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NARNI, ROCCA ALBORNOZIANA

a cura di Daniele Amoni

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La rocca.

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Narni  Narni


      

 

 


Epoca: seconda metà del secolo XIV.

Conservazione: restaurata, fa parte del patrimonio del Comune.

Come arrivarci: con la superstrada Roma-Terni; in treno, con la linea Roma-Ancona.

      

Cenni storici.  

La costruzione, con la sua mole imponente, sovrasta il vasto territorio della conca ternana sorvegliandone tutti gli accessi, in particolar modo le vie di comunicazione con Amelia, Perugia e Terni. Eretta in vicinanza della stretta gola sul Nera, domina la via Flaminia e la strada da Orte, qualificandosi come vigile sentinella alla porta dell’Umbria.

Eretta nel 1367 sui resti di un primitivo insediamento militare costruito da Federico Barbarossa, per volere del cardinale Egidio Albornoz, poco prima che egli spirasse presso il castello di Bonriposo a Viterbo (24 agosto 1367), rappresenta uno dei migliori esempi di architettura fortificata dell’Umbria con funzioni militari-reclusorie come avvenne per le rocche di Spoleto, Gualdo Tadino e Umbertide.

L’opera dell’Albornoz in Umbria fu particolarmente incisiva: nel corso della sua lunga azione di governo (1353-1367) egli adottò una politica intelligente e duttile, ma ferma nel perseguire gli interessi di fondo, recuperando alla Chiesa territori praticamente perduti e restaurando ovunque l’autorità pontificia.

Tutte le fortificazioni militari che servivano a presidiare e a tenere sotto controllo le strade di accesso per proteggere le attività e la stessa sicurezza dei centri storici, furono restaurate e ampliate dai migliori architetti dell’epoca, qualcuna addirittura trasformata in principesca residenza signorile. Fu proprio in quel periodo che vennero aggiunte ai quattro lati le torri quadrate.

Tra gli architetti che lavorarono al progetto s’ipotizza Ugolino I di Montemarte e Matteo Gattaponi sotto la supervisione del Legato pontificio Anglico di Grimoard, fratello di Urbano V (Guglielmo di Grimoard, 1362-1370).

Nel 1371 vi s’insediò il primo castellano, Giovanni de Novico (Jehan de Novis), anche se le maestranze non avevano ancora portato a termine tutti i lavori. Soltanto nel 1378 l’imponente costruzione fu ultimata e per l’inaugurazione intervenne il cardinale Filippo di Alençon, vicario apostolico del Patrimonio. La potente struttura militare, nei secoli, accolse papi, cardinali, condottieri e divenne la sede del governatore; dal 1370 al 1762 fu comandata da propri castellani.

Nel 1387 Ugolino Orsini con le sue soldatesche, intento a devastare il territorio umbro, seppe che suo fratello Tommaso, protonotario apostolico, era stato fatto prigioniero da Urbano VI (1378-1389). Decise allora di assalire per vendetta Terni e la rocca di Narni che erano di proprietà della Chiesa. La fortezza si difese strenuamente e, stava quasi per capitolare, quando l’Orsini abbandonò l’impresa avendo appreso della liberazione del fratello.

Nell’ottobre 1392 vi fu ospitato Bonifacio IX (1389-1404); nel 1394 i guelfi narnesi si schierarono con l’antipapa Clemente VII (1378-1394) per cui Bonifacio IX ordinò che la rocca passasse ai ghibellini; nel febbraio 1395 cadde in mano a Malatesta (1371-1429), figlio di Pandolfo III Malatesta († 1427 a Fano), che vi pose come suo vicario Andrea Tebaldi di Bettona.

Nel 1396 venne ceduta in giurisdizione ad Andrea Tomacelli, familiare del papa e capitano generale dell’esercito pontificio; il 22 febbraio 1406 Andrea la consegnò a Ludovico Migliorati, nipote di Innocenzo VII (Cosimo Migliorati, 1404-1406); nel settembre 1417 passò sotto Braccio Fortebracci che vi tenne come castellani Gianfranco e Pietro Belli.

Dal 1424 al 1431 divenne feudo dei nipoti di Martino V (Oddone Colonna): Antonio Colonna, principe di Salerno, e del fratello Odoardo, conte di Celano. Il 20 febbraio 1431, con la morte del papa, scoppiarono in città gravi tumulti tra i seguaci dei Colonna e i fedeli al nuovo papa Eugenio IV che terminarono soltanto dopo l’allontanamento dei Colonnesi.

Dal 1439 fu aggregata allo Stato Pontificio e cinque anni più tardi, sotto il pontificato di Eugenio IV (1431-1447), fu redatto un inventario, dal quale risultava che la rocca era composta soltanto di poche stanze ed aveva una forma assai diversa da quella attuale. Gli angusti locali residenziali erano formati da una cucina, una sala per la mensa, tre camere con relativo mobilio.

Nel 1449, a causa di un’epidemia di peste scoppiata a Roma, vi si rifugiò Nicolò V (1447-1455) il quale, vedendo il cattivo stato di manutenzione, ordinò all’architetto Bernardo da Settignano di elaborare un progetto che prevedesse un miglioramento dell’apparato di difesa e una serie di interventi per rendere più confortevole il soggiorno degli ospiti.

