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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI CALTANISSETTA

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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BUTERA (castello normanno o Chiaramonte)

Dal sito www.bandw.it   Dal sito www.provincia.caltanissetta.it

«È stato nei secoli scorsi obiettivo di conquista da parte degli invasori di Sicilia. Originariamente costituito da quattro o cinque torri agli angoli di un’area fortificata. Una roccaforte inespugnabile protagonista della storia. Che fosse inespugnabile lo sperimentò a proprie spese Ruggero il Normanno che dovette assediarlo per 26 anni prima di conquistarlo. Il castello esisteva gia nell’854, quando l’emiro Alaba divenne Signore di Butera. All’ interno della rocca vi era un vasto cortile, con stalle e magazzini ed una cisterna ovale all’esterno. Di notevole importanza una delle toni, con sale ricche di sculture fra queste un’aquila a due teste, con catena e spada sguainata, stemma dei signori dell’epoca. Dalla rocca inserita tra le antiche costruzioni che chiudono l’attuale Piazza Castello, si affaccia una bifora; sotto un magnifico sedile di pietra. Anche in questo caso non manca la fantasia popolare, secondo cui un lunghissimo percorso sotterraneo collegava il Castello di Butera a quello di Falconara. In comune i due Castelli hanno un capitolo di storia: entrambi furono concessi da re Martino I al fedelissimo Ugone Santapau. Il castello di Falconara, quindi, fece parte, per un certo periodo della contea di Butera. Quanto basta perché la fantasia popolare accomunasse il destino dei due castelli uniti da un lungo e sottile sotterraneo invisibile».

http://www.comunedibutera.it/arte_e_cultura.html (a cura di S. calaciura)


CALTANISSETTA (castello di Pietrarossa)

Dal sito www.prolococaltanissetta.it   Dal sito www.lastminuteidee.coml

«...Le prime notizie storiche sull'esistenza di un castello a Caltanisserta si hanno dal 1086 quando Malaterra, storico contemporaneo di Re Ruggero [vedi lo schema dei re di Sicilia], riferendo della conquista della città, dice "quod in nostra lingua resolvitur castra foeminarum". Durante la guerra del Vespro la fortezza, ad uso prevalentemente militare, fu saccheggiata; il castellano, nel 1282, è Bernardo de Sartiano. Il XVI secolo vede Pietrarossa al centro di episodi rilevanti nella storia isolana: nel 1361 accoglie Federico III e nel 1377 ospita i Baroni siciliani riunitisi in convegno perla divisione del Regno. Nel 1407 Sancio Ruiz de Lihori vende al Re Martino, per 2000 fiorini d'oro, terra et castrum Caltanissette con il fortilizio di Pietrarossa; pochi giorni dopo re Martino cede Caltanissetta a Matteo Moncada ricevendo in cambio Augusta. Nel secolo XVI inizia il declino dei castello, che cessa ogni funzione militare ed inadeguato come residenza nobiliare, decade rapidamente con l'avvento dei Moncada. Nel 1600, a seguito di un crollo di parte del maniero, tra le macerie viene ritrovalo il corpo della principessa Adelasia, nipote di Ruggero, sepolta secondo tradizione nel sacello di Santa Maria della Grazia, identificabile con la cappella del Castello. Posizione. La fortezza, ubicata al margine orientale del centro storico di Caltanissetta, si erge su una serra calcarea e sfruttando la morfologia del terreno si affaccia sulla valle dell'Imera Meridionale (impropriamente detto Salso). Situato all'estremità inferiore del quartiere Angeli, primo nucleo dell'attuale abitato urbano di Caltanissetta, il castello era accessibile attraverso un ripido percorso, esclusivamente dal fronte rivolto verso la città. La sua posizione geografica consentiva il controllo di una importante via di comunicazione interna quale era il fiume Imera Meridionale (chiamato impropriamente Salso) e il collegamento visivo con il castello di Pietraperzia.

Descrizione. Deve il suo nome al tipo di pietra usata per la costruzione, parte della quale è ancora visibile, riutilizzata nella muratura dell'attiguo convento dei padri Riformati. Nel linguaggio popolare il castello è denominato murra di l'angiuli, con un chiaro riferimento alla limitrofa chiesa di S. Maria degli Angeli e al materiale usato, poiché il termine murra, nel dialetto siciliano, individua sabbia o pietra rossa. Planimetricamente articolato su vari livelli, risultava costituito da tre torri collegate da cortine murarie, delle quali oggi risultano visibili resti di quella centrale, alta circa 25 metri e della torre di vedetta nord. Cisterne per liquidi e aridi insistono nell'area del castello; tra queste assume particolare rilevanza quella sita a metà del percorso d'accesso al castello, utilizzata nel XV secolo, come carcere. La grande torre centrale è costruita su una roccia bipartita da una profonda fenditura che la attraversa longitudinalmente. Nel lato sud, a cavallo di quest'ultima, sono visibili una feritoia in pietra da taglio e inferiormente un'apertura con arco a sesto acuto privo del concio di chiave, presumibilmente preceduta da una scala d'accesso esterna, oggi non più esistente. Il fianco sud-ovest è rinforzato da un cantonale in pietra da taglio, probabilmente eseguito nel XVI secolo, dopo un parziale crollo della parte superiore della torre; tale tesi è sostenuta dall'esistenza nel cantonale di conci tagliati a sguincio, facenti pane, in origine, di una finestra ubicata in sommità, lato ovest, della quale restano solo il davanzale ed uno stipite. In cima alla torre è posizionata una cisterna per liquidi rivestita con intonaco che ingloba frammenti ceramici di invetriate piombifere databili tra la fine del XII secolo ed i primi del XIII. Ai piedi della torre, nell'area dello sperone, lo scavo delle murature parzialmente interrate ha portato alla definizione di un ambiente la cui esatta consistenza non è individuabile a causa del crollo della parete ovest, dovuto all'utilizzo della rocca come cava da costruzione. Lo scavo ha portato alla luce in tale area ceramica da fuoco che testimonia una fase abitativa del XIII secolo. Alla fine del percorso d'accesso al castello, resti di murature addossate alla roccia fanno pensare all'originaria presenza di ambienti di servizio coperti con strutture lignee; poco distante è sita una profonda ed ampia cisterna intonacata, interamente interrata. Da una relazione del-l'ing. Pappalardo, Regio Ispettore degli scavi e monumenti, datata 1880, si apprende che, in prossimità del castello, a seguito di uno sprofondamento del terreno, si scoprì un condotto sotterraneo, scavato nella roccia, avente ingresso nella strada rotabile d'accesso al cimitero. La galleria aveva pareti verticali e copertura voltata, era alta mediamente m. 1,77 e larga 1,27; fu esplorata per circa 10 m., e successivamente, per motivi di sicurezza ne fu chiuso l'imbocco. Oggi possiamo solo ipotizzare che si trattasse di uno dei tanti percorsi sotterranei della città, ricordati nelle leggende locali, forse utilizzato come percorso di fuga dal castello».

