (a cura di Pietro Di Lorenzo)


Pratella (borgo fortificato, torri)

Dal sito www.google.it/maps/   Dal sito www.google.it/maps/

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Graziella Ciorlano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100007254258169)   Foto di Graziella Ciorlano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100007254258169)   Foto di Graziella Ciorlano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100007254258169)   Foto di Graziella Ciorlano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100007254258169)

«La storia di Pratella inizia in pieno medioevo. E il documento più antico in cui appare il toponimo Pratilla, si rinviene nella documentazione Normanna, benchè il nome risalga già al periodo tardo-romano. Il suo territorio risulta inserito nell'antica regione Sannitico-Irpina, alla quale successivamente si sovrappose la struttura della cosiddetta Longobardia Minore suddivisa nei tre principati di Benevento, di Salerno, e di Capua. Nel marzo del 1197 Giordano, signore di Prata e di Pratella, figlio di Rainulfo conte di Alife, dona con un atto del marzo 1197 actu Pratilla in camera nostra, a Matteo figlio di Giovanni Boni nove fondi in Prata, cinque in Pratella e uno in Campochiaro. Da questa prima notizia, che testimonia l'esistenza di un castrum (villaggio fortificato) Pratilla, sembra che il centro abitato di Pratella sia sorto non come borgo fortificato di Prata, come invece afferma il Villani (il quale definisce Pratella come casale di Prata), ma come feudo a sé, con regolare Università (un insieme di beni come le abitazioni, i terreni da coltivare, i terreni da pascolo e da legnatico) a disposizione della popolazione, sebbene fosse già parte integrante della baronia di Prata. Un'altra antica menzione è di epoca sveva. Nel 1222, in piena età federiciana, il territorio dell'odierna Pratella viene riconfermato da Federico II di Svevia all'abbazia della Ferrara di Vairano Patenora come Terras et molendinain Pratelle. Ma sono i documenti della Cancelleria Angioina a dare notizie preziose. Tra il 1269 e il 1270, Pratella, viene citata come Università: Relaxatio collectarum pro Universitate hominum Pratelle, vassallorum Roberti de Fossaceca.

Pratella, quindi, trasformatasi in università fu abitata da uomini che erano vassalli di Roberto di Fossaceca. Mentre qualche anno più tardi viene annotata anche la prima baronia nella quale Pratella risulta essere feudo. ... Ma l'annotazione più rilevante, che fa ipotizzare l'edificazione del castrum Pratilla su di un fortilizio probabilmente anteriore all'anno mille, si ha con l'arrivo dei Normanni. Infatti proprio ad un Normanno si riferisce la notizia, temporalmente da riferire alla seconda metà del 1200, rinvenuta nel documento angioino: Radulfo dicto Normanno, resignanti in manibus curie Castrum Castanae, quod antea sibi per regem donatum fuerat, conceditur Terra Rocce de Pratella de Comitatu Molisii. Dunque, Radulfo detto il Normanno, consegna nelle mani della Curia regia il Castrum Castano e riceve in concessione la Terra Rocca di Pratella. Ecco perchè, acquisita la nuova terra, Radulfo innalza una torre che chiama la Torre di Pratella. Quindi a questo Radulfo, quasi certamente, si deve attribuire la costruzione a terra fortificata di questo borgo, che venne edificato su di una lieve altura, in un punto strategico del sistema viario dell'ager Allifanus. Allora, se le fonti scritte documentano un fenomeno di incastellamento abbastanza veloce, grazie alla documentazione archeologica è possibile affermare che l'antico castrum (villaggio fortificato) doveva essere simile alle altre costruzioni fortificate di quel periodo: tutte caratterizzate da una cinta muraria difesa dalle torri. Perciò anche Pratilla ebbe una cinta muraria con delle torri. Le torri originariamente erano cinque, di cui tre sono giunte sino a noi ma ridotte ad abitazioni private. Solo più tardi si è avuta una stratificazione edilizia con il completamento di una stradina residenziale (l'odierno Corso Italia). Nella seconda metà del XIII secolo, Pratella inizia così la sua fase di sviluppo che vide l'abitato ingrandirsi intorno alla torre. La torre suddetta si trova nel centro torico del paese, in via Torre, la parte più elevata del paese. I varchi d'accesso al borgo sono Porta Chiesa a sud-est, la Porta Calatoio ad Ovest e la porta che dà l'accesso direttamente al piccolo borgo, questa ubicata ad Est e posta nella parte retrostante la chiesa. ...».

http://www.comune.pratella.ce.it/c061064/zf/index.php/storia-comune/


Presenzano (palazzo Ducale)

Dal sito www.prolocopresenzano.it   Dal sito www.campaniatour.it

«All’interno delle mura del borgo sorge un palazzo, oggi detto Palazzo Ducale, che certamente ospitò, nei suoi piani nobili, le famiglie dei duchi di Presenzano o qualcuno dei suoi castellani. Oltre alle modanature in piperno e del toro, vi sono affreschi riproducenti figure umane e cornici di motivi ornamentali a limitare, in alto, le pareti del piano nobile. È interessante notare il monolito marmoreo sul quale sono raffigurate a rilievo le insegne della famiglia del Balzo e il leone rampante sormontato da uno scudo, emblema civico di Presenzano. Esso domina la chiave di volta dell’arco a tutto sesto del portone principale dello stabile, il quale, come è fin troppo evidente, fu espanso in direzione ovest in un’epoca successiva al secolo XVI. Su di un porticino secondario rivolto a monte è un altro stemma marmoreo “accartocciato” e “inquadrato”, più piccolo di quello descritto, sul quale sono incise le medesime insegne della famiglia del Balzo (comete e i cornicetti da caccia). All’interno del palazzo, nell’atrio, murato sull’architrave prospiciente l’ingresso, è un altro scudo marmoreo sul quale è raffigurata, a rilievo, una grande stella a sedici punte, ossia l’arma più antica della famiglia ducale dei Del Balzo. Il palazzo Ducale domina e protegge la porta occidentale d’accesso al borgo, mentre quella orientale, che si apre nella briglia est, è protetta da una torre».

http://www.prolocopresenzano.it/palazzo.php


Presenzano (resti del castello)

Dal sito www.campaniatour.it   Dal sito www.prolocopresenzano.it

«Il castello di Presenzano è attestato, su base documentaria, fin dalla fine del secolo XII. A prima vista, l’abitato fortificato di Presenzano, attaccato ad un colle di forma tronco-conica e dominato dalla imponente mole di un torrione (ormai quasi completamente crollato), ricorda le strutture difensive, tipiche dell’epoca normanna, costituite da una motta e da un donjon. In effetti secondo studi accurati svolti nel tempo, si potrebbero attribuire alla struttura, diverse fasi evolutive (normanna-sveva, angioina e aragonese). In effetti, se nel 1194 l’imperatore Enrico VI di Svevia lo conquistò, è ovvio che il castello esisteva già e nel 1201 doveva essere una roccaforte sicura e bene munita. Infatti in esso si incontrarono il conte Gualtiero di Brienne, amico del papa Innocenzo III, l’arcivescovo di Capua Rinaldo, figlio del conte di Celano e l’abate di Montecassino, Roffredo de Insula, durante i torbidi conflitti che precedettero l’affermazione definitiva dell’imperatore Federico II di Svevia. Intorno al castello sorge l’area fortificata del borgo, a circa 370 m. sul livello del mare, su un rilievo, denominato appunto Monte Castello, il quale è ubicato alle falde del Monte Cesima. Il mastio, a pianta quadrata, appare rinforzato, nelle sue strutture più basse, con una poderosa scarpa di fabbrica realizzata in opera incerta con caementa di calcare locale, compattati da testate d’angolo fatte con parallelepipedi regolari in piperno. L’abbassamento del piano-campagna, dovuto al normale slittamento verso il fondovalle delle masse terrose, e la necessità, per la sua valenza strategica, di espandere l’abitato fortificato, giustificarono il primo, importante ritocco in epoca federiciana, precisamente intorno al 1231. A tale restauro fece seguito l’ulteriore ritocco di epoca angioina, il quale interessò sicuramente la cortina anulare apicale turrita sunnominata e le mura di delimitazione e fortificazione del borgo in generale. Nella medesima epoca fu realizzato anche il vano a volta ogivale che è ubicato in corrispondenza dello spigolo sud-ovest del mastio. Un’altra fase costruttiva ebbe luogo in epoca aragonese. Questa modifica è visibile nella struttura generale del borgo per la presenza di strutture poderose, basse e tozze, vistosamente contraffortate secondo un gusto più tipicamente ispanico».

http://www.prolocopresenzano.it/castello.php


Raviscanina e Sant'Angelo di Alife (castello di Ravecanina)

a cura di Linda Romano


Recale (borgo, palazzo Vestini Campagnano)

Palazzo Vestini, dal sito www.comune.recale.ce.it   Palazzo Vestini, dal sito www.comune.recale.ce.it

«Un percorso turistico ideale da Recale non può che partire dalla antica Torre: il castello dei duchi Caramanico-Bovino è senz’altro il monumento storico architettonico più imponente e d’impatto della cittadina. Ma per chi arriva sa Caserta in questa zona periferica della città, in piazza della Repubblica, oltre alla residenza di campagna dei Borboni già si presenta un'altra ricchezza storico architettonica: l’antica Confraternita. Questa oltre ad essere uno dei più antichi luoghi di culto, è particolarmente cara ai residenti e strettamente correlata alla festa patronale di Sant’Antimo. Anticamente infatti nella Torre era allestita una saletta in cui veniva portata la statua del Santo. Successivamente la funzione si è spostata sulla Confraternita. La statua del santo infatti durante i festeggiamenti, viene trasportata dalla zona Torre a via Salvatore, e ciò simbolicamente rappresenta la liberazione del santo martire ed il suo passaggio dall’Asia a Roma. Scendendo per via Marconi, altra gemma storica è il palazzo Cammarone: nonostante l’aspetto esterno che andrebbe senz’altro rivalutato, l’antica costruzione secondo quanto si tramanda dalle vecchie generazioni, avrebbe addirittura visto ospite niente meno che Galileo Galilei. 

