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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI AGRIGENTO

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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AGRIGENTO (porte, fossato)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.agrigentoflash.it

«Porta del Vescovo. Risalente al XV Secolo, si affaccia sul ciglio settentrionale delle Mura, venne chiusa nel 1755 per ampliamento del Vescovado.
Porta Bibbirria. Risalente al secolo XI, era chiamata Plebis Rea, collocata nella Piazza omonima, accanto alla chiesa di S. Onofrio. La Porta e la Chiesa furono insieme distrutte nel 1864. Un documento storico del 15 agosto 1266, depositato presso l'Archivio Storico di Palermo, ne documenta l'esistenza sin dai " tempi remoti", di indefinibile data.
Porta della Gioiosa. Risalente al IX secolo, costruita accanto alla chiesa Madonna degli angeli detta della Porzincuola delle Indulgenze (gioiosa), è stata demolita all'inizio del '900 perché ormai pericolante.
Porta di Ponte. Risalente al IX secolo, fu la più importante porta della città, ed era costituita da un ponte levatoio. La Porta era sormontata da un arco gotico con lo stemma di Federico III d'Aragona, re di Sicilia dal 1296 al 1337. Fu completamente distrutta nel 1868 e ricostruita, senza più l'arco, nello stile neoclassico su progetto di Raffaello Politi. Dell'originaria porta esistono due disegni, uno del 1823 eseguito da Leo Von Klenze e l'altro del 1829 eseguito da Friedrich Maxmilian Hessemer. La Porta di Ponte era anche l'ingresso della via Atenea, principale arteria della città medioevale di Girgenti.
Porta Panitteri. Risalente al IX secolo, si trovava lungo il fossato meridionale della città. Fu distrutto a seguito della costruzione della Stazione Ferroviaria di Girgenti, ricostruita in sede poco distante nel 1930. Di essa rimane un'edicola del XVII secolo raffigurante la Madonna del Lume.
Porta dei Saccajoli. Risalente al IX secolo, detta "dei pastai", è tuttora esistente, in parte interrata. Nel XVI secolo all'interno venne collocata una edicola sacra dedicata alla Madonna del Porto Salvo e successivamente dedicata a Santa Lucia. La chiesetta soprastante fu in seguito distrutta per ragioni urbanistiche, e la Porta rimase seminterrata, ma ancora visibile.
Porta di Mazara. Risalente all'XI secolo, si trova nella parte alta occidentale della città, accanto alla Cattedrale di San Gerlando ed al Seminario dello Steri. La Porta, detta anche "del Pertugio" per via del rimpicciolimento del varco, dovuto alla trasformazione dello Steri in Seminario, venne chiusa nel 1846.
Porta del Borgo. Risalente al IX secolo, era la Porta che aveva prima preso il nome di Mazara, segnava il confine della città con il quartiere del Rabato, venne demolita dal Comune nel 1873.
Porta di Mare. Risalente al XV secolo, è tuttora esistente ma interrata.
Porta del Marchese. Risalente al XIV secolo, era collocata tra le cinque torri meridionali della città medioevali, poi distrutta.
Porta Balnei (Porta dei Bagni). Risalente al XII secolo, faceva parte di un'antica cinta muraria arabo-normanna che fu demolita qualche secolo dopo per l'allargamento della cinta muraria. Il nome Porta Bagni deriva dalla strada che conduceva a sud, attraversando la Giudecca, il lavacro sacro degli ebrei girgentini fino al 1492.
Porta Cannone. Risalente al XVI secolo, si trovava all'estremità occidentale della città, accanto alla chiesa dell'Addolorata, al confine con il quartiere Rabato. Fu demolita per ragioni urbanistiche del tempo, nel 1864. Ma di questa antica porta rimane un eccezionale documento storico in un dipinto del francese Desprez, che erroneamente scambiò il quartiere Rabato con la Rupe Atenea, dove si scorgono la Torre circolare, la Porta Cannone e la chiesa dell'addolorata.
Fossato. Di notevole importanza strategica-difensiva era il Fossato molto profondo creato parallelamente all'interno delle mura meridionali, in tutta la sua lunghezza, tale da rendere quasi impossibile l'accesso ai vicoli della cittadella. Dalla fine del XVII secolo questo enorme fossato, con profondità diverse, venne via via riempito per ragioni strutturali ed urbanistiche, fino al raggiungimento del livello attuale, dove ora sorge la città di Agrigento.».

http://it.wikipedia.org/wiki/Centro_Storico_di_Agrigento#La_cinta_muraria


AGRIGENTO (resti del castello di Agrigento)

La collina di Girgenti, dal sito http://viaggiassotravel.altervista.org   La collina di Girgenti, dal sito www.akragas.com

«Il castello, ubicato al vertice del tessuto urbano, sulla collina di Girgenti, fu costruito per assicurare il controllo della città musulmana appena conquistata da Ruggero e servì da base per completare la conquista della zona. Il castello sfruttava la posizione favorevole del sito, un rilievo naturalmente difeso. Sulla 'collina di Girgenti' si sviluppò la città medievale mentre la 'Rupe Atenea' corrisponde quasi certamente all'acropoli del periodo greco. Ai piedi dell'acropoli, nell'area oggi denominata Valle dei Templi, si estendevano l'abitato e i monumenti pubblici antichi. Purtroppo rimangono pochissimi avanzi del castello, le cui rovine sono state ulteriormente stravolte dalla costruzione di un serbatoio idrico. Dalle fonti documentarie si può ricavare qualche informazione sull'aspetto strutturale del fortilizio in epoca normanna. Nel 1087, la città si arrende ai Normanni e Ruggero vi ordina la costruzione di un fortilizio (castellum firmissimum) munito di torri e propugnacula, qui il Malaterra utilizza le due parole turres et propugnacula che evocano l'esistenza di una cinta munita di torri; nel 1150 ca. è descritto come "un'eccelsa e forte rocca" e come "una delle principali fortezze per l'attitudine alla difesa" da parte di Idrisi. Nel 1273, il castrum Agrigenti è annoverato fra i castelli demaniali. Le rappresentazioni grafiche, elaborate a partire dal XVI secolo, raffigurano un complesso a pianta assimilabile a quella di un trapezio isoscele, con corte interna, due torri di cortina e vari corpi di fabbrica addossati alle mura perimetrali. Le pessime condizioni del castello di Agrigento, in disfacimento totale, non danno la possibilità di aggiungere nulla allo studio delle fonti e i resti fuori terra visibili ed in abbandono non consentono una lettura ricostruttiva dell'impianto. La proprietà è pubblica».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=285


AGRIGENTO (resti del castello di Borangi o Capo di Disi)

Dal sito http://cattolicaeracleaonline.it   Dal sito http://cattolicaeracleaonline.it

«Ciò che resta del castello di Capo di Disi è ubicato in contrada Borangio, case Borangio del comune di Agrigento (da Agrigento, strada statale 115 per Sciacca, uscita Montallegro per Cattolica Eradea; 6 km prima di Cattolica Eraclea, carreggiabile a destra per case Borangio). Il castello medievale è stato trasformato in una piccola masseria fortificata, oggi totalmente abbandonata. Dai ruderi, si può presumere che il castello fosse in origine in realtà una semplice torre di forma quadrangolare, forse rinforzata da un muro di cinta. Tra le strutture residue esiste ancora una botola che metteva in comunicazione il primo livello della torre con una piccola grotta sottostante. I muri conservati hanno uno spessore di ca. 0,50 m e sono costruiti in pietrame legato con abbondante malta. Anche se lo stato di conservazione del complesso, in disfacimento totale, non consente di approfondire la descrizione, riteniamo che Borangi appartenga alla classe delle torri rurali isolate del Trecento. I resti fuori terra visibili non consentono una lettura ricostruttiva dell'impianto. Nel 1211 - il tenimentum di Captedis (poi Capo di Disi) è confermato alla chiesa di Palermo da Federico II. Nel 1305 ca. - castrum de Capo di Disi ecclesie panormitanae. Nel 1355 ca - il castrum Barangij è annoverato nella lista di terre e castelli siciliani. Nel 1456 ante - la chiesa di Palermo cede il castello di Capo di Disi a Gispert d'Isfar. Nel XV secolo (prima metà) - Capu di Disi è annoverato fra i castelli situati in feudi disabitati. L'edificio fortificato, costruito su una piccola rupe con una grotta, sfruttava al massimo il rilievo roccioso, assecondandone l'andamento. Questo sito, di poca rilevanza, è circondato da colline molto più alte, che limitano la visuale ad un territorio agricolo piuttosto ristretto. L'impianto planimetrico era presumibilmente rettangolare. La proprietà attuale è privata e versa in stato di abbandono».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=285


Alessandria della Rocca (castello della Pietra D'Amico)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.alemondo.it

«Parecchi elementi - la struttura muraria e vari ritrovamenti, (utensileria) - inducono a pensare che il Castello della Pietra D'Amico sia sorto nel periodo bizantino (VIII-IX sec. d.C.), a difesa delle incursioni di Saraceni; successivamente fu abitato da questi ultimi, dove stabilirono quelle piccole tribù di agricoltori che venivano dall'Africa. La presenza del Castello della Pietra D'Amico sta a dimostrare l'importanza, nell'allora Baronia, nel territorio alessandrino, di questa roccaforte civile e militare. Le fattezze, dai pochi ruderi rimasti a seguito della sua distruzione avvenuta intorno al XIII sec., si richiamano all'arte romanica; costruito su di un imponente masso, costituiva il perno della economia e della difesa della zona. Durante l'occupazione araba della Sicilia nuclei di popolazioni si stabilirono presso la dimora sicana Gruttiddri formando dei villaggi che in seguito divennero Casali. Nel 1244 il Libellus de successione Pontificum Agrigenti ci porta a conoscenza che nell'attuale territorio alessandrino si trovavano due casali: Scibene e Chinesi, nelle omonime contrade, e che detti Casali versavano la decima alla chiesa agrigentina. La rifeudalizzazione fra il Cinquecento ed il Settecento, con la fondazione di nuovi centri, circa un centinaio, tra cui Alessandria della Pietra, risponde alla primaria preoccupazione dei proprietari terrieri di fissare stabilmente al suolo i lavoratori. La creazione di nuove fondazioni contadine e l'impianto di un centro agricolo, comporta l'acquisto della licenza "populandi". Così, il primo nucleo abitativo, presente in contrada Casteddru, si sposta verso la contrada Prato (Piratu), più ricca d'acqua. Il comune, fondato nel 1570 da Don Carlo Blasco Barresi, assunse, in principio, il nome di Alessandria della Pietra, in onore del feudatario di quelle terre, Presti Alessandro, e del Castello della Pietra d'Amico, nome che conservò sino al 1713, quando, con l'istituzione dei Municipi, prese quello di Alessandria di Sicilia e poi definitivamente con Decreto Reale del 7 novembre 1862, di Alessandria della Rocca, per onorare la Vergine SS. della Rocca, per il ritrovamento del Simulacro, trovato prodigiosamente nella zona detta "Rocca 'ncravaccata"».

http://www.alemondo.it/joomla/index.php?option=com_jumi&fileid=20&Itemid=84


Aragona (castello Barrugeri, non più esistente)

Campagna di Aragona, foto di Patano, dal sito www.panoramio.com   Aragona, foto di Luca Graceffa, dal sito www.panoramio.com

«Nel 1295 è nominato il casale Birigirum. Nel 1350-1450 Barrugeri è annoverato fra i castelli situati in feudi disabitati. La contrada Barrugeri, nel comune di Aragona si trova in una zona agricola quasi pianeggiante. è probabile che il castello sia stato costruito sul luogo dell'antico casale Birigiurum. Nessuna traccia visibile».

http://bettylafeaecomoda.forumcommunity.net/?t=46148466


ARAGONA (palazzo del Principe Naselli)

Dal sito www.aragonaonline.it   Dal sito www.consorziodeitempli.ag.it

«Il palazzo “del principe” di mole rettangolare, con quattro loggette ai suoi angoli, si erge maestoso e domina tutto il tessuto urbano che a vari dislivelli occupa i pendii orientali del monte Belvedere. Venne costruito agli inizi del ’700 e fu arricchito con magnifici affreschi e una ricca pinacoteca che comprendeva due dipinti di Guido Reni, “Il ratto di Proserpina” e “Il ratto d’Europa”. Ma i quadri e la maggior parte degli affreschi andarono perduti nel corso del secolo scorso per ignavia ed incuria dei suoi proprietari, che nel 1875 restaurarono il palazzo distruggendo molte delle pitture. Già nel 1911 Gioacchino Di Marzo, venuto a visitare Aragona, ammetteva amaramente la scomparsa di gran parte degli affreschi. “Recatomi però io sul luogo, egli scrive, alla fine di gennaio del corrente anno mi è toccato subirvi la più amara delusione non trovatovi che una minima parte di si gran copia di dipinti, scomparsone tutto il resto per ignoranza ed ignavia del tempo. Vi ho saputo, che, minacciando crollare la volta dipinta del gran salone del passato secolo XIX, il Principe Baldassare Naselli Morso, anziché ripararlo, né affretto il crollo ed indi se né servì del legname in sostegno di una solfara pericolante”. “L’incarico di affrescare le volte delle sale del palazzo fu dato al Borremans da Baldassare Naselli Branciforti, che aveva assunto il principato nel 1711. Fu capitano e pretore a Palermo dal 1724 al 1738 ove sperperava le ricchezze accumulate ad Aragona. Qui ebbe modo di conoscere ed apprezzare il nostro autore. Non si hanno elementi per poter stabilire con esattezza il periodo in cui furono ultimati i lavori, però, è certo che furono i più importanti del Borremans e forse anche gli ultimi visto che è morto a Palermo nel 1744. ... Nei nostri giorni il palazzo è stato occupato per metà dal Municipio, trasferito in un moderno edificio nella parte nuova del paese, e per l’altra metà dalle suore Suore di carità e dall’orfanotrofio femminine. In questa seconda parte, non aperta al pubblico, si conservano ancora solamente gli affreschi di una loggetta, deteriorati dai fenomeni atmosferici ... Gli affreschi di questa volta ancora esistenti, sicuramente dovevano essere i principali e i più importanti di quelli fatti dal Borremans nel palazzo come si può dedurre dai loro significati allegorici e simbolici, celebrativi della virtù e delle doti della famiglia Naselli, committente dell’opera. In alcune stanze, sempre nella parte del palazzo occupata dall’orfanotrofio e dalle Suore di Carità, si conservano ancora parti di affreschi con figure decorative. Il sacerdote Luigi Burgio Naselli, tra gli ultimi discendenti dei fondatori di Aragona, con atto del 18 dicembre 1887, stilato dal notaio Antonio Schiavo, fondò il Pio Istituto Orfanotrofio Femminile Principe Aragona e alla sua morte gli lasciò in dote tutto il palazzo, con testamento fatto il 28 settembre 1889. ... Ancora oggi il palazzo è occupato per metà dall’orfanotrofio con le suore di Carità, ridotte a 6 e per metà dalla Biblioteca Comunale».

http://www.aragonaonline.it/palazzo_principe.htm


ARAGONA (torre del Salto d'Angiò)

Dal sito http://agrigento.mondodelgusto.it   Dal sito http://agrigento.mondodelgusto.it

«A soli 12 km da Aragona, piccolo paese in provincia di Agrigento, si erge la famosa Torre del Salto d'Angiò, detta, in gergo, "a Turri". Dalla forma rettangolare, inglobata in un casale costruito sul finire del XVIII sec. dalla famiglia Morreale, è sita su un banco di arenaria e si affaccia sulla vallata del feudo Muxaro e del fiume Platani. Secondo una breve ricostruzione storica, nel 1240 Federico II, dopo la morte del vescovo Ursone, ordina ai canonici agrigentini di dargli un successore nella persona di Raimondo D’Acquaviva. Nel 1305, sotto il pieno dominio Angioino, Bertoddo, “vescovo di Girgenti" dispone sia fatta un'inquisizione intorno al Massario. Sempre nel 1305 Francesco da Todi, beneficiato del Massario con il consenso del vescovo Bertoddo, non potendo sostenere spese di quel luogo, lo dà al magnifico Giovanni di Chiaramonte, in cambio del castello di Morgidiar ed altri beni. Il Manco, nel “mobiliare di Sicilia”, parla di una famiglia Chiaramonte di origine normanna, la quale si dice aver avuto, fra tanti possedimenti, il feudo di Muxaro. Il Manco sostiene inoltre che tutti i beni di Manfredi di Chiaramonte passarono ad Andrea Chiaramonte, il quale si batté tenacemente contro l’invasione della Sicilia da parte del re Martino, organizzando la resistenza nelle zone di Castrofilippo. Manfredi III morì nel 1391, lasciando in eredità le sue sostanze alla figlia. Andrea Chiaramonte fu fatto prigioniero con l’inganno e venne decapitato nell’anno 1392 di fronte allo Steri di Palermo. Questo avvenimento segnò la fine di Chiaramonte in Sicilia. Tutti i beni della famiglia furono confiscati dalla corona. Lo stesso re Martino e la regina Maria concessero il feudo a Filippo de Merino, a lui successe il figlio Ruggiero. Dal 1750, parte dei feudi di Muxarello e Cantarella sono stati proprietà della famiglia Morreale. Don Biagio Morreale comprò la baronia di Maccalube nel 1764 dal principe di Aragona: Baldassare Naselli. Dopo la morte di don Biagio Morreale, il figlio Giuseppe I ereditò i beni compresa la torre “normanna” sita nel feudo Salto d’Angiò. Oggi, la Torre, sebbene manifestazione di un enorme patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale, sembra sia stata oggetto di ripetuta indifferenza negli anni da coloro i quali avevano ed hanno il dovere morale di tutelarla. ...».