http://www.cittadicaltanissetta.com/castello_di_pietrarossa.php (da Progetto Scuola Città, a cura di Daniela Vullo, Regione Siciliana, Edizioni Lussografica)


CALTANISSETTA (palazzo Moncada o Bauffremont)

Dal sito 147.163.115.68/caltanissetta   Dal sito www.ilfattonisseno.it/

«...La costruzione dell'immobile si deve a Don Luigi Guglielmo Moncada, principe di Paterno e conte di Caltanissetta che, per motivi politici, costretto ad abbandonare Palermo, scelse, tra i suoi possedimenti, Caltanissetta come propria residenza. Per l'edificazione del sontuoso palazzo, che se completato avrebbe occupato un sito più ampio delll'attuale, si demolì in parte la cinquecentesca residenza dei Moncada ubicata nel sito dell'attuale Banca d'Italia. I lavori di costruzione furono diretti da un cappuccino, Fra Pietro da Genova, definito nei registri contabili architetto della fabbrica. Considerata P importanza del committente possiamo ipotizzare che Fra Pietro fu solo il direttore dei lavori, mentre il progettista andrebbe ricercato tra i protagonisti dell'architettura siciliana dell'epoca, ai quali, l'unico riferimento nei registri di fabbrica va a Carlo d'Aprile, architetto del Senato palermitano, che viene pagato per un viaggio di andata e ritorno con soggiorno di ventisette giorni a Caltanissetta. Le maestranze utilizzate furono locali per i manovali mentre tutte quelle specializzate, ad eccezione dei Nicolosi, nota famiglia dì mastri nisseni, provenivano da Palermo. La volontà di continuare la costruzione del palazzo, la cui interruzione fu dovuta sia a problemi di natura economica che al trasferimento di Don Luigi Guglielmo in Spagna, nominato Cardinale della Santa Chiesa, evidenziata nel testamento del principe del 1672, non ebbe mai più seguito tra i suoi discendenti. Posizione. Attualmente il palazzo Moncada, pur essendo prossimo al Corso Umberto I, principale arteria cittadina, risulta visibile da esso solo in parte, dalla salita Matteotti, poiché nascosto dall'edifìcio della Banca d'Italia. La sua posizione doveva invece essere di straordinaria rilevanza, nelle ipotesi progettuali della Caltanissetta del XVII secolo. La salita Matteotti infatti allora non aveva l'inclinazione attuale come può evidenziarsi dall'osservazione della parte basamentale del palazzo Moncada, le cui finestre, oggi trasformate in ingressi del cinema, sono esageratamente alte a sud e parzialmente interrate a nord, segno inequivocabile dell'esistenza di una collinetta sulla quale si ergeva la sontuosa dimora. La demolizione totale, effettuata solo nel XX secolo, delle vecchie case dei Moncada avrebbe consentito dal corso Umberto I, la seicentesca strada grande, l'imponente visione del maestoso palazzo, segno della potenza dei feudatari. Descrizione. La costruzione, costituita da tre elevazioni, è interrotta a quota del piano nobile. Il ritmo orizzontale è scandito da fasce marcapiano sopra le quali, all'altezza del calpestio dell'ultima elevazione, si inseriscono le mensole antropomorfe e zoomorfe che, succedendosi con cadenza ternaria, lo caratterizzano sui tre lati esterni. La tipologia delle aperture varia in corrispondenza dei livelli: a piano terra sono del tipo "inginocchiate"; quelle dell'ammezzato sono definite da cornici lineari con motivi decorativi curvilinei ai lati; a quota del piano nobile imponenti paraste poggianti su base bugnate, inquadrano le aperture. Splendido il cortile intemo, costituito da arcate che suggeriscono l'originaria presenza di un loggiato, all'interno delle quali si affaccia un triplo ordine di aperture; rilevante, in corrispondenza del fronte verso il largo Barile la grande arcata centrale di accesso al cortile».

http://www.cittadicaltanissetta.com/palazzo_moncada.php (da Progetto Scuola Città, a cura di Daniela Vullo, Regione Siciliana, Edizioni Lussografica)


CAMPOFRANCO (resti del castello di Milocca)

Dal sito sicilia.indettaglio.it   Il territorio di Monte Conca, dal sito www.foto-sicilia.it

«Ubicazione: monte Conca (da Agrigento, strada statale 189 per Palermo; uscita Milena; 3 km prima di Milena, all'altezza di contrada Amorella, carreggiabile a sinistra che porta fino ai piedi del monte). Il castello è documentato solo nella seconda meta del Duecento, ma i materiali ceramici raccolti sia sulla sommita del monte Conca sia nella contrada Amorella sono databili a partire dall' XI secolo. Notizie storiche: 1278, quoddam casale nomine Muloc: Milocca è un villaggio di pagliai protetto da un castello (un documento di quell'anno parla infatti di paliarii e di un castellum). 1355 ca., il castrum dictum Milocca è annoverato in una lista di terre e castelli siciliani8. 1500, feudum Mulocce. Il monte Conca si trova fra la contrada Amorella (probabile area del casale di Milocca) e il fiume Gallo d'Oro, collegato da un ponte ed una strada medievale (forse la viam publicam qua itur Racalmuti Mulocean) che da Milocca proseguiva verso Sutera. La sommità del monte Conca (437 m) è un vastissimo altopiano dal quale si domina tutto il territorio fino al monte San Paolino (Sutera). Dal 1977 ricognizioni di superficie e scavi archeologici hanno permesso di stendere una carta archeologica della zona. I pochissimi avanzi visibili nel punto piu alto del monte appartenevano ad un edificio fortificato, forse un saldo torrione con una massa parallelepipeda a pianta quasi quadra­ta di 25 x 27 m. Lo stato di disfacimento totale del complesso non permette di approfondire la descrizione, solo uno scavo archeologico (gia avviato sul sito del casale in contrada Amorella) potrebbe rispondere al problema della datazione del castello di Milocca. Proprietà attuale: pubblica (Demanio forestale). Uso attuale: nessuno».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=282


