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MILAZZO, CASTELLO

a cura di Vita Russo

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Il castello.

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Epoca: età normanna, su precedente struttura.

Conservazione: buona; la struttura è utilizzata per manifestazioni.

Come arrivarci: per strada la città è collegata con Messina e Palermo - dalle quali dista rispettivamente 40 e 225 Km - sia dalla SS113 che dalla A20 (uscita al casello omonimo); via mare, per mezzo di motonavi di linea da Messina e Napoli; per ferrovia, ancora da Messina e Palermo. Gli aeroporti più vicini, infine, sono il "Minniti" di Reggio Calabria ed il "Fontanarossa" di Catania.

    

Cenni storici.

La storia di Milazzo, crogiolo di civiltà, storia e arte, teatro di importanti avvenimenti dell'Isola, affonda le sue origini nel mito: qui Ulisse naufrago incontrò il mitico ciclope ed è questa la terra dove, secondo la descrizione omerica, pascolavano gli armenti del Dio Sole. In verità oltre le rivendicazioni mitologiche, la "penisola del sole" vanta vetuste origini, a testimonianza delle quali i rinvenimenti archeologici spaziano dalle necropoli ai reperti dell'insediamento greco e romano e ancora bizantini, arabi e normanni, angioini e spagnoli fino alle memorie di età risorgimentale.

Terra ricca di vegetazione e di acque che irroravano le fertili pianure, alla confluenza delle correnti marittime tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale; correnti che avevano nelle vicine isole Eolie un preciso punto di riferimento anche per il fiorente commercio dell'ossidiana, Milazzo attirò sulle sponde del Tirreno, i primi abitatori fin dall'età del Neolitico.

Con i primi colonizzatori greci (VIII-VII aC.) il primo e modesto agglomerato prese corpo e si ingrandì. In età romana il nome della città si lega, tra l'altro, alla vittoria del console Caio Duilio sui cartaginesi con l'espediente dei "corvi" di cui erano dotate le navi romane. Sede vescovile  in età bizantina e baluardo del triangolo difensivo del settore nord-orientale dell'Isola, imperniato sulle fortezze di Tindari ad ovest, di Rometta ad est, di Milazzo al centro e di Taormina a sud, nell'843 il castrum bizantino fu espugnato e raso al suolo dal condottiero arabo Fadhl Ibn Giàfar, decretando la fine dell'Impero Romano d'Oriente in Sicilia. Gli arabi ne fecero un importante centro commerciale e agricolo e riconosciuta l'importanza strategica del luogo, i nuovi conquistatori innalzarono un fortilizio che costituisce il nucleo più antico dell'attuale Castello.

Nel Medioevo la funzione strategica del castello di Milazzo, antemurale di Messina, aumentò. Infatti sotto gli Arabi e poi i Normanni non solo esplicò le funzioni di difesa naturale per le esigenze strategiche locali, ma divenne elemento fondamentale per l'organizzazione territoriale del Vallo di Milazzo e per il presidio di questo, fino a diventare la chiave di difesa del settore orientale della Sicilia.

   
Il castello. Alla sommità della rupe (mt. 98 sul mare), su cui giace la «città murata», si erge con una superficie di oltre 7 ettari il castello. Imponente nel suo profilo composito di pietra scura, il vecchio maniero, che ha fortemente segnato con la sua presenza l'esistenza di quella che gli antichi chiamarono "Aurea Chersoneso", sembra vigilare ancora oggi sia sulle bianche case dell'antico "Borgo", quasi accucciate sotto le possenti ali del vecchio maniero, che sugli edifici della città nuova.

Al primo nucleo del castello arabo sulle rovine e fondamenta delle civiltà locali, greche, romane e bizantine nel corso del tempo furono apportate modifiche: i Normanni e gli Svevi edificarono nuove strutture. In particolare Federico II incaricò l'architetto militare Riccardo da Lentini per l'esecuzione di lavori che conferirono al mastio l'attuale struttura e le funzioni di castrum regio presidiato da una guarnigione regolare.