Dopo la partenza il papa inviò come comandante della guarnigione Pietro Parentucelli da Sarzana, suo congiunto, al comando di ventiquattro soldati, molti dei quali toscani, lombardi, francesi e alemanni.

Altri lavori proseguiranno anche sotto Sisto IV (1471-1484) e Innocenzo VIII (1484-1492).

Sebbene fosse anche protetta da robusta mura perimetrali, la rocca fu costretta a sopportare tra ‘400 e ‘500 diversi assalti, tra cui quello delle milizie lanzichenecche di ritorno dal sacco di Roma (1527), portatrici di sventure e di contagi.

Narni si oppose alla furia devastatrice di quelle soldatesche e in un primo tempo riuscì a sconfiggerne una forte schiera. Ritornati, però, più agguerriti di prima e più numerosi per l’aiuto offerto loro dai ternani, nemici acerrimi dei narnesi, la cinsero d’assedio con tale intensità che il 17 luglio 1527 capitolò.

Tutta la città, con le sue mura di cinta, le torri e gli acquedotti, fu distrutta. Anche la rocca ebbe danni ingenti, tanto che i vari governatori che si succedettero furono costretti a impiegare notevoli risorse economiche per riportarla al suo stato originale.

A metà degli anni Cinquanta del XVI secolo sia i restauri delle mura che quelli della rocca erano stati completati e nel 1555 fu dotata di colubrine e bombarde, mentre sul mastio venne posta una colubrina di straordinaria lunghezza, ornata sul fusto con lo stemma del comune, che il popolo chiamò la “Scarmigliata”.

Nel 1551 e nel 1556 ospitò, come governatore, Balduino Ciocchi del Monte (1485-1556), nel 1558 Alessandro Piccolomini, nel 1565 Antonio della Rovere e nel 1576 Domenico Antonio Oliva.

Tra i vari castellani che si sono alternati alla sua difesa possiamo citare: Controsello Caracciolo di Napoli (1390), Giovanni Tomacelli (1393), Angelo Piccolomini (1464), Durante Duranti (1507), Ubertino degli Strozzi (1529), Eustachio Confidati di Assisi (1652), Federico Lolli e Pietro II Eroli di Narni (1762), Giuseppe Jacobelli (1857).

Nel 1568, con l’accusa di aver ucciso senza motivo un servitore, vi fu richiuso Francesco Cenci (1549-1598), nobile romano di costumi crudeli e dissoluti, padre di Beatrice Cenci (1577-1598), colei che sarà giustiziata a Ponte S. Angelo in Roma nel 1598 - con l’accusa di aver assassinato il padre - insieme al fratello Giacomo.

Scoppiata la guerra tra lo stato pontificio e il duca di Parma, Urbano VIII (1623-1644) dette ordine al suo segretario di provvedere a nuovi restauri per renderla più resistente all’uso delle moderne artiglierie che all’epoca stavano imperversando nelle varie battaglie.

I lavori furono cominciati nel 1642 e portati a termine nel 1649 sotto Innocenzo X (1644-1655). Fu allora costruito il bastione costituito da una torre altissima avente una base a forma esagonale con funzioni sia di vedetta che di offesa in quanto dotato di cannoni a lunga gittata.

Nel 1798, quattordicimila francesi al comando del generale Alessandro Berthier, dopo aver saccheggiato chiese e conventi, spogliarono la rocca di tutte le armi – tra cui la “Scarmigliata” – portandole a Perugia e destinate ad essere fuse per farne altre armi.

Dal 1834 al 1906 divenne carcere, arrivando ad ospitare anche 300 detenuti. Nel 1860 il colonnello Luigi Masi (Petrignano d’Assisi 1814 – Palermo 1872) alla testa di 150 volontari ternani cercò di espugnare la rocca, rifugio del presidio pontificio. L’assalto fu dato il giorno 23 settembre, ma i papalini si arresero subito e furono arruolati al servizio del re.

Nel 1906 fu acquistata all’asta dal principe russo Mestschezsy per una somma irrisoria: tredicimila lire con pagamento rateale. La vendita venne fatta dal Demanio quasi in sordina. Il principe con un altro socio la tenne fino al 1972, quando passò ad una famiglia romana.

La fortezza, a forma di quadrilatero, presenta quattro torri angolari quadrate e il mastio, più alto e possente, formato dall’unione di due torri. Immersa in un suggestivo paesaggio coronato da olivi su un colle a 332 m. a dominio della valle del Nera, circondata da un fossato e da una doppia cinta muraria, ospita internamente una cappella e una cisterna in travertino che si apre sul cortile. Al primo piano si trova la residenza signorile, mentre altre stanze servivano per la guarnigione.

Attualmente è patrimonio comunale e, dopo anni d’impegnativi restauri, è tornata all’antico splendore per ospitare eventi culturali.

     

     

 

©2004 Daniele Amoni. La seconda immagine è tratta dal sito www.roccadinarni.it. I video non sono stati realizzati dall'autore della scheda.

     


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