DELIA (Castellazzo)

Dal sito www.scuoladelia.it   Dal sito www.scuoladelia.it

«Il “Castidrazzu” di Delia, arroccato su una elevata serra calcarea in prossimità del fiume Imera meridionale, dista circa 1 km dall’attuale abitato. La fortezza sorge in una posizione strategica a controllo della strada romana Catina-Agrigentum (lungo la quale l'Itinerarium Antonini cita, tra le 8 stationes tardo romane, la statio Petiliana localizzata da alcuni studiosi proprio a Delia) e dell’affluente Gibbesi, considerando che il Salso costituiva un’importante via di comunicazione per accedere all’entroterra siciliano. La costruzione del castello probabilmente è da collocare in epoca bizantina (IX secolo), con funzione militare e stazione di passaggio (come ci indicano le modeste dimensioni), ma l’area fu frequentata fin dall’epoca preistorica, come attestano le numerose tombe a grotticella di tipo castellucciano ricavate dalle pareti della serra, e le tracce di capanna, insieme a materiali, rinvenuti nella zona sottostante. Altri manufatti sono riconducibili all’età classico-ellenistica. L’indagine archeologica e l’opera di restauro, condotti dal 1987 al 1995 (Delia. Il Castellazzo. Scavi e restauri), cui si deve l’attuale configurazione del castello, hanno permesso, attraverso lo studio sistematico dei rinvenimenti ceramici, degli elementi architettonici e delle strutture murarie, di ricostruire le fasi cronologiche relative alla storia medievale del castello. Il materiale rinvenuto nella discarica sul lato est, data la frequentazione del sito a partire dalla seconda metà del X e la prima metà del XII secolo. A questo periodo segue una fase di abbandono causata da un incendio, come indicano le tracce di bruciato. Rioccupato tra il XIII e il XV secolo, venne nuovamente abbandonato in seguito ad un evento violento, presumibilmente da porre in relazione a quanto narrato dallo storico Nicolò Speciale nella sua Historia Sicula, che rende partecipe il castello delle vicende legate alla guerra del Vespro (Nicolò Speciale, Historia Sicula, Palermo MDCCXCI). Dalla lettura delle fonti storico-letterarie (ampiamente studiate da Don Giuseppe Adamo, in Storia di Delia. Dal 1596 ad oggi, 1988) emerge che il feudo di Delia, insieme al suo castello, alla fine del 1300, apparteneva al vassallo catalano Pietro Mazza, al quale era stato concesso dal re Martino, in cambio del servizio militare. ... Le ultime fasi si caratterizzano da una serie di trasformazioni riferibili all’utilizzo del castello come residenza signorile, a cui si alternano nuovamente periodi di distruzione e abbandono, per poi essere definitivamente isolato intorno alla metà del ‘600. Planimetricamente è articolato su vari livelli. La lunga rampa di accesso conduce ad un grande piazzale (che nella parte orientale doveva essere occupato da un villaggio medievale), tre larghi gradini in pendenza immettono, attraversato il vano d’ingresso, piccolo ambiente voltato con sedili laterali, al piano della piccola corte. Questo spazio, non definito architettonicamente, doveva comprendere degli ambienti di servizio. Al di sotto sono scavati nella marna tre ambienti sotterranei, di forma irregolare, con funzione di deposito delle derrate, probabilmente successivamente reimpiegati come prigione. Proseguendo verso sud-est, sono stati individuati degli ambienti (databili al XV secolo) probabili cunicula, e i resti di un portello a finestrella con stipite in direzione sud-ovest, preceduta da due gradini. A ridosso di uno sperone roccioso sono stati rinvenuti resti di una banchina in pietra e vaschette, forse ambienti di uso artigianale. Segue un ampio piazzale (piazza d’armi?) con resti di ovile e stalla. Mediante una scalinata si raggiunge il piano superiore, scavato nella marna, dove si trova l’unico ambiente rimasto integro. Si tratta di un vano rettangolare coperto con volta a botte, costituito da due feritoie per lato, mentre al di sotto vi sono i resti di una grande cisterna di forma globulare per la raccolta dell'acqua piovana. L’ultimo livello è caratterizzato da tre ambienti residenziali (come indicano tre finestre a tutto sesto), di cui l’ultimo, nell’estremità sud, si raggiunge attraversando un corridoio merlato (camminamento di ronda). Il vano stretto e absidato ebbe, secondo alcuni, funzione di cappella. I terrazzi sovrastanti presentano resti di merlatura (si alternano merli ciechi a merli con feritoia)».

http://www.scuoladelia.it/Progetto_c_era_nna_vota/castiddrazzu.html


FALCONARA (castello)

Dal sito www.bandw.it   Dal sito www.sposiamociqui.it   Dal sito www.castellodifalconara.it