Gli Aragonesi ne adeguarono l'impianto difensivo: con Alfonso il Magnanimo, nel 1456, fu ristrutturato il fronte principale delle mura medievali attribuite al periodo normanno, e trasformato in una moderna cortina con merloni, intervallata e difesa da cinque torri semicilindriche a scarpa con cannoniere ed aperture per armi da fuoco leggere. Essa, più bassa rispetto alla quota delle mura duecentesche che rimangono all'interno, raccordata su due lati al dirupo roccioso a mo di ventaglio, risultò il più importante esempio dell'arte fortificatoria nell'isola: con i suoi merloni, piombatoi e casamatte, secondo i canoni più avanzati dell'ingegneria militare del tempo, rappresentò il passaggio alle nuove esigenze difensive sorte con l'applicazione della polvere da sparo e con l'introduzione del nuovo strumento balistico rappresentato dalle artiglierie. Oltre la cinta si intervenne all'interno del castello dove fu aggiunto un corpo all'ala detta del Parlamento e sul lato sud ovest fu aggiunta una scala esterna. A ricordo di tale ristrutturazione fu posta una scritta  recante la data in latino ADN MCCCCLVI tra le due finestre nel cortile sul prospetto occidentale.

Un'ulteriore aggiunta, necessaria per il ruolo che Milazzo ricopriva in quanto chiave per la difesa esterna di Messina, ne amplierà il perimetro difensivo conferendo alle costruzioni precedenti il ruolo di cittadella della fortezza seicentesca. Dal Cinquecento al Seicento infatti una potente linea bastionata, realizzata proprio alla base del declivio, lo sbarrava con un massiccio bastione rettilineo lungo 123 metri e rinforzato ai due alti terminali da due grossi baluardi (quello di Nord denominato «del Forte», quello di Sud «di S. Maria») e da due pivellini, uno sul dirupo di Sud e l'altro al centro del fronte bastionato. Da allora il castello di Milazzo assunse la definitiva conformazione, quella che è giunta sino  noi.

Le prime notizie della fondazione del Castello di Milazzo provengono da un gruppo di lettere lodigiane nelle quali Re Federico, a proposito dei Castelli di Siracusa, Augusta, Catania e Lentini, al Protomagistro Riccardo, che l'ha informato dello stato d'avanzamento dei lavori sui Castelli regi, risponde - il 17 nov. 1239 - fra le altre cose: «...super opere vivarij constructi in aqua Sancti Cosme, castrorum nostrorum Syracusie, Calthageronis et Milacii diligentiam tuam et studium commendamus...», ed inoltre l'imperatore raccomanda di completare dovunque: «....ambitum murorum castrorum ut defensionem decentem videantur habere...». Nel 1239, quindi, il Castello di Milazzo doveva essere in buono stato di avanzamento tanto che nello «Statutum Provisorem Castrorum Sicilie cifra flumen Salsum et totius Calabrie» del 5 ottobre 1240 Federico inserisce il Castello di Milazzo nell'elenco dei «castra exempta», dei quali si riservava la nomina o la eventuale destituzione del castellano.

Durante la guerra del Vespro il Castello viene assediato per più di quattro mesi dagli angioni e capitola per fame. Più tardi, messo alle strette dall'armata siculo-aragonese cade dopo tre mesi. Fu anche teatro dell'assedio posto da Re Ludovico contro il presidio ribelle chiaramontano, che si risolse con la presa della città ma non del Castello. Il maniero venne preso, qualche tempo dopo, per la defezione del capo del presidio mentre i suoi uomini preferirono rinchiudersi a difesa nella Torre Mastra dove morirono combattendo. Alla fine del Trecento Re Martino aumentò le dotazioni e la guarnigione del Castello che così risultò composta da un castellano, un vice castellano e diciotto serventi.

A partire dal 1860 il Castello venne destinato a carcere giudiziario, decisione che arrecò, nel tempo, numerosi guasti e trasformazioni alle belle strutture originarie.

      

La struttura. «Questo Castello, secondo il sito, è tortissimo e sicuro, perché dalla parte di Ponente egli è edificato sopra le precipitose rocche del monte, che da quella parte si vede inespugnabile, e dalla parte di levante è molto forte di fabbrica e di sito...». Così Camillo Camilliani scriveva nella sua Descrittione dell'isola di Sicilia, manoscritto del 1584.