http://agrigento.mondodelgusto.it/2010/01/25/itinerari-suggestivi-agrigento-torre-del-salto-d-angio-aragona/


Bivona (il Casino)

Dal sito it.wikibooks.org   Dal sito it.wikibooks.org

«Il Casino (XVII secolo), sito in prossimità del Monte Il Casino, da cui prende nome. Si tratta di una costruzione con rinforzi angolari (a forma di torre) che domina l’alto di un colle, da cui si scorge la Diga Castello, situata a pochissimi chilometri. Il complesso, che assume le sembianze di un vero e proprio castello, si svolge su una pianta articolata di forma rettangolare. All’interno sono ancora presenti i ruderi di una cappella religiosa, decorata da stucchi settecenteschi, e i ruderi di altri ambienti con arcate, dai quali era possibile raggiungere i piani superiori dell'edificio. Si pensa che tale costruzione fosse di epoca secentesca e che fungesse da residenza per i periodi di caccia ai nobili del luogo. A breve distanza dal "Casino" si trova un abbeveratoio ottogonale, probabilmente attinente all'edificio».

http://it.wikibooks.org/wiki/Bivona/Monumenti_e_luoghi_d%27interesse


Bivona (mura, porte)

Foto di markos90, dal sito it.wikipedia.org   Ex via Arco Trizzino, foto di markos90, dal sito www.panoramio.com

«Le mura di Bivona costituivano il sistema difensivo e la cinta muraria di Bivona, comune italiano della provincia di Agrigento in Sicilia. La cinta muraria di Bivona risale alla prima metà del XIV secolo: nel 1358, infatti, il paese fu classificato come terra, che indicava un abitato cinto di mura e munito di un castello; nella Descriptio Feudorum di re Federico III, risalente ai primi anni del Trecento, Bivona era ancora indicata come casale, cioè un abitato aperto e a carattere agricolo. La necessità di innalzare le mura difensiva del paese fu dovuta all'espansione demografica di Bivona nel periodo della guerra del Vespro: divenuta una cittadina di media grandezza già nella prima metà del Trecento, il castello non era sufficiente a fornire la dovuta protezione agli abitanti e si rese necessaria l'erezione della cerchia muraria. Le mura di Bivona cinsero il nucleo più antico della città almeno fino alla fine del Cinquecento. Il circuito delle mura di Bivona può essere ricostruito grazie alla presenza di documenti in cui è citata l'esistenza di alcune chiese o cappelle intra ed extra moenia o di toponimi in uso in età medievale. Il perimetro delle mura costituisce, grosso modo, il centro storico cittadino: la struttura urbanistica assai irregolare di questa parte dell'abitato si distingue nettamente dai quartieri del paese costruiti successivamente.

Il tratto settentrionale delle mura, identificabile con la cortina di case di via Sirretta, formava verosimilmente un unico sistema difensivo con il castello; al di fuori delle mura, in prossimità dei quartieri Castello, Fontanza Pazza e Sant'Agata, si trovava il quartiere denominato Rabatello, che nei paesi siciliani indica un sobborgo posto fuori la cerchia muraria. Nel tratto occidentale insisteva la cosiddetta Porta dei Cavalieri, attestata fino al XVII secolo, nonostante non svolgesse più la sua funzione originaria. Fino alla seconda metà del Novecento erano visibili i ruderi di un bastione appartenuto alla parte occidentale delle mura cittadine ... La parte meridionale delle mura si trovava poco a valle della chiesa madre chiaramontana; un rogito del 1488 ne conferma tale localizzazione: Nel tratto sud-occidentale doveva esserci una postazione di guardia, come attestato dal toponimo Garita (documentato per la prima volta nel 1593), il cui significato, "torretta di legno per il ricovero delle sentinelle", rimanda al sistema di fortificazioni. Ancora oggi un quartiere bivonese è denominato dei Garitani. Il tratto orientale si trovava nei pressi del fiume Alba, che attraversava da nord a sud il paese lungo le attuali via Lorenzo Panepinto e piazza Guglielmo Marconi. Al di fuori di questo tratto di mura fu costruita la chiesa di Santa Rosalia, come descritto in una lettera del 1607. I resti delle mura orientali erano ancora visibili fino alla prima metà del XIX secolo: sono citati, infatti, in documenti del 1714, del 1752 e del 1838.

Le porte, poste in corrispondenza delle vie di accesso nel paese, dovevano essere almeno quattro, anche se ne risultano documentate solo due (Porta dei Cavalieri e Porta dei Ferri). Porta dei Cavalieri, nel tratto occidentale delle mura: si trova notizia di essa in alcuni documenti del XVI secolo ed esisteva ancora nel 1664. La porta si trovava in corrispondenza della via che da Bivona conduceva verso Burgio e Sciacca. Il toponimo, di origine incerta, si riscontra anche nel nome di una porta della cinta muraria medievale di Agrigento. Porta dei Ferri, nel tratto orientale delle mura: documentata in un atto notarile del 1547 e in uno del 1555, da essa iniziava la via che conduceva a Santo Stefano, Cammarata e Palermo. Il toponimo potrebbe indicare la presenza di ferraioli nel quartiere. Porta meridionale, di cui si sconosce il nome: si trovava in corrispondenza della via per Girgenti, nei pressi della vecchia chiesa madre chiaramontana. Porta settentrionale, di cui si sconosce il nome: al di fuori delle mura settentrionali si trovava il quartiere Rabatello. A Bivona esistono, inoltre, due toponimi, Porta Palermo e Porta Vecchia, che, riscontrandosi per la prima volta nella toponomastica cittadina nella seconda metà dell'Ottocento, non dovrebbero riferirsi ad antiche porte esistenti lungo il circuito murario del paese».

https://it.wikipedia.org/wiki/Mura_di_Bivona


Bivona (palazzo Ducale)

Foto di markos90, dal sito www.panoramio.com   Foto di markos90, dal sito www.panoramio.com

«Edificato intorno alla metà del XVI secolo (per volere di Giovanni Vincenzo de Luna o del nipote Pietro), è sito tra piazza Ducale, via Lorenzo Panepinto e via Telegrafo, nella parte centrale del paese. Nel 1554 prese il nome di "palazzo ducale" in quanto venne abitato da Isabella de Vega e Pietro de Luna, che aveva acquisito il titolo di Duca. La coppia trasferì la propria residenza in Bivona dopo aver trascorso un periodo a Palermo. Raggiunse la struttura definitiva sotto durante la signoria di Pietro de Luna, che al nucleo primitivo della costruzione incorporò un gran «tenimento» di case cedutegli da Giovanni Francesco Raineri per un censo annuo di 15 onze. Fu sede delle famiglie ducali che succedettero ai de Luna stanziatesi in Bivona, fino a quando, nel XIX secolo, venne utilizzato prima come sede di Sottintendenza, poi come sede di Sottoprefettura al primo piano, mentre il piano terra costituiva le carceri distrettuali e circondariali. Nel 1927 divenne sede del municipio di Bivona, con gli uffici allocati sempre al primo piano, il "piano nobile". Nella seconda metà del Novecento la parte meridionale del palazzo, prospiciente la piazza Ducale, venne demolita perché ridotta in pessime condizioni, e venne costruito un nuovo edificio a più piani che fungesse da Municipio e da albergo. Del palazzo originario oggi rimane solamente una piccola parte, quella settentrionale, divenuta abitazione privata».

http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Ducale_%28Bivona%29


Bivona (palazzo Marchese Greco, palazzo dei Baroni Guggino)

Il palazzo Marchese Greco, dal sito www.magaze.it   Il palazzo dei Baroni Guggino, dal sito http://vivivivona.blogspot.it

«Il palazzo Marchese Greco risale al XVIII sec., realizzato in stile tardo barocco e riproduce, in modo del tutto originale, i rispettivi modelli spagnoli. Presenta otto balconi sulla facciata principale. Il balcone angolare occidentale presenta grottesche figure di pietra, simili a delle cariatidi, che ricordano i mostri che decorano Villa Palagonia a Bagheria di Palermo e i balconi di Palazzo Nicolaci di Noto. Le sculture esterne rappresentano forme vegetali e frutti, simboli di abbondanza materiale e prosperità economica. Il palazzo è stato ultimato nel 1707, e successivamente è stato sede della Sottintendenza di Bivona. Nella parte orientale è presente lo stemma del Marchesato della famiglia Greco. Famiglia nobile di origine palermitana, uno degli esponenti più importanti è Ignazio Maria Greco che fu nominato marchese di Valdina e primo marchese in casa Greco, esso era un tipo molto stravagante e misterioso eccentrico e controverso, amante dell’arte e al tempo stesso uomo molto religioso, tanto da essere ricordato nel suo mausoleo (scolpito dal noto scultore del 700 Filippo Pennino), che si trova nella Chiesa dei Cappuccini, come “pater patriae” ovvero benefattore e protettore dei bivonesi amico del principe di Palagonia Francesco Ferdinando II, entrambi condividevano la passione per l’alchimia non a caso i cariatidi del balcone richiamano i mostri di villa Palagonia a Bagheria (Pa). Nella seconda metà del XVIII secolo il marchese Ignazio Greco trasferì la propria residenza nella città di Palermo. Lo scudo della famiglia si presenta azzurro, con cometa d’argento, ondeggiante in palo, accompagnata da tre conchiglie dello stesso, 2 in capo e 1 in punta. La struttura è di proprietà del comune; completamente restaurato all’interno rimane poco dell’originale palazzo, ma ben conservato nella parte esterna, sarà sede del Parco dei Monti Sicani. ... Palazzo dei Baroni Guggino, sito tra piazza Guggino e via Sirretta, nella parte occidentale del paese. Un tempo era abitazione della famiglia Guggino, che deteneva un Baronato. La facciata principale presenta cinque balconi, di cui uno angolare (quello posto sul lato ovest); l'intera abitazione si sviluppa attorno ad una xanèa, all'interno del quale si trova un'edicola sacra. L'edificio, che un tempo fu anche della famiglia del Marchese Greco, attualmente è di proprietà privata».

http://vivivivona.blogspot.it/p/cosa-visitare.html


Bivona (resti del castello)

Dal sito www.consorzioparsifal.it   Dal sito www.esplorasicilia.com

«Il castello di Bivona (torre di Bivona; castrum o turris Bibonae) è ubicato nel centro urbano, tra la via Panepinto e la via Benedettini. Il castello sarebbe stato fondato nella prima metà del XIV secolo. Nel 1355 ca., la terra Bibone è annoverata in una lista di terre e castelli siciliani. Nel 1359, la terra è quasi distrutta da Francesco e Guido Ventimiglia e la torre ibi de novo rehedificata ad opera di Corrado de Aurea, Sicilie admirato, quam proposuit custodire. Nel 1397, Nicolò Peralta riceve la terra e il castello di Bivona e nel 1406, Francesco Castellar è titolare della terra di Bivona. Oggi i resti sono inglobati in strutture successive, che rendono non rilevabile l'impianto planimetrico. La proprietà è pubblica».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=286


Bivona (torre dell'Orologio, altre torri)

Dal sito http://vivivivona.blogspot.it   Dal sito www.esplorasicilia.com

«Una torre dell’orologio esisteva a Bivona già nel 1588: corrispondeva al campanile della chiesa di San Giovanni, nella piazza principale del paese, e presentava un orologio che fino al 1775 ha scandito solamente le ore, per diversi decenni; venne sostituito con un altro, attualmente ancora in funzione, in grado di scandire anche i quarti, costruito da don Giuseppe Cambria, abitante di Corleone» - «...la sua struttura è divisa in tre sezioni: nella prima abbiamo la porta di accesso, nella seconda una piccola finestra ad oblò e nell’ultima sezione l’orologio. All’esterno gli spigoli della costruzione sono messi in rilievo da un ritmico gioco di mattoni che sporgono e rientrano e che accentuano ancora di più la verticalità dell’opera. L’orologio suona a ritmo di campane ogni ora e segna tutti i quarti d’ora fino ad oggi» - «Torre di guardia, o Turris Bibonae, citata nel 1299 in un documento di cessione del castello di Bivona, in cui era stata inglobata. Torre difensiva, presso il "Ponte Pisciato" facente parte della cinta muraria cittadina, i cui ruderi erano visibili fino agli anni Sessanta».

http://www.promotour.org/file/iPalazziBivona.pdf - http://vivivivona.blogspot.it/p/cosa-visitare.html - https://it.wikipedia.org/wiki/Bivona...


BURGIO (castello "arabo" o castello Peralta)

Dal sito www.icastelli.it   Dal sito www.comune.burgio.ag.it

«Difeso su due lati dai torrenti Garella e Tina, il Castello sorge su un’altura rocciosa soprastante il paese. Molto probabilmente di origine saracena, è collegato al paese da una lunga scalinata. Le sue dimensioni sono contenute: lunghezza 20,10, larghezza 12,10, altezza 17,50. Sul fronte, rivolto verso il paese e la Chiesa Madre, un arco ogivale a doppio incasso che un tempo costituiva l’unico ingresso della struttura, posto in alto e accessibile attraverso una scala. La facciata del castello guarda a mezzogiorno, ed è arricchita da una finestra bifora. L’interno ha subito molte trasformazioni e interventi nel corso dei secoli ma conserva la sua antica eleganza: al pianterreno troviamo due vani con volte a botte a sesto acuto, collegati tramite una scala interna ai tre vani del primo piano. Al secondo piano, due ballatoi scoperti. La sala al pianterreno rivolta a sud-ovest è dotata di impianto igienico – così come quella corrispondente del secondo piano – mentre quella a nord-est è illuminata da strette feritoie, e mostra la particolarità di un sedile scavato nella roccia, nel lato maggiore. Sopraelevata, è ricavata nel muro un’edicola sacra. La Chiesa Immacolata (Santa Maria della Motta) svolge funzione di cappella del castello. Il campanile è rivestito di maioliche colorate. Recentemente ristrutturato, il Castello è ora visitabile anche all’interno».

http://www.visitaburgio.it/index.php/en/arte/castello-peralta


BURGIO (ruderi del castello di Cristia)

Foto Accursio Castrogiovanni, dal sito www.panoramio.com   Dal sito www.rblob.com

«A 10 km a nord di Burgio, in località San Carlo, si trova il sito del castello di Cristia alla sommità di un imponente rilievo che domina la valle del Sosio. Questa rupe isolata (514 m) con pareti verticali inespugnabili è difficilmente raggiungibile: solo dal versante orientale, dopo una lunghissima e faticosa salita, si arriva ad un avamposto costituito da un edificio oblungo di pianta pentagonale (ca. m 12 x 6,50), oggi in rovina. Si potrebbe trattare di una torre di guardia o forse di una chiesetta orientata ad est. Più avanti un fossato artificiale protegge l'accesso alla cima, raggiungibile soltanto tramite uno stretto passaggio roccioso praticabile da una persona alla volta. Le vestigia del castello presentano pianta pressoché rettangolare (52 x 39 m ca.) con torri rettangolari agli angoli nord, sud e ovest. Solamente la torre occidentale e quella meridionale sono ancora in piedi, quella settentrionale conserva i primi filari di pietra mentre della torre orientale, qualora sia esistita, non rimane nulla in superficie. La torre occidentale, ouverte a la gorge, possedeva un cammino di ronda alla sommità, mentre il muro orientale presenta una piccola feritoia strombata (0,14 x 0,74 m est.; 0,65 x 0,90 m int.). Queste torri erano integrate nel percorso della cinta senza sporgere. Il muro di cinta misura ancora in alcuni punti 4 m di altezza con uno spessore di 1,20 m. Il lato nord-est era occupato da stanze di 4,80 m di larghezza con un muro interno di 0,80 m di spessore. Il cortile è occupato da una grande cisterna (10 x 4 m ca.) coperta da una volta. I muri sono costruiti con l'impiego di pietre di piccola e media dimensione, legate con abbondante malta che fuoriesce. Questa tecnica costruttiva irregolare, che implica una costruzione rapida ed economica, si ritrova in molti castelli siciliani e caratterizza soprattutto quelli eretti nel XIV secolo. Notizie storiche: il castello di Cristia era un fortilizio feudale a guardia del latifondo della vallata. Si pensa che la sua costruzione sia avvenuta nel XIV secolo, forse ad opera dei Ventimiglia. L'identificazione del castello di Cristia con il sito della città antica di Scirtea, ancora oggi riportata dalle carte stradali, è da ritenersi unicamente frutto dell'assonanza fra i toponimi...».