«In territorio di Butera, su un promontorio roccioso a picco sul mare, affiancato da un bellissimo ed esotico palmeto, sorge il Castello della Falconara che è l'unico maniero della provincia di Caltanissetta ad affacciarsi sul mare. ... Il castello, che sorge a pochi metri dalla spiaggia, fu edificato in diverse epoche attorno al nucleo centrale rappresentato da una vecchia torre quadrata detta appunto 'della Falconara' perché inizialmente i proprietari la utilizzavano per l'allevamento del falcone da caccia, sport molto amato in periodo svevo-normanno. Di preciso dunque, non si sa quando fu costruita la torre ma sappiamo che il castello esisteva già nell’854, quando l’emiro Alaba divenne signore di Butera. Ampliato e rafforzato nel corso del tempo, il maniero mantenne comunque, la sua funzione di vigilanza contro le incursioni dei pirati che fino al XVIII secolo saccheggiavano le coste. Della primitiva struttura oggi si conserva soltanto la grande torre quadrata alta 36 metri, abbellita da bifore di stile catalano con esili pilastrini e capitelli. L'edificio nel corso dei secoli ha cambiato diversi proprietari, dai Santapau ai Branciforte ed infine ai Bordonaro, i quali a turno rimaneggiarono la struttura e gli ambienti. A metà dell'800 il maniero fu arricchito di una nuova ala e ristrutturato come elegante residenza nobiliare. L'ala ottocentesca, sviluppata verso il mare, comprende un ampio terrazzo affacciato direttamente sul litorale antistante, ospita un vasto salone un loggiato laterale ed è collegata mediante un scalone alla torre. Tutto l'edificio inoltre, è parzialmente circondato da una cinta muraria merlata, di recente fattura, attraversando la quale si accede ad un baglio sul quale si affacciano i vari corpi che compongono il complesso. Nei saloni interni sono sistemate collezioni di ceramiche, maioliche, una ricca pinacoteca e diversi trofei di caccia. Il castello ospita, inoltre, un Antiquarium di archeologia con i reperti ritrovati in tutto il territorio di Butera dopo gli scavi effettuati negli anni '50. Nel cortile interno invece, è possibile ammirare, scavate nella roccia, profonde fosse e cisterne, che dovevano servire a conservare viveri per consentire di resistere a lungo agli assedi dei nemici.

Come abbiamo già detto, di preciso non si sa quando fu costruita la vecchia torre, ma sicuramente il castello esisteva nell’854, quando l’emiro Alaba divenne signore di Butera. Fu ampliato successivamente dai Normanni (XII secolo) e appartenne a Ugone di Santapau, discendente della nobile famiglia di Adamara, che lo ricevette in dono dal re Martino d'Aragona come ricompensa per averlo appoggiato contro le fazioni a lui avverse. Dalla seconda metà del 1500, dopo il matrimonio di Ponzio Santapau con Isabella Branciforti di Mazzarino, il maniero divenne proprietà dei Branciforti. Falconara, dal XVI secolo fece parte di quella corona di torri che circondò la Sicilia al fine di rendere sicuri i territori costieri soggetti alle improvvise e devastanti incursioni dei Turchi, che infestarono il Mediterraneo dal 1500 al 1700. Probabilmente fu proprio in quel periodo che la vecchia struttura della torre è stata ampliata, rafforzata con muraglie merlate, feritoie, fossati, tali da conferirle l’aspetto severo di fortino inaccessibile, sia da terra, sia dal mare, sul quale si affaccia con uno strapiombo. Quando la pirateria ebbe fine nel secolo XIX, l’edificio fu trasformato in residenza padronale e arricchito con scaloni, colonnati, fregi, capitelli, lesene, intonaci e circondato da giardini ornamentali adorni di fontane e sedili di marmo. Nel 1800 il castello fu acquisito dal conte Giorgio Welling, ufficiale tedesco che lo ebbe come dote della moglie Caterina Branciforti, figlia dell'ultimo principe di Butera. Fu proprio lei ad arricchirlo di un'altra ala verso sud con grande terrazza sul mare e a ristrutturarlo come elegante residenza nobiliare, conservando l’antica struttura aragonese e l’originaria organizzazione spaziale. Dopo il crollo del muro ovest, avvenuto agli inizi del 1900, in seguito ai lavori di sbancamento del piano sottostante, fu ristrutturato nel 1935 e adibito a carcere fino agli anni ’60. Infine, restaurato nel 1997, oggi è accessibile al pubblico. Chiaramonte Bordonaro, dopo aver acquistato il castello da Welling, fece edificare un nuovo corpo di fabbrica, staccato e parallelo al mare con vari ambienti destinati ad attività produttive a piano terra e ad abitazioni nel piano superiore».

http://www.guidasicilia.it/ita/main/rubriche/index.jsp?IDRubrica=1717


GELA (castello svevo o Castelluccio)

Dal sito www.icastelli.it   Foto di rob.lof, dal sito http://rete.comuni-italiani.it

