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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI VIBO VALENTIA

in sintesi

I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.

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ARENA (resti del castello normanno)

Dal sito http://storia.vibonesiamo.it   Dal sito www.comunedasa.it

«Il castello di Arena, costruito da Ruggero a difesa di Mileto, in luogo strategico e inespugnabile, è posto su un possente sperone di roccia a metà strada fra Monteleone e Stilo, a difesa del passo Berra, che, aprendo un varco fra le montagne delle Serre meridionali, metteva in collegamento i due mari. Il pensiero di Ruggero era quello di difendere la capitale da un improvviso attacco alle spalle proveniente da quella costa orientale dove il vecchio Impero d’Oriente, con le sue importanti posizioni, poteva ostacolare la penetrazione normanna in questa parte della Calabria Ultra. Per assolvere a questo importante compito fu insediato quale primo conte d’Arena un figlio naturale del Normanno, anch’egli di nome Ruggero, più spesso indicato con il cognome della madre, ossia Ruggero Conclubet. I discendenti di quest’ultimo per ben 600 anni continueranno a dominare in Arena, vivendo in prima persona i più importanti eventi storici: dalla transizione normanno-sveva all’avvento degli Angioini, dalla congiura dei baroni alla rivoluzione di Tommaso Campanella. Testimone di questi importi fatti di storia fu il castello, che, già ricostruito in seguito al terremoto del 1753, non sopportò la violenta forza devastatrice del sisma del 1783, lo stesso che rase al suolo Mileto. Gli imponenti e maestosi ruderi che orgogliosamente resistono al passaggio del tempo rimangono il più utile strumento per ricostruire i quasi 1000 anni di storia di una delle più importanti strutture difensive della nostra provincia, nonché il solo di chiara e certa origine normanna. Dell’età di Ruggero il castello conserva l’impostazione architettonica propria di tutti i castelli normanni. Il corpo di fabbrica ricalca un quadrilatero perfettamente adattato alla natura del luogo, con mura perimetrali robuste e possenti. L’accesso al castello e permesso dalla sola facciata orientale mentre le altre tre sono circondate da dirupi imprendibili e vertiginosi. Agli angoli del quadrilatero sorgono quattro torri parzialmente conservate e di epoche diverse, a causa dei vari adattamenti tecnico - difensivi effettuati sul castello. Precisamente, il castello presenta due torri angioine a base circolare dalla parte orientale, mentre gli altri due vertici presentano due torri a base quadrata d’epoca aragonese. Come è possibile osservare pochi ruderi conservano un’antologia di storia difensiva e di architettura militare, capaci di testimoniare diversi modi di fare guerra e diversi modi di difendersi. Presto la pesante costruzione normanna venne alleggerita, e la modifica principale fu fatta alle torri: le torri quadrangolari, piene e robuste con scarpa liscia, vennero sostituite da torri alte, leggere a base circolare con scarpa scanalata. Quest’ultimo accorgimento aumentava la difesa piombante, praticata dalla merlatura, aumentandone la gittata e garantendo effetti devastanti sui nemici.

Le due torri a base scanalata conservate in Arena sono un “unicum” dell’ingegno militare francese, forse unici esempi in Calabria di questo originale modo di costruzione. Infatti, va precisato che generalmente le torri angioine avevano una scarpa circolare liscia e non scanalata, benché uguali esempi della stessa tecnica costruttiva debbano essere ricercati in Campania. Queste modifiche dell’iniziale struttura normanna non furono estese alle torri occidentali che guardano verso Monteleone, per due ragioni: in primo luogo il pericolo continuava a provenire da oriente, in secondo luogo il castello risultava inespugnabile dagli altri tre lati. Col tempo però le cose mutarono: particolarmente in epoca aragonese età caratterizzata dall’introduzione delle armi da fuoco. Le nuove armi avevano sulle alte e delicate strutture angioine effetti devastanti, rendendone quasi impossibile la difesa. In tali situazioni ritornavano utili le vecchie torri normanne disposte sulla facciata occidentale, anche perché in quest’epoca il pericolo non proveniva più da oriente, ma il territorio da controllare era quello sottostante il castello. Le torri occidentali furono ribassate ed opportunamente modificate per assorbire i colpi dell’artiglieria nemica e i pesanti rinculi delle bocche da fuoco in esse ospitate. Il castello non assolse solo un ruolo difensivo, ma era anche il luogo in cui si amministrava la giustizia, dove il marchese aveva la sua dimora e dove si svolgevano le attività economiche più importanti. Ad esempio, sono ancora visibili i sotterranei dove erano ospitate le carceri; e, nella gola sottostante in cui scorre il Petrace, sono stati recentemente recuperati dall’abbandono, i resti del frantoio e del mulini su cui il marchese vantava, come su tutte le altre macchine ad acqua del feudo, i suoi numerosi “iura proibendi”. Occorre, poi, un riferimento ai resti dell’acquedotto normanno, che con le sue condotte garantiva acqua corrente alle numerose fontane del castello. Il castello con tutte le sue numerose pertinenze formava una struttura funzionale alle diverse esigenze: non solo del suo signore ma dell’intero feudo, svolgendo soprattutto un ruolo di rappresentanza per l’intera corte. A tal fine erano adibiti i due piani alti della costruzione, in cui oltre agli alloggi e alle stanze di servizio, numerosi erano i saloni riccamente arredati per il fasto del feudatario. Di tutto ciò nulla ci è pervenuto, se non la memoria conservata nei polverosi tomi dell’archivio marchesale ormai testimoni indiretti di un grande passato».

http://www.omceovv.it/storia_normanni/normanni/faga.htm (a cura di Rocco Faga)


BIVONA (castello)