Da via Torre a Piazza Matteotti: la celebre piazza dalle caratteristiche ‘otto colonne’ (due per ogni lato della piazza circolare) è dagli albori della cittadina il fulcro politico, in cui si sono dati battaglia gli antenati dei politici odierni. Dalla piazza la tappa successiva è senz’altro il palazzo dei Vestini Campagnano, famiglia notabile del paese, che in un paio di centinaio d’anni ha dato i natali a medici, avvocati e a sindaci. Il palazzo porta la griffe vanvitelliana nel conio della sua struttura e nella fastosità delle sue sale. Lungo via Salvatore, si può accedere attraverso una stretta viuzza che passa sotto l’arco di un palazzo, alla zona più antica della città: la Cittadella. Il primo nucleo d’insediamento risalirebbe appunto al periodo di dominio arabo, ed il nome troverebbe origine proprio nell’idioma di quel popolo. Col tempo, con i danni correlati alla seconda guerra mondiale e la crescita urbanistica, il cuore vecchio della città ha conservato ben poco dell’antico, giusto un frammento delle spesse mura che anticamente custodivano il primo insediamento recalese. C’è poi la zona del ‘Censo’, in cui esiste un’antichissima cappellina sconsacrata, di cui forse sono pochi i recalesi a ricordarne la presenza, eppure è lì, che resiste all’usura del tempo. Si arriva così all’estrema periferia di questa cittadina ricca di storia e tradizioni».

http://www.comune.recale.ce.it/index.php?option=com_content&view=article&id=38&Itemid=179


Recale ("Torre" del castello dei Duchi Caramanico-Bovino o villa Porfidio)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito http://caserta.arte.it

«Le origini di Villa Porfidia, localmente nota come “Torre”, in primis “Real Castello Borbonico”, si fanno risalire alla fine del ‘700. In effetti si tratta più di un palazzo-roccaforte che residenza estiva della famiglia reale, legato alla particolare ubicazione territoriale del primitivo nucleo abitato di Recale, nei pressi dell’importante consolare Appia antica. Per circa un secolo la Torre fu dominio dei Borboni, finché nel 1860 passò al duca Bovino; periodo in cui quadri, sculture marmoree, mobilio e suppellettili di gran pregio artistico furono trasferiti in uno dei palazzi Foglia a Marcianise. Solo nel 1936 l’interessante palazzo fu venduto alla famiglia Porfidia di Recale, ancora oggi proprietaria. La villa, ubicata ai margini orientali del nucleo abitato, conserva ancora oggi una certa autonomia rispetto ad esso, essendo nella quasi totalità circondata dalla fiorente campagna recalese. Il corpo di fabbrica principale, dominato da una poderosa torre angolare, si affaccia sull’irregolare Piazza della Repubblica, dove si eleva altresì un’interessante chiesa del 1583 affiancata da un’esile campanile. Il palazzo, dotato di un vasto parco, occupa una superficie di oltre 20.000 mq., articolandosi in un corpo piuttosto compatto a corte interna; qui, androni, porticati, loggiati ed ampie vetrate, definendo la spazialità del complesso, offrono suggestivi scorci prospettici.

Dall’ingresso principale si accede all’ampia corte interna sulla quale fa bella mostra di sé la grande vetrata dello scalone principale, attraverso il quale si giunge al piano nobile: un susseguirsi di vaste sale affiancate da locali di servizio, dove ben poco rimane delle pregevoli decorazioni e suppellettili che ne facevano una residenza regale. Alla monoliticità del manufatto architettonico fa da “pendant” un esteso parco pensile, in cui interessanti gruppi marmorei ed alcune fontane, riproducenti in miniature quelle della vicina Reggia vanvitelliana, fondendosi con le numerose essenze arboree del giardino all’italiana, creano suggestive scenografie naturali. In, queste, architettura e verde, fondendosi armonicamente, esprimono la sobria spazialità settecentesca. In facciata, al verticalismo della poderosa torre merlata, si oppone il corpo orizzontale dell’edificio principale prospettante sulla piazza. Un finto bugnato a liste caratterizza il corpo inferiore della fabbrica, interrotto solo dal portale d’ingresso ad arco ribassato, blasonato in chiave; sul cordoncino di coronamento della superficie a bugne si aprono finestroni quadrati protetti da aggettanti elementi ad arco, che sorreggono gli eleganti balconi del piano superiore. Al primo piano sei grandi aperture adorne di cornici e sormontate da timpani triangolari scandiscono la semplice facciata conclusa dal cornicione. Meno rappresentativa la facciata laterale, priva di qualsiasi ornamento, in cui si aprono le finestre di tre livelli: il piano terra, l’ammezzato, il piano nobile».

http://www.comune.recale.ce.it/index.php?option=com_content&view=article&id=47:villa-porfidia...


Riardo (castello longobardo, borgo)

Dal sito www.comune.riardo.ce.it   Dal sito www.campaniatour.it   Dal sito https://owlinthepulpit.files.wordpress.com

«Il castello di Riardo nella sua struttura originaria era composto da un piano seminterrato, ancora in gran parte da scoprire, dal piano terra e da ben due piani superiori. Durante lavori di restauro, venne rinvenuta nei pressi dell’ingresso una pietra con la scritta 1122 ma è più che probabile che sulla sommità della collina del nostro paese già in epoca precedente a quella data vi fosse una fortezza seppur con caratteristiche architettoniche più semplici. Infatti le origini del castello di Riardo si fanno risalire ai Longobardi ed esse risalgono alla seconda metà del sec. IX, quando i quattro figli di Landolfo, capostipite della famosa dinastia dei Castaldei, nella contea e poi principato di Capua innalzarono a difesa dello stato, nei punti più strategici, rocche e castelli. Elemento architettonico di particolare interesse è l’enorme finestrone arcuato dal quale è possibile spaziare con lo sguardo fino al mare attraverso la piana del Savone. Altra particolarità è rappresentata dalla torre maestra perché nella sua parte terminale si caratterizza per muri cavi ed infatti al loro interno vi è ricavata una scala che conduce alla sommità del mastio. La zoccolatura a “zampa d’elefante” e la merlatura rivelano nello stile i chiari segni della dominazione angioina».

«Verso la fine del nono secolo d.C. sulla sommità delle alture dell'Alto Casertano vennero realizzati una serie di castelli che costituivano la dimora di conti e gastaldi, ossia dei potenti dell'epoca. è perciò molto probabile che anche il castello di Riardo sia stato costruito in quel periodo. Sull'arco di ingresso dell' antico maniero per il passato c'era una pietra indicante l'anno 1122 ma è quasi sicuro che quella data si riferisse ad una ristrutturazione del castello e non alla sua originaria costruzione. Le sole misure del castello di Riardo bastano ad indicarne la maestosità: area di costruzione mq 2750; cortile mq 274; i quattro lati lunghi misurano m 47,20, 50,30, 54,90, 55,20; la torre più alta m 27; il salone di rappresentanza 17,50. Le torri rotonde sono di chiaro stile medievale, la loro merlatura e zoccolatura sono in stile aragonese, rinascimentale è la torre quadrata e neoclassico il loggione. Tutti i critici d'arte che hanno studiato il castello di Riardo sono rimasti particolarmente affascinati dall'arco-finestrone che dal primo piano consentiva di ammirare sia il vulcano spento di Roccamonfina che tutta la vallata fino al mare attraverso la piana del Savone. Di notevole fascino è il giardino adiacente che si estende a nord del castello. Restaurato di recente, è strutturato su diversi livelli altimetrici. Sono ancora ben visibili le porte, oggi murate, che collegavano il castello ai suoi "orti". Nei giardini è stata realizzata una comoda scaletta metallica dalla quale si accede ad un camminamento-passerella che consente di osservare la parte esterna delle mura di cinta dei giardini stessi e di spaziare con lo sguardo per tutta la parte settentrionale del nostro paese. Sfruttando in modo idoneo lo spazio disponibile, è stata ricavata anche una piccola arena con un po' di gradinate di fronte. Le mura, costellate di feritoie per l'avvistamento del nemico e per l'allocazione di bocche di fuoco, proseguono fino allo spazio esterno all'attuale ristorante-albergo ed in corrispondenza della zona urbanizzata costituiscono la base di costruzioni. Molte case a ridosso del castello sono state magnificamente restaurate. Alcune sono state destinate a botteghe artigianali, a locali da adibire a mostre permanenti, in futuro anche a museo. Tutto il borgo si caratterizza per una serie di viuzze lastricate, parallele l'una all'altra ma con delle stradine a perpendicolo che le congiungevano e consentivano di passare da un livello all'altro del borgo. Oggi questi passaggi, benché quasi tutti interclusi e talvolta murati, sono ancora perfettamente visibili e ci narrano di una urbanizzazione fatta davvero a misura d'uomo».