«Su una collina di gesso, dove il Gela sbocca nella piana dopo le gole del Disueri, si erge maestoso il Castelluccio a guardia della costa e a difesa del percorso verso l'interno lungo la valle del fiume. La menzione più antica del Castelluccio ci è pervenuta in un atto di donazione del 1143 con il quale Simone, conte di Butera e membro della famiglia Aleramica, dona all'abate di S. Nicolò l'Arena di Catania, alcune terre site nell'area meridionale della contea perchè le faccia mettere a coltura: il Castelluccio viene citato come termine di confine all'estremità orientale dei beni assegnati al monastero. Lo stesso termine, ora in latino Castellucium, e con riferimento allo stesso sito, compare ancora in un documento del 1334 col quale la regina Eleonora conferma allo stesso monastero gli stessi beni. Un altro documento, ricordato da autori del XVII e del XVIII secolo, conferma la donazione del Castelluccio da parte di Federico d'Aragona a Perollo di Moach milite caltagironese: i beni ubicati nel territorio di Eraclea comprendenti il Castelluccio ed i territori circostanti sarebbero stati assegnati in precedenza ad Anselmo di Moach ed in seguito confermati al pronipote Perollo. Da questo documento emergono due elementi interessanti: in primo luogo che l'edificio attuale (o un edificio comunque fortificato definito Castelluccio) esisteva nella pianura gelese, ed in secondo luogo che tale edificio, di proprietà del demanio regio, era stato concesso in feudo già nel corso del XIII sec. Ben poco si conosce delle vicende successive: l'edificio sarebbe stato assegnato da re Martino al nobile Ruggero Impanella alla fine del XIV sec., ma essendosi il nobile allontanato senza autorizzazione regia, verso la metà del XV sec., re Alfonso gli avrebbe revocato il possesso della rocca che avrebbe assegnato, con i terreni circostanti, a Ximene de Corella coppiere regio. Quindi attraverso gli eredi, il Castelluccio sarebbe passato al patrimonio degli Aragona di Terranova e quindi dei Pignatelli. Costruito in parte riutilizzando i blocchi di calcare bianco e calcarenite gialla del muro greco di Caposoprano ed in parte a filari regolari di pietra sgrossata, esso presenta un raro rigore formale nella definizione generale e nei particolari architettonici, tutti tesi alla concreta funzionalità, spogliata di ogni indulgenza decorativa. Il cantiere di restauro, impiantato nel 1988, e lo scavo archeologico dell'interno, ci restituiscono un Castelluccio rigorosamente simmetrico che chiude con una fine violenta la prima fase di vita. Una seconda fase vede la profonda trasformazione della parte orientale con l'inserimento del camino con fasci di colonnine trecentesche alla base l'apertura di una monofora sul prospetto settentrionale e la costruzione della torre est. Dopo un altro incendio che chiude questa fase sarebbe seguito un abbandono temporaneo dell'edificio, col crollo dello spigolo settentrionale della torre est e quindi nel XV sec. (probabilmente in concomitanza con analoghi lavori nel Castello di Mazzarino), un tentativo di trasformazione del castello in Palazzo; furono sopraelevati i muri meridionale e settentrionale (impostati sopra la merlatura originale), restaurato lo spigolo crollato della torre est e la vecchia struttura subì una serie di adattamenti. Nel corso dei lavori (forse a causa di un terremoto?) il castello si lesionò profondamente. Il cantiere fu interrotto e l'edificio abbandonato. Bombardato dagli incrociatori alleati l'11 luglio del 1943, subì il crollo di parte della torre est e dell'estremità orientale del prospetto sud».

http://www.comune.gela.cl.it/index.php/i-luoghi-del-cuore/il-castelluccio


GELA (mura, porte)

Dal sito www.archeoclubgela.it/   Dal sito www.archeoclubgela.it

«Cessate le incursioni della pirateria barbaresca nel Mar Mediterraneo, la solida e spessa cinta muraria medievale della città, a partire dal Settecento, cominciò ad essere utilizzata dalla popolazione per ricavarne abitazioni; più di 150 furono, infatti, le usurpazioni effettuate a danno del perimetro murario. Come prima riferito la cinta delle mura medievali di Gela, già Terranova, si può dividere in due sezioni. Il primo perimetro, esteso su una superficie di circa duecentomila metri quadri, è compreso tra Piazza Calvario e Via Porta Vittoria ad est e via Giacomo Navarra Bresmes a ovest. Il secondo perimetro che verso ovest copre all’incirca la stessa superficie, arriva fino a Via Matteotti. Le mura erano provviste di quattro porte di accesso ed una postierla; ad est Porta Penestrina o Porta Vittoria, demolita nel 1878; a nord Porta Caltagirone, diroccata nel 1859; a ovest Porta Licata o Porta del Salvatore abbattuta nel 1860; a sud, in corrispondenza dell’odierna Via Istria, la postierla denominata Pertugio della Graticola (in vernacolo ‘u purtusu), eliminata nel 1892; infine, a sud Porta Marina, demolita negli anni Sessanta. Nelle immediate vicinanze di questo ultimo ingresso, durante il restauro dell’attiguo bastione, è venuta alla luce un’altra Porta ancora più antica con arco a sesto acuto, risalente al periodo della fondazione della città. Porta Vittoria e Porta Licata si trovavano sulla stessa linea dell’attuale Corso Vittorio Emanuele, mentre Porta Marina risultava sfalsata rispetto a Porta Caltagirone. Prima della citata ricostruzione delle mura, l’intera cerchia muraria era divisa, lungo l’attuale Via Giacomo Navarra Bresmes, in due parti da un muro trasversale che separava la Terra Vecchia (ad ovest) da quella Nuova; su questo muro fino alla fine del XVI secolo si apriva la Porta de’ Carri. Di Porta Marina oggi rimangono solamente i muri laterali con relativi imposte e piedritti; negli anni Sessanta subì una parziale demolizione anche se i conci degli archi e della volta che la componevano furono numerati e conservati (chissà dove) in previsione di una loro ricomposizione che fino ad oggi non è avvenuta; contiguo alla porta e relativo alla sua difesa si osserva un torrione quadrangolare della seconda metà del XVII secolo, restaurato in maniera obbrobriosa nel 1994, caratterizzato dalla presenza di un elegante cornicione, di grossi blocchi cantonali in pietra arenaria e di pietre informi che costituiscono il resto della costruzione. Qui di seguito adesso si inizia la descrizione delle parti più significative della cinta muraria, partendo da Porta Marina, posta a sud di via Marconi, e proseguendo verso est sulla Via mediterraneo dove s’intravvedono subito un primo tratto delle mura di cinta ed una imponente torre semisferica, quest’ultima probabilmente risalente al XIV secolo; la parte basale del muro è formata da diversi filari di blocchi regolari d’arenaria mentre tutta la torre è realizzata in pietra informe di diverso taglio. Non sfugga di osservare la caratteristica posizione delle abitazioni ricavate nello spessore delle stesse mura di cinta.