Dal sito http://storia.vibonesiamo.it   Dal sito www.maridelsud.com

«Il castello di Bivona, o meglio il rudere, oggi circondato da insediamenti industriali, si trova nell'omonima località, frazione del Comune di Vibo Valentia, a poca distanza dal mare. La prima notizia sul castello è contenuta nei regesti della cancelleria aragonese del 1490, dove viene citato indirettamente in relazione ad alcune vicende collegate a dei pagamenti. Viene menzionato successivamente nell'elenco dei castelli da restaurare tra il 1490 ed il 1491 insieme a quello di Reggio, Crotone e Pizzo. Anche Vito Capialbi, studioso monteleonese dell'Ottocento, menziona il castello così come aveva fatto in precedenza Giuseppe Bisogni de Gatti. Quest'ultimo, ispirandosi ad un'opera più antica redatta da Giuseppe Capialbi vissuto nel 1600, asserisce che il castello fu costruito allo scopo di proteggere il porto dalle incursioni dei pirati, sotto il governatorato del marchese Bucanico della famiglia Orsini e successore del conte D'Apice. L'epoca della sua costruzione dovrebbe risalire al 1400, esattamente alla prima metà, anche se sono state proposte altre date come XII-XIV secolo. Il complesso, all'interno della cortina, nel 1400 doveva essere destinato a residenza per la guarnigione. Nel 1500 furono apportate delle modifiche alla struttura in funzione di una diversa destinazione d’uso. La storia più recente del castello è collegata alla lavorazione della cannamele (canna da zucchero). Infatti ai primi del '500 il castello passò in mano ai Pignatelli, che destinarono la struttura a questa nuova attività, probabilmente molto redditizia tenuto conto del fatto che il territorio circostante, oltre a dedicarsi alla coltura ed alla trasformazione del prodotto, la presenza del porto offriva la possibilità di movimentazione delle merci. Nel 1710 il Bisogni asserisce che dopo il 1645 intorno al castello si era formato un lago di acqua stagnante che aveva reso l'area poco salubre e praticabile. Si ritiene, pertanto, che dopo questa data l'area venne abbandonata. In anni recenti la Soprintendenza archeologica della Calabria, in seguito al rinvenimento fortuito di ceramica di epoca romana, ha condotto una campagna di prospezioni elettromagnetiche ed archeologiche che hanno documentato la presenza di strutture sicuramente in connessione con l'antico porto della città greco-romana di Hipponion-Valentia».

http://storia.vibonesiamo.it/wordpress/2011/11/29/il-rudere-del-castello-di-bivona/


BRIATICO (resti del castello)

Foto di Giuseppe Pungitore, dal sito www.francavillaangitola.com   Foto di Giuseppe Pungitore, dal sito www.francavillaangitola.com

«Di Briatico Vecchio, che sorgeva su un colle alla destra della fiumara Murria, distrutto dal sisma del 1783, rimangono i ruderi del Castello medievale fatto edificare da Ferdinando Bisbal e dell'antico centro abitato, che all'epoca contava 12 chiese, 3 conventi e aveva un'enorme importanza storico-culturale».

http://www.prolocotropea.eu/public/briatico.html


BRIATICO (torre della Rocchetta)

Dal sito www.poro.it   Dal sito www.etineris.net

«Eretta probabilmente nel secolo X o secondo altre fonti nel 1270 per la difesa dalle incursioni saracene, la Torre detta della Rocchetta sorge imponente in riva al mare in completo disfacimento. Era adibita anche a difesa delle industrie di cui era dotata la zona: le fabbriche del vetro e del sapone, nonché i Molini Feudali che allora servivano tutta la zona per la macinazione del grano e di altri cereali. Particolare è la forma rettangolare, che si contraddistingue dalle altre torri poste lungo il litorale che hanno tutte forme circolari o quadrate. Inoltre inusuale sembra la posizione posta a ridosso del litorale e non all’interno della costa sulle alture come sono ubicate le altre Torri Costiere».

http://www.tropeaholiday.it/briatico_torri.htm


BRIATICO (torre Sant'Irene)

Dal sito http://in3rxg.blogspot.it   Dal sito www.postecode.com

«Sulla spiaggia restano solo due delle 5 torri del sistema difensivo antiturco: la Rocchetta, alta torre di vedetta costiera a pianta pentagonale, costruita in origine dai greci, ricostruita dai romani, venne rimaneggiata in epoca medievale; Torre Sant'Irene, eretta dal governo vice Reale Spagnolo a vedetta contro le incursioni barbaresche».

http://www.comune.briatico.vv.it/index.php?action=index&p=213


BRIVADI (torre Marrana)

Dal sito www.tropeaonline.it   Dal sito http://calabria-irc.forumfree.it

«Torre Marrana fa parte delle torri di avvistamento presenti nel territorio di Ricadi, risalenti al 1500, fatte costruire da Carlo V, che venendo in Calabria si era reso conto che le coste erano senza protezione, per cui bisognava fortificarle. Complessivamente ne furono costruite 360. Alla custodia delle torri vi erano i torrieri che avevano il compito di segnalare con fuochi e spari agli abitanti del posto ed alla torre successiva fino al castello che dal mare stavano giungendo i pirati. Torre Marrana di forma cilindrica ha una altezza di mt. 10 circa, è costruita interamente in pietra granitica e pietra calcarea, con una porta sul lato della fiumara, ed una finestra. Oggi la torre riveste in precarie condizioni anche di stabilità in quanto l’orografia del terreno circostante è stata modificata. Difatti sono stati eseguiti dei lavori di sbancamento, lasciando la torre con il suo enorme peso dovuto alle sue strutture murarie, su un cucuzzolo di roccia calcarea quasi a strapiombo».

http://www.cogalmonteporo.net/comuni/ricadi/ricadi4.PDF


CAPO VATICANO (torre Marino, torre Santa Maria)

Dal sito www.capovaticanovacanze.net   Dal sito http://tropeaperamore.myblog.it

«Le torri nel territorio di Ricadi , di cui rimangono almeno in parte tre, sono sei e prendono nome della località dove sorgono: Torre Marrana, Santa Maria, Torre Marino, Torre Ruffa, Torre in contrada Pissione e Torre Bali in Santa Domenica di Ricadi, dove abitava il comandante di tutte le torri vicine e dove vi era al bisogno l’occorrente per organizzare la difesa e dare l’allarme con lingue di fuoco, di notte; con una colonna di fumo giorno. Queste torri d’avviso hanno alcune forme cilindrica, altre tronco-conica ed altre piramidale e sono situate a circa tre chilometri di distanza l’una dall’altra. Servivano a protezione delle popolazioni contro le scorrerie dei saraceni che venivano qui a razziare ed a rapire le belle donne».

http://www.capovaticano.eu/le-torri-costiere.html


CARIA (castello Galluppi)

Dal sito www.poro.it   Dal sito www.poro.it

«La residenza signorile "Galluppi" è l’esempio più rappresentativo dei palazzotti edificati nel territorio del Poro, quale residenza estiva dei signori di Tropea . È ubicato nel centro abitato della Fraz. Caria a 350 mt s.l.m. La particolare posizione, il piacevole clima collinare, la facilità di collegamento con la cittadina di Tropea ha indotto nei secoli passati i baroni Galluppi di Tropea a stabilire qui la loro residenza estiva erigendovi un castello Feudale dove visse il famoso filosofo Pasquale Galluppi a cavallo dei secoli XVIII e XIX. L’edificio oltre ad avere importanza storico-testimoniale, risulta particolarmente ornato esteticamente, improntato allo stile medievale del XIII secolo con torri angolari a pianta quadrata, artistiche bifore, archetti e merlature ghibelline. Non si conosce esattamente l’epoca della primitiva costruzione né si sa se avesse l ’attuale impronta architettonica. È certo che durante gli anni dovette subire diverse ristrutturazioni e restauri di cui l ’ultimo risale ai principi di questo secolo a seguito del disastroso terremoto che colpì la Calabria. Si sviluppa su due livelli, al piano terra troviamo il trappeto ed i magazzini, al primo piano la residenza. Annesso al fabbricato vi è un parco giardino ed una chiesetta di famiglia».