http://www.comune.riardo.ce.it/index.php?action=index&p=226 - http://www.campaniatour.it/poi.view.php?id=744 (a cura di Marco Bonafiglia)


Rocca d'Evandro (castello)

Dal video www.youtube.com/watch?v=Ji-R3D9o0IU   Dal sito www.campaniatour.it

«...Le fonti medioevali documentano l'appartenenza della rocca ai conti di Teano. Nel 1022 Enrico II confiscò queste terre al principe di Capua Pandolfo IV e le affidò all'abbazia di Montecassino Le ostilità contro i cassinesi furono riprese da Pandolfo IV, per vendicarsi della prigionia patita in Germania. Egli cedette ai Normanni una parte delle terre sottratte al monastero, affidando la Rocca ad un tal Todino (vassallo di Montecassino), che venne spalleggiato dai nuovi conquistatori dell'Italia meridionale, tanto che a ristabilire l'autorità cassinese giunse in Italia l'imperatore Corrado II, che sgomberò la Rocca. Dopo pochi anni i conti di Teano ne tentarono il recupero, ma senza riuscirvi. Nel 1080 il principe di Capua Giordano I, nel confermare la terra di S. Benedetto nei confini segnati da Gisulfo II, vi aggiungeva il castello di Rocca di Vandra. Dopo la morte di Giordano I, i monaci ebbero usurpata una parte dei loro beni. Così nel 1091 Pandolfo, conte di Teano, abitante nel castello di Presenzano, cedette al monastero la sua parte della Rocca. Nei tempi successivi, in particolare durante il periodo svevo, con la pace di S. Germano, nella zona vi fu un periodo di tranquillità. Feudo di Ettore Fieramosca nel 1504, passò nel 1528 a Federico Monforte, che si ribellò all'imperatore Carlo V. Ceduto a Vittoria Colonna nel 1534, il feudo pervenne ai Carafa, ai Muscettola ed ai Cedronio; infine appartenne ai Caracciolo, duchi di Marzano. L'abitato, che ha subito trasformazioni a causa delle ricostruzioni del periodo post-bellico, conserva, in posizione dominante, il castello medioevale, edificato forse dai conti aquinesi del ramo dei Terame, discendenti di Landone I, che Federico II inserì tra le fortezze del regno da riparare in quel tempo. Altro elemento significativo è la piazza centrale, che racchiude in se tutte le peculiarità dei centri medioevali, le caratteristiche pavimentazioni in pietra, la fontana in posizione semicentrale, l'irregolarità delle facciate che fanno da sfondo a piacevoli conversazioni. ...

La storia di Rocca d'Evandro può dirsi comunque legata al suo castello che, attraverso varie vicissitudini, era ancora in possesso del monastero di Montecassino nel 1066, anno in cui, per ordine di Desiderio abate, fu fatta fondere in Costantinopoli una porta con un pannello raffigurante il territorio in questione. Il castello passa ancora attraverso due terremoti devastanti (nel 1117 e nel 1349), ricostruzioni, diversi proprietari (tra i quali anche il fisco), fino al XV secolo quando fu abolito il feudalesimo. Agli inizi del XVI secolo viene dato in concessione dal re Ferdinando ad Ettore Fieramosca, eroe di Barletta e in quegli anni duca di Mignano. Data la posizione particolarmente inaccessibile era un castello ambito da molti e fu più volte utilizzato come rifugio in situazioni di pericolo incombente. I monaci di Montecassino vi si rifugiarono con tutti i loro tesori per sfuggire all'invasione del Regno di Napoli ad opera di Carlo V, ma fu espugnato dalla possente artiglieria del marchese di Pescara. Fu in seguito donato a Vittoria Colonna, vedova del marchese di Pescara, quindi a seguito di vendite successive passò in possesso della famiglia Sammarco, e ancora del fisco dopo l'estinzione di questo casato. Fu quindi acquistato da Giandomenico Pelosi per conto della figlia Antonia in Cedronio. è questa l'ultima grande famiglia ad ampliare e fortificare il castello, dopodichè altri passaggi di mano, speculazioni, nonché la mancata manutenzione ed infine gli eventi bellici lo ridussero a ruderi abbandonati. Dal 1980 proprietario è il Comune, che ne ha curato l'acquisto proprio al fine di salvaguardarne il patrimonio storico e recuperarlo come patrimonio culturale della collettività; dal 1983 sono stati avviati lavori di restauro sotto la sorveglianza della Sovrintendenza per i Beni Ambientali, Artistici, Architettonici e Storici di Caserta e Benevento. ...».

http://www.comuneroccadevandro.it/storia.htm


Roccavecchia (resti della rocca Sancti Viti)

Resti della rocca, dal sito www.cuoresannita.it   La rocca, dal sito www.cuoresannita.it   Dal sito http://corrierematese.blogspot.com

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Graziella Ciorlano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100007254258169)   Foto di Graziella Ciorlano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100007254258169)   Roccavecchia, masseria Selva Piana, foto di Graziella Ciorlano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100007254258169)

«Tutto il territorio della cosiddetta di Rocca Vecchia, fino ai secoli centrali del Medioevo, è di pertinenza del Monastero di Santa Maria in Cingla (sito in quello che attualmente è il territorio di Ailano) sorto per opera di Gisulfo II, principe del Ducato beneventano, e dipendente da uno dei maggiori cenobi della Longobardia Minor, vale a dire quello di San Benedetto di Montecassino. Questo tratto della valle del Volturno, fino ad Alife, era caratterizzato da una cospicua presenza di insediamenti come Prata, Vicus Bonelle tra Ailano e Pratella, Santo Stefano nei pressi di Quattroventi, Ailano, forse allora chiamato Volcanu, e naturalmente la grande città di Allifae. Nella documentazione medievale la prima menzione di una Rocca Veteris si rinviene nel 1262 in un regesto cassinese; il documento, dunque, già a partire dall’XI secolo, testimonia la desolazione del sito del monte Cavuto. Il monte dove sorgeva Callifae è citato per di più dal cronista cassinese a partire dal IX secolo e tra il X e il XII secolo, quando viene sottolineata la presenza di un Castellum e di una Ecclesia dedicata a San Vito. Il Castello e l’Ecclesia vengono identificati probabilmente con il castellum e l’ecclesia Sancti Viti, di dominio cassinese, che il cronista del IX secolo ricorda conquistati nell’846-847 dalle bande saracene guidate da Massar, questi al soldo del principe Radelchi di Benevento, dopo la depredazione di Santa Maria in Cingla. La rocca ormai diruta verrà rammentata dalla documentazione cassinese del XII secolo per la presenza di vacces et boves et porci sempre di proprietà dell’abbazia di Santa Maria in Cingla. Di proprietà della chiesa di Santa Maria in Cingla, Rocca Vecchia diruta, menzionata nei documenti anche col nome di Rocca di San Vito dal nome del castellum e dell’ecclesia siti, secondo gli storici sul monte, viene separata dal monastero cinglese (ambedue, però, sempre possedimenti benedettini), di cui aveva fatto parte per circa tre secoli, verso la fine del XIII secolo. Infatti, il 25 maggio del 1275 Bernardo, abate di Monte Cassino, insieme al notaio Abramante, concede la terra di Rocca Vecchia in enfiteusi. ...».

http://www.comune.pratella.ce.it/c061064/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/2


San Clemente (palazzo Daniele)

Dal sito www.trionfo.altervista.org   Dal sito www.trionfo.altervista.org

«Il casale di San Clemente appare citato già nella bolla di Senne (1113). Il palazzo Daniele sorse sicuramente prima della fine del secolo XVII. Infatti, sulla chiave dell’arco in pietra calcarea che dà accesso al cortile è scolpita la data 1685. Al di sopra del portale è lo stemma della famiglia Pagano, proprietaria dell’edificio che, probabilmente, già doveva esistere nel secolo XVI. Infatti, a quel periodo è databile l’iscrizione latina su marmo che attesta la proprietà del palazzo da parte di Giovanni Pagano e Clizia Della Ratta (di un ramo collaterale di quello che tenne la contea di Caserta fino al 1511). L’intero edificio è un importante esempio di villa gentilizia, risistemata nel diciottesimo e diciannovesimo secolo inglobando il cinquecentesco nucleo. La struttura è a corte ma i corpi di fabbrica principali, quelli residenziali, si sviluppano a L, su due alzati. Il prospetto principale lungo la strada, ortogonale a quello dell’accesso, mostra finestre, non allineate, contornate da cornici in stucco e da timpani curvilinei recanti delle valve di conchiglia. Al piano terraneo di quest’ala è la cappella, dedicata a S. Antonio abate, costruita dalle fondamenta da Marco Pagano nel 1673 (iscrizione sul portale di accesso dalla strada) e restaurata nel 1738 da Domenico Daniele. Attualmente appare a navata unica, con due campate concluse dal presbiterio quadrato coperto da cupola emisferica. Restano i due vani degli altari laterali con cornici in stucco arricchite da volti di cherubini. Il cortile, pavimentato in pietra calcarea, era elemento fondamentale della classica casa rustica della pianura campana; lungo i suoi lati si sviluppavano anche gli ambienti di servizio (stalla, porticati per deposito dei prodotti agricoli, cantine etc.). Il portale di accesso al corpo residenziale è sull’ala ortogonale alla facciata, al di sotto di un portico, ricavato in aggetto rispetto all’edificio e preceduto da una scala. Resta un portale a stucco sovrastato da un oculo. In asse con questo accesso è il viale principale del giardino. Dal portico parte la scala principale, coperta a botte, che ancora mostra quattro ampi oculi ovali in stucco e tracce di affresco. Il piano superiore conserva ancora tracce di decorazioni parietali. Fu la dimora di Francesco Daniele, illustre storico, antiquario ed epigrafista vissuto nel XVIII secolo, che proprio in questa casa allestì un museo epigrafico, passato alla sua morte nelle collezioni archeologiche reali. Dai Marzano, eredi dei Daniele, il palazzo è pervenuto alla Fondazione "Teresa Musco" nel 1996».

