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TRANI, CASTELLO

testi e foto a cura di Luigi Bressan; testo di approfondimento di Stefania Mola

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Il castello nella foto di Paola Zaccheo

Il castello e la cattedrale; sotto: visti dall'alto.

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Il complesso castellare  Cortile ricavato tra la primitiva costruzione e le mura successive  Cortile lato est con accesso al mare  Cortile con palma

 

Corridoio interno ricavato tra le mura posteriori e le pareti del castello  Corridoio interno  Scala a chiocciola  Cortile interno, l'angolo nord-ovest  Particolare delle mensole sulla parete settentrionale del cortile

 

Iscrizione lato ovst attestante l'inizio dei lavori di costruzione o ricostruzione (1233)  Una delle mensole della parete nord del cortile interno (epoca sveva)  L'aquila sveva in una delle mensole della parete nord del cortile


Testo di approfondimento

Fondato da Federico II di Svevia nel 1230, il castello di Trani fu terminato nel 1233, benché la conclusione delle opere di fortificazione, condotte da Filippo Cinardo conte di Conversano ed Acquaviva, e dal tranese Stefano di Romualdo Carabarese, risalgano al 1249. Gli avvenimenti sono documentati da due iscrizioni in situ, la prima murata su uno degli accessi all’attuale cortile occidentale, la seconda sull’antica porta a mare comunicante con lo stesso cortile.

«IAM NATI XRISTI DOMINI ANNIS MILLE DUECENTIS / CUM TRIGINTA TRIBUS FEDERICI CESARIS ANNO / IMPERII TRINO DENO IERUSALEMQUE OCTAVO REGNI / CUM MENSIS IVNII AC INDICCIO SEXTA FORET OPUS / HOC HINC SURGERE CEPIT». 

(«Nell’anno 1233, tredicesimo d’impero di Federico Cesare e ottavo del suo regno di Gerusalemme, nel mese di giugno e nella sesta indizione, allora quest’opera cominciò a sorgere»).

«CESARIS IMPERIO DIVINO MORE TONANTE / FIT CIRCA CASTRUM MUNITIO TALIS ET ANTE / HUIC OPERI FORMAM SERIEM TOTUMQUE NECESSE / PHILIPPI STUDIUM CINARDI PROTULIT ESSE / QUOQUE MAGIS FIERENT STUDIIS HAEC FAMA TRANENSIS / PREFUIT HIS STEPHANI ROMOALDI CARABARENSIS / ANNO INCARNATIONIS IESU XRISTI MCCXLIX INDIC. VI». 

(«Per ordine supremo di Cesare viene fatta intorno e davanti al castello questa difesa la cui forma, configurazione e tutto quanto si rende necessario si deve all’ingegno di Filippo Cinardo e perché questi sforzi venissero fatti al meglio ad essi sovrintese la fama del tranese Stefano di Romualdo Carabarese»).

Sappiamo che il castello fu dimora prediletta di Manfredi, figlio di Federico II, che vi celebrò le sue seconde nozze con Elena d’Epiro e che con gli Angioini venne sottoposto ad ulteriori lavori sotto la direzione di Pierre d’Angicourt. Il suo passaggio, insieme alla città, all’imperatore Carlo V comportò interventi sostanziali volti al suo adeguamento alle mutate esigenze imposte dall’impiego delle armi da fuoco, come attesta un’iscrizione, datata 1533, collocata nella parete sud del cortile centrale, all’altezza del secondo piano, testimonianza della ristrutturazione dell’ala sud del cortile, che conferì al castello un carattere più “moderno”, stravolgendo il vecchio impianto medievale svevo cui appartengono il mastio, le tre torri angolari e la cortina verso il mare; la parte verso la città si riferisce invece all’intervento cinquecentesco. L’ampio fossato era una volta direttamente in comunicazione con il mare, mentre un ponte levatoio (oggi sostituito da un ponte di pietra) permetteva il collegamento con la piazza antistante.

Dal 1586 al 1677 il castello fu sede della Sacra Regia Udienza della Provincia di Bari; dal 1832 al 1844 fu completamente rimaneggiato per essere trasformato in Carcere Centrale Provinciale. Cessata nel 1974 la funzione detentiva, nel 1976 l’edificio veniva consegnato alla Soprintendenza per i Beni AAAS della Puglia che nel 1979 ne avviava i restauri, da poco giunti a conclusione.

Nella sua attuale configurazione il castello di Trani si presenta come il risultato dei tre fondamentali momenti costruttivi, riferibili alla fondazione medievale, all’adeguamento cinquecentesco e al massiccio rimaneggiamento ottocentesco. L’edificio originario, di impianto quadrangolare con quattro torri quadrate agli spigoli e cortile centrale, appare oggi inglobato sui tre lati verso terra da un antemurale che ha dato origine ad altri tre cortili sui lati est, sud ed ovest, corrispondenti allo spazio tra l’antico e il nuovo perimetro.

Il castello si affaccia su piazza Manfredi con il prospetto orientale. Vi si accede attraverso il ponte in muratura – realizzato nel XIX secolo – che sovrasta il fossato, e quindi oltrepassando il portale aperto nell’antemurale, sormontato da un’iscrizione del 1553 che documenta la ristrutturazione avvenuta sotto Carlo V, ad opera del castellano Giorgio Manriquez e del vicecastellano Pietro di Montalbano. 