http://www.virtualsicily.it/Monumento-Castello%20di%20Cristia-Burgio-AG-485


CALTABELLOTTA (resti del castello e torre normanna)

Dal sito www.camperweb.it   Dal sito www.consorziodeitempli.ag.it

«I due nomi del castello di Caltabellotta, che da alcuni è chiamato Conte Luna e da altri della Regina Sibilla (per distinguerlo dall’omologo di Sciacca) derivano: il primo dalla famiglia più importante che, nel corso dei secoli, ne ha detenuto per più tempo la castellania; il secondo da un fatto storico avvenuto all’interno di esso. Pochi segni rimangono di quella che doveva essere un’inespugnabile roccaforte; solamente un muro, un significativo portale e le fondamenta di alcuni vani resistono alle ingiurie del tempo. Anche se dal punto di vista architettonico poco è conservato, tuttavia è sempre entusiasmante salire lungo la ripida scalinata incastonata nella roccia, che permette di raggiungere la vetta a quota 949, comunemente detta il Pizzo, sulle cui pendici sorgevano le possenti mura dell’antico maniero. Carichi di leggenda e di storia, i pochi ruderi rimasti riescono ancor oggi ad infondere nel visitatore il fascino dell’antico Medioevo. Là, in alto, lo sguardo del visitatore può spaziare a 360 gradi ed è possibile ammirare uno splendido paesaggio, dall’entroterra siciliano fin dentro il mare africano, che non fa rimpiangere la limitatezza delle strutture castellane. Ci si rende così conto dell’importanza strategica che ebbe fino a quando, negli ultimi secoli del Medioevo, raggiunse il suo massimo splendore. Da lassù sono facilmente visibili: il castello di Giuliana, per qualche tempo pure dei Peralta; i resti del castello di Cristia, inerpicato su un promontorio sopra l’abitato di S. Carlo (Pa), che nel XIV secolo fu di notevole importanza strategico-militare nelle vicende che insanguinarono la Sicilia di allora; il castello saraceno di Burgio; il castello di Poggiodiana, posto al confine fra il territorio di Caltabellotta e di Ribera, di cui rimangono splendide vestigia e il Castello Luna di Sciacca, appartenuto alla stessa potentissima famiglia.

Il castello di Caltabellotta pare sia stata riedificato nel 1090 all’arrivo dei Normanni. Tale riedificazione pertanto è avvenuta contemporaneamente a quella della chiesa della Madonna della Raccomandata, successivamente dedicata a S. Francesco di Paola, e alla chiesa del Salvatore, ubicata alle pendici del monte, la cui porta originaria era rivolta proprio in direzione del castello. Aldilà degli aneddoti popolari tramandati oralmente, è storicamente accertato che il castello di Caltabellotta, comunque lo si voglia chiamare, fu il luogo in cui venne ospitata la regina Sibilla e dove risiedeva, preferibilmente, la famiglia Luna al tempo del “Caso di Sciacca”. Nel 1194, infatti, morto re Tancredi cui successe il figlio Guglielmo III ancora fanciullo, la regina madre Sibilla cercò di organizzare la resistenza nell'isola contro lo svevo Arrigo VI, che avanzava alla conquista del regno di Sicilia e per prima cosa si preoccupò di mettere in salvo il giovane re e le altre tre figlie in questa sicura e inaccessibile rocca. Essendo il Pizzo un punto preminente rispetto ai territori circostanti e Caltabellotta luogo abitato fin dal tempo dei Sicani, certamente nei millenni sarà stato sempre adibito a posto di vedetta, considerando anche che, in giornate particolarmente favorevoli, è possibile potere osservare, a oriente, l’Etna quando è in attività, l’isola di Pantelleria e un notevolissimo numero di centri abitati. Vari avvenimenti saranno sicuramente avvenuti all’interno di questo maniero. Secondo alcuni storici si vuole che nel novembre del 1270 sia stato tenuto al suo interno un famoso banchetto da Guido di Dampierre conte di Fiandra il quale, sbarcato a Trapani di ritorno dalla Crociata fatta con re Luigi IX di Francia, che in quell'impresa trovò morte e santità, volle festeggiare i suoi compagni d'arme assieme a re Carlo d'Angiò. Il nome di questo castello è ricordato anche, in una sua novella, dal Boccaccio (Decamerone, giorn. 10.7). In essa si narra che attorno al 1282, la giovane Lisa Puccini invaghitasi perdutamente di re Pietro d'Aragona, quasi a morirne, pregò un valente trovatore di raccontare al re, in versi, la sua pena. Re Pietro commosso da tanto amore si recò da lei, che dalla gioia fu subito guarita, e le diede in sposo il nobile giovane Perdicone e in dote il castello e le terre di Caltabellotta. Verso la fine del XIII secolo divenne proprietà prima dell’Abate Barresi e poi di Federico di Antiochia; in seguito passò a Raimondo Peralta, che ottenne da Pietro II il titolo di Conte di Caltabellotta, e più tardi a suo figlio Nicolò la cui erede, Margherita, andò in sposa ad Artale Luna. Il maniero rimase alla famiglia Luna per più di due secoli fino al 1673 quando ne divenne castellano Ferdinando d’Aragona Moncada; per successive eredità passò ad Antonio Alvares Toledo duca di Bivona (1754) dopo di che il castello decadde».

http://www.caltabellotta.com/monumenti/castello.asp (a cura di Giuseppe Rizzuti)


Camastra (ruderi del Castellazzo, torre)

Dal sito      Foto di Carnicus, dal sito www.panoramio.com

«L'altura del Castellaccio di Camastra è stata identificata con la leggendaria città di Camico. Nella parte dell'altura che guarda ad ovest, si osservano ancora oggi i resti delle mura ciclopiche, costruite con gran massi irregolari, sovrapposti senza muratura. Tali mura, allungandosi verso sud,si connettono con una parete intagliata nella viva roccia. Nelle adiacenze esistono i resti di una scala incavata nella pietra,da cui,probabilmente, si accedeva alla città. Dallo studio dei ruderi possiamo desumere che essi appartenevano ad un castello; ciò che si conserva ancora di quella costruzione è una terrazza a forma di torre. Nelle vicinanze del colle si possono ancora notare, oltre agli ipogei ed ai sepolcreti, interessanti opere di escavazione: le famose grotte di "Regamé" (si può affermare che esse servivano come abitazioni ad uso di popoli di origine diversa)».

http://ducaspina.jimdo.com/dove-siamo


CAMMARATA (ruderi del castello normanno)

Dal sito www.promotour.org   Dal sito http://web.tiscali.it/ondecorte

«Costruito nel secolo XIII, fu dimora dei Signori di Cammarata. A seguito di crolli, avvenuti in epoche diverse, è rimasto ben poco dell’intera struttura: alcuni muri perimetrali, una parte dell’antico edificio, oggi sede dell’Istituto religioso “Figlie di Maria Ausiliatrice” e la torre. Dopo la fine del feudalesimo sorse una controversia fra gli eredi dei Signori ed il Comune per contendersi la proprietà del Castello. Successivamente si giunse ad un compromesso, per cui toccò al Comune una parte di esso, precisamente la torre, che fu utilizzata come carcere mandamentale fino agli anni 70. In seguito l’intera struttura è stata considerata patrimonio architettonico da salvare, ed è stato oggetto fino a qualche anno fa di interventi di restauro e consolidamento. Oggi la torre, che è la parte meglio conservata, in attesa di istituirvi un museo permanente, è utilizzata per l’allestimento di mostre e manifestazioni vari».

http://www.comune.cammarata.ag.it/site/la-storia


CampOBELLO di Licata (castello Bifar, non più esistente)

Campagna di Campobello di Licata, foto Fau, dal sito it.wikipedia.org   Particolare del 'baglio' Lauria, campagna Campobello di Licata, dal sito www.ulissetouroperator.com

«Bifar è il nome di un antico castello sito nella cittadina siciliana di Campobello di Licata in contrada Bifara, e distrutto definitivamente da un terremoto nel 1693, come attestano alcuni documenti presenti nell'Archivio Comunale del paese. Oggi l'esistenza del castello, anche se non più visibile, è attestata da alcuni documenti, come gli scritti dello storico normanno Goffredo Malaterra. A Malaterra si deve, infatti, la testimonianza che ci rende a conoscenza della data di conquista del forte da parte dei Normanni, che si aggirerebbe intorno al 1086».

http://it.eravo.com/Bifar


Canicattì (ruderi del castello Bonanno)

Dal sito www.consorziodeitempli.ag.it   Dal sito www.consorziodeitempli.ag.it

«Quel che resta dell'antica costruzione, oggi, non ci consente di tentare nemmeno una ideale ricostruzione. Probabilmente il castello venne costruito nel 1089 da Ruggero il Normanno, è anche probabile che nel luogo dove Ruggero I costruì il castello, vi fosse prima un fortilizio arabo. è noto che gli arabi, durante la loro dominazione eressero fortilizi a guardia delle valli e delle strade più importanti dell'isola. Ruggero I non avrebbe fatto altro, quindi, che restaurare l'abbandonato "ribat" arabo di Canicattì per assegnarlo ad uno dei suoi amministratori, ad una delle famiglie più fidate tra quelle che avevano proceduto con lui alla conquista dell'isola. L'ingresso al castello era costituito da un imponente portone centrale, che oltre una corte coperta, introduceva in un ampio cortile nel quale si aprivano i magazzini, le stalle, i fienili, gli alloggi degli armigeri, e una piccola cappella. Le celle carcerarie erano al pianterreno del castello, attorno a un vasto cortile, al centro del quale si ergeva una cisterna per la raccolta delle acque piovane. Di fronte, in tre ampie sale, c'era esposta la famosa Armeria. Al piano superiore, a cui si accedeva da una larga e fastosa scala d'onore, c'erano gli appartamenti nobili del barone e della baronessa, con una grande camera d'angolo, strutturata come cappella per le cerimonie religiose. Secondo la tradizione, fu il Conte Ruggero a rendere famoso in tutta la Sicilia il castello di Canicattì per avervi trasportato le armi sottratte agli Arabi nella battaglia di Monte Saraceno, per consacrarle all'Immacolata in segno di gratitudine per il miracolo concessogli ed esposte nel castello. L'Armeria del castello divenne ben presto famosa in tutta la Sicilia, per le armature militari di ogni sorta e dimensione, specie cavalleresche ma ancora di più per l'eccezionale spada e lo scudo del conte Ruggero. La raccolta venne dispersa nel 1827 quando il sindaco di Canicattì Leonardo Safonte La Lumia, per non pagare una piccola somma per la custodia dell'Armeria, regalava la collezione ai Borboni. Questi collocarono i reperti nel museo di Capodimonte, da dove, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, furono trasferite all'Armeria Reale di Torino. Epoca di splendore fu per il castello di Canicattì la prima metà del Seicento, in cui barone della città era il duca Giacomo Bonanno Colonna. Questo precursore dei tempi gettò le basi per il futuro sviluppo della città nella zona bassa pianeggiante, favorendone il progresso come importante centro viario e commerciale».

http://www.comune.canicatti.ag.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/194


CASTELTERMINI (castello di Chabica)

Dal volume "Castelli medievali di Sicilia", 2001, Regione Sicilia   Dal sito www.paesionline.it

«La torre di Chabica era sita nel comune di Casteltermini, e porta il nome dell'antico casale (torre Fabbrica). Era un tipico esempio di fortilizio isolato costruito per il controllo del latifondo. Essa sorgeva su una collinetta da cui si domina un vasto territorio agricolo. Di pianta quadrangolare, era costruita in opera incerta di pietre di piccola e media dimensione con angoli rinforzati da cantonali squadrati. La torre è stata demolita anni fa per la costruzione di una casa privata».

http://www.vivisicilia.com/index.php?option=com_content&task=view&id=293&Itemid=161


CASTELTERMINI (castello di Comiso o di Fontana Frigida, non più esistente)

Dal volume "Castelli medievali di Sicilia", 2001, Regione Sicilia   Casteltermini, dal sito www.afctatarata.com

«Il castello di Fontana Frigida era ubicato su una piccola collina, localizzata nel punto di confluenza del fiume Gallo d'Oro con il Platani, sulla riva destra di quest'ultimo. Ai piedi della collina si raccolgono numerosi frammenti di ceramica romana. Il castello ubicato in contrada Fontana Fridda (da Palermo, strada statale 121 per Agrigento; uscita Milena, dopo ca. 1 km, strada sulla sinistra) è documentato la prima volta alla metà del XIV secolo. ... Le vestigia visibili sulla sommità della collina appartengono ad una costruzione moderna in pessimo stato di conservazione. Solamente uno studio metodico, con rilievo dell'edificio e analisi stratigrafica delle murature, potrà dare la possibilità di rintracciare eventuali parti dell'originario impianto medievale. Malgrado il documento che segnala delle abitazioni (probabilmente semplici pagliai abitati temporaneamente che scompaiono comunque nella seconda metà del XIV secolo), riteniamo di poter classificare Comiso o Fontana Fredda fra i castelli rurali isolati del Trecento. Si delinea, inoltre, una continuità nelle funzioni dell'edificio (come centro delle attività rurali) tra medioevo ed epoca moderna: castello rurale isolato nel Trecento, fondaco fortificato nel Quattrocento e, poi, masseria fortificata; la concentrazione di frammenti ceramici nella parte bassa del sito permette inoltre di supporre un'occupazione già in epoca romana. L'impianto planimetrico è irriconoscibile. L'uso attuale è di masseria in abbandono. La proprietà attuale è privata».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=294


Cattolica Eraclea (resti del castello di Platano)

Resti di torre sul monte della Giudecca, dal sito http://cattolicaeracleaonline.it   Resti di torre sul monte della Giudecca, dal sito http://cattolicaeracleaonline.it

«Ubicazione: con buona probabilità è da identificarsi con il sito archeologico di monte della Giudecca, raggiungibile in automobile da Cattolica Eraclea.  Localizzazione storica: Val di Mazara. Cronologia delle principali fasi storico-costruttive: la fortezza è attestata fin da eta bizantina; il sito fu probabilmente abbandonato nel corso delle guerre antimusulmane di Federico II. Notizie storiche: 839-840 - la fortezza bizantina di Iblatanu si arrende ai musulmani ... Iblatanu, insieme ad altre fortezze della Sicilia occidentale, rompe l'aman stipulata una ventina di anni prima, si ribella, viene assediata dai musulmani e presumibilmente espugnata o costretta nuovamente alla resa ... 939-940 - la località è assediata durante un episodio delle guerre civili musulmane del X secolo ...  1086 - Platanum, insieme ad altre fortezze musulmane dell'area agrigentina è conquistata da Ruggero I. ... 1150 ca. - Idrisi la descrive come sito incastellato ed ulteriormente protetto da un fortilizio: hisn e ruqqah. "Platano, superbo fortilizio in alto sito"; "il castello di Platano è abitazione in sito alto, dominato da un'eccelsa rocca" ... 1206 - è ricordato come centro della ribellione musulmana ... 1211 - è menzionato il tenimento di Platani ed i suoi casali ... XIV (prima metà) - è ricordato fra le fortezze siciliane da un geografo arabo che certamente attinge però a fonti precedenti ... è probabile che nella prima meta del XIV secolo Platano fosse già abbandonata, molto verosimilmente fin dagli anni della repressione federiciana della grande rivolta islamica. Stato di consistenza: resti fuori terra visibili che non consentono una lettura ricostruttiva; resti interrati. Impianto planimetrico: non rilevabile. Rapporti ambientali: monte della Giudecca (m 322) si erge completamente isolate su un'ampia ansa del fiume Platani. Il rilievo, di altezza modesta, presenta pero caratteristiche di vera e propria fortezza naturale. è infatti protetto su tutti i versanti da alte pareti rocciose ed era accessibile, prima dell'apertura di una moderna stradella, solo grazie a due o tre sentieri. La sommità del monte presenta un vasto piano inclinato ed un'ulteriore altura isolata che costituisce la cima vera e propria. Il piano inclinato appare sbarrato a quota 250 da un lungo muro orientate in senso sud est - nord ovest che protegge l'accesso meno disagevole al sito. La cima è difesa da mura sui lati nord, ovest e sud che racchiudono i resti di un edificio: potrebbe trattarsi della ruqqah ricordata da Idrisi. Su tutta l'area si raccolgono abbondanti frammenti di tegolame (sono presenti tanto tegole a superficie striata, normalmente definite tardo-romane o bizantine, che coppi ad impasto misto con paglia) e ceramica tanto acroma che invetriata. I reperti suggeriscono un'intensa frequentazione del sito fra il XII e la prima metà del XIII secolo. Sul monte della Giudecca sono stati rinvenuti, inoltre, due frammenti di stele tombali islamiche a forma prismatica orizzontale. Proprietà attuale: pubblica (Demanio Forestale). Uso attuale: l'area di monte della Giudecca è attualmente abbandonata e saltuariamente utilizzata per pascolo».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=308