Il perimetro del castrum non è regolare, anche se nasce da una concezione decisamente simmetrica. Esso infatti si inflette proprio nel suo centro seguendo due linee di frattura ideali che, partendo da un unico fulcro posto sul Dongione, si aprono a ventaglio verso SO. Secondo l'Agnello se si rettifica l'irregolarità della pianta, balza fuori l'iconografia del castello di Augusta e di Prato: grande parallelepipedo, protetto ai vertici e al centro da massicce torri quadrangolari. In verità in questo di Milazzo le torri mantengono una più rigorosa uniformità geometrica.

I cantonali delle torri sono realizzati da pietra lavica disposta geometricamente a somiglianza di quanto realizzato nella «torre araba», nella quale, però, l'impiego dei conci neri, provenienti dalle Eolie, interessa una più vasta superficie. Due di queste, all'estremità settentrionale della cinta, rinserrano il nuovo ingresso che, pur essendo compositivamente semplice, risulta molto bello, mentre i due torrioni cilindrici laterali, benché di dimensioni diseguali, aggettano fortemente in avanti con un effetto di contenuta potenza.

L'apparecchio murario potrebbe essere definito come una sorta di opus rusticum che si perfeziona solo nei cantonali delle torri dove la pomice lavica è squadrata in conci regolari ben apparecchiati e legati da malta bianca.

Sopra l'arco ogivale del portale gotico d'ingresso, nell'archivolto definito da una cornice romboidale, è raffigurato lo stemma dei reali di Spagna - Isabella e Ferdinando I - con l'aquila di S. Giovanni che regge lo scudo della Spagna unificata e gli emblemi araldici degli antichi regni di Castiglia, Aragona, Leon Navarra e Granada. Ancora più in alto una fila di mensole sorregge i merli e maschera le caditoie. Lo stesso stemma si ritrova sulla porta, pure ad arco ogivale, che permette l'accesso al mastio.

Superate due altre porte, precedute da costruzioni più tarde operate dalla amministrazione carceraria, si giunge nella vasta corte interna del Castello  sotto la quale fu ricavata una grandissima cisterna.

Questo vasto edificio - che, come si è detto, rappresenta il Castello vero e proprio e, al tempo stesso, la parte centrale e più antica della fortezza - è chiuso e difeso ai vertici ed al centro da otto possenti torri quadrangolari (di cui quattro angolari con sei metri per lato) innalzate in funzione della difesa piombante e sulle quali, in età pre-rinascimentali, erano collocate le maggiori macchine balistiche: catapulte, saettiere e balestriere.

La grande torre quadrangolare mediana del versante ovest, chiamata "torre araba" o "torre saracena" perché è di costruzione araba (XI secolo), è la più elevata (alta, oggi, poco più di mt. 14 e con uno spessore murario mediano di circa mt. 2), la più solida e presenta, rispetto alle altre, particolarità strutturali. Una poderosa base a scarpa o zoccolo, invenzione araba, che non supera i metri 10 di altezza, la recinge da tutti e quattro i lati assolvendo alla duplice  funzione di rafforzare il basamento della fortificazione e di potenziarne la difesa piombante facendo sì che la caduta di liquidi bollenti od infiammabili e di massi assumesse un'angolazione orizzontale e, quindi, un effetto più efficace contro l'assalto degli assedianti. Altri elementi tipici dell'architettura araba sono: l'uso della pietra lavica in conci accuratamente tagliati per la realizzazione dei cantoni, gli spigoli smussati delle aperture che vi si aprono, la decorazione orizzontale a spina di pesce con mattoni, la quale segna la parte mediana del fortilizio originario.

Alla «torre araba» era, indubbiamente, affidata - data l'altezza - la funzione di donjon per l'estrema difesa, e di torre principale o «torre maestra». Nel secolo XV per diminuirne la vulnerabilità al tiro delle artiglierie e per adattarla, come le altre, al piazzamento dei nuovi mezzi bellici costituiti dalle armi da fuoco, la sua altezza fu abbassata al livello della cinta. Durante l'uso penitenziale che si fece dell'edificio quattro locali terreni di questa torre furono adattati a celle di punizioni.

