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ARCO, castello

a cura di Luca Baradello

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I resti del castello.

   

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Epoca: XII secolo.

          

Cenni storici.

Il castello di Arco sorge su una rupe (284 m) che domina il fiume Sarca.

Fortificazione del XII secolo, fu distrutta nel 1703 dal Vendome e non venne più ricostruita.

I resti sono composti da una cappella, una torre angolare, una torre merlata e la rocca. All'interno è stato recentemente ritrovato un ciclo di affreschi del XIII secolo dedicati all'amor cortese.


Approfondimento

http://www.gardasistemaculturale.it/result.asp?id=255: «Scriveva il notaio Ambrogio Franco (vissuto nel Seicento ad Arco) che ai tempi di Tiberio e Druso, i Romani avevano stabilito nel Trentino, in rapporto al diffondersi del brigantaggio, fortilizi un po’ ovunque, soprattutto sui monti e nelle chiuse delle valli. E poi aggiunge: "Ho sentito che dicono che nell’anno 512 d.C. Teodorico pose vicino al Benaco una torre sopra un’altissima rupe, sovrastante il Sarca". Reperti archeologici, trovati in tempi diversi sulla rupe, attestano presenze più antiche rispetto all’epoca medioevale. Il nome stesso di Arco deriva da "arx" che significa fortezza. È certo comunque che intorno all’anno Mille il Castello già esisteva, anche se non nella complessa strutturazione con torri ed edifici quale l’iconografia più tarda ci consegna. Esso era stato costruito dai "nobili liberi" con finalità soprattutto difensive. E quel "castrum" aveva dato il nome alla comunità che attorno alla rupe si era sviluppata ("universitas sita apud castrum Archi"), e alla famiglia che ne diventerà la padrona. Nel 1196 il nobile Federico d’Arco, figlio di Alberto, dichiarò pubblicamente che il Castello era bene allodiale degli abitanti della Pieve di Arco. A lui competeva soltanto il diritto di "immunità" e di "banno", diritti già esercitati dai suoi antenati. Egli quindi poteva chiamare alle armi delle persone per difendere il Castello, aveva il comando militare all’interno della fortezza, curava la salvaguardia degli alloggiati, amministrava la giustizia; ma non era il proprietario del Castello, o perlomeno non di tutti gli edifici presenti. È possibile che i nobili d’Arco vivessero nella torre sommitale, chiamata "il castello vecchio". Fu questa parte di Castello infatti che Riprando d’Arco cedette ad Ezzelino da Romano, sanguinario signorotto veneto, che investì di questa proprietà Sodigerio di Tito, podestà di Trento e suo amico (1253). La vicenda ebbe però sviluppi imprevisti: Ezzelino morì, Riprando riacquistò la sua parte di Castello, ma venne incarcerato dai cugini insieme alla figlia Cubitosa. Riprando morì, ma Cubitosa riuscì a fuggire dalla fortezza; nel suo testamento la contessa nominò l’arcivescovado di Trento erede della sua parte di Castello. Seguirono lotte acerrime che si conclusero con la pace di Castel Tirolo (1272). Il Castello tornò ai d’Arco che ivi esercitarono la giurisdizione in nome del conte Mainardo II del Tirolo. Nel 1349 il Castello venne ceduto dal Vescovo di Trento agli Scaligeri, ma una sollevazione popolare scacciò dalla rocca la guarnigione veronese affidandola a Niccolò d’Arco. Costui, abilmente, seppe placare le ire di Cangrande della Scala, succeduto nel frattempo al padre Mastino, ed ebbe la nomina a Capitano non solo di Arco ma anche delle Giudicarie e di Cavedine. Altri assalti si portarono al Castello da parte dei signori di Seiano, dei Lodron e dalle truppe della Serenissima. Il borgo venne preso, ma il Castello in ogni occasione resistette. Il complesso fortificato si ingrandì di molto; ogni ramo della famiglia infatti cercava di avere una residenza dentro il maniero. Venne così la fine del XV; nel 1495 Albrecht Dürer dipinse il Castello di Arco dando al suo acquerello il titolo di "Fenedier Klawsen", chiusa veneziana, non perché la rocca appartenesse a Venezia, ma perché si affacciava su Riva, territorio occupato dalla Serenissima. Osservando