http://www.trionfo.altervista.org/Monumenti/sanclementedan.htm (a cura di Giovanna Daniele


San Leucio (arco borbonico)

Dal sito www.pmf.it/caserta   Dal sito www.vesuviolive.it

«Il portale, risalente circa al XVII secolo, costituiva l'accesso alla proprietà feudale degli Acquaviva, principi di Caserta. Riutilizzato nel secolo successivo quando, per volere di Ferdinando IV di Borbone, fu fondata la Real Colonia di San Leucio situata alle pendici sud della collina, fu restaurato dall'architetto Francesco Collecini, incaricato anche della ristrutturazione e dell'abbellimento del complesso. Sulla sommità del portale, infine, fu collocato un gruppo scultoreo con, al centro, lo stemma borbonico» [costruito in travertino bianco, misura 13 metri in altezza e 9 in larghezza].

http://www.sanleucionline.it/home.htm


San Leucio (borgo, Belvedere)

Dal sito http://caserta.arte.it   Dal sito www.vesuviolive.it

«Poco lontana da Caserta, la località di San Leucio prende il nome da una piccola chiesa longobarda situata sulla sommità del colle omonimo. Un tempo il borgo si chiamava villaggio Torre. Qui gli Acquaviva, signori di Caserta nel Cinquecento, costruirono un castello, utilizzato come casino di caccia e chiamato "Belvedere" per la stupenda vista panoramica che offriva sulle campagne circostanti, sul Vesuvio e sull’isola di Capri. Nella seconda metà del Settecento, il casertano fu acquistato da Carlo III di Borbone, e nel 1759 passò al figlio Ferdinando IV, che divenne re di Napoli e continuò – per i Siti Reali – la strategia territoriale avviata dal padre. Nel 1773, la proprietà di San Leucio fu recintata e ingrandita, per opera dell’architetto Francesco Collecini: essa divenne la meta preferita del giovane re, che qui s’immergeva nella quiete della natura e amava cacciare. Nel 1778 Ferdinando decise di dedicare il Belvedere e la zona di San Leucio a un’attività produttiva, utile per il Regno e per il futuro dei giovani del borgo, privi d’istruzione. Nell’ambito di un progetto inteso a creare una città ideale (Ferdinandopoli), il borgo fu trasformato in un centro manifatturiero dedicato alla seta: la Real Colonia Serica di San Leucio, primo e unico caso in Europa di una fabbrica all’interno di una dimora reale. Non furono intaccate le eleganti stanze reali, tranne la sala delle feste al cui interno fu allestita una chiesa per la comunità. Attorno al Belvedere furono creati i quartieri di San Carlo e San Ferdinando; furono poi costruite scuole, abitazioni per operai e insegnanti, stanze per la trattura, la filatura, e la tintura della seta. In definitiva, la Real Colonia dette avvio a una tradizione serica che continua ancor oggi, con la produzione di sete pregiate, esportate in tutto il mondo. Nel 1789 la Colonia fu dotata di un Codice delle Leggi, per quei tempi rivoluzionario. Era chiaro l’obiettivo reale di creare una colonia industriale completa dal punto di vista sia produttivo sia comportamentale. Tra l’altro, il Codice prevedeva: i doveri verso se stessi, verso gli altri, verso il Principe, verso lo Stato; la retribuzione basata sul merito; la scuola obbligatoria per i bambini; l’elezione di “Seniori del popolo” per dirimere le controversie; la vaccinazione contro il vaiolo; un ospedale; una Cassa della Carità per aiutare gli artigiani poveri o in difficoltà per malattia; le sanzioni per i trasgressori. Il Belvedere ospita d’estate il “Leuciana Festival”, uno dei festival artistici più noti dell'Italia Meridionale. In ottobre ha luogo, sempre al Belvedere, l’importante rassegna enologica “Festa del Vino, delle Vigne e della Seta”».

http://guide.travelitalia.com/it/guide/caserta/belvedere-di-san-leucio


San Potito Sannitico (palazzo Filangieri de Candida Gonzaga già Sannillo)

Dal sito www.comunitamontanazonamatese.it   Il borgo storico, dal sito www.comune.sanpotitosannitico.ce.it

«...A partire dal XV secolo il villaggio entrò nei possessi del feudo di Piedimonte e solo dalla metà del XVII secolo si evidenziò una struttura amministrativa abbastanza autonoma, pur rimanendo San Potito un casale di Piedimonte. Nel Settecento il piccolo centro assunse la configurazione di una vera e propria cittadina: la configurazione urbanistica prese i lineamenti tuttora esistenti e si costruirono diverse dimore gentilizie, il cui antico aspetto è ancor oggi riconoscibile. Dopo una lite giudiziaria iniziata nel 1721, nel 1749 il casale di San Potito riuscì ad ottenere l’autonomia da Piedimonte. ... Il Palazzo Filangieri de Candida Gonzaga fu costruito sulla struttura di una villa romana, della quale si conservano le antiche tubazioni, che fino a non molto tempo addietro alimentavano le vasche e le fontane del giardino. Il complesso costituisce un notevole esempio di casa aristocratica pluristratificata, dotata dei servizi necessari alla vita agraria e arricchita con antiche decorazioni di gusto raffinato e aggiornato. L’edificio fu costruito nel XVII secolo da una famiglia di latifondisti della zona, i Sannillo; successivamente passò ai conti Gaetani, che lo ampliarono durante tutto l’Ottocento. Infine è passato in eredità ai Filangieri, attuali proprietari. I proprietari e costruttori del palazzo, i Sannillo, ricchi possidenti dotati di notevole cultura, nell’ampliare e arredare la loro dimora s’ispirarono all’esempio della Reggia di Caserta, appartenuta alla dinastia reale dei Borbone di Napoli ed edificata negli anni 1752-1780, su progetto del grande architetto napoletano Luigi Vanvitelli. Per realizzare la loro dimora, quindi, i Sannillo si servirono di artigiani e artisti già attivi a Caserta, dove erano stati chiamati per la costruzione della Reggia. Si può quindi ipotizzare per il Palazzo di San Potito Sannitico una derivazione diretta dagli esempi vanvitelliani, evidente innanzitutto nella struttura della scala che dal cortile conduce al piano nobile. Questa ricorda, seppur in proporzioni ridotte, lo scalone della Reggia di Caserta. Del tipo “forbice a doppia rampa”, ha un ballatoio poggiante su due colonne doriche; i gradini sono realizzati in pietra viva e le pareti sono decorate con uno zoccolo in finto marmo e da tre grandi affreschi. Essi raffigurano un cane da caccia con selvaggina e, al livello superiore, il pensatore e filosofo ateniese Socrate a sinistra e lo stratega ateniese Aristide a destra.

Al piano terra alcuni ambienti pavimentati in pietra viva conservano le antiche funzioni di scuderia, stalla e magazzino per il grano e per l’olio. In uno dei grandi e suggestivi locali al piano terreno è allestito un Museo delle icone, con opere dipinte su vetro dall’attuale proprietaria del palazzo. Il palazzo, costituito da quattro ali, si sviluppa attorno a un cortile pavimentato con mattoni a “spina di pesce” e ripartito in settori stellari da fasce di pietra viva. Da qui una scala conduce al primo piano, dove si distinguono una parte rustica, settecentesca, e una parte nobile risalente all’Ottocento. La parte nobile è ricca di decorazioni: le pareti delle varie sale sono coperte da carte da parati antiche, che riproducono - nelle tinte e nei colori dei disegni - gli stessi motivi che si trovano nella Reggia di Caserta. I pavimenti, tutti in piastrelle di cotto, sono dipinti con disegni geometrici e con decori a finto marmo. Anche i soffitti sono affrescati. Le porte in legno laccato e le innumerevoli finestre sono state realizzate – così come tutti gli altri parati – con grande gusto e maestria e sono in perfetto stato di conservazione. Nella parte settecentesca, che conserva anche una tipica cucina rustica, dotata di camino e di una grande cappa, i soffitti presentano travi a vista o rivestite di carte antiche. Mobili d’epoca (tra cui dei bei letti a baldacchino) e una ricca collezione d‘oggetti degli Indios dell’Amazzonia e del Mato Grosso, raccolti dall’attuale proprietario Antonio Filangieri di Candida Gonzaga, completano l’arredamento».