http://www.cogalmonteporo.net/comuni/drapia/drapia1.PDF


DRAPIA (torre Galli)

Foto di Pinuccio Naso, dal sito www.poro.it   Dal sito www.tropeaholiday.it

«Lungo la strada provinciale, innesto per la statale 18, che passa per Caria a soli tre chilometri dall'abitato, sorge sopra una delle colline più amene di monte poro. Il complesso collinare del poro (710) prende nome da una voce bizantina "poros" passaggio. Localizzata al passaggio del poro di Nicotera. Una constante tradizione di viabilità è possibile definirla nel luogo che una grande carovaniera preistorica attraversava convergendo sud-ovest sulla valle del Mesima; è da supporsi legittimamente che la stessa carovaniera si prolungasse verso ovest attraversando Torre Galli e Caria e arrivando fino al mare tirreno, Porto Ercole. Torre Galli proprietà della famiglia Galli di Tropea che per molto tempo l'ha adibita a villeggiatura. Uno dei vani a piano terra era adoperato a cappella, all'altare era il quadro dell'immacolata, copia del murillo, a celebrare si chiamava il parroco di Spilinga o di Caria il neo sacerdote Antonio Mollo, che dava pure lezioni di Francese ai figli del padrone cav. Galli Peppino; adempivano così al precetto della messa domenicale non solo la famiglia Galli, ma anche molti contadini e coloni della contrada, che al principio della messa venivano avvisati in mancanza di campana, dallo sparo di un mortaretto. I terremoti del 1905 e 1908 hanno diroccato il fabbricato alquanto rifatto, un incendio fortuito l'ha ridotto in macerie, ed ora è lasciato in abbandono. Torre Galli è antichissima ed ha una storia molto ricca. ad oriente, a circa 300 metri, lungo la sinistra della provinciale si trova la necropoli ellenica. La venuta sul posto dell'illustre archeologo trentino, professore Paolo Orsi (1921-1922), con gli scavi fatti eseguire, portò fuori materiale archeologico più abbondante di quello di Canale, presso Locri, mise alla luce armi di ferro e di bronzo, asce da bosco e da guerra, ceramiche decorate, utensili domestici di vari metalli, oreficerie, profumi ed oggetti di ornamento. Tali oggetti rinvenuti sono stati portati, e si conservano oggi presso il museo regionale di Reggio Calabria».

http://www.poro.it/torregalli/index.htm


FILANDARI (ruderi del castello di Mesiano)

Dal sito www.cogalmonteporo.net   Dal sito www.cogalmonteporo.net

«Del castello di Mesiano, edificato sembra nel VIII secolo, si hanno notizie certe nel X secolo, allorquando intorno al Castello di Mesiano ed al Monastero di S. Giovanni, sorse la città di Mesiano.Il Castello sorgeva su una altura posta tra due fiumare a 530 mt. s. l. m., in una posizione tale che era molto difficile espugnarlo, vista l’orografia del terreno. Da alcuni documenti greci giunti sino a noi , si desume che anticamente la città era detta fortezza di S. Giovanni. Mesiano era un Castello Regio, cioè amministrato dalla regia Curia e sembra proprio che per questa ragione i documenti si sono conservati sino a noi . La fortezza di S. Giovanni si estendeva tra Briatico, Tropea, Nicotera, Calimera e Mileto, nel suo vasto territorio vi erano casali di Chysochoos, dei Kampigzioi, di Moladi, di Akros, di S. Agata, di S. Calogero e di Sant’Opolo, che sorgeva presso la collina di S. Calogero, il vasto territorio sotto la giurisdizione di Mesiano non era tutto coltivato, in gran parte veniva adibito a pascoli e la parte coltivata era divisa in piccoli lotti. Un documento del 1273, include Mesiano fra i castelli da riparare , non si conosce l’entità della riparazione ne tantomeno se è stata effettuata. Oggi del Castello, non rimangono che tracce murarie che fanno immaginare l’imponenza che la fortezza aveva e ricopriva nel suo vasto territorio».

http://www.cogalmonteporo.net/comuni/filandari/filandari3.PDF


JOPPOLO (torre di Parnaso)

Dal sito www.tropea.org   Dal sito www.bncs.beniculturali.it

«...Proseguendo per Joppolo lato sud per Nicotera si svolta a sinistra e dopo il sottopasso stradale ferroviario si arriva sul lungo mare ciottoloso ed a sinistra dove la costa si alza, si vede la Torre di Joppolo del XIV secolo e quindi angioina, che si trova nel comune di Nicotera. Essa è circolare con ingresso al primo piano lato est per mezzo di scala esistente. All'interno del primo piano ci sono le aperture di avvistamento e lato sud c'è la scala d'accesso alla torretta superiore, dentro il muro stesso. Qui si può ben notare come i muri lato mare sono più larghi e forti di quelli lato terra, appunto per resistere meglio a eventuali tiri di artiglieria dal mare stesso. è visibile il focolare caminetto dentro il quale di giorno si provvedeva a provocare il fumo che la canna fumaria portava in alto come segnale, mentre di notte bisognava accedere in cima ed accendere il fuoco. Tutto questo, prescritto nei modi e nei termini, presuppone una scorta di tutto il necessario, legna, acqua, viveri per cui di solito veniva utilizzato il piano terra qui adesso in parte interrato. Questa torre ha bisogno di interventi di restauro conservativi e di una creazione intorno di una fascia di rispetto di almeno 300 metri, perché non venga oscurata dal cemento perdendo così il suo slancio che trasmette sicurezza e snellezza. Essa corrispondeva con Capo Spinoso e con torre Mesina. La parte antica di Nicotera ed il suo castello vedono chiaramente il mare sottostante fino allo stretto di Messina (faro) e certamente furono anche punto di osservazione. Ma di notte le spiagge basse come è quella da Nicotera, fino alle prime alture che portano a palmi, erano invisibili ed occorreva un pattugliamento a vista anche con cavalli lungo la spiaggia ed appostamenti nell'oscurità con parola d'ordine. Per questo a Nicotera marina esisteva la casa di guardia con la stalla i cavalli ed il dormitorio per i cavallari che svolgevano opera di controllo della spiaggia con relativi turni di servizio avendo come appoggio la stessa casa».

http://tropeaperamore.myblog.it/archive/2009/06/10/il-ruolo-delle-torri-di-avvistamento-della-costa-degli-dei-n.html