Procedendo più avanti, per una trentina di metri ancora, si incontra un’altra torre semisferica, uguale alla prima, stavolta però quasi totalmente fagocitata dalle contigue abitazioni. Dalle rientranze, rispetto alla linea delle case, che si succedono man mano che si procede verso est, si intuisce come la linea originaria delle mura sia spostata indietro di alcuni metri; in una di tali rientranze si può osservare, infine, una caratteristica scala ripida a diverse rampe, anticamente e ancor oggi con funzione di scorciatoia, che fa accedere alla soprastante via Cocchiara. Arrivati al termine di via Mediterraneo, prima di iniziare la salita verso Piazza Calvario, si osservi una torre angolare, risalente probabilmente al XIII secolo, che individua il limite di sud-est della cinta muraria medievale. Proseguendo quindi per la salita si arriva in Piazza Calvario dove in uno sguardo d’insieme si può vedere tutta la piazza (e la torre prima citata da un’altra angolazione); inoltre, di fronte le croci, si possono osservare i resti delle mura di cinta del XIII secolo riattati in epoche successive. Tali mura rappresentano i resti del castello federiciano, che in origine aveva una pianta a forma di quadrilatero con lati disuguali, con agli angoli quattro torri e baglio e tutto provvisto di merlature; di questo castello rimane solo una delle quattro torri angolari, quella di sud-est, i cui resti (due finestre con arco acuto e strombature e in mezzo un’apertura a doppio arco) si possono osservare entrando nei locali degli ex granai del Palazzo Ducale il cui cortile da più di un lustro è interessato ad una serie di scavi archeologici che hanno messo in luce già interessanti strutture di Gela greca e medievale. La famiglia Pignatelli Aragona Cortes, una delle ultime proprietarie del castello, nel Settecento trasformò e adibì il complesso difensivo in magazzini di derrate alimentari. Scendendo verso Via Porta Vittoria, dopo aver superato l’incrocio col Corso, si considerino le linee est e nord delle mura; della prima linea muraria rimangono poche tracce, mentre della seconda esistono ancora una scalinata e i resti di due torri distanti un centinaio di metri l’una dall’altra. Continuando verso ovest si arriva così all’ex Mercato, oggi Piazza Enrico Mattei, all’incrocio con Via Giacomo Navarra Bresmes, nei pressi del luogo dove fino al 1859 esisteva Porta Caltagirone. Superato l’incrocio si passa sulla Via Verga per iniziare a percorrere la seconda parte della cinta muraria, quella ricostruita nella seconda metà del 1500; di essa rimane quella parte riferita ai muri dell’ex chiesa e convento di Santa Maria di Gesù e dell’ex Carcere mandamentale, quest’ultimo ubicato ad angolo sulle vie Verga e Matteotti (già Via Bastione). Su quest’ultima via si snoda la parte ovest delle mura di cinta, caratterizzata qui dalla presenza di quattro grandi arcate, una torre di pietra e gesso e da una serie di contrafforti che arrivano fino all’incrocio di Corso Vittorio Emanuele. Superato tale incrocio si scende fino al Bastione, o meglio quel che rimane di esso, e continuando sulla Via Istria si inizia il lato sud delle mura le cui uniche vestigia visibili si riferiscono ad una serie di contrafforti e ad una torre quadrangolare, quest’ultima nelle immediate vicinanze dell’imbocco di via Filippo Morello, zona dove sorgeva anticamente la postierla del Pertugio della Graticola».

http://www.archeoclubgela.it/MURA%20FEDERICIANE.htm


GELA (resti del castello di Terranova)

La torre circolare del castello di Terranova nella foto di Giuseppe Cirignotta, dal sito www.siciliano.it   Dal sito www.archeoclub-gela.it

«Del Castello di Terranova (l'odierna Gela) restano parti inglobate in strutture successive tipologicamente diverse. La sua posizione, marginale rispetto alla città federiciana, non consentiva alcun controllo di tipo militare ad esclusione del tratto di costa antistante e della foce del fiume Gela. Presumibilmente esterno anche al tracciato medievale delle mura, fu inglobato all'interno di queste ultime in occasione degli ampliamenti, fino a divenirne, con il passare dei secoli, parte integrante senza tuttavia assumere mai il ruolo di baluardo difensivo. Il nucleo iniziale, dimensionalmente piuttosto piccolo, era costituito da un quadrilatero irregolare con baglio centrale e torri agli angoli. La necessità di locali da adibire a ma­gazzini ducali per derrate alimentari, comportò l'aggiunta di un blocco ret­tangolare costruito in aderenza al fronte sud-ovest, costituito da una bassa cortina muraria all'interno del-la quale uno dei lati era occupato, per l'intero fronte, da una costruzione ad una elevazione. Nella cartografia seicentesca ed in particolare nei disegni del Negro, il nucleo principale del castello è raffigurato come una costruzione a due piani, con due torri a pianta quadrata e due a pianta semicircolare. Al ca­stello si accedeva attraverso una porta sita sulla cortina settentrionale, aperta verso un cortile interno dove si sviluppava una scala d'accesso ai livelli superiori; con l'aggiunta dei ma­gazzini fu realizzata una grande apertura sul fronte settentrionale che immetteva nel corso principale. Oggi restano solamente i magazzini, recentemente restaurati, con grandi granai interrati; parti delle torri e delle cortine murarie sono inglobate in edifici di epoca successiva. I magazzini ducali occasionalmente sono utilizzati per attività culturali».

http://www.icastelli.it/castle-1234810742-castello_di_terranova-it.php (a cura di Andrea Orlando)


GELA (torre di Manfria o di Ossuna)

Dal sito www.archeoclub-gela.it   Dal sito www.comprensoriogela.it

«La torre di Manfria si erge su una collina che sovrasta la frazione di “Manfria” e risulta visibile da tutto il golfo di Gela. La sua costruzione risale al 1549, durante il viceregno di Giovanni De Vega. Rimasta incompiuta, la costruzione venne ripresa agli inizi del XVII secolo (1615) e completata ad opera del Viceré di Sicilia Pedro Tellez Giron y Guzman Duca di Ossuna su disegno del famoso architetto fiorentino Camillo Camilliani. Alla torre è legata la leggenda del gigante Manfrino, buono e sfortunato, a guardia di un tesoro nascosto, nata dal ritrovamento di monete greche e romane nella zona e di una formazione rocciosa, oggi non più visibile, interpretata come la sua orma lasciata nella roccia. La torre di Manfria è una struttura di pianta quadrata, di circa 12,5 metri per lato, su un basamento parallelepipedo che serve da innesto ad un tratto a tronco di piramide, sovrastato da un volume chiuso con tetto a due falde. Fa parte delle duecento e più torri costiere dell’Isola, che formavano un rudimentale sistema di vigilanza strategico-militare per segnalare i pericoli provenienti dal mare».