http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/Palazzo_Filangieri_San_Potito.pdf  (a cura della Direzione Culturale del FAI)


San Tammaro (Reggia di Carditello)

Dal sito http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it   Dal sito http://caserta.arte.it

«Quella che fu una fattoria modello dei Borboni, la “Reale Tenuta di Carditello” in San Tammaro in Terra di Lavoro, popolarmente detta “Reggia di Carditello”, è da troppi anni, ormai, in completo abbandono e visitabile in rare occasioni. ... La tenuta fu inizialmente riserva di caccia di Carlo di Borbone, che poi volle impiantarvi un allevamento di cavalli, da cui la Corte si approvvigionava di cavalli di razza. A partire dal 1787 fu trasformata da Ferdinando IV in una moderna fattoria di circa 2000 ettari per la coltivazione di cereali, legumi e foraggi, questi ultimi a sostegno dell’allevamento di razze pregiate di cavalli e di bovini posto nelle ali dell’edificio che fu costruito al centro della tenuta sotto la direzione di Francesco Collecini (1724-1804), allievo e collaboratore di Luigi Vanvitelli. Dopo l'unità d'Italia la Tenuta passò alla casa reale dei Savoia, come tutte le tenute e regge dei Borbone. Nel 1919 fu donata all'Opera Nazionale Combattenti, che procedette alla lottizzazione e vendita dei terreni, che, purtroppo, fu l’inizio di troppi anni di incuria, di vandalismi, di scandaloso abbandono con conseguente spoliazione di arredi e suppellettili. Dalla lottizzazione sono esclusi i fabbricati e i 15 ettari circostanti, che nel secondo dopoguerra sono affidati al Consorzio Generale di Bonifica del Bacino Inferiore del Volturno. Solo negli anni 80 dello scorso secolo si procedette al restauro del corpo centrale dell’edificio con parziale recupero e restauro degli affreschi.

La “Reale Tenuta di Carditello” comprende la Palazzina reale incastonata in edifici lunghi e bassi, arretrati rispetto ad essa, adibiti alle attività agricole ed all’allevamento. La Palazzina reale ha il piano terreno, il piano nobile e, al secondo piano, il belvedere ed una balaustra traforata con agli angoli trofei d’armi. Essa prospetta su una gran corte rettangolare in cui il Collecini, ispirandosi agli antichi circhi, pose una pista ellittica di terra battuta con due fontane con obelischi nei due fuochi ed una piccola rotonda, in forma di tempietto, al centro dell’ellisse. Ancora oggi, pur con le erbacce che infestano la corte rettangolare e le mutilazioni delle fontane, l’ispirazione e la realizzazione del Collecini suscitano subito, nel visitatore, ammirazione e rispetto per il sito. Su quella pista venivano addestrati i cavalli e, nel giorno dell’Ascensione, si tenevano corse di cavalli, seguite dal Re dalla rotonda. All’interno della palazzina reale due scale simmetriche conducono al piano nobile, ma una di esse è stata completamente spogliata di tutti i suoi marmi e non agibile. Alle loro pareti vi sono stucchi di trofei di cacciagione ed armi, che, con quelli dipinti in vari ambienti, testimoniano l’interesse dei Sovrani per tale attività. Tra le due scale è posta la Cappella abbellita da delicati affreschi alle pareti e sui pennacchi della cupola ed un magnifico stucco sulla lunetta dell’altare raffigurante lo Spirito Santo circondato da angeli. Le funzioni religiose potevano essere seguite dal Re e dalla sua famiglia dalle balconate della Cappella poste al piano nobile e abbellite con due affreschi rappresentanti la Natività e la Fuga in Egitto. ...».

http://www.casertamusica.com/rubriche/speciale/Carditello/Reggia_di_Carditello.asp


Sant'Arpino (Castellone, palazzo Magliola, palazzo Zarrillo)

Castellone, dal sito www.canino.info   Palazzo Magliola, dal sito www.comune.santarpino.ce.it   Palazzo Zarrillo, dal sito www.comune.santarpino.ce.it

«Palazzo Zarrillo (sec. XVII). Residenza di importanti famiglie gentilizie (De Simone-Zarrillo) ha una imponente facciata con magnifico portale ''bucciato'' e pregevoli ringhiere sui balconi. Notevole anche lo scalone d'ingresso. Palazzo Magliola (sec. XVI). Sede della importante famiglia dei Magliola, è uno degli edifici più belli dell'arte tardo rinascimentale del sud. Ubicato in Piazzetta Giordano (famiglia che ne detiene il possesso), presenta affreschi nelle sale interne. Nell'androne di ingresso affresco e stemma in marmo con le armi del Vescovo di Acerra e di S. Agata dei Goti Orazio Magliola. Castellone. Rudere archeologico in "opus reticolatum" situato sulla strada provinciale Aversa-Caivano, è l'unica testimonianza emersa dell'antica Atella. Non si sa di preciso la sua originaria destinazione. è considerato, da alcuni, risalente al sec. II d.C. e parte di edificio termale, da altri parte di torre difensiva di epoca medioevale. Con la sua caratteristica forma è diventato l'emblema dell'agroatellano per i ricordi che evoca».

http://www.comune.santarpino.ce.it/index.php?option=com_content&view=article&id=97&Itemid=122


Sant'Arpino (palazzo ducale Sanchez de Luna)

Dal sito http://lasentinellaonline.it   Dal sito http://trionfo.altervista.org

«La famiglia Sanchez de Luna d'Aragona giunse in Sant'Arpino (fino ad allora in possesso dei Carafa) nel 1569, grazie all'acquisto perfezionato da Caterina Martinez de Luna, moglie di Alonso Sanchez, già tesoriere del regno (carica della famiglia da quattro generazioni, resa ereditaria dal 1525 e detenuta fino al '64), barone (dal 1564) e poi marchese di Grottole (dal 1574). Il palazzo fu costruito distruggendo l'antica chiesa di S. Elpidio (ne restano tracce al di sotto del cortile), di cui fu lasciata memoria in tre lapidi ancor oggi murate nel palazzo. Il palazzo restò ai Sanchez (baroni di S. Arpino dal 1607 e poi duchi dal 1678) fino al 1825, quando, col titolo nobiliare, passò, per matrimonio, ai Caracciolo di S. Teodoro. Dal 1903 al 1932 fu di Giuseppe Macrì (già sergente al seguito di Garibaldi e poi tenente del Regio Esercito Italiano) che lo donò al Comune. Dopo lunghi ed attenti restauri, ancora in corso, il palazzo ospita la sede di rappresentanza del Comune, la Biblioteca e il Museo Civico (con reperti provenienti dall'antica Atella). L’edificio, di impianto tipicamente tardo-rinascimentale, si sviluppa su tre livelli su una pianta a C intorno alla corte centrale una volta aperta sul vasto giardino (solo in parte conservato). La chiusura della corte fu realizzata nel 1798 (nozze tra il 6° duca, Alonso, con Maria Giovanna D'Avalos), erigendo il loggiato. Il bellissimo portale bugnato in piperno è affiancato da due colonne che sorreggono l’unico balcone della facciata. Alle finestre dalle cornici bugnata del piano terraneo si contrappongono quelle del piano nobile, meno severe. Sovrasta la facciata lo stemma di Alonso Sanchez de Luna (fine '700); un altro stemma è riprodotto anche ad affresco nella volta a botte dell'atrio d'ingresso (fine 1500). Dell'antica configurazione rinascimentale resta il coronamento ad archetti su beccatelli in piperno delle facciate del cortile e la struttura della scala principale. Di grande interesse i resti degli affreschi di fine '700 (in particolare l'allegoria del duca e le carte decorate applicate sui soffitti in legno (forse primi del '700)».

http://trionfo.altervista.org/Monumenti/sarpino.htm (a cura di Pietro Di Lorenzo)


Sessa Aurunca (castello ducale)

Dal sito www.incampania.com   Dal sito http://sessaaurunca.blogspot.it   Dal sito http://interno18.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di MaMi (volutamente anonimo)   Foto di MaMi (volutamente anonimo)   Foto di MaMi (volutamente anonimo)   Foto di MaMi (volutamente anonimo)   Foto di MaMi (volutamente anonimo)   Foto di MaMi (volutamente anonimo)   Foto di MaMi (volutamente anonimo)   Foto di MaMi (volutamente anonimo)