La torretta dotata di orologio – il cui meccanismo è oggi nuovamente funzionante grazie ai restauri – risale invece al 1848, dunque al periodo in cui il castello era adibito a carcere.

Oltre l’androne – anch’esso cinquecentesco – si apre il piccolo cortile orientale dal quale è possibile accedere tanto al varco aperto in corrispondenza dell’ala sud, quanto al cortile centrale ed al museo. Grazie al restauro, che lo ha liberato dalle numerose superfetazioni ottocentesche, è stata individuata l’estensione e la quota di calpestio originaria dell’androne medievale. Dal portale archiacuto pertinente a quest’ultimo si passa all’ala sud del castello, in origine occupata da un monumentale porticato ad arconi acuti distrutto nel 1533 ed “inghiottito” da un poderoso terrapieno; lo svuotamento operato dai recenti restauri (circa 2000 m3 di riempimento) ha permesso di recuperare l’antico paramento murario, le imposte delle arcate e le finestre del piano superiore, restituendo un gran numero di frammenti scultorei relativi alle demolizioni dell’antico apparato decorativo interno ed esterno. Da questo spazio si perviene al primitivo ingresso monumentale di età federiciana, situato in posizione opposta a quello attuale e comunicante con il cortile occidentale, sovrastato dall’iscrizione del 1233.

Fulcro di tutto l’edificio è il cortile centrale, nel quale è possibile recuperare qualche elemento in più della fisionomia originaria dell’edificio, perdutasi nel corso degli eventi storici e bellici: le tracce della primitiva scala d’accesso ai saloni del piano superiore; alcune mensole ancora in situ (tra cui quelle raffiguranti Adamo ed Eva, l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata, una cariatide danzante, un’aquila ad ali spiegate) che testimoniano l’esistenza di una originaria copertura a crociere del corridoio nonché stretti rapporti a livello iconografico con la decorazione della vicina cattedrale; le finestre e le cornici dell’ala nord che suggeriscono solo vagamente la grandiosità con cui doveva presentarsi la spettacolare apparecchiatura residenziale e rappresentativa, fusa in un contesto militare e fortificato. Sul lato sud si apriva infine il monumentale porticato ad arconi acuti perduto con il terrapieno, i cui poderosi pilastri a sezione quadrata rimasero inglobati nelle pareti d’ambito al piano terra dove il restauro li ha rimessi in luce.

In età manfrediana il castello ebbe una cappella, oggi corrispondente al locale adibito a reception e bookshop, riconoscibile dalla conca dell’abside nonché dalla crociera costolonata in corrispondenza dell’area presbiteriale.

 

La principessa venuta dal mare

Il 2 giugno dell’anno 1259 arrivò a Trani dal mare una bellissima fanciulla, che doveva diventare la sposa del re. Aveva solo 17 anni e si chiamava Elena, veniva dall’Epiro e portava in dote al re Manfredi, figlio prediletto di Federico II di Svevia, Corfù e Durazzo. Le sontuosissime nozze si svolsero nel castello, tutta la città era in festa e tributò grandi onori alla nuova regina. I due sovrani trascorsero sette anni di grande felicità, ed ebbero quattro figli, Beatrice, Enrico, Federico ed Enzo; Elena fu molto amata da Manfredi, al di là del gioco di interessi che a quel tempo era alla base di ogni matrimonio tra potenti. Ma la sorte della dinastia sveva, tristemente nota, si compì il 26 febbraio del 1266, con la sconfitta e l’uccisione di Manfredi nella battaglia di Benevento. Elena ne ebbe notizia nel castello di Lucera; seppe che il cadavere, depredato e profanato, non aveva ricevuto neanche la sepoltura. Fu abbandonata e tradita da tutti quelli che le stavano intorno, tranne che da Munaldo ed Amundilla, una coppia di tranesi che la aiutò a rifugiarsi insieme ai figlioletti nel castello di Trani; qui avrebbe aspettato il momento propizio per ritornare in patria e salvarsi.

Ma il destino fu diverso: in Epiro suo padre era stato spodestato dall’imperatore di Bisanzio, anche gli ultimi fedelissimi erano passati dalla parte di Carlo d’Angiò, ed il vento di Trani non le fu favorevole, impedendole di salpare alla volta di una qualsiasi salvezza. La sua presenza nel castello fu scoperta, e lei si ritrovò prigioniera nel luogo stesso dove anni prima era iniziata la sua felicità. I suoi figli le vennero strappati: Beatrice fu mandata a Napoli e rinchiusa in Castel dell’Ovo, Enrico, Federico ed Enzo vennero imprigionati a Castel del Monte per il resto della loro vita. Mentre Beatrice, grazie alla rivolta del Vespro, venne liberata diciotto anni dopo e raggiunse in Sicilia gli eredi spagnoli della sua famiglia (Pietro III d’Aragona e la sorellastra Costanza), Elena resistette alle sofferenze della prigionia solo cinque anni; morì infatti nel castello di Lagopesole a soli 29 anni, nel 1271, ultima testimone della grandezza e della caduta degli Svevi.

  

   

 

©2002 Stefania Mola (il testo è stato pubblicato nel sito Stupor mundi)

   


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