Comitini (castello della Pietra di Calatasudemi)

a cura di Giuseppe Tropea


FAVARA (castello chiaramontano)

Dal sito www.comune.favara.ag.it   Dal sito www.bebvillajolanda.com   Dal sito www.favara.biz

  

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Rosa Maria Buccellato Dentici (https://www.facebook.com/rosamaria.buccellatodentici)   Foto di Rosa Maria Buccellato Dentici (https://www.facebook.com/rosamaria.buccellatodentici)   Foto di Rosa Maria Buccellato Dentici (https://www.facebook.com/rosamaria.buccellatodentici)   Foto di Rosa Maria Buccellato Dentici (https://www.facebook.com/rosamaria.buccellatodentici)   Foto di Rosa Maria Buccellato Dentici (https://www.facebook.com/rosamaria.buccellatodentici)   Foto di Rosa Maria Buccellato Dentici (https://www.facebook.com/rosamaria.buccellatodentici)

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«Edificato nel XIII sec. dalla famiglia Chiaramonte, riveste particolare interesse perché rappresenta la fase di transizione dalla tipologia del castello a quella del palazzo. Il Palazzo, com'è comunemente chiamato, per la disposizione in quadrato dei corpi di fabbrica, richiama lo schema tipico dei castelli svevi sorti nella Sicilia orientale e si può facilmente paragonare ai "palacia" o "solacia" fatti costruire dal re Federico II di Svevia (1194-1250) in Sicilia ed in Puglia circa 50 anni prima. Il suo parziale uso a residenza non strettamente militare è diretta conseguenza dell'ubicazione poco elevata del maniero che si presenta con un primo ordine di facciata compatto ed un secondo traforato da bifore, talune sostituite, in età rinascimentale da finestre architravate. I locali al piano terra, una volta adibiti a magazzini, scuderie e abitazioni della servitù, presentano volte a botte. Si aprono tutti sul cortile attraverso porte archiacute, con integrazioni del '500, '700 e '800, e prendono luce dalle strettissime feritoie. Nell'androne d'ingresso una lapide reca ancora una misteriosa, indecifrabile iscrizione che la credenza popolare vuole si riferisca ad un tesoro nascosto. Degni di nota sono la cappella e il portale, affiancato su ciascun lato da due colonnine e da un fregio marmoreo rifinito a bassorilievo con amorini alati. I motivi delle decorazioni riecheggiano chiaramente l'età normanna: in particolare i fusti e i capitelli ricordano quelli del chiostro del Duomo di Monreale».

http://www.regione.sicilia.it/turismo/web_turismo/sicilia/it/itinerari/castelli/castello_favara.html


LICATA (castel Nuovo)

Dal sito www.lavedettaonline.it   Dal sito www.lavedettaonline.it

«La difesa della città fin dal 1360 venne affidata anche al Castel Nuovo, edificato sul colle Musardo a guardia del regio caricatore e della muraglia di ponente. Assediato e distrutto nel 1553 dai turchi, rimase per lungo tempo abbandonato. Nel 1604, acquistato dalla municipalità licatese dagli eredi della famiglia Grugno alla quale era stato concesso in perpetuo, fu trasformato in Quartiere per i soldati di fanteria spagnola della Comarca, cui Licata era a capo. Terminate le incursioni barbaresche il baluardo venne smilitarizzato ed abbandonato. Nel 1897, poiché le sue fabbriche erano quasi completamente crollate, il Comune ne decretò la totale distruzione, unitamente alla torre dell'orologio civico che vi era stato collocato nel 1863. Le uniche immagini che restano sono alcune vedute del Settecento».

http://www.lavedettaonline.it/readarticle.php?article_id=10


LICATA (castel San Giacomo o castello Vecchio)

Dal sito www.lavedettaonline.it   Dal sito www.skyscrapercity.com

«Le vicende più remote della città di Licata si identificano, sin dall'inizio, con quelle del regio castello a mare San Giacomo, assurdamente distrutto, tra il 1870 e il 1929, per far posto al nuovo porto commerciale. Oggi della sua possente difesa, dei suoi bastioni, del suo corpo di guardia e del suo sperone, non resta altro che qualche umile elemento murario incluso tra i magazzini edificati sulla sua area verso la fine dell'ottocento. Della sua grande mole ci si può fare un'idea attraverso i disegni della 2a metà del Settecento del vedutista francese J. L. Desprez o qualche foto dell'inizio dello scorso secolo. Posto al terzo posto durante il regno di Corradino di Svevia, fu sempre governato da un regio castellano, scelto tra le più prestigiose famiglie nobili siciliane, e difeso permanentemente da una guarnigione e da numerosi pezzi di artiglieria. Tra il gennaio del 1379 e il 1400 ospitò la regina Maria, figlia di Federico d'Aragona, e il suo consorte aragonese, il re Martino. Assalito ed espugnato l'11 luglio del 1553 dal corsaro Dragut, venne saccheggiato, distrutto e la sua guarnigione, compreso il castellano, passata per le armi. In questa fortezza sino al 1848 fu sempre mantenuto un presidio di veterani. Dopo la restaurazione borbonica del 1849 i suoi superstiti cannoni furono parte trasferiti in altre fortezze parte inabissati in mare».

http://www.lavedettaonline.it/readarticle.php?article_id=10


LICATA (forte Sant'Angelo)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito www.consorziodeitempli.ag.it

  

«è un forte di avvistamento spagnolo risalente alla fine del XVI secolo dal quale è visibile gran parte del litorale e della Piana di Licata. Sorge sull’estrema propaggine orientale della montagna di Licata, a 130 metri s.l.m. e domina il porto a meridione, la città e la pianta e settentrione. La costruzione venne iniziata da Hernando Petigno, comandante generale della cavalleria del Regno di Sicilia e Governatore della Piazza militare di Siracusa, nel 1615 a fianco di una preesistente torre di avvistamento a base quadrangolare, realizzata tra il 1583 ed il 1585 su progetto dell’ingegnere Camillo Camillani. I lavori, affidati insieme alla cura dell'armamento a Serpione Cottone, Marchese d’Altamura, subirono un'interruzione e ripresero dopo il 1636. Il forte fu completato ed inaugurato nel 1640. Ha forma approssimativamente triangolare e mostra rigide e continue forme sottolineate all’esterno dalla robusta compattezza dei muri a scarpa e dalle merlature continue; all’interno gli ambienti, diversi per altezza, riescono ad articolare uno spazio più vario, seppure attorno ad un nucleo centrale planimetricamente rigido. Le mura molto spesse e cordonate all’esterno, all’altezza dei merli, si uniscono al possente torrione quadrato per metà interamente riempito. Ad est, ovest e nord stavano, a cavallo degli spigoli delle cantoniere, su robusti mensoloni, alcune torrette di guardia. Gli alloggiamenti dei soldati, le stalle ed i magazzini furono costruiti lungo tutto il perimetro murario interno. L’accesso era consentito solamente da mezzogiorno, attraverso un ponte levatoio che si gettava su un fossato, che isolava dalla campagna soltanto la grande torre. Di fronte all’ingresso, in fondo al cortile, ad ovest, sotto una grande arcata, era la cappella del castello, ora non più esistente. Restano appena i segni delle cornici, che probabilmente includevano qualche affresco o dipinto. Il castello non fu mai attaccato e, una volta smilitarizzato, fu adibito a telegrafo ad asta, per servizio di Stato, dal 1849 al 1856. Ai primi del’900 vi fu impiantato un “semaforo” con un presidio dell’Aeronautica Militare, che continuò a funzionare fino al 1965, anno in cui il Castello fu definitivamente abbandonato. Nel 1969 è stato dichiarato di particolare interesse artistico e storico. Negli anni ’80 è stato oggetto di un intervento di restauro dalla Sopraintendenza BB.CC.AA. di Agrigento rivolto essenzialmente al recupero della torre e di alcuni ambienti che prospettano sulla corte. Il suo collocarsi al centro di una zona archeologica di eccezione interesse, al centro cioè della città ellenistica che si estende sulla sommità del Monte Sant'Angelo, ne fa il naturale punto di riferimento per i visitatori dell’area archeologica circostante».

http://castelliere.blogspot.it/2011/09/il-castello-di-martedi-27-settembre.html


LICATA (torre di Gaffe o del Grugno)

Dal sito www.skyscrapercity.com   Dal sito www.provincia.agrigento.it

«Ubicazione. In agro di Licata, sulla spiaggia di Gafi che delimita la pianura della Ciotta. Posizione. In posizione elevata sulla spiaggia, al centro del golfo che va da Punta Tenna a Rocca S. Nicola. Corrispondenze. Con torre S. Nicola ad Est e Castellazzo di Palma ad Ovest. Tipologia costruttiva. Cilindrica con diametro di mt 9,80. In buone condizioni statiche, presenta ancora porzioni dell'intonaco di calce. In adiacenza costruzioni varie, fra le quali una casermetta della Guardia di Finanza e la Chiesetta di S. Giusippuzzu di Gafi.Al Primo piano un unico ambiente con copertura a cupola ribassata. Muri di conci a filari. Residui di beccatelli del coronamento dell'astraco. Storia. Torre di feudo, a guardia della vasta spiaggia e ricco entroterra agricolo. Sguarnita di artiglieria. Era di proprietà del Duca delle Gaffe».

http://www.provincia.agrigento.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2368


LICATA (torre di San Nicola)

Dal sito www.prolocolicata.it   Dal sito www.sikaniaservice.it

«La torre di San Nicola, alta circa 10 metri e di forma ottagonale, è posta in contrada Mollaga su un rilievo arretrato rispetto alla linea di costa, ma dal quale si esercita un controllo visivo su un ampio settore, dalla spiaggia Mollarella allo scoglio di S. Nicola. Ha spigoli segnati da cantonali in pietra calcarea, il basamento pieno è lievemente scarpato e si conclude con una cornice sagomata. Per la sua particolare struttura rappresenta una eccezione nelle tipologie ricorrenti di torre costiera. L'interno è costituito da un unico vano a pianta centrale e volta con apertura centrale per l'accesso alla terrazza. La sua costruzione risale alla prima metà del '500. Lo stato di conservazione è cattivo. Vi si arriva a piedi da una diramazione in contrada Poliscia della litoranea Licata-Torre di Gaffe» - «Ubicazione in territorio di Licata. Si raggiunge dalla SS 115 con agevole strada asfaltata che conduce alle spiagge balneari. Poi si devia a destra e si sale al promontorio di fronte all'isola di S. Nicola, forse la Millaha antica. Posizione su una elevata collina in posizione straordinariamente panoramica. Supera la Torre di Gaffe verso ponente e spinge la guardia fino a Punta Tenna ed oltre. A levante doveva corrispondere sia con la Torre della Caduta - oggi non più esistente poiché la zona fu usata come cava di roccia durante la costruzione del porto di Licata - sia con il Castel S. Angelo. Insolitamente di sezione ottagonale, con cantonali in pietra calcarea bianca che risalta con bell'effetto cromatico sulle pareti intonacate. Fino a metà altezza il corpo è pieno e rastremato fino ad una fascia di conci rettangolari che sorreggono un cordone che fuoriesce elegantemente dai prospetti e demarca l'inizio delle pareti a piombo dell'unico ambiente al primo piano. L'ingresso, come sempre, era aggiungibile con una scala esterna a pioli. Al terrazzo si accedeva dall'interno mediante una bella apertura circolare ed assiale realizzata sfalsando i conci di pietra disposti ad anello. Nelle vicinanze, a circa trenta metri ad Est sono i ruderi di una antica torre a base circolare mai individuati dagli studiosi. Questa, di pessima fattura, realizzata con pezzame calcareo di varie dimensioni, sembra essere il residuo della torre preesistente in zona. Ciò conferma che questo sito è un naturale punto di osservazione. Probabilmente realizzata quando la adiacente era ormai pericolante. Torre di feudo sotto la giurisdizione del Duca di Palma. Questi nel 1808 e 1811 chiedeva alla città di Licata di provvederla di armi e di restaurarla. Si può ipotizzare che il comune di Licata optò allora per una totale ricostruzione. Si spiegherebbe così la sua insolita forma ottagonale».

http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=1392104 - http://www.provincia.agrigento.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2373


MENFI (palazzo Pignatelli)

Dal sito www.salvalartesicilia.it   Dal sito www.beatamariaverginedelsoccorso.it

«L'edificio monumentale, che domina la piazza principale, fu eretto nel 1638 per volere di Diego Aragona Tagliavia ed occupa l'area del Castello di Federico II di Svevia, costruito nel 1239, di cui rimane parte della torre, danneggiata dal terremoto del 1968. La pianta del Palazzo si articola su due piani con dodici ambienti a volta. Sulla piazza, l'ingresso principale, attraverso un grande portone, introduce nell'ampio cortile interno. Da qui si accede al piano superiore per mezzo di un'imponente scalinata marmorea che conduce al loggiato soprastante. L'edificio subì diversi cambiamenti di destinazioni d'uso: alla fine del feudalesimo venne trasformato prima in sede del municipio e, quindi, della Pretura e di una scuola. Negli anni Trenta del Novecento venne rifatta la facciata. Divenuto di proprietà del Comune, è stato oggetto in anni recenti di interventi di restauro. Per volontà dell'Amministrazione Comunale, grazie ad una convenzione con la Soprintendenza ai Beni culturali di Agrigento, Palazzo Pignatelli diventerà la sede di un Museo Archeologico dove, nella degna cornice di questa prestigiosa architettura, si esporranno le importanti testimonianze della storia di Menfi e del suo territorio. Al piano terra del Palazzo baronale è possibile visitare gli scavi condotti dalla Soprintendenza di Agrigento, che consentono di ricostruire la storia dell'area. ...».

http://www.salvalartesicilia.it/focus/default.asp?argomento=sabelice08&page=doc021.htm


MENFI (resti del castello di Burgimilluso o torre di Borghetto)

Dal sito www.unionecomuniterresicane.it   Dal sito www.castelli-sicilia.com

«Il castello di Burgimilluso, ubicato nel centro urbano, nella piazza Vittorio Emanuele di Menfi, si trovava nella zona di caccia del basso Belice dove Federico II ordinò la costruzione di un abitato sul luogo dell'attuale Menfi. Sicuramente legato all'iniziativa di popolamento programmata dall'imperatore, il castello, con la sua mole austera, nacque per proteggere e controllare il nuovo centro abitato. D'altronde, nella descrizione dell'assedio del 1316, si delinea il carattere militare della torre che si dimostrò sufficientemente forte da resistere all'attacco degli angioini, malgrado il numero esiguo di soldati della guarnigione. L'edificio era formato da due torri pressoché quadrate (9,40 m e 6,50 m di lato) affiancate, ma l'una arretrata rispetto all'altra. Nella rientranza del lato occidentale si trovava la scala d'accesso al primo piano alloggiata in un corpo di fabbrica. L'interno era diviso in tre piani coperti a crociera al pianoterra e ad ombrello al primo piano. La terrazza si presentava con un coronamento a beccadelli e parapetto. L'attribuzione della torre ad età sveva proposta da G. Agnello, in base ai caratteri architettonici, rimane tuttora valida a giudizio degli studiosi che più recentemente si sono occupati del monumento. ... Nel 1239 - Federico II ordina la costruzione di una habitacio apud Burgimill. Nel 1264 - abbiamo notizia di una terra Burgimillus. ... L'edificio è stato distrutto quasi totalmente dal terremoto del 1968, rimane documentazione grafica e fotografica. Al suo posto è sorto un edificio moderno che riproduce l'antica planivolumetria. I pochi ruderi oggi visibili, inglobati nella recente costruzione che ripete lo schema planivolumetrico della torre, non permettono considerazioni diverse da quanto già scritto da G. Agnello. La proprietà attuale è pubblica (Comune)».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=287