«L'antica fortezza prospetta imponente sulla tradizionale piazza del mercato. Esso ha un'origine antica risalente almeno al 963 se si tiene conto del fatto che, in quella data, alla presenza del giudice Maraldo, fu sede della redazione del placito di Sessa, uno dei più antichi documenti in volgare. Artefici della sua fondazione furono i gastaldi longobardi che scelsero come localizzazione quella dell'antica acropoli. Di quella fase costruttiva, purtroppo, non sono riscontrabili le tracce. L'impianto attuale del castello é quello della riedificazione normanna. Sotto tale dominazione esso assunse il ruolo di castrum ma anche di palatium cioè residenza di corte oltre che quello di sede dei magistrati cittadini e luogo dove essi tenevano la curia. In quell'occasione la costruzione fu dotata di torri angolari della stessa altezza delle cortine senza risalto nel paramento murario. Con Federico II, il castello assunse un importante ruolo difensivo e come tale fu inserito nel programma di controllo dell' Impero; pertanto, fu sottoposto ad interventi di consolidamento e di integrazione con la costruzione di nuove torri di rinforzo al centro delle cortine del quadrilatero. Durante il dominio della famiglia Marzano cominciato sul finire del XIV secolo, fu invece arricchito con elementi di gusto durazzesco-catalano e trasformato in palazzo ducale. Furono pertanto aggiunti portali, costoloni a sezione rettangolare su colonne, un porticato ad archi depressi del cortiletto interno realizzato anche con l'utilizzo di elementi di spoglio, eleganti bifore all'interno e all'esterno al posto delle saettiere, affreschi negli ambienti. Prodotto di tali vicissitudini, il Castello presenta un impianto piuttosto composito e riconducibile ad una pianta quadrangolare irregolare con corte interna, torri quadrate e robusto mastio. Nel 1688 con il terremoto, il palazzo subì notevoli danni ma fu riparato ad opera di don Andrea Guerriero D. Torres, ricordato da un affresco posto sulla lunetta sullo scalone principale. Agli inizi dell'Ottocento esso diventò di proprietà pubblica e come tale utilizzato come sede del Carcere mandamentale. Caduto in rovina fu restaurato e destinato ad accogliere alcune scuole dopodiché gli furono attribuite altre funzioni pubbliche tra cui quella di biblioteca e di sede del Comune di Sessa Aurunca. Inoltre, in alcuni ambienti, esso è adibito a Museo Civico ospitando una mostra permanente di materiali archeologici provenienti dal territorio sessano».

http://sessaaurunca.blogspot.it/2009/08/il-castello-ducale.html


Teano (borgo, Portella)

Dal sito www.prolocoteano.it   La Portella, dal sito www.prolocoteano.it

«L’intera zona declive del centro storico conserva quasi inalterato l’impianto urbanistico assunto quando fu abbandonata la parte pianeggiante della città e all’antica cinta murale preromana fu affiancata, lungo il versante orientale, una seconda cinta di mura. Partendo dall’ingresso del Museo Archeologico, si percorre il tratto in discesa di Via Nicola Gigli. Sulla destra, in più tratti, affiorano avanzi delle imponenti mura preromane. Sulla sinistra si imbocca Calata S. Pietro che conduce all’omonima chiesa, di sicuro impianto paleocristiano. Il campanile è raro esempio di architettura bizantineggiante; il portone è opera d’intaglio del XVII secolo conservatosi integro. Oltre il supportico che affianca il campanile, una seconda piazzetta presenta, sui fabbricati in parte distrutti dalla guerra, portali e finestre rinascimentali e di epoche successive che testimoniano la presenza di edifici dalla notevole architettura. Svoltando a sinistra, si imbocca La Stretta, un singolare vicoletto coperto che consente appena il passaggio di una persona. ... La Portella era una delle sette porte che si aprivano nella cinta muraria della città. La porta immetteva nel bel sottoportico ancora integro e consentiva di raggiungere in pochi passi il complesso monastico di Santa Maria De Foris. La Portella rappresentava una comunicazione diretta e immediata tra il quartiere della Viola, abitato prevalentemente dal ceto artigiano e da braccianti, e la vasta campagna esistente a sud della città».

http://www.prolocoteanoeborghi.com/?page_id=48


Teano (castello)

Dal sito www.prolocoteanoeborghi.com   Foto di Augusto Giammatteo, dal sito www.panoramio.com

«Alla fine del VI secolo, i Longobardi giunsero nel territorio campano, impoverito e spopolato da un susseguirsi di carestie e pestilenze (547, 560, 576, 590) che causarono l’involuzione demografica e, di conseguenza, quella delle forze sociali e produttive. Nuove invasioni, contrasti politico-religiosi, fra il papato e i nuovi dominatori di fede ariana, provocarono da parte di Gregorio Magno la soppressione di sedi vescovili come Teano, retta da Domnino (555). Tra il 593/594 la città di Teano fu espugnata da Arechi I che vi costituì un insediamento a carattere militare antibizantino, a difesa dei confini occidentali del territorio da lui conquistato. Si venne a costituire una sorta di “Wardò”, zona di guardia che ebbe uno schema topografico fedele alla tradizione germanica, rimasta in vigore fino all’VIII secolo. Tale schema mostra un insediamento a carattere autonomo ed analogo a recetti militari simili a “motte” o castra con esclusione di dispiegamento della città costruita con mura, torri, piazze, campanile, chiese, monasteri e palazzi loggiati. La generale povertà dei mezzi e la scarsità delle conoscenze tecnologiche impedivano di realizzare edifici di questa portata. Impiantare un castello, allora significava innanzitutto scavare un fossato, impiegare la terra di scavo per erigere un terrapieno e fortificarlo, con una palizzata. Documenti e scavi archeologici dimostrano comunque che la parte essenziale dell’apparato difensivo era apprestata con terra e legname sicché l’aspetto complessivo del manufatto doveva ricordare più un accampamento fortificato che non l’edificio poderoso, merlato e turrito, da noi chiamato castello. Il quartiere militare fu accentrato sul punto più alto dell’abitato e per ragioni difensive e nel rispetto della tradizione germanica suddetta che favoriva e fissava la dimora o castrum sulle alture, rendendola poco accessibile.

Di conseguenza la scelta cadde sull’area N-E dell’Arx preromana dove fu ubicato, da parte dei longobardi il “castrum”, dando avvio al processo di arroccamento. Con l’avvento di Arechi II (787) e la sue conquista del Mezzogiorno, i dominatori longobardi, si posero il problema di dare un assetto politico-amministrativo ai propri domini. Tra la fine dell’VIII ed il IX secolo Teano continuava ad essere una città che ancora occupava una posizione strategica sia come nodo stradale sia come limes o postodi frontiera. Arechi II vi “acquartierò” grossi contingenti di milizie longobarde e tale situazione favorì un ulteriore sviluppo dell’abitato ed anche un cambiamento strutturale del castrum. Infatti lo stesso Arechi II volle che il semplice fortilizio si trasformasse in fortezza. Si sa che là dove queste erano costituite per ordine diretto del principe, potevano comparire anche elementi fortificati più complessi come torri in muratura. Questi denotavano un centro giuridico e territoriale dotato di fisionomia propria, circoscritta in una determinata area con cinta fortificata ed una torre con annessi edifici d’abitazioni in legno per le forze armate, ricoveri per il bestiame e per i rustici. Così la rocca voluta da Arechi II fu ad una singola torre in muratura, sede del signore, posta nell’area orientale montana, circondata da strutture murarie preromane e a guardia di uno sporadico nucleo abitativo. Sorse il primo nucleo del “Castello” che può essere individuato nella torre imponente, a pianta quadrangolare, prospiciente piazza della Vittoria. Per caratteristiche tecniche-strutturali ed architettoniche la torre può essere posta in analogia con la torre a base quadrangolare della cinta muraria della città di Benevento voluta da Arechi II. Questa, come la nostra, nel basamento è eretta con tecnica semplice, ma efficace.

è solida e nell’edificazione è stato seguito un criterio: disporre grossi blocchi di spoglio su filari più bassi per un’evidente precauzione statica, e poi disporre pesanti elementi lapidei su livelli medi ed alti e blocchi tufacei per completamento. Rappresenta un’esperienza costruttiva essenzialmente alto medioevale. Ma confronti possono essere fatti con le torri della cinta fortificata di Avella in provincia di Avellino o con il torrione di Pandolfo Capodiferro che presenta la base costituita da grossi massi calcarei sulla quale si sviluppa la verticalità della poderosa struttura con contrafforti realizzati con materiali omogenei, in corrispondenza di ciascuno spigolo in coppie ortogonali. Ma se l’impianto originario del castello risale alla fine dell’VIII secolo, esso si amplierà nel IX secolo quando Teano diventerà uno dei più importanti gastaldati, distretto amministrativo, dipendente da Capua, concretizzatosi dopo la morte di Landolfo Matico (843) e sotto Landenolfo. Importante evidenziare che “il primo passo di un gastaldato verso l’autonomia e la creazione di una signoria locale era costituito, evidentemente, dalla fortificazione della località in cui il signore risiedeva”. Su questi dati si può dire che il “Castellum di Tiano” si sia costruito sotto il gastaldato di Landenolfo, come realtà consequenziale al processo di occupazione fortificata a detenzione del territorio in posizione antibizantina iniziata col padre con la fondazione di Sicopoli. Il processo di trasformazione da castrum a rocca ed infine a castellum era ormai compiuto. …».

http://www.campaniatour.it/poi.view.php?id=761


Teano (Loggione o Cavallerizza)

Dal sito www.prolocoteanoeborghi.com   Dal sito www.cir.campania.beniculturali.it

«Il Museo Archeologico di Teanum Sidicinum ha sede in un autentico, quanto poco celebrato, gioiello architettonico: l’antica Cavallerizza del Palazzo dei Principi di Teano. La parte espositiva del museo è infatti collocata in quello che può essere definito il più grande edificio dell’architettura gotica ad uso profano dell’Italia meridionale. Due enormi navate, scandite da grandi arcate ogivali con otto volte a crociera, racchiudono le sale del Museo come in un unico splendido scrigno alto più di dieci metri. Alle pareti, numerose nicchie ebbero come ultima sicura destinazione l’umile funzione di accogliere le mangiatoie, ma alcune sono riccamente ornate con dipinture e con lo stemma di casa Carafa. Simile decorazione era certamente estranea ad una scuderia e ciò lascia supporre che proprio quelle navate, prima di diventare riposo di cavalli, accoglievano le adunanze del Sedile dei Leoni , il seggio ubicato presso il palazzo feudale (l’altro, il Sedile dell’Olmo, era nei pressi della cattedrale). Su questa possente struttura, fatta edificare dai Marzano durante la loro signoria nel XIV secolo (una formella con la loro Croce potenziata è ancora visibile in una delle torrette posteriori), Luigi Carafa della Stadera, acquistato il feudo di Teano nel 1546, fece innalzare il suo nuovo palazzo. Il nipote Luigi, sposato a Isabella Gonzaga, tra le più ricche ereditiere dell’epoca (portò in dote molti feudi e un milione di ducati!), rese poi la dimora una vera meraviglia, decantata dai contemporanei per lo splendore degli arredi e dei giardini che degradavano verso la vallata del Savone.