http://www.comprensoriogela.it/territorio_di_gela_6.html


MAZZARINO (castello "U Cannune" o Castelvecchio)

Foto Giuseppe Bognanni, dal sito www.flickr.com   Foto www.estateinsicilia.it

«Mazzarino è un comune in provincia di Caltanissetta, situato su una collina interna nell’entroterra della Piana di Gela. A Mazzarino vi è un antico castello che domina la cittadina, il Castelvecchio, che viene però chiamato, in dialetto, “U Cannoni“, probabilmente per la torre cilindrica, unica supersite, che ricorda un cannone, anche se alcuni sostengono che tale nome è dovuto a un cannone posseduto dai Branciforti, signori del castello, che veniva usato contro gli attacchi e gli assedi da parte del vicino signore di “Grassuliatu”. In origine il castello, che garantiva il controllo delle sottostanti vallate dei torrenti Braemi e Disueri, era circondato da un’imponente muraglia merlata esterna, aveva pianta quadrangolare con agli angoli quattro torre cilindriche all’interno delle quali si trovavano dei locali sotterranei adibiti a granai. All’interno si sviluppavano gli ambienti abitativi e di servizio, locali adibiti a stalle, magazzini, dispense etc., oltre vari cortili interni. Oggi rimangono, in parte, soltanto la parete sud e le cortine a nord ed ovest. I Branciforti ne divennero signori tra il 1282 e il 1292 e vi abitarono fino al 1812, fino a che ottennero il titolo di conti e si trasferirono nel palazzo fatto costruire nel vicino centro abitato, abbandonando il castello al degrado e di quello che doveva essere un fortilizio ed una residenza principesca, rimangono pochi ruderi. Per garantirne la fruizione e la conservazione, all’esterno del castello, nella parte a sud est, negli anni ’80 è stato costruito un teatro dal quale si gode un bel panorama fino all’Etna, e dove si svolgono spettacoli teatrali, soprattutto nella stagione stiva, che attirano molti turisti anche dai paesi limitrofi. Per accedere al Castello, è stata sistemata la strada omonima, con pietre bianche di Comiso e pietra lavica di Catania. è stato, inoltre, ricostruito il muro di sostegno in pietra locale da intaglio proveniente dal monte Gibli».

http://www.turismo-sicilia.eu/u-cannoni-il-castello-di-mazzarino.html


MAZZARINO (ruderi del castello di Grassuliato)

Foto www.siciliafotografica.it   Foto www.estateinsicilia.it

«La fortezza, di origine romano-bizantina, è situata su una altura a circa 354 metri sul livello del mare, ad Est di Mazzarino, da cui dista 6 Km. Venne distrutta nel 1162 e ricostruita subito dopo. E' circondata da mura merlate ed è dotato di aperture a sesto acuto, di un sotterraneo e di cisterne per la raccolta delle acque. Attorno alla rocca appaiono i segni più antichi di una civiltà anteriore che affonda le radici nella più lontana civiltà greco-sicula. L'agglomerato di Grassuliato, attorno al castello e ad esso addossato, non doveva essere molto esteso, diventò prestigioso caposaldo nel sistema difensivo creato dai Mussulmani e importante centro militare-politico, amministrativo e religioso, non solo mussulmano ma anche cristiano(così come ce lo attesta più tardi un diploma di Papa Alessandro III). Dopo l'occupazione araba e nella successiva ricostruzione normanna delle vaste proprietà feudali, Grassuliato ci appare come una prospera terra ferace. viene livellato agli altri centri abitati, ma la sua forte rocca, con l'istituzione della Contea Aleramica nell'interno, da Falconara sul mare, Butera, Mazzarino, Barrafranca, Piazza, Aidone, fino a Paternò ed oltre, diventa ben presto un caposaldo importante nel sistema articolato della vasta contea, riprendendo la sua importanza, cosicché la vediamo nei documenti del tempo ed in quelli successivi, mantenere ancora per molto questa sua preminenza ed importanza fino all'inizio di una nuova era, quando la fortezza perderà la sua funzione ormai inutile e dai suoi signori verrà incrementata la vicina terra di Mazzarino. La fortezza infatti gradatamente decade nel XV secolo e scompare definitivamente agli inizi del successivo sia per la preferenza a siti più comodi, sia per l'avvento delle artiglierie, che rendono ormai inutili i siti inaccessibili. Il nome di Grassuliato appare per la prima volta nel 1091, una donazione di un "Salomon de Garsiliat" alla chiesa di S. Maria della Valle di Giosofat, in una lunga lista di donatori, tra cui Enrico "de Butera", il capostipide degli Aleramici, un "Girondus de Mazarina" ed un "Girbaldus de Comacina" (Barrafranca), Di Salomon de Garsiliat si parla ancora, in un successivo documento del 1098, dove sembra figlio di un "Guigone de Garsiliat"».

http://www.virtualsicily.it/Monumento-Castello%20di%20Grassuliato%20o%20%22Castiddazzu%22%20-CL-250


MUCULUFA (castello non più esistente)

L'area archeologica di Monte Muculufa, dal sito www.villaromanadelcasale.it   L'area archeologica di Monte Muculufa, dal sito www.mammasicily.com

«Sul Casale di Muculufa, territorio di Butera, si hanno testimonianze del periodo preistorico e dell’età romana. ... A Muculufa con i recentissimi scavi son venuti fuori nuovi materiali che ci danno la possibilità di riflettere non solo su Muculufa ma anche su altre città. Muculufa è stata una fortezza Saracena espugnata dal Conte Ruggero nel 1085; è una collina nella valle del Salso che s’innalza dolcemente sino a 200 metri ma s’impenna bruscamente con una cresta rocciosa frastagliata che raggiunge i 355 metri. Ha una formazione naturale con un’ampia base d’appoggio che salendo si stringe con una potente lama di calcare a Est-ovest dalle pareti a picco. Ad Ovest un taglio della formazione calcarea permette un passaggio da settentrione a meridione della collina; ricorda l’era del bronzo ed un articolato villaggio della civiltà di Castelluccio con grande metropoli rupestre sul lato meridionale della cresta rocciosa, un castello Musulmano, una miniera di zolfo, aperta tra le guerre mondiali, sul versante settentrionale, oggi abbandonata. ...».

