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DE CASTRO VENANDI CUM ARTIBUS  a cura di Falco, Girifalco e Metafalco

di Metafalco

Mimetizzandomi fra lo sciame di turisti che soprattutto nei mesi estivi prende d’assalto l’edificio medievale, forse violandone la natura solitaria, scelgo di pedinare un gruppo di amici che si appresta a visitare il monumento. Li seguo pur mantenendomi a una certa distanza, assumendo atteggiamenti simili ai loro, quasi a rassicurarli sul modo di procedere.

Decidono di non seguire la visita guidata. Sono informati sul castello. Ne hanno sentito parlare in TV in un programma che dedicava ampio spazio a elucubrazioni esoteriche; incuriositi hanno letto qualcosa a riguardo; infine, non potendo non visitare un edificio in cui astrologia, astronomia e matematica sono a tal punto compenetrate, sono giunti fin qui. Di cosa va alla ricerca il mio simpatico gruppo di turisti? Del mistero nascosto da queste mura di forma ottagonale, «chiaro tentativo di far quadrare il cerchio, di mediare fra il quadrato simbolo dell’uomo e il cerchio simbolo del divino».

Troveranno quanto cercano? Continuate a leggere.

Appena iniziato il giro ecco che un velo di delusione rabbuia i loro volti ansiosi di vedere appagata la voglia di mistero. Cosa gli si presenta di fronte? Cosa riescono o vogliono vedere? Una semplice sala dalla forma trapezoidale abbastanza buia e completamente spoglia. «Ah, ma è vuoto», sussurra qualcuno, «non ci sono mobili!». E mentre io mi chiedo perché mai si aspettassero dei mobili, mi accorgo che stanno passando frettolosamente nell’atrio.

Signori, vorrei dire, almeno uno sguardo a come è fatta la monofora, almeno uno alla chiave di volta…no, no, non potete non notare la decorazione del portale. Pensate a quanti vi hanno lavorato, a chi lo ha scolpito di cui non si sa nulla. È qui il vero mistero… ma sono ormai fuori senza che tutto questo sia stato guardato.

Li seguo deluso della loro stessa delusione, ma a uno sguardo più attento mi accorgo che ora i loro volti hanno cambiato espressione. «È meraviglioso», sento dire, «strano questo posto, davvero affascinante. Pensate che al centro del cortile un tempo doveva esserci una vasca nella quale coloro che Federico II aveva scelto per compiere un viaggio iniziatico in un nuovo percorso conoscitivo venivano, come dire,… battezzati. Chissà a cosa doveva servire questo castello, se è davvero un tempio del sapere!».

Mentre continuano a parlare, a proporre teorie e a cercare spiegazioni, non posso fare a meno di pensare che nemmeno un’occhiata è stata rivolta alle sculture oggi molto rovinate ma che un tempo dovevano dare pregio al cortile, nessuno ha notato che i tre portali sono uno diverso dall’altro, nessun interesse per le porte finestre che rompono la monotonia delle cortine murarie interne.

Vengo colpito quasi da un accesso d’ira di fronte a tanta cecità. Poi, ricordandomi che ho scelto di scrivere il diario del viaggiatore distratto che mentre guarda non vede e mentre vede spesso non riflette sulle proprie emozioni, elevo questo a mio motto: "chi cerca trova, e si trova solo quello che si cerca". I miei turisti cercano l’ineffabile, il mistero nascosto fra queste mura: non c’è da stupirsi se cose tanto evidenti rimangano del tutto inosservate, e ci si interroghi sulla funzione dell’edificio solo dopo essersi accorti che della vasca pozzo di cui hanno sentito parlare non c’è assolutamente traccia.

Ma dove sono? Non li avrò mica persi? Possibile che abbiano già visto tutte le sale del piano inferiore? Dati i precedenti, ci saranno passati solo distrattamente. Eccoli! Salgono utilizzando la torre dei Telamoni, sebbene dubiti che qualcuno di loro alzi la testa per guardarli. Sono intenti  a parlare di alcune piastrelle ottagonali. «Cosa significherà questa ripetizione ossessiva del numero otto?».

Di cosa stanno parlando, e soprattutto dove sono queste piastrelle ottagonali? Poi, sentendo che si tratta della pavimentazione della sala dei riti magici» in cui oltre ai cerchi e ai quadrati che segnano il pavimento «non poteva mancare l’ottagono così caro all’imperatore, mediazione fra le due figure geometriche», capisco che si tratta delle tessere della pavimentazione musiva le quali, tuttavia, hanno forma esagonale, ma, per chi cerca ottagoni, due lati in meno sono dettagli trascurabili.

«41-42-43-44!» Ma cosa urlano ora? Ovviamente si tratta del numero degli scalini delle scale a chiocciola, perché badate bene che «quattro più quattro fa otto, che tutto in questo castello è frutto di rigoroso calcolo matematico, e che nulla è lasciato al caso» (come, aggiungerei io, in qualsiasi altro edificio che continua a stare in piedi da più di 750 anni).

Sono finalmente al piano superiore. Sembrano rapiti dalla bellezza delle sale, camminano con la testa in aria, passano da una sala all’altra, inciampano, continuano a vagare, si avvicinano alle finestre e ammirano il paesaggio. Sembrano apprezzare il tesoro che li circonda. Forse sono stato troppo severo con loro, forse non sono così superficiali. Ma cosa dicono ora?

«Qui siamo già stati?», chiede qualcuno. Domanda inquietante non in sé, essendo legittima in un edificio come Castel del Monte in cui le sale non presentano importanti segni distintivi, ma per il fatto di non riuscire a sciogliere il dilemma perché si è guardato senza vedere, perché di tanti dettagli non se n’è colto nemmeno uno e magari si è andati alla ricerca di una «certa finestra in cui, in occasione di un solstizio o di un equinozio, un raggio del sole nascente sarebbe andato a colpire un fantomatico bassorilievo con la rappresentazione di Cerere di cui oggi non c’è (e su ciò non c’è da stupirsi) traccia».

Mi perdo nuovamente nei miei pensieri. Dove sono? Stanno scendendo. Li seguo deluso che non abbiano guardato e fantasticato sulle stesse cose che a me erano piaciute. Questo, tuttavia, non è il diario delle mie sensazioni ed emozioni, ma delle loro. Cosa scorgo dunque sui loro volti? Sono per caso volti colmi di soddisfazione? Sì!!! Ma di cosa sono soddisfatti? Non hanno trovato niente, non c’è risposta ai loro interrogativi. Qual è il motivo della loro soddisfazione? Il mistero! Cercavano il mistero nascosto nell’edificio, corrispondenze e coincidenze astronomiche, ripetizioni paranoiche del numero otto: tutto ciò l’hanno trovato!

Si allontanano ebbri di questa esperienza, mentre io rimango qui a compilare il loro diario di viaggio.

   

   

©2003 Metafalco, e Luigi Bressan per le due foto

  


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