MAIERATO (ruderi del castello di Rocca Angitola)

Dal sito http://tropeaperamore.myblog.it   Dal sito it.wikipedia.org

«Non si hanno molti elementi di conoscenza su Rocca Angitola, l'unica cosa certa è che da secoli, tra gli studiosi locali e non, si discute intorno alle sue origini e in particolar modo sul fatto che essa possa essere identificata con la mitica città di Crissa, antica repubblica greca. Tale confusione è dovuta al Barrio, che primo rivendica l’origine greca della città, e a tutta la storiografia calabrese a lui legata. Nel 1725 Ilario Tranquillo (1668-1743) - professore di teologia e primo canonico della chiesa collegiata di Pizzo - pubblica a Napoli la Istoria apologetica dell’antica Napizia, nella dedica a Tommaso Mannacio (1667-1639) scritta in forma epistolare e datata 31 gennaio 1725 fa discendere Rocca Angitola da Crissa, e afferma come Francavilla sia uno dei tanti paesi sorti a seguito delle distruzione della città ad opera dei saraceni nel X secolo. Crissa, che sarebbe stata distrutta dai Saraceni, nel 950 avrebbe dato origine a Rocca Angitola e ad altri casali che, in una reintegra (custodita nell’archivio del palazzo di Pizzo del Principe di Mileto scritta con licenza di Ferdinando d’Aragona Re di Napoli nell’anno 1474, quando conte di Mileto era Carlo Sanseverino) si leggeva che Rocca Angitola avrebbe avuto infatti sotto la sua giurisdizione diciotto casali: Braccio, Staradi, Pimene, Santo Sidro, Aporono, Chirofono, Macheradi, Casalenovo, Santo Nicola, Filogaso, Santo Stefano, Scanathorio, Pronia, Maroni, Capistrano, Carthopoli, Santo Foca e Clopani. I casali di Carthopoli, Santo Foca e Clopani diedero origne a Francavilla. Foca Accetta ha rintracciato e commentato (vedi il suo ultimo lavoro: Francavilla Angitola dalle sue origini al tempo presente 1916, Lamezia Terme 2006, pp. 99) un testo del primo Novecento attribuito a Scipione Mannacio Soderini (1849-1917), avvocato e sindaco di Francavilla dal 1877 al 1899, dove è rigettata la tesi classica che vuole che l’ubicazione di Rocca Angitola fosse quella dell’antica Crissa che viene collocata sul piano degli Scrisi, dove nei tempi passati si sono rinvenute "numerose vestigia di rovine". È ormai praticamente certo che una città di nome Crissa non sia mai esistita. Gli studiosi hanno segnalato negli ultimi tempi come l’esistenza della città magnogreca non sia altro che una inventio, il frutto di un’errata lettura delle fonti classiche e in particolare dell’ Alessandra (1067-1074) di Licofrone da parte degli autori della tradizione erudita a partire da Barrio. Giovanna De Sensi Sestito di recente, in un studio sul golfo lametino nell’antichità, ricorda come nel contesto geografico e storico fissato da Licofrone non vi sia alcun riferimento ad una città magnogreca. Il termine Crisa, da cui prende avvio l’equivoco, non si riferisce a un elemento identificativo del golfo di Lampetia o della campagna di Crotone sull’istmo, ma alla regione dei Delfi, per fare risaltare, in maniera poetica, il contrasto tra la meta desiderata, vale a dire la patria focidese, e i nuovi luoghi raggiunti dagli esuli greci.

È ormai certo che Rocca Niceforo (in onore del condottiero bizantino) sia stata la denominazione medievale e tardomedievale di quel kastron, di quella città che in epoca moderna verrà conosciuta come Rocca Angitola. Dai registri angioini risulta che gli abitanti nel 1276 erano 1228, una popolazione notevole per l’epoca. Nel 1532 vengono registrate 141 famiglie che passano a 263 nel 1545, a 275 nel 1651. Da questo momento comincia il declino. Nel 1669 la popolazione si è dimezzata, con 109 nuclei che risalgono a 156 nel 1732. I terremoti del XVII secolo (1638, 1659) distruggono sia la realtà che le immagini di una terra fertile e prosperosa. Gi nel 1720, la famosa fiera del mastro», menzionata dal Barrio, e che si effettuava l’8 settembre di ogni anno, in prossimità dell’abitato, era stata spostata sulla piana degli «Scrisi», in prossimità di fontane e acque correnti. Lo spopolamento di Rocca Angitola si consuma nel corso del XVIII secolo, ancora prima del terremoto del 1783, che ne avrebbe distrutto le case. L’aria malsana del fiume che scorreva alla base della collina fu la causa ultima insieme alle aggressioni che subiscono gli ultimi abitanti. Antonio Tripodi ha trovato importanti e significativi documenti, relativi alle annate 1762 e 1772, che raccontano la fuga e l’abbandono degli ultimi abitanti ancora prima del terremoto del 1783. La fuga delle ultime persone, alla fine della celebrazione di una messa da parte del parroco di Pizzo, quasi ad auspicare un possibile ritorno, non aveva comportato la distruzione di case e di chiese. E infatti soltanto dopo il terremoto del 1783 i pochi oggetti sacri vennero portati nei paesi vicini. Le tre campane della chiesa Crocifisso della Roccaparrocchiale furono sistemate sul campanile della chiesa parrocchiale di Maierato, dove una di esse è ancora in funzione. Uno splendido Crocifisso quattrocentesco, noto come il "Padre della Rocca" è custodito nella collegiata chiesa matrice di San Giorgio Martire di Pizzo. Rocca Angitola esiste come rudere su una collina rocciosa sulla riva sinistra del lago Angitola, nel territorio del comune di Maierato. E girando tra le rovine è possibile ammirare i resti della cinta muraria, del castello, di alcune chiese, del convento dei domenicani fondato nel 1540 e abolito nel 1652, e infine di alcune abitazioni civili».

http://www.francavilla-angitola.com/Rocca_Angitola.htm


MUTARI (castello)

Dal sito http://bettylafeaecomoda.forumcommunity.net   Dal sito http://dreameat.it

