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di Lawrence M.F. Sudbury

     

Guerrieri LongobardiAltrove [1] si è trattato, pur brevemente, della storia più antica dei Longobardi e di quello che, storicamente, è noto come "Regno Longobardo d'Italia", la cui parabola terminò con la conquista di Pavia da parte di Carlomagno nel 774.
Abbastanza curiosamente, però, con ogni probabilità, l'apogeo di quella cultura longobada che, fin dal titolo di questi scritti, abbiamo definito come uno degli elementi fondativi del medioevo italiano (dal momento che forse proprio con il dominio di questa popolazione germanica, insieme al ripiegamento bizantino a potenza sempre più regionalizzata nel Mediterraneo sud-orientale, l'Italia si cominciò a staccare, gradualmente ma piuttosto nettamente, dal suo retaggio di cuore dell'ex-Impero Romano) ebbe luogo non nel nucleo territoriale del Regno, cioè in quella zona che ancora oggi prende nome dalla presenza longobarda, ma nelle sue propaggini meridionali.

Quale fu, dunque, la storia di questi "ducati periferici" e quale cultura riuscì questo popolo, certamente meno "barbarico" di quanto comunemente si ritenga, a sviluppare?
 
  • I DUCATI DEL SUD
Duca longobardoSebbene, come visto, il Regno che aveva la sua capitale a Pavia cadesse per mano di Carlomagno, né l'imperatore dei Franchi né alcuno dei suoi discendenti riuscì mai ad impossessarsi dei territori longobardi a sud degli Stati Papali.
Nel  774, il duca Arechi II di Benevento, il cui ducato era solo nominalmente sotto il controllo dell'autorità reale (sebbene alcuni re avessero tentato, a tratti anche con un certo successo, di  far valere i propri diritti in tal senso), proclamò che Benevento era il legittimo successore del Regno e cominciò a lavorare attivamente per far sì che la sua città si trasformasse in una sorta di seconda Pavia, tentando anche di reclamare l'incoronazione a nuovo re dei Longobardi.


Naturalmente, queste pretese potevano rappresentare un pericolo per Carlomagno e sia lui che suo figlio Luigi il Pio tentarono di schiacciare con le armi il duca ma, di fatto, sebbene formalmente questi si sottomettesse al dominio imperiale, sia Arechi che i suoi successori  non mantennero mai la promessa fatta e il ducato rimase in pratica totalmente indipendente, diventando un principato (cosicché, sostanzialmente, i duchi barattarono il ritolo di re con quello di principe, ottenendo, in fin dei conti, lo stesso risultato).

guerriero longobardoSituazioni analoghe si ripresentarono in tutte le aree meridionali, e portarono all'anomala posizione per cui i Longobardi del sud rimasero in possesso di terre formalmente reclamate da due imperi: quello carolingio a nord e ovest e quello bizantino a est, semplicemente giurando fedeltà e tributi (che non vennero mai) ai Franchi ma restando sempre fuori dal loro controllo effettivo.
Benevento, nel frattempo, crebbe notevolmente, arrivando alla sua massima estensione quando riuscì ad imporre il proprio protettorato al Ducato di Napoli (tendenzialmente leale a Bisanzio)  e a conquistare la città "napoletana" di Amalfi nell'838. Si arrivò al punto, sotto il regno del principe Sicardo, in cui i Longobardi controllavano quasi tutta l'Italia meridionale, a parte l'estremo sud della Puglia e della Calabria e l'area napoletana.

Purtroppo, Sicardo aprì la strada alle azioni invasive saracene durante la sua guerra contro Andrea II di Napoli e non fu certo amato dalla popolazione, tanto che quando, nell'839, egli venne assassinato, Amalfi si dichiarò indipendente e due fazioni si fronteggiarono per il predominio beneventano, indebolendo la città e rendendola suscettibilie ad attacchi esterni.

La guerra civile durò per dieci anni e solo il trattato di pace imposto dall'imperatore Luigi II, il solo re franco a poter vantare un certo grado di dominio sugli stati longobardi, riuscì a porle termine, con la divisione del regno in due stati separati: il Principato di Benevento e il Principato di Salerno.

Di fatto, le colpe del duca di Benevento sono state spesso esagerate. In effetti, Andrea II aveva ingaggiato dei mercenari saraceni già nell'836 per combattere Sicardo ma questi ebbe il grande torto di rispondere con la stessa mossa. I Saraceni "alleati" ai Longobardi inizialmente concentrarono i loro Attacco saracenoattacchi soprattutto sulla Sicilia e l'Italia bizantina, ma il successore legittimo di Sicardo, Redalchi I, chiamò ancora altri mercenari e questi saccheggiarono Capua nell'841, riducendola in rovina (come ancora visibile a Santa Maria Capua Vetere). Conseguentemente, Landulfo il Vecchio, a capo della fazione rivale, fece ricostruire Capua  su una collina vicina, ma il danno era fatto e la porta aperta per successive scorrerie africane che arriveranno addirittura, qualche tempo dopo, sotto il regno di Guaifero, ad imporre brevemente la sovranità mussulmana su Salerno.