Montallegro (torre Salsa o Marinata)

Dal sito www.provincia.agrigento.it   Dal sito www.agriturismo-torresalsa.com

«Ubicazione. Detta anche Marinata. Sulla silenziosa e selvaggia spiaggia di Montallegro. Allo stato di rudere. Posizione. Su un'altura all'interno della riserva naturale della Foce Salsa, in mezzo agli alberi. Corrispondenze. Lungo l'ampia spiaggia di Bovo Marina lo sguardo arriva a Capo Bianco sotto Eraclea Minoa. Dalla parte opposta, di Levante vede sia Siculiana marina che la dominante torre di Monterosso. Tipologia costruttiva. Anche se si presenta allo stato di rudere si può ancora leggere la sua tipologia costruttiva, tipica del Camilliani, con base scarpata e corpo verticale. Purtroppo l'apparecchio murario non è stato ben realizzato e ciò ha avuto come effetto il rapido deperimento della struttura sotto gli agenti atmosferici, i cui effetti sono di maggiore intensità lungo il mare. Manca di buon collegamento fra i conci e manca dei cantonali squadrati (asportati?), accorgimenti costruttivi che tanto contribuiscono alla saldezza dei muri. Alla fine della scarpa la solita fascia di conci calcarei. A base quadrata della misura di quattro canne siciliane. Storia. Costruita dalla Deputazione a partire dal 1582. Dopo soli dodici anni se ne denunciava la "mala fabbrica" con acqua salmastra e pietra inadatta. Fu riparata nel 1595 e nel 1596 nominata la nuova guarnigione. Nel 1652 era sotto la cura del caporale Libertino Capilli, il quale tenne un diario con i colpi sparati. Nel 1803 erano ad essa riservati 24 milizioti provenienti da vari paesi vicini. Nel 1804 il Comandante del Distaccamento alla Foce Salsa, Carlo Barquez, relazionava al Senato di Girgenti come erano stati rigettati i tentativi di sbarco pirata da una galera, una galeotta ed uno sciabecco».

http://www.provincia.agrigento.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2372


NARO (castello Chiaramontano)

Dal sito www.comune.naro.ag.it   Dal sito www.sicilyontour.com

  

«Le prime notizie certe relative al castello risalgono alla guerra dei Vespri quando i francesi che vi risiedevano furono uccisi e i loro cadaveri esposti alle mura della roccaforte. Costruito nel Trecento dalla famiglia dei Chiaramonte, e per questo comunemente noto come castello Chiaramontano, questa fortezza in tufo dalla forma irregolare nel 1912 è stata dichiarata monumento nazionale. Il castello sorge sulla sommità di un colle situato a 600 m.s.m. denominato anticamente “Monte Agragante”. Il complesso comprende un muro di cinta con cammino di ronda, la torre quadrata voluta da Federico II d'Aragona nel 1330 e l'imponente mole massiccia del maschio a cui si accede da un portale dalla ricca incorniciatura. Il lato occidentale della torre reca uno stemma che ne certifica l’appartenenza alla famiglia Aragona; il lato orientale è caratterizzato da due bifore tipicamente gotiche che illuminano la grande “Sala del Principe” situata al primo piano della torre. Il portale d’ingresso a sesto acuto situato ad occidente risale alla fine del ’400. Essa è fiancheggiata da due bastioni (opera difensiva) rettangolari. Le mura del castello sono alte e intervallate da due torri cilindriche e da due torri quadrangolari. All’interno della cinta delle mura vi è un vasto cortile con un pozzo situato al suo centro. All’interno del cortile si trovavano gli alloggi della guarnigione, la cappella e le scuderie, inoltre in caso di pericolo rappresentava un rifugio sicuro per i contadini della zona. Tra gli ambienti interni coperti da volte a botte si segnala il bel salone a cui si accede da una porta trecentesca e un'ampia cisterna aperta che veniva usata talvolta come prigione. Il castello è stato oggetto d'interventi di restauro mirati sia a conservare l'edificio, sia ad inserirlo nella realtà locale con la destinazione a museo di due livelli dell'ala sud-est e della Torre Aragonese, nonché con la creazione di un laboratorio di restauro nell'area sud-ovest».

http://www.sicilyontour.com/castello_di_naro.htm


NARO (mura, porte)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.olodev.com

«Naro, come tutti i comuni del periodo medievale, era chiuso da una cinta di solide mura merlate, la cui costruzione si fa risalire al 1263. Furono rafforzate nel 1482 e delimitavano un'area pressoché romboidale. Nel suo perimetro erano valide opere di difesa militare, la torre della collegiata (Duomo), la torre di San Secondo, la torre della Fenice (in corrispondenza dell'odierna Via Madonna della Rocca) e la Torretta. L'unico reperto ben visibile delle mura è la porta Vecchia, che testimonia il sistema costruttivo realizzato in pietra con arco ogivale ed eleganti merlature. La cinta muraria, di cui il tracciato originale c'è dato da un dipinto del XIV secolo, conservato nel Santuario di san Calogero, era controllato da sette Porte, simili alla Porta Vecchia. Le porte d'accesso alla Città nella parte alta erano: Porta della Fenice, Porta San Giorgio (nei pressi del castello), Porta Vecchia (nell'odierna via omonima) o Porta d'Oro, per il colore delle monete circolanti nel vicino ghetto degli Ebrei e per il frumento che ne entrava e che proveniva dalle ricche terre sottostanti, attraverso la reggia trazzera dei Molini, che metteva in comunicazione Naro e la parte nord-orientale della Comarca. Molto importanti sono le porte della zona bassa, perché ognuna immetteva da una parte verso la campagna circostante, tramite trazzere e dall'altra immettevano in veri e propri assi stradali. La porta Sant'Agostino, ex Porta Palermo, ad Ovest, che mutò nome dopo l'erezione del Convento agostiniano, che segna l'imbocco della Via Laudicina, con in fondo il convento dei frati agostiniani, a sud la Porta Girgenti all'inizio della via Lucchesi in asse con il castello ed il duomo; Porta Trinità, che nel 1480 muta il nome in porta Annunziata per l'erezione del nuovo convento e della Chiesa del Carmelo, all'inizio della via Specchi e la Porta Licata, aperta nel 1377 per volere di Matteo Chiaramonte, segna l'inizio di quello che dal seicento in poi diventerà l'asse stradale più importante di Naro, cioè la via Maestra e dei Monasteri, l'odierna via Dante Alighieri. Fino al 1810, nel giorno dell'Ascensione, una singolare processione, che aveva inizio dalla Chiesa della Madonna della Rocca, percorreva la cinta muraria per la benedizione delle mura».

http://narofulgentissima.over-blog.it/article-29263982.html


NARO (palazzo Malfitano Giacchetto)

Dal sito www.olodev.com   Dal sito www3.unict.it

«Risalgono al XV secolo gli elementi rimasti della sua struttura architettonica originaria, fra i quali una sottile colonnina di gusto catalano della finestra angolare. Donna Antonina Notarbartolo, dopo che la costruzione della chiesa di San Francesco nel 1635 tolse al palazzo la sua splendida vista del mare, decise di donarla alla città, rendendola un alloggio per le religiose e un luogo dove impartire l’educazione alle fanciulle della città. Nel XVI secolo ad essa fu annesso l’ex ospedale San Rocco e l’omonima chiesa, e dopo vari restauri, nel 1749 fu adibito a Collegio di Maria svolgendo la sua attività fino alla prima guerra mondiale. Dal 2000, il Palazzo Malfitano Giacchetto è stato riaperto ed oggi è la sede del Museo della Grafica».

http://www.comune.naro.ag.it/itn1.htm (a cura di L. Universo)


Palma di Montechiaro (castello di Montechiaro)

a cura di Vita Russo

  


PALMA DI MONTECHIARO (palazzo Ducale)

Dal sito www.terradelgattopardo.eu   Dal sito www.comune.palmadimontechiaro.ag.it

«Il palazzo ducale fu costruito dopo che il primo venne inglobato nel Monastero delle Benedettine (1653-1659 ). Acquisito dal demanio comunale e recentemente restaurato dopo anni di grave degrado, mostra un esterno semplice e compatto con due grandi facciate, una verso il mare e l'altra a oriente, unite a livello del piano nobile da un balcone angolare. L'edificio è caratterizzato da una estensione di soffitti a lacunari lignei dipinti che coprono le otto sale del primo piano e corrono su due fasce parallele, l'una verso il mare e l'altra verso la collina. Si distinguono i soffitti delle sale delle armi, quella degli Ordini militari equestri e religiosi, quella dedicata interamente all'Ordine di San Giacomo della Spada di cui il duca Giulio era aggregato, quella con lo stemma ducale dei Tomasi, inquartato con gli emblemi dei Caro, La Restia, Traina e infine la sala angolare che conteneva l'arme dei Tomasi col leopardo rampante sul profilo del monte a tre cime. Qui si trova la decorazione più sfarzosa con i lacunari più profondamente intagliati e dipinti in bianco, rosso e oro. I locali del piano terra ospitano la Biblioteca "Giovanni Falcone"».

http://www.comune.palmadimontechiaro.ag.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/368


PALMA DI MONTECHIARO (torre San Carlo)

Dal sito www.comune.palmadimontechiaro.ag.it   Dal sito www.comune.palmadimontechiaro.ag.it

«L'edificazione della Torre San Carlo, appena oltre la foce del fiume Palma, risale al 1639 ad opera di Carlo Tomasi, primo duca di Palma, che ottenne il permesso da Filippo IV di Spagna ed ebbe scopi difensivi stante le continue incursioni dei pirati saraceni sul litorale palmese. La fortezza fu fornita di armi, attrezzi da guerra e di un adeguato numero di soldati. Essa s'innalza con un corpo quadrangolare su un basamento a forma di piramide tronca. Vi sono tracce che indicano la presenza di un ponte levatoio e mensoloni sui quali si dovevano poggiare i piombatoi. Accanto alla Torre fu fatta costruire una piccola chiesa, oggi non più esistente, col titolo del Santissimo Rosario, guidata da un cappellano, per la messa dei soldati. Gli apparati difensivi furono mantenuti fino al 1820».

http://www.comune.palmadimontechiaro.ag.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/366


PORTO EMPEDOCLE (torre Carlo V o del Caricatore)

Dal sito www.comune.portoempedocle.ag.it   Dal sito www.provincia.agrigento.it   Dal sito www.rblob.com

  

«Nel XVI secolo l'imperatore Carlo V (1500-1558) fece costruire su progetto di Camillo Camillani, architetto e scultore fiorentino, una torre dalle dimensioni imponenti. La costruzione doveva servire per difendere il prezioso caricatore dagli attacchi dei corsari che spesso, con azioni rapide, depredavano le popolazioni dei centri abitati posti sulle coste. L'edificio è caratterizzato da una forma a piramide tronca che termina in alto in un'ampia terrazza utilizzata come punto d'osservazione. L'interno è composto da alcuni ambienti la cui copertura è del tipo volta a botte. Dal 1780 i Borboni fecero della Torre una prigione. Dal 9 giugno 2012 è stata aperta al pubblico la "Sala Cannoniera" ed è possibile visitarne i locali tutti i giorni» - «La torre fu costruita a presidio della costa agrigentina ed in particolare del caricatore granario, nucleo della futura Porto Empedocle. Nel 1355 è citata come turris maritimae Agrigenti. Nel 1361 è concessa da Federico IV a Federico Chiaramonte con diritto di un grano per salma di grano esportato. Nel 1578 lo Spannocchi (c. XL) la raffigura più o meno nel suo aspetto attuale. La torre (26,20 m per lato) possiede una struttura solidissima con muri molto spessi (da 1,50 a 2,00 m); ha la forma di una piramide tronca, con profilo perpendicolare al piano orizzontale nelle mura dell'ultimo livello. Le sale sono coperte da volte a crociera e sono illuminate da feritoie. L'ingresso principale è di recente costruzione, mentre originariamente si accedeva alla torre da una scala esterna che raggiungeva l'ampio portone situato a circa 7,00 m di altezza dal piano di calpestio. Il complesso architettonico è conservato nelle parti principali. La proprietà è pubblica. ... Il dominio spagnolo in Sicilia, durato quattro secoli e mezzo, non influì positivamente. Trapani e Mazara, più vicine alla Spagna, vennero favorite, insieme alla Sardegna. Mentre si intensificavano nel Mediterraneo nuovi traffici, il nostro porto rimase legato esclusivamente all'esportazione di frumento e cereali. Nonostante ciò, nel secolo XIV raggiunse il massimo del suo splendore. Ma durò poco. Già nel XV secolo, col sorgere dei caricatori di Siculiana e Palma di Montechiaro, il molo agrigentino subì una grave crisi, che si aggravò nel XVI secolo, quando diverse epidemie si abbatterono sull'agrigentino e la flotta turca infestava tutta la costa meridionale sicula. Per questo Carlo V ristrutturò l'antica torre costruita a difesa del caricatore di Agrigento. Nel 1725 l'imperatore austriaco Carlo VI ordinò nuovi lavori per la ristrutturazione del molo, che versava in pessime condizioni, e diede nuove disposizioni sul suo funzionamento per avviarne la ripresa. Agli Austriaci subentrarono i Borboni di Sicilia che decisero la costruzione di un vero porto alla marina di Girgenti, con strutture in muratura, là dove prima era stata sempre in legno. Si realizzò un molo della lunghezza di 400 metri. ...».

http://www.comune.portoempedocle.ag.it/cosa_vedere.html - http://www.rblob.com/hamradio/scheda.asp?num=695


PORTO PALO (torre Borghetto)

Dal sito www.unionecomuniterresicane.it   Dal sito www.provincia.agrigento.it

«Relazione storica e tecnica. La torre caratterizza e nobilita un ampio tratto di mare della spiaggia di Menfi ormai interamente villettizzato. Ubicazione. Torre camillianea. A base quadrata di m 10,90. Posizione. Si erge sopra il disordinato agglomerato balneare di Porto Palo, la spiaggia di Menfi e domina un ampio tratto di mare. Corrispondenze. Con la torre di Capo Granitola a ponente e capo S. Marco o del Tradimento a levante. Tipologia costruttiva. Classica tipologia camillanea con base tronco piramidale di mt 10,90 e fusto a base quadrata di mt 11,50 x 11,75. Fu realizzata su proposta e progetto del Camilliani probabilmente a cavallo del secolo XVII. A piano terra sono quattro ambienti, uno dei quali adibito a cisterna. Il muro di base esterno è largo 240 cm, quello interno 80 cm. Accesso al solito dal lato opposto al mare ed al primo piano. Recentemente restaurata in modo incompleto in quanto non si è più realizzato il parapetto della terrazza del quale residuavano evidenti brani, per come si evince dalle foto d'epoca. Bisognava comunque ricostituire il basamento, in conci isodomi, che proteggeva la muratura. Si ipotizza il loro asporto per riuso nelle vicine abitazioni balneari. Ne residuano alcuni utili al restauro, che andrebbe esteso al solaio della seconda elevazione per evitare l'azione nefasta dell'acqua. Anche il paramento murario esterno andrebbe ripreso e consolidato pur mantenendo le porzioni di intonaco antico esistenti. Occorrerebbe la chiusura dello squarcio a livello di terreno con una grata per impedire che i visitatori possano usare degli spazi in modo improprio e collocare un cartello esplicativo impermeabile. Storia. Di Deputazione, ma sottoposta al controllo del duca di Terranova che aveva l'obbligo di pagare lo stipendio all'artigliere e nominare gli altri due soldati pagati dalla Deputazione».

http://www.provincia.agrigento.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2369


Racalmuto (castello di Gibellini o Castelluccio)

Dal sito http://castelliere.blogspot.it   Dal sito http://regalpetraliberaracalmuto.blogspot.it