«Il paese [Francica] ha origini antiche. ... Secondo quanto riportato in De Anquitate et situ Calabriae, opera di Gabriele Barrio, si narra che nei pressi di Mileto si formarono dei gruppi abitativi che diedero vita al primitivo paese nel periodo medioevale (ipotesi menzionata anche dallo storico cosentino Domenico Martire). Per i primi anni di vita e fino al periodo svevo le sorti del paese furono strettamente legate alla limitrofa Mileto. Durante il periodo angioino si susseguirono diversi feudatari che controllavano la zona di Mileto e dintorni, quindi anche Francica. Il paese passò in mano ai Sanseverino e successivamente a don Diego Hurtado dei Mendoza. è stato più volte colpito da terremoti, nel 1638, nel 1641, nel 1659 e nel 1783. A seguito dell'ultimo si ebbe una lenta ripresa e nel 1799 fu annesso alla Repubblica napoletana, fu poi inclusa nel cantone di Tropea. Nel 1811 divenne comune e nel 1905 fu colpito pesantemente dal terremoto. Ancora oggi i monumenti e le chiese del comune mostrano evidenti segni dei restauri subiti a seguito delle numerose scosse telluriche che si abbatterono su questo piccolo ma caratteristico paesino calabro. ... Castello di Mutari. Realizzato a cavallo tra l'XI ed il XII secolo, fu danneggiato dal terremoto del 1783. Ristrutturato ed ampliato oggi ospita l' azienda agricola della famiglia Borello. Conserva i suoi tratti primitivi di fortezza certosina, con gli imponenti torrioni merlati».

http://www.comune.francica.vv.it/index.php?action=index&p=76 - index&p=85


NICOTERA (castello Ruffo)

Dal sito www.calabriatours.org   Dal sito www.poro.it

  

«Il primo castello edificato a Nicotera, ridente località balneare della provincia di Vibo Valentia, venne fatto erigere dal re normanno Roberto il Guiscardo nel corso del XI secolo. Ma la sua storia è un continuo di distruzioni e ricostruzioni varie, dovute in parte ai disastrosi terremoti, ed in parte ai violenti saccheggi operati dai saraceni nel 1074 prima e nel 1085 poi. Nel 1284 il castello di Nicotera venne abbattuto dalle truppe armate di Ruggero di Lauria, ammiraglio della flotta aragonese, che ebbe l'ardito compito di cacciare gli angioini dalla Calabria. Dopo l'abbattimento, l'ammiraglio ordinò la ricostruzione del castello di Nicotera. L’attuale castello di Nicotera fu infine voluto dal conte Falcone Antonio Ruffo, che decise di costruire qui la sua dignitosa dimora estiva, affidandone il progetto ad Ermenegildo Sintes nel 1764. La struttura, peraltro mai completata, fu eretta a pochi metri dai resti del precedente maniero normanno, di cui rimangono solo alcuni basamenti in pietra e una cisterna, inglobati in un palazzo limitrofo e non più visibili. La pianta del castello Ruffo di Nicotera è quadrilatera, con tre torri angolari, quadrilatere anch’esse: le due frontali, entrambe munite di balcone con mensole in granito grigio, sono tra loro collegate da sette arcate, e poste a sostegno del lungo e stretto terrazzo del piano nobile. Manca la quarta torre, mai costruita, e parte del prospetto, abbattuta dal violento terremoto del 1783. Nel cortile interno del castello Ruffo, un piccolo ingresso in marmo granito permette l’accesso ai sotterranei dopo aver percorso un lungo corridoio con volta a botte. Dallo stesso corridoio si può accedere al piano terra, con due ampie ed attigue sale: la prima sala con volta a vela, mentre l’altra è invero un enorme salone con volta a crociera, illuminato dalle sette finestre che si aprono nelle arcate della facciata principale. All'inerno del castello un grande arco funge d’accesso all’atrio, con il pavimento in lastre di granito e un maestoso scalone. Acquisito definitivamente dal comune di Nicotera, il castello Ruffo è stato da poco restaurato nelle sue parti interne. L'intero piano terra del castello ospita il Museo Civico Archeologico, mentre il primo piano è adibito a Museo di Civiltà Contadina della regione del Monte Poro, nelle Serre calabresi».

http://www.calabriatours.org/castelli/castello_nicotera.htm


NICOTERA (mura, porte)

Foto di Charlie Pontus, dal sito http://rete.comuni-italiani.it   Dal sito www.poro.it

«Nel XI secolo, Nicotera, viene totalmente rasa al suolo dai Saraceni ed i suoi abitanti dispersi per le montagne circostan­ti La ricostruzione della città viene effettuata più a nord ed è voluta dal Normanno Rober­to il Guiscardo, il quale era alla ricerca di un approdo marittimo. Nella costruzione di Nicotera, Roberto il Guiscardo, aveva voluto rispettare il numero delle porte delle precedenti città che, in numero di sette, avevano la denominazione di: Porta Grande: la più importante e la più grande. Andò distrutta col sisma del 1783; Porta Prisca: immetteva nelle campagne circostanti, e veniva usata dalla gente per andare ai campi; Porta Palmentieri: in ricordo di quella esistente nella città di origine romana, attraverso la quale era passato Santo Stefano Niceno. Su questa porta, era dato vedere un’epigrafe di granito su cui erano incise delle palme e la figura del Vescovo, ormai rovinata dal tempo; Porta piccola: in quanto da essa si accedeva ai venti mulini esistenti fuori le mura; Porta di Joppolo: attraverso una stradina ancora percorribile, si accedeva alla collina dei Calamaci; Porta Santa Caterina: attigua al Convento omonimo dei Padri Celestini e di conse­guenza vicinissima al Castello. Porta Foschea: nel corso dei secoli ha avuto molte denominazioni . Sotto Federico II, Nicotera, vive un periodo di grande splendore e subisce una lieve ristrutturazione, poiché,avendo af­fidato l’attività creditizia del regno agli Ebrei, la città è fra le prime ad ospitarli. Per evitare le reazioni della popolazione indigena, che temeva una diminuzione di potere, fa costruire il loro quartiere, la “Giudecca”, all’ombra del Castello e della Cattedrale. Successivamente, nel XIII secolo, Nicotera fu occupata dagli Angioini, che ne fortificarono le mura mediante la costruzione di due torri. Ma nel 1638 la città subisce comunque un attacco Saraceno durante il quale viene interamente distrutta. Agli Angioini fa seguito il governo dei Ruffo di Catanzaro. Nel XIX secolo, fu divisa in vari quartieri ognuno dei quali era abitato da una classe sociale: “a sud-est il Borgo abitato da “cavallai, asinai, mulattieri”; il Retroborgo abitato da agricoltori; tra sud e sud-ovest i quartieri Palmentieri e Santa Chiara abitati da marinai e agricoltori; al centro il quartiere Giudecca, già menzionato, abitato da pescivendoli e agricoltori; i quartieri Santa Chiara, Castello, Porta Grande e Baglio abitati da artigiani e “galantuomini”; il quartiere San Nicola, vicino la fontana della Porta Grande, abitato dai “vetturali”. Ancora oggi l’impianto topografico del centro storico conserva le tracce tipiche delle città medievali».

http://itinerari.vacanzecalabria.biz/vibo-valentia/nicotera/


PIZZO CALABRO (il castello aragonese dove fu fucilato Gioacchino Murat)