Nell'847, una grande flotta saracena si impossessò di Bari, fino a quel momento gastaldato longobardo sotto il controllo di Pandenulfo e, da quel momento in poi, le incursioni mussulmane procedettero sempre più a nord , fino a che il principe di Benevento Adelchi non fu costretto a chiedere aiuto al suo sovrano nominale Luigi II. Luigi, però, si alleò temporaneamente con l'imperatore bizantino Basilio per espellere i Saraceni da Bari (869) e sconfiggere gli invasori (871), e, da quel momento in poi, tenendo conto che i Bizantini erano considerati nemici dai Longobardi e che Luigi II, per evitare altre "allenaze pericolose" da parte dei capifazione rivali divise, come visto, il regno di Adelchi, che si considerò, comunque, per tutta la vita l'unico legittimo re dei Longobardi (tanto da essere l'ultimo emendatore dell'Editto di Rotari), la tensione ta Benevento e il re dei Franchi fu sempre altissima, nonostante il pericolo saraceno non fosse per nulla cessato. Dopo la morte di Luigi, infatti,  Lanulfo II di Capua trattò nuovamente un'alleanza con i mussulmani e anche se papa Giovanni VIII  riuscì a convincerlo a non farne nulla, Guaimaro di Salerno fu costretto ad allearsi egli stesso con i Bizantini per respingere nuove incursioni. Sostanzialmente, l'atteggiamento longobardo verso i Saraceni rimase a lungo altalenante, fino a che, nel 915, papa Giovanni X riuscì ad unificare tutti i principi cristiani dell'Italia meridionale contro le forze africane, che vennero cacciate dall'Italia con la grande Battaglia del Garigliano.

Nel frattempo, però, la frattura tra Benevento e Salerno si era compiuta e l'indipendenza ottenuta dalla città tirrenica ispirò i gastaldi di Capua a tentare di ottenere un risultato analogo: alla fine
Il Sud Italia verso il 1200 dell'VIII secolo essi cominciarono  ad autodefinirsi "principi" e, in questo modo, un terzo stato longobardo prese forma. Nel 900, i Principati di Capua e Benevento  vennero uniti da Atenulfo I di Capua, che li dichiarò in unione perpetua (sebbene in seguito, alla morte di Pandolfo I Testadiferro nel 982, si separassero nuovamente). Con tutti i Longobardi del Sud sotto il suo controllo, all'infuori di quelli del ducato salernitano, Atenulfo potè tranquillamente fregiarsi del titolo di "Principe delle Genti Longobarde", in disuso dai tempi di Arechi II. Tra i suoi successori, il principato divenne una sorta di "affare di famiglia", con padri, figli, fratelli, zii e cugini che governarono congiuntamente per buona parte del secolo seguente.
Intanto, verso la metà del X secolo, anche il principe Gisulfo I di Salerno cominciò ad utilizzare lo stesso titolo di "Principe delle Genti Longobarde", ma un vero ideale di unione longobarda venne realizzato solo quando, nel dicembre 977, Gisulfo morì lasciando il trono a Pandolfo I Testadiferro che, compartecipando tramite parentele anche al governo di Benevento e Capua, in pratica, seppur per breve tempo, comandò, in alleanza con il Sacro Romano Impero, su tutto il Sud longobardo prima che, come narrano le Cronache Salernitane del tempo, divergenze interne ed una nuova frantumazione nei tre ducati  ponesse fine al suo sogno unificatore [2].


Roberto il GuiscardoIl Principato di Benevento, fortemente ridimensionato, perse ben presto la sua indipendenza nei confronti del Papato e declinò gradualmente finchè non venne assorbito dalla conquista dell'Italia meridionale da parte di Normanni che, inizialmente chiamati dai Longobardi (in particolare dai gastaldi Meleto di Bari e Arduino) per combattere i Bizantini per il controllo di Puglia e Calabria, ben presto divennero i maggiori pretendenti all'egemonia nel Sud. Il Principato di Salerno ebbe un periodo d'oro sotto Guaimaro III e Guaimaro IV, ma sotto Gisulfo II si fece via via sempre più insignificante e, nel 1078, cadde nelle mani di Roberto il Guiscardo, che aveva sposato Sichelgaita, sorella di Gisulfo. Il Principato di Capua venne ferocemente conteso durante il regno dell'odiato Pandolfo IV (soprannominato "Il Lupo degli Abruzzi"), ma quando passò a suo figlio venne conquistato, quasi senza colpo ferire, dal normanno Riccardo Drengot (1058). Sebbene nel 1091 una rivolta anti-normanna scacciasse il figlio di Riccardo, Riccardo II, instaurando un tale Lando IV al suo posto, sette anni dopo, con l'Assedio di Capua, la città ritornò in mani normanne e perse sempre più d'importanza.
La rivolta del 1091 prova come i Longobardi fossero tutt'altro che contenti del dominio normanno: essi vedevano i Normanni come dei "barbari", esattamente come vedevano i Bizantini come degli oppressori, e ritenevano la loro civiltà, che aveva dato vita a istituzioni come la "Schola Medica Salernitana", come nettamente superiore [3].
Lo era veramente?