http://www.sicilyholiday.it/index.php?option=com_content&view=article&id=72&Itemid=111


Mussomeli (castello Chiaramontano o Manfredonico)

redazionale

  


RESUTTANO (ruderi del castello)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.panoramio.com

«I suoi resti si possono osservare nella piana in cui il fiume Imera si distende dopo la sua discesa dai vicini colli madoniti. Dista dall'abitato di Resuttano circa 4 Km. Esso risulta costituito da un torrione, attorno al quale si dislocano edifici minori anche di epoca recente. Si ritiene che il Castello risalga al " primo periodo normanno. Però il nome riporta all'antecedente periodo arabo" (Lo Vetere). Il nome infatti verrebbe dall'arabo RAHAL-SUPTANUM (Fattoria fortificata). Gli arabi avrebbero edificato questa fattoria come "edificio insieme rurale e militare" data la notevole importanza strategica di quel posto: "perché costituiva la porta d'ingresso dalla via del fiume ai centri madoniti". "L'epoca più probabile della nascita del rahal è la metà del X secolo" (Lo Vetere). Durante il periodo normanno il castello, non particolarmente grande, rispettava "una precisa funzionalità militare: rifugio sicuro di una guarnigione ed efficiente stazione di transito". A partire dal XV secolo appartenne ai Ventimiglia di Geraci. Nel XVI secolo, in seguito al matrimonio di una Ventimiglia con Giovan Forte Romano, il castello e il feudo passarono a questi. Nel 1625 fu acquistato da Giuseppe di Napoli per il figlio Gerolamo, che, due anni dopo, divenne il primo principe di Resuttano. "Dal 1600 il castello perde la funzione militare e conserva solo quella di fattoria" (Lo Vetere). Ai di Napoli appartenne sino al 1919, quando venne acquistato dal notaio Antonino Manasia, per conto della Società Operaia Garibaldi, onde dividerlo in lotti ai coltivatori. Molti lo boicottarono, e il Manasia rischiò di persona. Per questo buona parte del feudo divenne sua proprietà, compreso il castello. Nel dicembre del 1997 la Soprintendenza ai Beni Culturali, dopo lungo iter, ha portato a termine l' esproprio relativamente al solo complesso murario, realizzando immediatamente un primo intervento di consolidamento delle strutture e pulizia dell'ambiente. A chi visiti il castello parecchi elementi balzano con piacere alla vista: belle finestre "che conservano elementi architettonici eleganti: prevale l'arco romanico, ma c'è anche una finestra con architrave rinascimentale"; una scala a chiocciola in pietra che conduceva ai piani superiori; una sala a volta; il cortiletto interno, sul cui muro interno è dato vedere lo stemma signorile».

http://www.comune.resuttano.cl.it/ecm/?9668=120&id=59


SABUCI (castello non identificato con certezza)

«Il Castello di Sabuci (Castrum Sabuci) non è localizzato con certezza. In Idrisi (1150 ca.) si legge "Sabuci, alto castello, ben provveduto, distante di dodici miglia da Caltanissetta". Dal Pirri apprendiamo: (1173) "casale quod Sabuci appellatur", e dal Gregorio: (1296) "Petrus Lancea pro proventibus terre Nari, Caltanixetta, la delia, casali Sabuci". L'Amico riferisce che: (1436) Guglielmo Raimondo Moncada deve riedificare il castello di Sabuci, nel territorio di Caltanissetta. Infine Maurici: (1438), castello in rovina e licentia populandi concessa a Guglielmo Raimondo Moncada, senza esito».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=70


SANTA CATERINA VILLARMOSA (castello del Piraino)

Dal sito http://www.rblob.com/hamradio   Dal sito http://www.rblob.com/hamradio

«Casale del XVIII secolo ristrutturato con mura merlate e quattro torri circondato da ulivi, conifere e piante da giardino; è dotato di venti posti letto in camere e torri e di un ristorantino ricavato nell'antica cantina. Disponibili guide per escursioni, è consigliata la prenotazione. Da vedere: il Santuario delle Rocche; l'Acropoli di Cuzzu scavu", con i resti di un insediamento del V secolo a.C.; gli scavi di un villaggio greco-siculo; il Parco archeologico di Scaleri nella Riserva naturale della Valle dell'Himera; l'Abbazia di Santa Anastasia».

http://www.celeste-ots.it/Agriturismo/012_al_castello_del_piraino.htm


SANTA CATERINA VILLARMOSA (castello di Risigallo, non più esistente)

Il territorio di Santa Caterina Villarmosa, dal sito www.sisicilia.it   Santa Caterina Villarmosa, dal sito http://prolocosicilia.it

«Tra Resuttano e Caltanissetta, nel feudo dove poi fu fondata S. Caterina Villarmosa, Manfredi Chiaramonte nel 1320 fece costruire il Castello di Risigallo, che però non ha lasciato tracce significative».

http://aziendeagriturisminisseno.it/ITINERARI.php?step=Terra%20di%20Castelli%20ricchi%20di%20storia&id=12


SUTERA (castello non più esistente)

Il monte San Paolino e Sutera, dal sito www.castelloincantato.it   Il monte San Paolino e Sutera, dal sito www.castelloincantato.it

«Il castello di Sutera era ubicato sulla cima del monte San Paolino (819 m) e dominava la valle del fiume Platani ad ovest e la valle dei fiumi Salito e Gallo d'Oro ad est. Il paese, sviluppatosi ai piedi della rupe (590 m), presenta un nucleo di origine medievale con un'espansione a partire del XVI secolo secondo uno schema irregolare dovuto alla morfologia del terreno. Nessuna traccia del castello sul monte San Paolino, in cima al quale è stato costruito un santuario».

http://www.sicilie.it/sicilia/Sutera%20-%20Castello%20di%20Sutera


         

 

 

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