attentamente questo dipinto si è consapevoli che il Castello era in effetti un piccolo villaggio fortificato. Nel Quattrocento e poi nel Cinquecento i conti d’Arco si costruirono più comode residenze attorno alla piazza di Arco ed il Castello cominciò a conoscere il proprio declino. Nel 1542 vi scoppiò un furioso incendio del quale venne inizialmente incolpato Nicolò d’Arco, poeta ed umanista. Per veder riconosciuta la propria innocenza il poeta si recò perfino alla corte imperiale di Praga. Si stava intanto diffondendo il fenomeno del banditismo. La zona del Sommolago, quale fascia di confine, divenne terreno prescelto dai profughi, dalle schiere dei senza patria; i messi al bando divennero "banditi". Molti di essi trovarono ospitalità presso il Castello dei d’Arco. Nel luglio del 1579, l’arciduca del Tirolo Ferdinando II, con un’azione rapida ed incruenta, fece occupare dai suoi commissari il Castello di Arco e quello di Penede. Era intenzione dell’arciduca acquistare il Castello e le proprietà dei conti; le fece quindi stimare dai suoi commissari. Il lungo documento stilato da diversi esperti è una preziosa testimonianza circa la consistenza dei beni dei conti d’Arco e sulla strutturazione del Castello. Il progetto di acquisto venne però accantonato e nel 1614, dopo la stipula delle "Capitolate", i conti tornarono ad Arco; la contea fu divisa in tre giurisdizioni: il Castello, Arco e Penede. Il conte cui era assegnato il Castello amministrava anche la giustizia. Il Seicento rappresenta per l’antico maniero il "canto del cigno". Nel 1635 l’arciduchessa Claudia impose ai sudditi di Arco di riparare il Castello e le mura di cinta alla città; dal 1665 al 1675 il maestro Stefano Voltolino ed i suoi lavoranti compirono numerosi interventi di restauro. Nel 1680 l’imperatore Leopoldo II assunse il controllo diretto del Castello, privando di ogni autorità i conti d’Arco. L’inizio del XVIII secolo segna il totale declino del Castello. Come si è detto in precedenza, nell’ambito della guerra di successione spagnola, l’armata francese guidata dal generale Vendome penetrò nel Basso Sarca, strinse d’assedio Arco, conquistò la città, bombardò il Castello la cui guarnigione si arrese; era il 15 agosto 1703. La storia dice che, dopo la mancata conquista di Trento, le truppe francesi incendiarono e minarono buona parte dei castelli del basso Trentino. Ma un inventario del Castello di Arco, risalente al 1727 (24 anni dopo Vendome!), testimonia che molte delle torri e degli edifici avevano ancora il tetto ed i pavimenti in quadrelli. Un velo di oblio scese sul Castello di Arco che divenne meta di povera gente alla ricerca di una trave, di alcuni coppi, di una pietra ben squadrata. I conti d’Arco intanto si erano divisi in vari rami; vivevano in Arco, a Mantova e in Baviera. Nel dicembre del 1862 il governo austriaco emanò una legge sul passaggio dei beni feudali in beni allodiali; il Castello, diroccato, era proprietà in parti eguali dei due rami, quello di Monaco e quello di Mantova. Nel 1879 il geometra Giuseppe Caproni, padre del pioniere dell’aeronautica Gianni Caproni, stese un progetto per interventi minimali di restauro al Castello per renderlo visitabile da parte degli ospiti del Curort. Altri lavori furono svolti ad inizio secolo per evitare soprattutto cadute di sassi sulle case sottostanti. Dopo il Primo Conflitto Mondiale la parte del Castello appartenente al ramo germanico dei conti d’Arco venne incamerata dal demanio italiano che la assegnò inizialmente all’Opera Nazionale Combattenti. Nel 1927 la contessa Giovanna d’Arco, marchesa di Bagno, lo acquistò diventando l’unica proprietaria. Nel 1982 l’atto finale: il Comune di Arco decide l’acquisto del Castello e di altri beni dalla Fondazione d’Arco in Mantova, erede della contessa Giovanna d’Arco. Il Castello tornava, dopo otto secoli, agli "uomini liberi" della Pieve di Arco. Nel 1986 il Servizio Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento avviava radicali lavori di restauro».

          

 

    

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