«Il castello è ubicato a circa 7 km da Racalmuto sul monte Castelluccio , a 720 m s.l.m. ed è raggiungibile percorrendo in parte la strada comunale ed in parte una stradella selciata. Il castello deve avere avuto origini arabe (X secolo). Probabilmente i musulmani costruirono l'attuale fortezza al posto di una preesistente torretta bizantina.Verso il XIII sec i Chiaromonte lo abbellirono nella sua forma attuale. Nel XIV secolo subisce delle trasformazioni. Nel 1358, Federico IV concede a Bernardo de Puigvert (de Podioviridi) e ai suoi eredi il castello di Gibillini, posto vicino il casale di Racalmuto, già appartenuto al defunto conte Simone Chiaramonte-Cosentino. Nel 1392 il castello appartiene a Guglielmo Raimondo Moncada. Nel 1396 passa a Filippo de Marino e nel 1568il castello e la baronia vengono ceduti per due terzi a Maria de Marinis, mentre il restante terzo della baronia formò il feudo della Balatazza dove nel 1635 venne fondato il comune di Montedoro. Nel 1615 Beatrice de Marinis e Sanchez de Luna vendono il feudo e la fortezza a Luigia AriasGiardina. Nel 1798 Giulio Giardina Grimaldi principe di Ficarazzi, concede in enfiteusi 1'intero feudo al sacerdote Niccolò Tulumello che trasformò il Castelluccio in masseria. Infine nel 1812 Diego Giardina Naselli si investe della baronia e del Castelluccio. Nel XIX sec. nell'androne principale viene inserita una copertura a volta a botte sorretta da quattro piloni, al fine di realizzare alcuni vani abitabili (diruti) nel piano superiore ed, inoltre, viene aggiunto al piano sottostante un corpo di fabbrica, adibito a stalle, sul lato nord-ovest. Il Castelluccio possiede impianto planivolumetrico di prisma a base rettangolare (m 29,40 x 18,70) ancorato saldamente allo sperone di roccia su cui sorge. La configurazione e molto semplice, priva di torri e rientranze. Il castello si eleva su due livelli aventi una differenza di quota di m 2,00 circa. Attraverso un ampio ingresso si accede al cortile interno dove si aprono i vasti ambienti del pianoterra. L'ingresso principale è costituito da una corte fiancheggiata da tre vani tra loro comunicanti, coperti da volte a botte e illuminati da finestre strombate. Al livello più alto del piano terra si accede attraverso una scaletta diruta. Salendo una seconda scaletta si perviene al piano superiore, che presenta muri cadenti ed una finestra con sedili laterali in pietra bianca e due feritoie. In questo piano si trova una passerella utilizzata probabilmente come cammino di ronda che si sviluppa lungo 1'intero perimetro delle mura esterne. Lo stato di conservazione del castello è mediocre, considerate che non si e provveduto nel tempo a salvaguardarlo con interventi conservativi e restauri, il complesso architettonico è conservato nelle parti principali. Proprietà attuale: pubblica (Comune). ...».

http://www.virtualsicily.it/Monumento-Castelluccio%20di%20Gibellini-Racalmuto-AG-486


Racalmuto (castello)

a cura di Vita Russo


RAFFADALI (resti del castello, palazzo Principe)

Reti del castello, dal sito www.comune.raffadali.ag.it   Palazzo Speciale, dal sito www.francescoinviaggio.it   Dal sito www.adsisicilia.it

I Saraceni, «durante la loro dominazione che si ebbe in Sicilia nel IX secolo, chiamarono il casale da loro fondato 'Rahl-Afdal' (Villaggio eccellentissimo), facendogli acquisire grande floridezza economica e commerciale. Verso la fine dell’XI secolo il casale sotto la signoria di un principe saraceno Alì e le terre dette Raffa (qualche studioso fa derivare da ciò il toponimo 'Raffadali', credenza poco attendibile visto che nelle antiche scritture figura già il nome 'Rahalfadale') passarono sotto il dominio dei conquistatori normanni; nel 1095 il territorio fu concesso in feudo al normanno Girolamo Montaperto e poi rimase per secoli, a questa famiglia. Nel 1507 Pietro Montaperto Valguarnera ottenne dal re Ferdinando lo 'Jus Populandi' (diritto di popolare); nel 1523, fece edificare il borgo (alcuni studiosi sostengono che si tratti di una riedificazione) e fece costruire il castello, che ancora oggi, nelle sue strutture essenziali è ubicato nel centro storico di Raffadali. Originariamente il castello era una fortezza e ciò si può desumere dalla torre di base, nel lato Sud-Ovest, che si presenta ancora oggi nella sua interezza; successivamente venne trasformato, durante il rinascimento, in casa signorile» - «Palazzo Principe è un palazzo di Raffadali in provincia di Agrigento, residenza dei feudatari, principi di Montaperto, situato al centro del paese presso la chiesa madre. [Costuito nel Settecento, ha subìto] la distruzione di una delle torri e delle merlature. Nei sotterranei si trovano antiche macchine di tortura utilizzate dai principi di Montaperto».

http://www.comune.raffadali.ag.it/public/pagine.asp?id=11 - https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Principe


Realmonte (torre di Monterosso)

Dal sito http://agrigento.goturismo.it   Dal sito www.provincia.agrigento.it

«Torre saracena del XV sec. detta di Monterosso dalla omonima contrada La torre si trova a circa 3 Km S-O del centro abitato di Realmonte. La notizia più antica sulla torre di Monterosso è dell'anno 1453, anche se studi recenti fanno pensare che la sua costruzione risale a molto tempo prima. La necessità della costruzione di una torre di guardia a Monterosso, per difendere il territorio da attacchi nemici dal mare, fu prospettata al Viceré Marco Antonio Colonna, nell'anno 1583 da parte dell'ingegnere e celebre matematico Camillo Camilliani, che aveva avuto affidato l'incarico dallo stesso Viceré, di perlustrare tutte le coste della Sicilia per segnalare i posti di guardia già esistenti, i luoghi che necessitavano della costruzione di nuove torri e tutti i dettagli della costa. La costruzione esistente sembra essere una ricostruzione, nello stesso sito, dell'antichissima torre che veniva utilizzata come torre d'avvistamento. Ha pianta quadrata di 12,5 m per lato ed è suddivisa in tre ambienti: il principale è formato dall'ingresso, la botola per la cisterna, una nicchia, il camino e la scala che porta alla terrazza e altri due piccoli locali per l'alloggio dei torrari. Il suo armamento era composto da un cannone di ferro di calibro 5 libbre, con una cassa e ruote, un mascolo d'avviso di ferro, 4 schioppi, 4 spingardi con i suoi cavalletti e fuochi d'armi. La torre si erge su di un promontorio, ad una quota di 146,36 m sul livello del mare, costruita interamente da calcareniti e precisamente da conci di tufo ben squadrati sicuramente estratti dalla vicina cava ubicata a circa 50 m ovest dalla suddetta torre,è attualmente in stato di abbandono. Oggi la sua posizione permette di osservare da Capo S. Marco (Sciacca) fino a Punta Bianca (Agrigento) per complessivi circa 50 Km di costa».

http://www.sicilie.it/sicilia/Realmonte_-_Torre_di_Monterosso


RIBERA (castello di Misilcassim o Poggio Diana)

Dal sito www.consorziodeitempli.ag.it      Foto di Giuseppe Nicola Ciliberto, dal sito www.cilibertoribera.it

  

«Su un ameno colle, a tre chilometri da Ribera, sorgono le suggestive rovine di un castello. È il Castello di Poggio Diana con la sua torre merlata, alta e imponente che ricompare stilizzata sullo stemma ufficiale del Comune, assurgendo ad emblema della città di Ribera. Il Castello si trova su uno sperone roccioso dominante la valle del fiume Verdura. Originariamente indicato con il nome saraceno di Misilcassino, ossia luogo di discesa a cavallo, il Castello, a partire dal XVI secolo, prese il nome attuale in onore della nobildonna Diana Moncada, andata in sposa nel 1511 al conte Gian Vincenzo Luna. Furono per primi i Saraceni a costruire nel secolo IX sopra un poggio, sulla sinistra del fiume Verdura (Alba-Sosio), a poche miglia dal mare, un castello che prese il nome di Misilcassin dal feudo omonimo. Successivamente i Normanni, intorno al XII secolo, avvertirono l'esigenza di costruire un castello fortificato per difendere le piccole comunità vicine e le terre da loro conquistate tra il fiume Platani e Caltabellotta, anticamente denominata Triocala. Al castello si raccoglievano le genti del contado. La struttura fortificata domina, dall'alto della sua torre, la ripida balza e la profonda valle del fiume Verdura. Il corso del fiume in prossimità del Castello ha un andamento tortuoso e, scorrendo in una strettissima gola incisa nella roccia calcarenitica, forma tre grandi anse, l'ultima delle quali lambisce il colle di Poggio Diana. Adagiato sopra tale colle, il Castello si sviluppa su di una pianta irregolare che, coprendo un'area di circa tremila metri quadrati, segue la natura e la forma del terreno; è costruito in pietra arenaria da taglio, con piccole finestre rettangolari di stile arabo-normanno, secondo tutte le regole dell'architettura militare di quei tempi, con ponte levatoio, ampio cortile quadrilungo, cappella, scuderia, armeria e caserme per la guarnigione. Dell'antico maniero rimangono parte delle mura perimetrali, il bastione angolare quadrato e la torre cilindrica di 25 metri di altezza, coronata da caratteristici beccatelli. La torre cilindrica mostra al suo interno una volta a crociera costolonata su pianta ottogonale, un tipo di copertura adottata all'interno delle torri castellane di età sveva-federiciana. Il Castello aveva due ingressi, l'uno rivolto a mezzogiorno, l'altro a settentrione, che immettevano in un ampio cortile. Sbarrate le due porte d'ingresso, nessuno poteva accedervi. La linea di difesa esterna del Castello era costituita da un muro alto e spesso, mentre un altro muro, costituito dai fabbricati interni, fra loro collegati con opere stabili, chiudeva la fortezza. Detti fabbricati comunicavano tra loro per mezzo di corridoi e terrazze merlate. Un portone a sesto acuto serviva da ingresso ad un secondo cortile. Due ponti in muratura, di cui sono ancora visibili alcuni ruderi, mettevano in comunicazione le due sponde del fiume vicino. In un primo tempo gli estesi possedimenti del contado di Sciacca, incluso il Castello, furono assegnati nel 1100 dal Conte Ruggiero Normanno alla figlia Giulietta, per poi passare ai figli di lei. Nel 1253 il Castello e le terre di Misilcassino, a cui era aggregata la baronia di Magazzolo, vennero concessi dal re Manfredi, ultimo degli Svevi, al suo parente Matteo Maletta. Federico II d'Aragona, nel 1392 concesse il Castello al Conte Guglielmo Peralta, Signore di Caltabellotta, figlio di Guglielmo I. In seguito, passò ad un nobile di Sciacca, Artale Luna, che aveva sposato Margherita Peralta, erede della Contea di Caltabellotta. L'investitura del castello passò quindi al figlio di questi, Antonio de Luna in data 10 novembre 1453, in virtù del regio privilegio concessogli dal re Alfonso il Magnanimo. ...».

http://www.comune.ribera.ag.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/256


Ribera (torre della Verdura)

Dal sito http://niettacina.blogspot.it   Dal sito www.provincia.agrigento.it

«Ubicazione. In territorio di Ribera accanto alla foce del fiume Verdura. Raggiungibile da una stradella asfaltata ma in pessime condizioni, di km 2,5 che si diparte dalla SS 115 poco prima dell'ingresso di Macauda e attraversa la strada ferrata presso la stazione ferroviaria. Torre suggestiva poiché entro in un ambiente miracolosamente conservatosi dalla speculazione balneare. Da una parte e dall'altra per chilometri non si vedono abitazioni, solo coltivazioni di frumento, vite, olivi e mare. I proprietari, pare una società alberghiera, sembrano interessati al suo sfruttamento balneare. Posizione. Su una balza a ridosso della lunga spiaggia sulla quale sfocia il fiume Verdura. Accanto ed a difesa di un gruppo di edifici agricoli e forse manifatturieri dei quali residuano anche dei begli archi in pietra arenaria tufacea. Ad est i ruderi restaurabili di un mulino ad acqua quasi occultato da un enorme fico, preesistente alla torre, che ancora oggi ha un rigagnolo di acqua sorgiva che gli scorre al piede. Corrispondenze. Capo S. Marco e Torre Macauda ad Ovest e Torre Salsa ad Est. Tipologia costruttiva. A pianta rettangolare di circa mt 9,70 x 8,90. Caratterizzata da bei cantonali di conci di tufo arenario ben marcati e fuoriuscenti dal paramento murario. Coronata da merli di artiglieria ben conservati. Le pareti non sono scarpate pertanto si presenta come un parallelepipedo regolare. Questo particolare tipologico, differente dai canoni camillianei, fa propendere per una datazione seicentesca ed una committenza di particolari. Sicuramente posta a guardia delle attività del feudo e utile alla segnalazione. Il prospetto Sud, largo mt 9,70, in faccia al mare, non ha aperture per meglio difendersi dal tiro proveniente dalle imbarcazioni. L'intonaco di calce idraulica sembra quello originario e si presenta ben conservato. Le catene in ferro a zampa di lepre testimoniano la manutenzione ricevuta dalla costruzione. Il fronte Est, largo alla base mt 9,12 ed ad altezza d'uomo mt 8,90, presenta delle finestre che si aprono ai due livelli sopra il primo. Al livello di terrazzo sono i due doccioni di scarico e le mensole delle bertesche. I cantonali qui presentano residui di intonaco. In adiacenza una costruzione più recente adibita ad abitazione, con brutta terrazza coperta con onduline. Il fronte Ovest ha l'ingresso a scaletta in pietra con elegante aggetto al pianerottolo. Da quello che si può dedurre, esaminandola dall'esterno, non abbisogna di interventi urgenti di restauro. Storia. Torre di feudo. Certamente costruita a guardia dell'attività industriale di molitura del grano, come dimostrano i ruderi dell'antico mulino ad acqua e degli edifici ad archi. è tipologicamente simile a quella agrigentina di contrada Maddalusa, oggi entro l'albergo "Baglio della Luna" ed a quella di Vignagrande di Sciacca. Non essendo citata dal Camilliani bisogna dedurne che fu costruita dopo il 1584. La torre sicuramente non veniva utilizzata per tutto l'anno, pertanto non ha le caratteristiche canoniche delle torri di difesa camillianee. Infatti la parte basale non è piena e non ha le caratteristiche facce scarpate».

http://www.provincia.agrigento.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2366


Sambuca di Sicilia (borgo, palazzi)

Dal sito www.politicamenteparlando.it   Dal sito www.albopretorio.name

«Sambuca fu fondata dagli Arabi intorno all'830 e prese il nome, secondo la tradizione popolare, dall'emiro Zabut, il quale costruì una fortezza nella parte alta dell'odierno paese donata poi, nel 1185, da Guglielmo II alla chiesa di Monreale. Fra il XVI e XVII secolo Zabut fu interessata da un fermento edilizio che proseguì fino al XIX secolo: si costruirono nuovi quartieri con palazzi nobiliari, chiese, conventi, l'ospedale, l'orfanotrofio. Dall'800 fino al 1928 il paese venne chiamato Sambuca Zabut, e dopo il '28 diventò Sambuca di Sicilia. Il corso Umberto I è l'asse principale del paese; all'inizio della strada è il Teatro Comunale, costruito fra il 1848 e il 1851, con tre ordini di palchi. Il corso Umberto è delimitato da bei palazzi quasi tutti recentemente restaurati in alcuni dei quali si aprono archi sotto cui passano strade. Molto bello, ad esempio, il palazzo Beccadelli, in origine dei marchesi della Sambuca, che includeva in un intero isolato la chiesa di S. Sebastiano e l'ospedale Pietro Causo del '500; di fronte spicca la facciata in tufo di palazzo Campisi, del '700. ... Nella parte alta il corso Umberto è scavalcato dal palazzo del Municipio, sorretto da un doppio arco monumentale nel cui pilastro centrale si apre il portone sormontato da un orologio. Superato l'arco del Municipio il corso diventa via Belvedere; svoltando a sinistra in largo S. Michele si trovano affrontati la chiesa omonima e il palazzo Panitteri. Quest'ultimo ha forma quadrangolare e un vasto cortile interno con scala in stile catalano; il portale d'ingresso è sovrastato da un balcone con ringhiera panciuta e da uno stemma. All'interno del palazzo, in restauro, era allestito un piccolo museo delle cere che ricostruiva il salotto politico-letterario sambucese dell'ottocento animato da personaggi quali Francesco Crispi, Vincenzo Navarro, George Sand. Ritornando in via Belvedere, si incontra sulla sinistra la piazza Navarro nella quale si apre un arco che immette nei vicoli saraceni, i cosiddetti vaneddi, un intrico di viuzze e cortili acciottolati che sono un perfetto esempio di urbanistica islamica. Fra i vicoli, in via Fantasma, si trova la chiesa del Rosario, della fine del '500, col sagrato in ciottoli bianchi e neri che compongono lo stemma domenicano. La via Fantasma conduce alla maestosa chiesa Madre, edificata su una parte del castello di Zabut e sulla precedente chiesa di S. Pietro, del XV secolo. Trecentesco il portale d'ingresso, proveniente forse da una chiesa di Adragna, borgo fondato dagli Arabi oggi frazione di Sambuca. Particolare è la guglia del campanile, rivestita da maioliche verdi e gialle che formano fasce orizzontali a zigzag e sorretta da grandi foglie scolpite nel tufo. ...».