Dal sito it.wikipedia.org   Dal sito www.sullacrestadellonda.it

Le foto degli amici di Castelli medievali

Foto di Francesca Villa (https://www.facebook.com/francesca.villa.357)

«La costruzione del castello di Pizzo Calabro è legata agli eventi storici del periodo aragonese della Calabria. Venne infatti edificato nel XV secolo per volere del re Ferdinando d'Aragona, giunto in Calabria per sedare la sanguinosa congiura dei baroni, ordita contro di lui da alcuni feudatari locali, come Carlo Sanseverino, conte di Mileto e feudatario di Pizzo. Dopo aver sopraffatto in modo sanguinoso i cospiratori, il re aragonese fece potenziare buona parte del sistema difensivo del suo regno rimaneggiando i castelli dei feudi rivoltosi come Belvedere Marittimo, Castrovillari e Corigliano. Nel 1487 ordinò il nuovo castello di Pizzo nell'ottica di aumentare la forza difensiva del versante tirrenico. L'antico castello, completato nel 1492, conserva ancora oggi i suoi volumi compatti, costituiti da un massiccio corpo quadrangolare affiancato da due torri a tronco conico che danno verso l'abitato. La sua parte trapezoidale è invece a picco sul mare anche se la muratura appare un po degradata ed intaccata dalla vegetazione. All'esterno è decorato da un redondone in pietra che divide la base scarpata dalla parte superiore. Il portone d'ingresso del castello è fornito di ponte levatoio e sul portale c'è una lapide a memoria di Gioacchino Murat, che qui venne fucilato nel 1815. Le antiche carceri cinquecentesche sono costituite da cinque vani ricoperti a volta, con aperture verso il mare e verso il centro abitato. Tra gli interventi subiti dal castello Murat di Pizzo Calabro vi è stato il rifacimento delle camere superiori in seguito al terremoto del 1783. Il castello divenne famoso perché vi fu prima rinchiuso e poi fucilato, il 13 ottobre 1815, Gioacchino Murat. Fedelissimo di Napoleone, Gioacchino Murat era riuscito a conquistare il Regno di Napoli, e il suo governo aveva portato buoni esiti sia in campo amministrativo che nel miglioramento dell'istruzione. Ma dopo la disfatta di Waterloo, il declino di Napoleone travolse anche lui, che nel 1815 tentò di riconquistare il Regno con uno sbarco sulle coste della Calabria. Arrestato dai soldati di Ferdinando IV di Borbone, Murat fu rinchiuso nel castello di Pizzo e poi fucilato. Il castello divenne noto per queste vicende e fu meta di vari viaggiatori tra i quali Alexandre Dumas, che nell'autunno del 1835, durante il suo tour dell'Italia meridionale, volle visitare la prigione e il luogo dove Gioacchino Murat aveva vissuto i suoi ultimi giorni».

http://www.calabriatours.org/castelli/castello_pizzo.htm


SAN NICOLÒ (torre Ruffa)

Dal sito www.prolococapovaticano.it   Dal sito http://tropeaperamore.myblog.it

«Torre Ruffa fa parte di una serie di torri di guardia costruite ed ancora in parte presenti, nel territorio di Ricadi. Costruita tra il XV ed il XVI secolo a difesa del territorio dalle invasioni Saracene. Le torri venivano presidiate dalle guardie che, avvistate al largo delle coste le navi saracene, con segnali avvisavano la popolazione dell’imminente pericolo. Di forma a tronco di piramide a base quadrata si erge sulla costa che degrada verso il mare a 34 mt s.l.m. Realizzata in pietra granitica, con solai a volta, scale in muratura, si sviluppa su due livelli, uno per la custodia dei cavalli ed il piano superiore occupato dalle guardie. Si conserva in ottime condizioni grazie all’imponente struttura muraria ed inglobata in un complesso turistico».

http://www.cogalmonteporo.net/comuni/ricadi/ricadi3.PDF


SANTA DOMENICA (torre Balì)

Dal sito http://tropeaperamore.myblog.it   Dal sito www.cogalmonteporo.net

«Torre Balì è ubicata nei pressi del centro abitato di S. Domenica di Ricadi, di forma cilindrica, è costruita in muratura di pietra calcarea su due livelli. Era abitata dal comandante di tutte le torri di guardia vicine, in essa, si trovava l’occorrente per organizzare la difesa e dare l’allarme con lingue di fuoco, di notte; con una colonna di fumo di giorno. Le torri di guardia distano fra loro, circa 3 km. l’una dall’altra, servivano a protezione della popolazione contro le scorrerie dei saraceni che venivano anche nell’area del Poro, a razziare. Nonostante la presenza delle torri, nel XVI secolo e la dura sconfitta subita dai turchi nella battaglia di Lepanto del 1571, l’audacia dei corsari non si attenuò e tenne sempre in ansia pescatori e popolazioni costiere, fino ai primi decenni del secolo scorso. La Torre Balì è posta sul costone roccioso a picco sul mare, delle torri presenti sul territorio del comune di Ricadi è quella che più riversa in precarie condizioni, infatti resta solo una piccola parte della struttura muraria originaria».

http://www.cogalmonteporo.net/comuni/ricadi/ricadi5.PDF


TROPEA (castello [demolito])

Dal sito www.prolocotropea.eu   Dal sito www.prolocotropea.eu

«...Queste importanti epigrafi, cosi' come la basilichetta e il cubicolo, furono dunque ritrovati nell'antico Castello (costruito probabilmente sui resti, o per lo meno nei pressi dell'accampamento fortificato del VI secolo edificato da Belisario). La distruzione del castello iniziò nel 1725, con l'abbattimento di una delle quattro torri circolari poste ai suoi angoli e fu portata a termine nel 1876 (con l'uso di mine) da Carlo Toraldo, che, visti i numerosi ritrovamenti venuti nel frattempo alla luce, voleva evitare ogni sorta di contesa per la proprietà di quel bene. Il palazzo edificato al posto del castello ha però fortunatamente inglobato il piccolo cubicolo paleocristiano, riconosciuto solo nel 1936 da Pasquale Toraldo, un pronipote di quel Carlo che di tanto scempio si fece autore».

http://www.prolocotropea.eu/public/archeologia.html


TROPEA (palazzi)