Resa inservibile, forse per i danni del tremendo terremoto del 1688, la parte superiore del palazzo fu demolita lungo tutto il fronte meridionale e fu allora creato, sulle volte della Cavallerizza, l’immenso loggiato da cui l’intero edificio prese il nome di Loggione. Da lassù la vista spazia incantata dal litorale Domizio fino ai monti del Matese. La parte interna dell’edificio, con il lungo braccio che congiunge il Loggione alla torre cilindrica verso Piazza della Vittoria, continuò ad essere abitata, nei loro soggiorni teanesi, dai principi di Teano: i Medina de la Torres, il viceré austriaco conte Daun e infine i Caetani di Sermoneta. Abolita la feudalità, questa parte dell’edificio fu acquistata dai baroni Zarone degli Infanti e trasformata nell’elegante dimora gentilizia il cui imponente prospetto si ammira dalla rampa di accesso agli uffici del Museo. L’altra parte fu ceduta al Comune e destinata a scuola nella parte superiore, mentre il piano basso verso Piazza Umberto, con l’antico corpo di guardia della Casina, conservò ancora per qualche tempo la vecchia destinazione di sede del Regio Giudicato e continuò a chiamarsi Il Tribunale. La Cavallerizza, con le due navate divise da un lungo muro di rinforzo eretto quando i Carafa edificarono il piano nobile, nel 1937 fu trasformata in cinema-teatro, conservando tale destinazione per circa quarant’anni. Nei piani superiori, che ospitano gli uffici, i laboratori e le sale per mostre e conferenze, restano poche ma significative tracce di camini, scalette e passaggi dell’antico edificio, con qualche stipite delle maestose finestre rinascimentali. Un’area di scavo, lasciata in bella mostra nella pavimentazione dell’angolo nord della Cavallerizza, fa sfoggio degli avanzi di preesistenti strutture d’epoca romana. E al visitatore sembra quasi che l’edificio voglia fare concorrenza al pur notevole Museo nel rievocare fasti e splendori dell’antica Teano».

http://www.prolocoteano.it/Museo/museo4.htm


Teano (palazzi)

Palazzo Santagapito, dal sito www.prolocoteanoeborghi.com   Dal sito www.prolocoteanoeborghi.com

«Il Palazzo Santagapito fu in origine proprietà della potente famiglia dei Santagapito, antica nobiltà risalente al XII secolo proveniente dalla contea di Isernia già nel periodo longobardo. Il palazzo passò successivamente nella disponibilità dei Caracciolo del ramo Pisquizi ed è attualmente abitato dai discendenti di detta famiglia. L’imponente palazzo ha dato ospitalità nel corso dei secoli ad importanti esponenti del potere temporale e religioso. Esso sorge a ridosso della più antica cinta muraria della città romana e su un lato del palazzo stesso era appoggiata una porta della città che immetteva nella attuale piazza Duomo. La furia distruttiva della seconda guerra mondiale ha purtroppo cancellato una parte del palazzo, ivi compreso il bellissimo salone interamente affrescato nel quale si svolgevano feste e ricevimenti e sul quale si apriva l’elegante soppalco dal quale scendevano le note di una piccola orchestra da camera. Nella sera del 26 ottobre 1860 un piccolo corteo formato dal re Vittorio Emanuele II e dal suo seguito attraversò le vie del centro tra due ali di folla. Alla fine del corso il re trovò ad attenderlo sul portone del palazzo il conte Caracciolo. Il re fece ingresso nel palazzo illuminato dalle fiaccole rette dai servi e fu accompagnato dal conte fino al salone affrescato dove era stato approntato un pranzo a base di pesce preparato dal cuoco di famiglia, il cosiddetto “monsiù”. Nel Palazzo Santagapito il re si fermò per tre giorni, seguendo da questo punto di osservazione privilegiato lo sviluppo della ritirata dei Borboni verso Gaeta. La mattina del 29 ottobre, quando apparve ormai definita la situazione militare del fronte di Gaeta, il re lasciò Teano per recarsi a Napoli e continuare l’opera di costruzione dell’Italia unita. ... Sul corso Vittorio Emanuele si aprono diversi palazzi risalenti al XV secolo che presentano portoni d’ingresso incorniciati da portali di rara bellezza. Si tratta per lo più di portali intagliati in pietra grigia tenera e decorati riccamente secondo una moda ispanica. I palazzi ai quali detti portali appartengono risalgono al periodo aragonese quando architetti spagnoli venuti inizialmente a Napoli per volontà di Alfonso d’Aragona ampliarono il loro campo di azione a tutta la Campania, lasciando straordinari esempi di quella architettura cosiddetta “catalana” in molte città di Terra di Lavoro, tra cui Teano. Di particolare bellezza è il portale del palazzo quattrocentesco che secondo la tradizione era di proprietà della famiglia Abenavolo, uno dei prescelti da Ettore Fieramosca per partecipare alla disfida di Barletta».

http://www.prolocoteanoeborghi.com/?page_id=48


TERRACORPO (castello)

Dal sito www.halleyweb.com/c061050/hh/index.php   Dal sito www.facebook.com/MarzanoAppio   Dal sito www.halleyweb.com/c061050/hh/index.php

«Il Castello di Terracorpo a Marzano Appio rappresenta il simbolo identitario per la piccola comunità a cui appartiene. Lo stato di abbandono in cui il manufatto versa rende necessario un intervento di restauro e valorizzazione, con lo scopo di recuperare il manufatto inserendolo in un percorso dei Castelli in Terra di Lavoro e, allo stesso tempo, restituendo al Castello, ed al suo Borgo, il ruolo di caposaldo urbano per il Comune di appartenenza. Il Castello è attualmente invaso da vegetazione infestante che ne impedisce la fruizione. I documenti più antichi dove figura il comune di Marzano Appio risalgono al VIII secolo, il nucleo di fondazione risulta essere la frazione di Terracorpo che domina il territorio marzanese ed i vicini paesi. È possibile ipotizzare che nell’arco temporale 800-936, molto probabilmente a causa delle scorrerie dei Saraceni (che nel corso del IX secolo infestarono questo territorio), ebbe luogo anche in quest’area il fenomeno noto come “incastellamento”. Anche se nasce come fortificazione e per uso difensivo il Castello, oggi, si presenta con l’aspetto di un austero palazzo settecentesco che si innesta con decisione nello scenario naturale del territorio locale con il suo lungo e lineare prospetto in tufo. Testimonianza, questa, delle innumerevoli trasformazioni e stratificazioni architettoniche che hanno interessato il manufatto architettonico, molte delle quali ancora leggibili sull’oggetto in esame. La muratura della parte basamentale è tipica dell’epoca Normanna (XIII secolo). Dovette essere fatto costruire dalla prima dinastia della famiglia Marzano, intorno al 1200. La prima importante trasformazione avviene in epoca Angioina (XIV sec-). Durante il periodo Aragonese (XV-XVI sec-) il Castello ha ormai esclusivamente uso residenziale. Un'ultima trasformazione risale al XVIII secolo. Il palazzo era abitato dai nobili e aveva le carceri al suo interno, è qui che si svolgeva la vita politica, commerciale e amministrativa del paese. Di questo periodo sono le ampie aperture decorate del piano nobile. Oggi purtroppo è in pessime condizioni a causa dei bombardamenti della guerra, dei crolli dovuti al terremoto degli anno ’80 e sicuramente a causa dell’abbandono e dell’incuria in cui versa da decenni».

http://iluoghidelcuore.it/luoghi/marzano-appio/castello-di-terracorpo/15046


Teverolaccio (casale fortificato)

Dal sito http://atellana.altervista.org   Dal sito www.italiadeivalorisuccivo.it   Dal sito http://trionfo.altervista.org/Monumenti/succivocas