http://www.zabut.altervista.org/nuova_pagina_1.htm


Sambuca di Sicilia (fortino di Mazzallakkar)

Dal sito www.albopretorio.name   Dal sito http://tripwow.tripadvisor.com

«Nell'area compresa tra Sambuca di Sicilia e Sciacca si possono individuare i ruderi di un fortino costruito dagli arabi e chiamato Fortino di Mazzallakkar. Esso si trova nella zona dei mulini, chiamata così per la presenza di diversi mulini funzionanti grazie alle acque di Rincione tra la collina Castellazzo e la Torre Cellaro, che si estende nella parte bassa di Sambuca di Sicilia. La sua costruzione fu realizzata nello stesso periodo in cui gli arabi stavano fondando Zabut (Sambuca) e cioè successivo all'830. Il Fortino ha una forma quadrangolare; in ogni angolo si eleva un torrione di forma circolare, coperto da una cupoletta in pietra calcarea. I torrioni sono dotati di feritoie e l'altezza delle mura raggiunge circa 4 metri. Discussa la storia del fortino da diversi studiosi, ancora oggi non perfettamente definita la datazione e l'ubicazione a controllo viario nel territorio. Fino agli anni Cinquanta, anche se adibito al ricovero di greggi e armenti, il Fortino si trovava in ottime condizioni. In seguito alla costruzione della diga Carboi resta sommerso parzialmente dalle acque del lago Arancio per almeno sei mesi all'anno. Le escursioni termiche e le depressioni idro-geologiche stanno distruggendo irrimediabilmente questo capolavoro storico e architettonico, unico in tutta la Sicilia. La tutela di questa struttura antica, unica nella tipologia, va perseguita anche attraverso specifici studi di ingegneria, che potrebbero ipotizzare l'isolamento della struttura dalle acque o il trasferimento sulla terra ferma. Il Fortino di Mazzallakkar e i resti del Castello di Zabut documentano fisicamente la presenza di popolazioni musulmane in quest'area e costituiscono un archivio di pietra della storia di questa zona, che attraverso accurate e specifiche campagne archeologiche potrebbero restituire ulteriori dati alla storia di Sambuca di Sicilia».

http://www.salvalartesicilia.it/focus/default.asp?argomento=saBelice10&page=doc008.htm


Sambuca di Sicilia (resti del Castello Antico o Qasr Ibn Mankud)

Il belvedere, dal sito www.consorziodeitempli.ag.it   Il belvedere in una foto di Rino Concialdi, dal sito www.emigratifotosicilia.com (www.assarca.com)

«Il Castello, edificato dall'Emiro Zabuth, fu di proprietà di Guglielmo II e successivamente del Convento di Monreale; fu adibito anche a carcere. ll primo insediamento saraceno, edificato sulla sommità della collina sulla quale sorge Sambuca, consisteva in un Castello-fortezza da cui si dipanava poi il quartiere saraceno le cosiddette "setti vaneddi" o sette vicoli saraceni, viuzze strette costruite così per favorire la difesa e nello stesso tempo mantenere un clima adeguato. Del Castello arabo oggi resta solo il belvedere che guarda verso Adragna, Giuliana e i territori di Caltabellotta, un piccolo terrazzo che si affaccia a strapiombo ed una splendida esplanade che con una maestosa scalinata si affaccia sulla piazza Baldi Centellis, che nasconde nelle sue viscere i resti delle carceri e dei camminatoi sotterranei del vecchio Castello. Oggi questi camminatoi non sono fruibili, ma numerose sono le iniziative da parte del Comune per il recupero di questi pezzi di storia. Il Castello, essendo opera dei musulmani, nel lontano 1500 fu "riarrangiato" da un gruppo di Gesuiti che venne a Sambuca. Al suo posto fecero costruire il Calvario con tre croci, che oggi non ci sono più, a testimonianza della cristianità. Una guglia policroma svetta ancora come campanile della Chiesa dealla Matrice. Parte delle pietre che costituivano il Castello furono utilizzate dai sambucesi di allora per costruire case di civile abitazione che dopo il rimaneggiamento del Castello cominciarono a sorgere nella zona».

http://www.sicilie.it/sicilia/Sambuca_di_Sicilia_-_Castello_di_Sambuca


Sambuca di Sicilia (torre Cellaro, torre Pandolfina)

Dal sito www.r1200gs.info (www.francescoinviaggio.it)   Dal sito http://web.tiscali.it/micheleverde

«Fuori dal centro storico, rimangono le antiche torri di Pandolfina e Cellaro e il fortino di Mazzallakkar del quale emergono le torri nei soli mesi estivi quando il livello del lago si abbassa» - «Il giorno successivo allontanandosi un po’ dal paese che conta circa 6000 anime, siamo saliti sui 300 mt. per trovare la Torre di Pandolfina e alla parte opposta la Torre di Cellaro dove la Madonna dell’Udienza fu ritrovata per caso durante dei lavori di scavi dopo svariati anni».

http://it.wikipedia.org/wiki/Sambuca_di_Sicilia#Monumenti_e_luoghi_d.27interesse - http://www.lagenziana.net/index...


Sant'Angelo di Muxaro (rovine del castello di Muxaro)

Sant'Angelo di Muxaro dal sito http://liliumjoker-liliumjoker.blogspot.it   Sant'Angelo di Muxaro dal sito www.consorziodeitempli.ag.it

«Il castello è attestato con certezza fin dal XII secolo. Notizie storiche: 861-862, Qal'at al-Musari'ah, rocca bizantina presa dai musulmani - 1086, un centro abitato musulmano chiamato Missar è conquistato da Ruggero I - 1150 ca, al-Minsar, "castello in cima d'un monte scosceso; è abitato e coltivato da' natural!, ha molte terre da seminare e ridonda di produzioni" (1'identificazione con Muxaro è incerta). 1200, il castellum Minsiarii et casale Minzel cum omnibus iustis tenimentis et pertinentiis suis vengono concessi da Federico II al vescovo di Agrigento, Ursone. .. Proprietà attuale: privata. Uso attuale: in abbandono. ... Rapporti ambientali: il monte Castello (468 m) è un rilievo gessoso, situate sulla riva sinistra del fiume Platani, a ca. 2 km ad ovest di Sant'Angelo Muxaro. Presenta pareti scoscese, inaccessibili, tranne il fianco occidentale, agibile soltanto attraverso un impervio sentiero. Dalla sua posizione eminente, il castello controllava la parte media della valle del Platani ma proteggeva pure l'abitato sviluppatosi ai suoi piedi. Descrizione: prima di arrivare alla cima, si incontra un muro costruito in pietre gessose, non squadrate, legate con abbondante malta molto dura. Si tratta di un primo sbarramento, rinforzato da torri quadrangolari, che isolava e difendeva la cima più elevata. La terrazza sommitale (ca. m 40 x 34), anch'essa circondata da un muro di cinta, è occupata da una struttura rettangolare. Alla base si trova una grande cisterna voltata con due canalizzazioni in terracotta. La cresta settentrionale, chiusa da muri di 1,30 m di spessore, presenta un silo cilindrico (diametro m 1 x 8,50 h) coperto da una volta a cupola. Esso è stato scavato ricavando delle pedarole, appositi incavi ricavati lungo le pareti rocciose che permettevano la salita e la discesa degli scavatori. Sulle pendici settentrionali, ad una quota leggermente inferiore, si osservano strutture murarie (forse l'abitato) e si raccolgono abbondanti frammenti di ceramica medievale databili dall'XI secolo fino al XV secolo. Inoltre, le ricognizioni di superficie ed alcuni saggi archeologici hanno evidenziato una occupazione del sito anche in età protostorica ed arcaica. Il castello e l'abitato si trovano in uno stato di disfacimento totale; solo uno scavo archeologico potrebbe portare alla luce le strutture interrate».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=303


Santa Elisabetta (resti del castello di Guastanella)

Dal sito www.laltraagrigento.it   Dal sito http://digilander.libero.it/esseoesse

«Nei tre secoli di dominazione bizantina (535-827) in cui la Sicilia fu lasciata in uno stato di incredibile abbandono, non si hanno testimonianze particolari, fino all’epoca delle prime incursioni arabe (827). In quell’epoca i saraceni avevano cominciato le loro sanguinose scorrerie nelle città costiere della Sicilia dove saccheggiavano, depredavano uccidevano, catturavano prigionieri e se ne andavano lasciando il terrore e la desolazione. I Bizantini difendevano l’isola come meglio potevano e, specialmente fino a quando non avevano perso ancora tutte le speranze, erigevano fortilizi e baluardi dove ci fosse qualcosa da difendere, cosicché nessuna altura o monte fu lasciato privo di fortificazioni. Fu proprio in questo periodo che costruirono il fortilizio sul monte Guastanella, probabilmente su una preesistenza del periodo punico. La costruzione di baluardi e luoghi fortificati, a nulla giovò giacché i Saraceni sbarcati a Mazara nell’827, si spinsero nell’interno dell’isola e nell’830 dopo avere occupato e distrutto Agrigento, si impadronirono dell’entroterra, insediandosi anche nel nostro territorio, occupando castello e villaggi anche se non definitivamente. Il fortilizio bizantino di Guastanella, godendo di una posizione strategica sulla vetta del monte da cui dominava un territorio circostante per decine di chilometri, oltre ad essere ampliato e potenziato, venne bene armato fino a renderlo praticamente inespugnabile come una vera e poderosa fortezza. Nell’860 insorsero alcuni castelli della Sicilia occidentale tra cui Platani, Caltabellotta e Sutera col territorio interposto e quindi anche le nostre terre con Guastanella; ma nella primavera dell’862 la rivolta si concluse infaustamente e i castelli furono riconquistati. I Normanni che dalla Calabria, guidati dai fratelli Roberto e Ruggero della casa di Altavilla, invitati a partecipare alla lotta interna tra i vari signori arabi, si accinsero di buon grado all’avventura. ... Quindi nello stesso anno della caduta di Girgenti il Conte Ruggero conquisto i castelli vicini, pertanto anche quello di Guastanella. ... Sicuramente la capitolazione e distruzione di Guastanella e di altre fortezze arabe finitime è da inquadrare nella frenetica attività costruttiva e distruttiva di Federico II, come risposta del potere monarchico alle velleità politiche cittadine in questa parte dell’isola ed in secondo luogo per garantire l’obbedienza di città infide evitando di fornire loro la minaccia di fortezze inespugnabili ed insidiose per la monarchia: un provvedimento, al tempo stesso punitivo e preventivo. La storia successiva di Guastanella è quella dei suoi proprietari feudali. ... Sulla cima della ripida collina si adagiano i ruderi di una roccaforte straordinaria, una fortezza rupestre di grandezza impressionante, che rappresenta un unicum nel suo genere, una preziosa ed unica testimonianza della civiltà medievale siciliana. La forte vocazione del sito alla difesa, il rapporto di continuità fra il costruito e l’imponente cuneo roccioso su cui sorge il castello, sono legati dall’unitario programma difensivo formulato per lo stesso territorio in epoca araba, che spesso utilizza e accentua naturali asprezze montuose che segnano strategicamente i punti nodali di tracciati e di antichi percorsi commerciali. ...».

http://www.comune.santaelisabetta.ag.it/public/comune_luoghi.asp


Santo Stefano Quisquina (castello di Motta Santo Stefano)

Dal volume "Castelli medievali di Sicilia", 2001, Regione Sicilia   Santo Stefano Quisquina, foto di Piero Fontana, dal sito www.panoramio.com

«è ubicato sul monte Castelluzzo (da Agrigento, strada statale 189 per Palermo; uscita Cammarata per Santo Stefano Quisquina; prima dell'abitato, strada comunale per monte Castelluzzo), nel comune di Santo Stefano Quisquina. Cronologia delle principali fasi storico-costruttive: XIV (prima metà?) fondazione del castello. ... I resti fuori terra visibili consentono una lettura ricostruttiva parziale dell'impianto, torre quadrangolare e cinta perimetrale. L'identificazione topografica della Motta Santo Stefano è stata facilitata dal documento del 1433 che prevedeva lo sposta­mento del casale in un luogo piu difendibile, presso un castello chiamato castilluzzo. Una ricognizione sulla vetta del monte Castelluzzo, situato a pochi chilometri da Santo Stefano di Quisquina, ha permesso di ubicarvi il castello trecentesco. Questo monte (1.011 ml), situato in una zona già boscosa, presenta pareti molto ripide con un solo versante di accesso. La salita, piuttosto lunga e faticosa, soprattutto nella parte finale, e resa ancora più difficile dalla violenza dei venti che soffiano quasi in continuazione. La stretta piattaforma sommitale del monte è occupata dalle vestigia di una torre quadrangolare e di un muro di cinta. Della torre rimane solo qualche allineamento di pietre, mentre la cinta, meglio conservata, percorre ancora una lunghezza di ca. 11 m, ai limiti del dirupo. I muri hanno uno spessore medio di 0,75 m e sono costruiti in pietre grossolanamente sbozzate e spianate nella loro superficie a vista e legate con abbondante malta. Non ci sono tracce dell'abitato. Lo stato di conservazione delle strutture, in disfacimento totale, non permette di approfondire la descrizione. Proprietà attuale: pubblica (Demanio forestale)».

http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=302


Santo Stefano Quisquina (palazzo baronale dei Ventimiglia)

Foto di Pina e Nicola Sicilia, dal sito www.panoramio.com   Dal sito http://quisquina.com

«...Prima della sua fondazione, alcuni documenti attestano l’esistenza di un casale Sancti Stephani appartenuto, già nel X secolo, alla famiglia Sinibaldi. Il primo signore di Santo Stefano, di cui sappiamo il nome, fu Giovanni di Caltagirone, che visse ai tempi del regno di Federico II di Aragona (1296-1337). A Giovanni successe il figlio Nicola, che viene ricordato per avere edificato un fortilizio a protezione del nuovo casale. Ad Antonio Caltagirone seguirono Giovanni e Ruggero Sinibaldi. Quest’ultimo si ribellò al re Martino d’Aragona ed i suoi beni furono confiscati e devoluti alla Reale Corona. Ruggero Sinibaldi era sposo di Maria Guiscarda, parente di Ruggero II, re dei Normanni. Dal loro matrimonio nacque Rosalia, proclamata santa e patrona del paese. Nel 1396 divenne signore del paese Guiscardo de Agljs. Questa famiglia mantenne il potere in città sino al 1504 quando l’ultima erede, Giovanna, andò in sposa a Giovanni Larcan e i Larcan divennero i nuovi baroni del territorio. Nel 1549 Vincenzo Larcan vendette la baronia e gran parte dei suoi beni al Protonotaro del Regno di Sicilia, Alfonso Ruiz, che fece dono della baronia alla madre Elisabetta nel 1574. Essendo, questa, moglie di Carlo Ventimiglia, nel 1599 ogni diritto transitò alla famiglia Ventimiglia e Pietro Ventimiglia (figlio di Elisabetta e Carlo) fu investito della baronia il 16 settembre 1599. Intanto il casale andava trasformandosi in un vero paese. I Ventimiglia dominarono a lungo, sopravvissero anche ad eventi luttuosi. Il paese ebbe un particolare sviluppo sotto Giuseppe Emanuele Ventimiglia. Assunse definitivamente la denominazione di S. Stefano Quisquina il 4 gennaio 1863. Sono da visitare le belle costruzioni del Settecento e in particolare e la Chiesa Madre del XVI secolo dedicata a S. Nicola di Bari che conserva un Crocifisso ligneo intagliato, la Chiesa del Santuario di Santa Rosalia, posto in luogo ameno, ricco di vegetazione e situato tra i monti Cammarata e delle Rose. Insigni sono le architetture urbane come il Palazzo Baronale dei Ventimiglia del 1745 e la splendida Fontana del XVIII secolo sita in piazza Castello».