Dal sito www.tropea.calabria.it   Dal sito www.prolocotropea.eu

«Si parte da Piazza Vittorio Veneto: al centro della Piazza il Monumento ai caduti della prima guerra mondiale donato nel 1926 dai Tropeani emigrati in Uruguay. Si imbocca Corso V. Emanuele e subito a sinistra Via Umberto I: antica via dei fabbri e un tempo rione fuori le mura della città. La strada fu ricavata dal riempimento del fossato intorno alle antiche mura. Si giunge alla Villetta del Cannone - piazzetta con affaccio sul mare - sovrastante l'antico viadotto che permetteva di entrare in città attraverso la Porta Vaticana. Segue Via Indipendenza: in ricordo del riscatto pagato ai principi Ruffo ai quali Tropea era stata venduta nel 1612. Un tempo fu la via principale della cittadina; si incontra Palazzo Gabrielli, in precedenza proprietà dei principi Pignatelli. Successivamente ci si immette in Piazza Ercole, che ospita l'Antico Sedile dei nobili e sede della Corte di Giustizia o Bagliva, oggi Palazzo del turismo e sede della Pro Loco e il monumento al filosofo Pasquale Galluppi nato a Tropea nel 1770. In Via Roma troviamo una lapide che ricorda il disastroso terremoto del 27 marzo 1728, avvenuto mentre passava in quel punto la processione della Madonna di Romania. Tropea rimase indenne. Nel Largo Duomo si può ammirare Palazzo D'Aquino (struttura armonica ed equilibrata, con le modanature in cotto e i balconi a petto d'oca), Palazzo Barone e Palazzo Zinnato con i magnifici portali in granito. La Cattedrale normanna con portico svevo. Dalla demolizione dell'antico Bastione di Porta di mare si è ricavata una piazzetta con affaccio al mare, veduta del porto, dello scoglio di S. Leonardo e Rione Marina con i suoi mulini saraceni. Nelle giornate terse si può ammirare tutta la costa e i monti della Sila, in particolare Monte Cucuzzo della catena costiera. Si prosegue per Via Boiano dove si trovano Palazzo Braghò (che possiede uno splendido portale barocco del 1721 che si stacca dal fondo di un edificio rifatto in forme recenti: è complesso e ridondante e si distingue dagli altri portali settecenteschi del centro storico che sono in bugne granitiche con punte di diamante) e Palazzo Galli, giungendo in Piazza Galluppi, con ai lati i Palazzi Tranfo, Palazzo Adilardi, Palazzo Fazzari, Palazzo Collareto e Palazzo Giffone (il palazzo è in via di ristrutturazione. È una costruzione ottocentesca con atrio neoclassico). In fondo la seicentesca Chiesa di S. Francesco, Convento dei Minimi e la Cappella di S. Pietro ad Ripas del 400. In Largo Municipio la Chiesa del Gesù, con pregevoli quadri e statue. Di fronte Palazzo Di Tocco-D'Aquino, dove nacque il filosofo Pasquale Galluppi. In Largo Gesuiti i Palazzi Barone e Parisi e il Palazzo dei Duchi De Mendoza. Si imbocca Via Lauro dove si trovano il Palazzo Adilardi, il Palazzo Toraldo Di Francia e il Palazzo Mottola, per giungere in Largo Migliarese ove si può ammirare il Palazzo Mottola-Gabrielli. Infine si arriva all'affaccio (Balconata sul mare), da cui si può ammirare un panorama stupendo: L'Isola e il suo Santuario, la costa a nord e sud di Tropea (nelle giornate più limpide la vista giunge fino a Palinuro), mentre a ovest si vedono le sette Isole Eolie. A destra Palazzo Barone (un tempo Chiesa di S. Chiara, Convento delle Clarisse e Ospedale). Proseguendo verso destra si imbocca Via Lepanto col Palazzo Toraldo-D'Amore, ed ecco Largo Galzerano, con i Palazzi: Toraldo (risaltano i due enormi ingressi che conducono in luminosi androni, scalinate terrazzate e sotterranei), Mazzitelli, Coccia e Di Tocco, di pregevole architettura barocca. Percorrendo Via Vianeo si ritorna su Corso V. Emanuele e si risale fino alla Porta Nuova, dove si ammira Palazzo Toraldo-Serra, dalle linee sobrie e severe, e dove anticamente vi era il vecchio castello, con un'alta torre aragonese. Durante la demolizione del castello fu portato alla luce un cimitero paleocristiano. All'interno vi è conservata la più ricca raccolta della Calabria di epigrafi cristiane del IV e V sec.».

http://www.prolocotropea.eu/public/culturale.html


VIBO VALENTIA (arco Marzano, porta torre del Conte d'Apice)

  Foto di Manuel Zinnà, dal sito www.panoramio.com   Dal sito http://milleperche.myblog.it

«La città era racchiusa in una cinta urbica, di cui è possibile vedere ancora le mura, in origine lunghe ben sette chilometri, con le due porte superstiti: l'Arco Marzano e la Porta Torre del Conte d'Apice, che risalgono addirittura al XII secolo. In periferia si possono ammirare anche le rovine dell'antica città greca».

http://www.fullholidays.it/viaggi_vacanze/17/102/Provincia_Vibo_Valentia.aspx


VIBO VALENTIA (castello di Monteleone)

Dal sito www.calabriatours.org   Dal sito http://itinerari.vacanzecalabria.biz

«Nonostante venga individuato con il nome di Castello normanno-svevo quello di Vibo Valentia, la medievale Monteleone, non conserva alcuna struttura ascrivibile a quel periodo. D'altra parte i nuovi conquistatori, i Normanni, avendo eletto Mileto capitale, non avevano, probabilmente, alcuna necessità di erigere nuove fortificazioni. è verosimile però che per tutelare il colle posto nella parte più alta, là dove sorgeva l'acropoli dell'antica città greca, avessero costruito un accampamento, protetto presumibilmente da una palizzata in legno, piantandovi delle tende. Una fonte, la cronaca del monaco Goffredo Malaterra, in effetti ricorda sessanta militi inviati da Roberto il Guiscardo con a capo il fratello Ruggero in "altiori cacumine montium Vibonetium castrametatus, tentoria fixit ut, longe lateque visus, incolas circumquaque facilus deterret". Suggestiva una recente ipotesi che identifica il monte Poro, che si erge per un'altezza di 710 metri s.l.m. sull'omonimo altipiano, con la parte più alta dei colli vibonesi, anziché con la sede dell'attuale castello. Quindi il brano del cronista Malaterra, storico del gran conte Ruggero, ritenuto a ragione una delle fonti più importanti sulla conquista normanna, fu interpretato male, soprattutto dagli studiosi ottocenteschi, forse in maniera non del tutto casuale, poichè attribuendo ai Normanni la prima costruzione nell'area del castello intendevano nobilitarne le origini. Ma l'attento studio delle fonti storiche, combinate con una lettura delle fasi edilizie e costruttive, hanno portato gli studiosi ad affermare che non vi sono strutture riconducibili all'epoca normanna.