«Il luogo, già menzionato con il nome di villa Tyburole Sancti Sossi in un documento del 1205 è anche indicato con il nome 'Tuburola' insieme alla chiesa di S. Sossio nelle Rationes Decimarum del 1324. La stessa chiesa è elencata nelle Rationes Decimarum del 1308 al n. 3478. Il centro è omonimo con un altro, nelle immediate vicinanze di Aversa, destinato a diventare il comune di Teverola e con una chiesa destinata a S. Erasmo e S. Giovanni. La nostra Teverola con il passare del tempo andò deserta e da ciò, e anche per differenziarsi dal centro omonimo, assunse il nome di Teverolaccio. Il luogo, oggi costituito da alcune case, un palazzo signorile ed una chiesa racchiusi da mura con tre porte, fu edificato tra il 1520 e il 1539 dal feudatario barone Giovan Battista Palumbo» - «Di notevole interesse, come quella di Orta di Atella e di Sant'Arpino, è l'architettura di alcune case a corte. Il complesso di Teverolaccio, costituito da una casatorre del XVI sec. con annessa masseria del XVIII sec., è ad un chilometro dal centro di Succivo lungo la strada per Gricignano-Aversa. La torre fu posta a guardia di grandi strade di comunicazione tra Aversa ed Acerra, Capua e Napoli, nella Liburia Atellana. Di architettura semplice, in origine non presentava alcuna entrata al livello del terreno; i soldati di guardia, infatti, vi accedevano con l'aiuto di funi con le quali raggiungevano i davanzali delle finestre e dove sono ancora visibili i segni. La masseria, invece, è una tipica costruzione rustica del XVIII sec., dotata di un grande cortile, da aie e cantine; per un certo tempo appartenne alla famiglia Pignatelli».

http://www.iststudiatell.org/atella/succivo2.htm - http://www.comune.succivo.ce.it/succivoe/storia.asp


Tora e Piccilli (palazzo Ducale, torre normanna)

Dal sito www.campaniatour.it   Dal sito https://altocasertano.files.wordpress.com

«Si deve ai Normanni, durante il XII secolo, la prima fortificazione del centro abitato di Tora, ai tempi del regno di Guglielmo d’Altavilla, quando signore del feudo risultava essere Polido de Tora. Ai tempi di Federico II divenne feudataria di Tora la potente famiglia ducale dei Marzano di Sessa, durante il regno aragonese il possedimento passò ai nobili Galluccio. Nel 1627 a causa di continui dissidi l’università di Piccilli si separò dal ducato di Tora e le due comunità furono riunite in un’unica entità amministrativa solamente nel 1807. Nel XVIII secolo l’università di Tora passò ai Filangieri, duchi del ramo di Arianiello, a cui rimase fino all’eversione della feudalità. Vittima del brigantaggio dopo la sconfitta delle truppe borboniche e delle vessazioni dei Tedeschi dopo l’armistizio del 1943, il paese ospitò prima come colonia di lavoro e poi nascose, per sottrarli alle deportazioni dei tedeschi, circa cinquanta ebrei napoletani che trovarono rifugio nei boschi grazie alla collaborazione e al silenzio di tutti gli abitanti, compreso lo stesso podestà. È l’unico episodio in Italia che si conosca in cui una intera comunità si schiera a favore degli ebrei. Per quest’episodio di solidarietà collettiva nel 2005 il Comune di Tora e Piccilli è stato insignito della medaglia d’argento al valore civile.

La torre medioevale, per il suo carattere di costruzione isolata posta al centro di una struttura fortificata, va fatta risalire almeno all’epoca normanna ed è, quindi, databile tra la fine del XI e la seconda metà del XII secolo. Più volte rimaneggiata e parzialmente ricostruita nel corso dei secoli, essa conserva la sua funzione di torre di avvistamento sulla vallata, luogo di transito obbligato per l’ingresso da nord e da ovest della pianura campana. La cella campanaria custodisce il campanone datato 1888, fuso da maestranze napoletane sul posto, nonché l’antico meccanismo dell’orologio. La chiesa madre di San Simeone, dedicata al santo profeta patrono del borgo di Tora, sorge a ridosso dello slargo antistante la torre normanna e risulta già esistente nel 1112. Ricostruita sui ruderi del castello intorno alla prima metà del Settecento in stile tardo barocco presenta una pianta a navata unica con un ampio transetto e cappelle laterali. La facciata, scandita da paraste, è dotata di un portale con fascia a piccole bugne a punta di diamante, un timpano triangolare e un finestrone. L’interno è abbellito da decorazioni in stucco e notevoli opere pittoriche di scuola napoletana del Settecento. Il presbiterio conserva un coro ligneo intarsiato d’ignoto intagliatore campano del XVIII secolo. Fuori dal centro fortificato di Tora sorge, sull’attuale via Roma, e di fronte alla villa comunale, il palazzo ducale fatto costruire dalla famiglia dei Galluccio intorno alla metà del Settecento in sostituzione del vecchio palazzo che sorgeva tra le mura del castello. L’edificio, di notevoli dimensioni, presenta una facciata semplice, con loggia a esedra e un portale realizzato in stile rinascimentale. Fu acquistato dalla famiglia Falco nel 1876».

http://www.comune.toraepiccilli.ce.it/oc/oc_p_elenco.php?x=&


Vairano Patenora (castello d'Avalos)

Dal sito www.prolocovairanopatenora.it   Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.campaniatour.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Graziella Ciorlano (https://www.facebook.com/profile.php?id=100007254258169)

«Il Borgo medievale di Vairano Patenora con la sua fortezza turrita è un sistema architettonico di rara bellezza, nonostante lo stato di abbandono di alcuni settori e il discutibile "restauro" di molte strutture. Le origini sono incerte. Un documento del 936 consente di azzardare l'ipotesi dell'esistenza di un agglomerato urbano connesso o non ad un castrum erigendo o eretto. ... La prima volta che si trova menzionato il nome di Vairano è nel 745 in un diploma riportato nella storia di Montecassino. Il primo feudatario accertato erano il conte di Teano, Landolfo il Vecchio. I suoi eredi nel 1026 si spartirono poi le terre e ne derivarono i conti di Vairano e Presenzano. Un secolo dopo, nel 1138 Vairano divenne Regio Demanio della Corona Normanna. Successivamente Vairano venne occupato da Enrico VI di Svevia. Morto Enrico il feudo passo al regio demanio della corona Sveva. Agli Svevi si successero gli Angioini nel quale Vairano visse un periodo di calma e sviluppo. Giunti alle vicende della rivolta di Masaniello il movimento dilagò anche nelle province trovando come capo Domenico Colessa detto Papone. Con l'abolizione della feudalità il comune di Marzanello fu incorporato in quello di Vairano. Nel 1861, per distinguerlo da altre località aventi lo stesso nome fu aggiunto a Vairano l'appellativo di Patenora. ... Il castello è stato costruito nel secolo XI secolo da Ripandolfo VI ma non si hanno molte notizie sulla sua struttura originaria. Si può dedurre che fu molto ampio poiché ospitò contemporaneamente re Carlo I e papa Gregorio X. Solo nel XII secolo si trovano fonti certe che si riferiscono al Castrum Vayrani. L'aspetto era ben diverso dai resti attuali. C'è chi presume che fu costituito da tre torri per riuscire a resistere agli attacchi dell'abate di Montecassino e chi sostiene che fosse costituito da un unico, grosso torrione a pianta quadrata con coronamento appiombante dominante, dalla sommità del rilievo, con poche abitazioni sparse sulla pendice e circondate da una cinta muraria relativamente stretta. Nel 1193 sotto la guida del castellano Rugero di Chieti, seppe resistere all'assedio dell'esercito di Enrico VI di Svevia e di Roffredo dell'Isola. Successivamente a queste vicende il castello perse man mano importanza a favore di quello di Presenzano, considerato più strategico. Un documento del 1271 però ne prova una rivalutazione del castrum che fu racchiuso in nuove mura e fa supporre che in questo periodo la sua configurazione passò da quella di torrione isolato all'aspetto quadrilatero con torri angolari che, nonostante i vari danni subiti da terremoti, guerre e conseguenti restauri e potenziamenti, ha sostanzialmente conservato fino ad oggi».

http://www.campaniatour.it/poi.view.php?id=247 - ...778


Valle Agricola (torre dei Pandone)

Dal sito http://go.m.altocasertanogoeasy.it   Dal sito http://go.m.altocasertanogoeasy.it

«Nel medioevo la terra di Valle Agricola segui la stessa sorte della terra limitrofa di Prata Sannita. Appartenne nel XII secolo ai Rainone di Prata Sannita, ai Capuano nel XIII e poi ai Pandone, conti di Venafro. I feudi di Prata Sannita e Valle Agricola furono sempre uniti perché la costante minaccia alla quale era esposto il feudo di Prata Sannita, dal lato orientale, cioè dal lato di Valle Agricola, imponeva ai dominanti di allora un'adeguata difesa su quel fianco. Per questo motivo sorse, nel lontano Medioevo, in questa incantevole valle che dalle pendici del Matese domina tutta la pianura Venafrana e si apre proprio su Prata, una fortezza che doveva fare da sbarramento ad ogni facile impresa di conquista di feudatari rivali. La fortezza di forma rettangolare era munita di quattro fortissime torri, due delle quali sono scomparse in epoca assai remota mentre i ruderi della terza si sono potuti ammirare fino all'anno 1930, epoca in cui crollarono irrimediabilmente. Ora in buone condizioni rimane solo la quarta torre, situata ancora oggi nel centro abitato a dimostrare che Valle Agricola fu centro abitato fin dai tempi dei Longobardi».

http://go.m.altocasertanogoeasy.it/m/20322/p/147275/ii/39?s=&slat=&slng=


  •       

     

     

    ©2015 ss.

  •      


      su   Campania  provincia di Caserta Home