http://www.comune.santostefanoquisquina.ag.it/cenni-storici/


Sciacca (castello Nuovo o dei Luna)

Dal sito www.consorziodeitempli.ag.it   Dal sito www.vivisciacca.com

«Il castello Luna di Sciacca è collocato nel quartiere di S. Michele, in una posizione dominante sulla città. L’imponente struttura è la prima visibile arrivando a Sciacca. Eretto per volere di Guglielmo Peralta, conte di Caltabellotta, intorno al 1380, il Castello Luna porta il nome della famiglia che lo possedette dal 1400 in poi, in seguito al matrimonio di Margherita Peralta con il conte Artale Luna. In seguito, la proprietà passò a Sigismondo Luna che lo possedette fino al 1519, anno in cui si concluse quello che è passato alla storia come il “caso di Sciacca”. Dopo il 1529, l’imperatore Carlo V avocò alla corona il castello con il nome di Castello Nuovo, per distinguerlo dal preesistente Castello dei Perollo, dal quale dista poco meno di 200 mt. Il poderoso castello, fortezza e dimora allo stesso tempo, era difeso da diverse mura perimetrali, munite di torri sporgenti, rivestite agli spigoli di blocchi tufacei squadrati che contribuivano a dare un aspetto imponente al castello, al quale si accedeva attraverso un ponte levatoio che, da nord-ovest, introduceva in un vasto cortile. L’arco di ingresso recava in alto lo stemma dei Peralta e la porta era difesa dalla torre maestra, che rimase integra sino a quando un violento terremoto non la rovinò parzialmente, (la completa demolizione di questa torre avvenne invece ad opera del comune nel 1867). Al pianterreno erano situate le rimesse, la cappella di San Gregorio e le scuderie con l’armeria, mentre, a destra, una doppia scala permetteva di salire alle abitazioni signorili. Il Castello costituiva un piccolo microcosmo con proprie regole socio-economiche. Si dice che arrivasse ad ospitare sino a 100 persone. Al Conte era demandato il potere politico, economico e giudiziario attraverso l’esercizio del “mero e misto imperio”. Ciò che resta dell’antico splendore del castello oramai è solamente la mole imponente della torre rotonda e di qualche brano delle mura di cinta. Il Castello dei Luna rappresenta per Sciacca uno dei più importanti monumenti anche in relazione alle sue tormentate vicende che lo rende simbolo sia della storia che della legenda. Importante possedimento simbolo del potere dei Luna, intorno ad esso si svolsero tragici eventi del caso di Sciacca che segnarono indissolubilmente la storia della cittadina e che si impressero talmente nella memoria dei saccensi da ispirare racconti popolari. Oggi, il Castello dei Luna, è un importante monumento che testimonia visibilmente l’importanza con la quale Sciacca si colloca nel panorama storico della Sicilia e quanto abbiano inciso, nel veicolare gli eventi storici, le importanti casate che un tempo ebbero sede nel suo territorio».

http://www.sciaccavacanza.com/territorio-sciacca/da-visitare/castello-luna-sciacca


Sciacca (castello Vecchio o dei Perollo)

Dal sito www.vivisciacca.com   Dal sito www.vivisciacca.com

«Così detto per distinguerlo dal Castello Nuovo o dei Luna, che fu eretto dal Gran Conte Ruggero insieme con le prime mura che come una morsa chiudevano la città al tempo dei Normanni. Passò ai Perollo, secondo la tradizione locale, in seguito al matrimonio della contessa Giulietta, figlia del gran conte Ruggero, con Gilberto Perollo (sec. XII) e ai Perollo rimase fino alla sua quasi totale distruzione operata dai partigiani di Sigismondo Luna nel 1529, durante il famoso Caso di Sciacca. Situato nella parte orientale della città, all'incirca tra Porta S. Pietro, Porta Bagni e il Monastero di S. Caterina, comprendeva gli attuali cortili Chiodi, Rizza e Carini. Secondo il Savasta entro le mura del Castello erano "cinque grandiosi palagi con corti e sale e nobili quartieri abitati dai cinque rami principali della famiglia Perollo". Il castello aveva tre entrate. La porta principale, detta del Cotogno, era vicina a Porta Bagni, un'altra detta di S. Pietro, era così detta perché vicina alla omonima chiesa del castello, detta S. Pietro in Castro, la terza era rivolta a oriente e si trovava fuori le mura della città. Delle tre entrate avanza oggi solo quella che guarda a occidente, attraverso la quale si accede all'attuale Cortile Chiodi, in origine spazio interno dell'antica Rocca normanna. Il castello era munito di torri angolari, come può vedersi da un vecchio disegno di Ignazio Di Mino. La torre principale, detta di S. Nicolò, doveva essere non lontana dalla omonima chiesa. Si vuole, dice il Ciaccio, che il castello avesse avuto anche dei sotterranei, da cui potevasi nell'occorrenza evadere sia dal castello che dalla città... Dicesi che uno di quei sotterranei avesse avuto la bocca presso il monastero di Valverde. Dall'antica rocca ruggeriana ben poco oggi avanza e questo poco viene di giorno in giorno manomesso e compromesso dai privati cittadini che, infischiandosene del suo valore storico, ne vanno facendo scomparire ogni traccia. Fino a non molti anni or sono, dal cortile Carini o dalla parte superiore di via Valverde era ancora visibile la torre angolare di sud-est che poi è stata trasformata in casa privata. Oggi resta solo la porta ad arco che guarda ad occidente con il sovrastante stemma marmoreo dei Perollo».

http://www.sciacca.it/monumenti/castelli/Castello_vecchio.asp (dal volume di Salvatore Cantone Sciacca Terme. Guida Turistica)


Sciacca (palazzi)

Dal sito www.vivisciacca.com   Dal sito www.vivisciacca.com

«Il patrimonio culturale ed architettonico della città di Sciacca è arricchito in parte dai palazzi, che mantengono ancora ad oggi le loro origini architettonici quattro-cinquecenteschi. Palazzo Steripinto (C.so V. Emanuele, 213). Il palazzo Steripinto è uno dei più noti. La sua caratteristica fondamentale è il prospetto costruito da una fitta serie di bugne di pietra a punta di diamante creando un meraviglioso effetto decorativo. Il palazzo fu eretto nel 1501 da Antonio Noceto, nipote di Gerardo Noceto che fu un celebre botanico. ... Palazzo Perollo (Via Incisa, 48). Il palazzo è uno dei più attraenti e ben conservato del XV secolo. L'edificio è a pianta rettangolare con tre bifore gotiche raffinate e un balcone barocco con la ringhiera a petto d'oca aggiunta nel '700. Davanti a questo palazzo rimase per due giorni la salma di Giacomo Perollo ucciso dai seguaci di Sigismondo Luna durante il noto Caso di Sciacca. Palazzo Inveges (Via Roma-Piazza Inveges-Via Licata). Il palazzo mantiene bene i motivi barocchi, molto bella la ringhiera a petto d'oca sopra il portone della piazzetta Inveges. Questo edificio fu la residenza di una nobile famiglia saccense dei secoli XVII e XVIII da cui prende il nome».

http://www.vivisciacca.com/i-palazzi-di-sciacca-steripinto-san-giacomo-perollo-inveges.html


Sciacca (porte, mura)

Dal sito http://niettacina.blogspot.it   Dal sito www.vivisciacca.com

«Sciacca,nei tempi remoti, era circoscritta da mura difensivi dagli attacchi esterni. Per entrare ed uscire dal paese si avvaleva delle porte, chiamate: Porta Palermo, Porta Salvatore, Porta di Mare, Porta Bagni, Porta S. Calogero. La Porta Palermo fu costruita durante il regno di Carlo II di Borbone nel 1753 e conserva attualmente i portoni di legno nonché il simbolo della famiglia regnante di allora: l'aquila dalle ali spiegate. La porta Salvatore è la porta più ornata. Notevole è il balcone in cima alla porta con tre stemmi, quello di sinistra lo stemma della città, quello centrale lo stemma della casa d'Austria, allora regnante, e quella di destra della famiglia Satomajor. Le predette porte che abbiamo indicato qualche informazione e la Porta S. Calogero sono le uniche che conservano, attualmente, ancora la loro forma e in parte le loro caratteristiche. Oltre alle porte citate ne esistevano altre, meno conosciute e ormai scomparse,denominate: S. Pietro, Mazara (situata in piazza A. Scandaliato), Sant' Elmo (situata tra la porta di Mare ed il bastione di porta Bagni), S. Nicolò (situata nei pressi dell'omonima chiesa)».

http://www.vivisciacca.com/le-porte-di-sciacca-palermoporta-salvatoreporta-di-mareporta-bagniporta-scalogero.html


Sciacca (torre del Pardo)

Dal sito www.vivisciacca.com   Dal sito www.vivisciacca.com

«Una nota caratteristica di Sciacca medievale, comune ad altre città italiane, era costituita dalle case-torri merlate o meno, espressione tipica della dimora di tipo feudale: di esse ancora oggi avanzano, più o meno manomesse, a Sciacca alcuni esempi tra i quali quello della casa detta di Pardo mi sembra il più interessante sotto il profilo dell'arte. "... è l'avanzo dell'antica casa signorile, che si vuole essere stata della famiglia Incisa", dice I. Scaturro, e con lui sembra concordare il Bellafiore il quale scrive che "è ciò che rimane di una casa signorile quattro-cinquecentesca". Probabilmente si tratta invece di una casa-torre, tipica costruzione medievale, nata per ragioni di difesa, così frequente specialmente a Firenze al tempo di Dante. A Sciacca abbiamo altri esempi di tale tipo edilizio. Nella stessa via Incisa abbiamo un'altra casa-torre merlata inglobata nell'ex ospedale settecentesco di S. Margherita, della quale sono visibili i merli a coda di rondine che emergono dai tetti. Altra casa-torre era presso più interessante perché giunta a noi sostanzialmente integra. Sono evidentemente aggiunti i balconcini e sarebbe auspicabile che in sede di restauro si provvedesse ad eliminarli per restituire alla costruzione il suo carattere originario più autentico. A un sommario esame, sembra che anche gli elementi marmorei con bassorilievi (da qualcuno attribuiti al Laurana) che ornano la finestra che guarda a oriente siano parti aggiunte e riportate da altro edificio. Mentre appartengono indubbiamente alla costruzione originaria i motivi decorativi degli stipiti della finestra al primo piano e le due cariatidi in pietra tufacea che sorreggono la cornice al di sopra di essa. Il nome di Pardo deriva all'edificio dal fatto che esso probabilmente dagli Incisa, famiglia estinta verso la fine del' 300, passò in proprietà ad Antonio Pardo, ricco mercante catalano, morto a Sciacca nel 1400, il quale, come si è accennato, è considerato il secondo fondatore della chiesa di S. Margherita».

http://www.sciacca.it/Monumenti/Palazzi/Casa_T_Pardo.htm (dal volume di Salvatore Cantone Sciacca Terme. Guida Turistica)


Sciacca (torre di Capo San Marco o del Tradimento)

Dal sito www.provincia.agrigento.it   Dal sito www.provincia.agrigento.it

«Ubicazione. Agro di Sciacca sull'estremità della costa di ponente. A guardia della Cala del Tradimento, così detta poiché chi vi sbarcava non era visto dalla vicina città di Sciacca. Abbiamo qui un promontorio, simile a quello della Scala dei Turchi ad Ovest di Porto Empedocle, che consentiva lo sbarco dei "Turchi" senza che venissero scorti dal vicino centro abitato. Inserita entro superfetazioni ed edifici degli anni Sessanta. Adiacente un grosso traliccio radiotelevisivo. Posizione In bella posizione altamente panoramica sul Capo S. Marco. Sottostante un moderno piccolo faro nelle carte detto lanterna che ha avocato le sue funzioni di segnalazione. Suggestiva la sua posizione isolata sul promontorio, poco antropizzato, che conserva varie specie botaniche autoctone e balze di bel tufo rosso. Corrispondenze. Porto Palo a Ovest e Capo Bianco ad Est. Tipologia costruttiva. Torre cilindrica di circa mt 6,00 di diametro, con scarpa del diametro di 7,80 metri, la quale termina a 4,10 metri di altezza, mentre la torre si eleva fino ad almeno 8,00 metri circa. Ha una copertura a terrazzo che raccoglie l'acqua piovana nella cisterna posta nel piazzale esterno, mediante catusi di terracotta incassati parzialmente nel prospetto ovest. L'intonaco di calce è stato varie volte integrato. Al posto della scala retrattile esterna oggi vi è una moderna scaletta in muratura rivestita di mattoni laterizi di un rosso acceso, così come il rivestimento del pozzo. Un piccolo sedile in muratura, di stile ottocentesco, reca uno stemma poco leggibile. La torre si presenta inglobata fra una casetta di antica fattura con pergola esterna ed un'altra recente che ha orribili infissi metallici. Nell'edificio adiacente, a pochi metri, verso il mare si riconosce la base di una postazione di artiglieria. Se ne deduce che la torre, data la sua altezza rispetto alla riva del mare, è stata considerata sufficiente per l'avvistamento e la segnalazione, mentre non si è ritenuto di costruirne una nuova solo per alloggiare i cannoni che potevano benissimo essere posti all'esterno senza tema di essere sotto tiro. Tale postazione oggi è stata inglobata entro una casa moderna. In buone condizioni statiche e di manutenzione. Storia. Forse del Quattrocento, o anche prima, la sua forma cilindrica attesta la sua erezione prima di quelle camillianee. ... Nel 1588 il soldato preposto alla guardia respinse eroicamente un assalto di pirati turchi. Sfuggita all'attenzione della Sovrintendenza che non ha ritenuto di vincolarla, mentre a mio avviso ha importanti connotazioni storiche, artistiche e paesaggistiche ed è inserita in un contesto di edifici equilibrato che andrebbe conservato».

http://www.provincia.agrigento.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2365


Sciacca (torre di San Michele)

Dal sito www.sicilie.it   Dal sito www.vivisciacca.com

«Nella piazzetta adiacente alla chiesa di S. Michele (detta anticamente firriatu di S. Micheli) si trova la torre campanaria costruita nel 1550 dalla Confraternita di S. Michele. La struttura è a base quadrata con mura spesse oltre i due metri, dalle nude superficie e con una sola finestra a sud. Questa costruzione così possente lascia pensare ad un'opera di difesa eretta nel XIV sec. per avvistamenti di incursioni di navi pirati o turchi. Sulla torre vi sono tre campane: la più grande fu fusa nel 1587, pesa 1760 Kg e reca la seguente scrittura: "Piango i morti, respingo i fulmini, chiamo i vivi"».

http://www.sicilie.it/sicilia/Sciacca%20-%20Torre%20San%20Michele


Sciacca (torre Macauda o dell'Oro)

Dal sito www.provincia.agrigento.it   Dal sito www.cilibertoribera.it

«Di Deputazione. Crollata a metà forse per effetto dell'asportazione della sabbia di base. Detta anche Torre dell'Oro. Ubicazione. Sulla punta di Macauda. Adiacente e forse inglobata in un brutto complesso turistico balneare. Posizione. Sulla balza di terreno ghiaioso della contrada Macauda. Un filo di acqua accanto e varie specie arboree fra le quali un antico fico. Corrispondenze. Torre S. Marco ad Ovest e Verdura ad Est. Tipologia costruttiva. Tipica torre a base circolare di tradizione siciliana. Muratura di pietrame e ciottoli di buona consistenza e fattura. purtroppo la torre si è spezzata in due in senso verticale a causa del cedimento dell'area di sedime. Forse a causa dello scalzamento operato per cavare la ghiaia della quale è costituito il costone. Storia. Nel 1594 si trova armata. Se ne potrebbero consolidare i ruderi per sottrarli al rapido deperimento. La Sovrintendenza ha espresso il parere sulla valenza storica ed artistica apponendo il vincolo. Infatti la tipologia della torre, a tronco di cono, la consistenza notevole dei suoi ruderi, consentono una ideale ricostruzione e costituiscono una forte connotazione del paesaggio».

http://www.provincia.agrigento.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2370


Siculiana (castello)

a cura di Vita Russo


      

 

 

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