Il castello, nel suo impianto più antico, venne costruito da Federico II. La notizia è ricavata da tre frammenti di regesti (registri) angioini. Questi confermano che tra il 1270 ed il 1275 la città venne rifondata dall'imperatore con abitanti provenienti da terre demaniali. Anche in un Breve (lettera personale del pontefice) di Alessandro IV del 1255, si legge che Monteleone fu fondata, o meglio rifondata, da Matteo Marcofaba segretario di Federico II su un fondo di proprietà del monastero della SS.Trinità di Mileto. Tra il 1240 ed il 1255 si colloca la realizzazione della fortificazione che, oltre ad avere funzioni di difesa, era deputata al controllo del territorio circostante. D'altra parte il confronto con altre situazioni analoghe avvalora la tesi che quanto costruito risponde a precisi criteri seguiti dall'imperatore anche per altre strutture coeve. Del primitivo edificio rimane testimonianza nella cosiddetta torre a "cuneo", oggi completamente ricolma e con le fondazioni portate fuori terra e, quindi, a vista. All'esterno la cortina presenta ampie integrazioni di conci e trova riscontro, in ambito calabrese, nel castello della vicina Lamezia Terme - Nicastro. Anche la tecnica costruttiva, in conci squadrati, è tipica delle strutture di epoca sveva. Ad età angioina, invece, pare debbano ascriversi le trasformazioni operate nel fronte nord-ovest: apertura di un ulteriore ingresso e realizzazione di nuovi ambienti interni. Addossata alla cosiddetta torre a "cuneo" è la chiesetta dedicata a S.Michele datata indirettamente sulla base dei regesti del 1278-1279 che attestano, proprio per quegli anni, la presenza di un cappellano e di un chierico in pianta stabile presso la guarnigione del castello. Una terza fase che vide trasformazioni di tipo residenziale può essere attribuita ai Pignatelli, prima conti e successivamente duchi di Monteleone. Il castello era utilizzato ancora come residenza quando venne danneggiato nel 1783, nel corso del rovinoso terremoto che aveva colpito quasi tutta la Calabria; in seguito a questo evento la fortezza venne trasformata in caserma. Per moltissimo tempo la struttura, alla quale furono aggiunti ambienti e nuovi corpi di fabbrica, è rimasta inutilizzata fino al recente restauro finalizzato alla conservazione ed al riutilizzo come Museo archeologico statale».

http://www.sbvibonese.vv.it/sezionec/pag213_c.aspx (testo dell'archeologa Maria D'Andrea)


VIBO VALENTIA (palazzo Romei)

Dal video www.youtube.com/watch?v=LP8ZSgWqSys   Dal sito www.tropeaholiday.it

«Palazzo Romei è uno storico palazzo nobiliare situato nel centro storico di Vibo Valentia, in Calabria. Nel 2005 è stato ceduto dalla famiglia Romei alla provincia di Vibo Valentia, che ha avviato dei lavori per poter collocare all'interno del palazzo la sede dell'Archivio di Stato provinciale. La storia dell’edificio è strettamente legata a quella della famiglia Romei. ... L’edificio, ubicato in via F. Cordopatri, largo G.B. Romei, venne costruito alla fine del 1400, e completato, per vari motivi, nella prima metà del 1500, su progetto di L. B. Alberti, per come viene tramandato in famiglia. Nel 1613 il palazzo venne dato in dote ad Elisabetta, nipote di Giovanni Andrea, che sposò Antonio Sacchi. Fu in seguito al matrimonio avvenuto nel 1728 tra Giovan Domenico Romei e Teresa Sacchi, che il palazzo tornò in possesso della famiglia Romei, ampliato da nuovi corpi di fabbrica (chiesa e stalle). Il lotto di terreno, di circa 3.000 m2, ha la forma di parallelogramma, ed è disposto su tre livelli. Il palazzo si articola anch’esso su tre livelli per compensa­re le differenze di quota sul prospetto. La torre era a cinque livelli, di cui uno, la grotta, totalmente interrato. Il piano terra era adibito ad abitazione per gli armigeri e per il personale di servizio. Le stalle dei cavalli erano ubicate frontalmente al palazzo (in corrispondenza dell’odierno largo Romei). Le casette laterali, ormai quasi diroccate, erano riservate ai dipendenti. Il palazzo è stato realizzato con accorpamenti di moduli di m 6 x 6 circa, per complessivi 800 m2 circa di copertura a piano. Elementi distintivi e di completamento erano, sul lato sinistro, una chiesa privata dedicata a S. Oronzo (costruita tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700) e sul lato destro, una torre. Lo splendido atrio è stato realizzato con materiale del luogo, conci di tufo di Tropea per gli archi, granito giallo di Serra S. Bruno per le scale, il pozzo e il portale d’ingresso. Il pozzo, con la vasca per abbeverare i cavalli, è sormontato da una struttura in ferro battuto per il sostegno della carrucola. Sulla volta dell’atrio è dipinto uno stemma qua­dripartito raffigurante un leone, due mazze, un albero e un’aquila. Lo stemma è affiancato da motivi araldici. Le rampe di scale, grandiose e monumentali, sono state realizzate in modo da poter accedere comodamente a cavallo al primo e al secondo piano del giardino. Di una bellezza particolare sono i balconi con ringhiera in ferro battuto a “pancia”, realizzati con aste volutiformi ed applicazioni floreali ai lati. Le soglie, in granito, sono sostenute da mensoloni volutiformi dello stesso materiale».

http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Romei


ZUNGRI (palazzo di Francia)

Dal sito www.comunezungri.it   Dal sito www.comunezungri.it

«Il palazzo di Francia è forse l'esempio più rappresentativo di Casa Signorile presente in ambito rurale nell'arco del Poro. sia per il palazzo della costruzione che risale al 1700. Si trova nel territorio del comune di Zungri in prossimità del centro edificato di Papaglionti vecchio, in una posizione che domina tutta l'area circostante. Di forma rettangolare ed imponenza costruttiva, infatti misura metri 33 sul fronte principale e metri 13,30 di larghezza. È realizzato con struttura portante in muratura di pietra granitica intonacata a calce all'interno, è rincalzata all'esterno con saette e scaglie di laterizio, al punto da fare assumere alla facciata un aspetto al quanto gradevole. Lo stesso sistema murario adottato nel presente edificio si trova nella chiesa e nel calvario del vecchio Papaglionti. Particolare risulta il portale d'ingresso, le mensole e il piano dei balconi, sono realizzati in pietra granitica locale. A livello distributivo come del resto la maggior parte dei palazzotti similari, il piano era adibito a magazzino - deposito dei prodotti agricoli e il piano primo a residenza dei proprietari. Oggi, l'intero complesso versa in precarie condizioni, di stabilità, tanto che il piano primo è interamente crollato».

http://www.comunezungri.it/Notizie%20-%20Beni%20storici/Palazzo%20di%20Francia.htm


         

 

 

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