L'edificio nella parte interna, alterato da numerose modifiche, conserva, tra i superstiti elementi architettonici del XIII e XV secolo, la grande sala del Parlamento (XII secolo), la più vasta del Castello, la quale trae la sua denominazione per avere, tra l'altro, ospitato le assisi del General Parlamento di Sicilia del 1295 convocatovi e presieduto da Federico d'Aragona, e nella quale si riunì - nel luglio 1523 - il Senato del Regno (o Magna Curia), convocato dal viceré di Sicilia Ettore Pignatelli, per giudicare gli esponenti della famosa congiura dei nobili siciliani capeggiati dai quattro fratelli Imperatore.

A questa sala si giunge - al termine di una rampa che fiancheggia la «torre araba» - dopo avere superato una porta ogivale che apre l'accesso al secondo corpo del mastio, un piccolo cortile (sulla cui destra si snoda una scala esterna di pietra che porta alla torre di sud-ovest e da questa, lungo la cortina, alla sommità della « torre araba » ) ed una seconda porta ogivale d'accesso. Il vasto ambiente - già adibito dall'amministrazione carceraria a magazzino dopo aver creato tramezzature e un rozzo solaio in legno - è caratterizzato da cinque campate, da finestre a feritorie e da una grande finestra a sesto acuto.

Addossati alla campata di mezzo sono i resti di un grandioso camino privo della cappa, con due mensoloni in pietra di considerevole struttura.

La parete che divide in due la sala, attigua al camino, risale ad un successivo intervento. La leggera cornice in pietra sull'unica porta di comunicazione ci dà il disegno dell'originario archivolto modellato in analogia agli elementi decorativi del Castello. Nel vano più piccolo attiguo vi sono una terza campata, due alte finestre e due porte. La più piccola, all'estremo angolo, segnata da grossi conci tagliati, immette nell'attigua torre di sud-ovest o "torre parafulmine". 

Un archivolto in pietra lavica murato testimonia la presenza di una porta secondaria del mastio che si apriva proprio nella torre di sud-ovest ; apertura praticata per assolvere a precise esigenze difensive - fuga, sortite, movimento di armati verso l'esterno - fuori della portata offensiva e visiva dei nemici attaccanti impegnati sul lato opposto del mastio.

Nella parte sottostante, la mitica "grotta di Polifemo", serviva da magazzino e per preparare polvere e munizione. Per questo nel '500 gli spagnoli per proteggerla eressero un fortino speronato con cannoniere.

A partire dal 1860 il Castello venne destinato a carcere giudiziario, decisione che arrecò, nel tempo, numerosi guasti e trasformazioni alle belle strutture originarie.
L'architettura e la disposizione del mastio sembrano rispondere alle esigenze proprie del castello-fortezza e non del castello-palazzo tipico delle costruzioni feudali o patrizie. L'insieme del fabbricato denunzia, nella concezione e nelle strutture, un'austerità ed una semplicità ed una spoglia essenzialità aderenti, in assoluto, alla sua quasi esclusiva funzione militare di «castrum» regio e, quindi, di fortezza di Stato. Non esistono ambienti ricercati o, comunque, caratterizzati da particolare destinazione residenziale, a parte quelle dovute alle citate manomissioni ed alterazioni. Ciò non ha impedito che in numerose circostanze fosse anche dimora e soggiorno prediletto di monarchi, principi ed alte personalità.

Oggi queste mura accolgono, in virtù del capiente anfiteatro esistente, spettacoli e concerti d'alto livello.

     

Per saperne di più:  

G. Agnello, Il Castello svevo di Milazzo; R. Santoro, La Sicilia dei castelli. La difesa dell'Isola dal VI al XVIII secolo. Storia e Architettura; Castelli medievali di Sicilia. Guida agli itinerari castellani della Sicilia, Palermo 2001. 

  
  
      

©2003-2012 Vita Russo; le due foto di copertina sono tratte dal sito web.tiscali.it/tourismsicily/milazzo-castello.htm. I video non sono stati realizzati dall'autore della scheda.

   


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