 
  • UNA GRANDE CIVILTA' 
Pur tenendo conto che il concetto stesso di superiorità di una civiltà rispetto ad un'altra è non solo eticamente discutibile, ma anche storicamente erroneo [4], va certamente detto che, a differenza delle tribù germaniche che invasero l'Italia prima di loro, i Longobardi riuscirono a lasciare un segno distintivo sulla penisola, i cui tratti perdurano fino all'oggi.
Di per sé, la loro invasione iniziale, per quanto brutale, non fu una reale ragione del declino della cultura romana nelle aree da loro controllate. In realtà, la causa di tale declino risiede prevalentemente nella loro struttura sociale che aveva già compreso il potere che una determinata "forma mentis" può avere sul singolo: pur essendo una relativamente piccola minoranza in Italia, fecero in modo che solo i Longobardi potessero avere accesso agli organismi di controllo dello stato e anche in epoca più tarda, quando anche ai Romani venne concesso di partecipare degli organi governativi, ciò avvenne sempre solo a patto che tali Romani si fossero "longobardizzati".

Ciò significò, essenzialmente, una possibilità di difesa ed espansione della loro cultura ma non una sua chiusura nei confronti del contesto romano. Al contrario, il sistema culturale longobardo rimase così aperto alle influenze esterne che  possiamo tranquillamente affermare che già verso l'VIII secolo i Longobardi  fossero diventi linguisticamente e culturalmente quasi completamente omogenei al loro contesto d'insediamento. Questo risulta particolarmente evidente  da un'analisi del Codice di Liutprando, pubblicato nel 731, che, pur mantenendo alcune idee di stampo chiaramente germanico, ricalca nella maggioranza delle sue parti la legislazione latina. Ciò, d'altra parte, non è affatto sorprendente, dal momento che , riconoscendo una più completa strutturazione concettuale del diritto da parte dei Romani, i Longobardi avevano cominciato ad adottarne gli elementi di  stampo più prettamente amministrativo fin dal loro primissimo periodo d'interazione con l'Impero in qualità di "foederati" [5].

Fu, probabilmente, questa commistione tra la capacità d'imporre la propria struttura di pensiero e l'apertura osmotica che seppero mantenere all'interno della propria cultura che fece sì che i Longobardi riuscissero, nonstante  il periodo limitato del loro Regno, là dove altre tribù avevano fallito: a lasciare una eredità (sia socio-culturale che artistica) del loro passaggio, ancora oggi ben visibile soprattutto (ma non unicamente) in Lombardia.

Castello di ArechiUn altro fattore che, a conti fatti, può aver favorito tale elemento è l'unitarietà della loro struttura politica che, nel mondo germanico, rappresenta senza dubbio una eccezione. La presenza di re longobardi può esser fatta risalire addirittura al 380 circa, cioè agli inizi della "Grande Migrazione". Tenendo conto che, normalmente, l'idea di sovranità si sviluppava presso i Germani unicamente in caso di guerra e che, come provato da Schmidt, le tribù erano divise politicamente e guidate da una sorta di "Assemblea Cantonale" dei capivillaggio solo in relazione ad eventi di particolare rilevanza, l'anticipazione longobarda della figura reale è sicuramente un dato rilevante per comprendere come un popolo piuttosto piccolo riuscisse ad imporsi su popoli di maggiore entità che lo circondavano. Ciò che, comunque, risulta più interessante è che il potere reale non fu mai completamente autocratico, ma si sviluppò come rappresentanza della volontà popolare e senza che l'influenza del popolo sul governo scomparisse mai del tutto [6].
Sempre in relazione alla struttura sociale longobarda, Paolo Diacono ci fornisce un interessante resoconto sulla flessibilità che caratterizzava i rapporti tra classi: "... nel caso sia necessario aumentare il numero dei guerrieri [i Longobardi] concedono la libertà a molti schiavi, e tale libertà viene stabilita per sempre consegnando loro una freccia e con certe parole rituali nellaloro lingua..." Tenendo contoche l'istituto dell'emancipazione era presente unicamente tra Longobardi e Franchi, possiamo ritenere questo sistema assolutamente peculiare e, probabilmente, di grande utilità per la coesione socialeArimanno che ne poteva derivare [7].

Normalmente, comunque, la società longobarda era divisa, come in tutti gli stati germanici successori di Roma, in classi ben definite: nobili, uomini liberi, servi e schiavi. E', comunque, significativo che l'aristocrazia appaia chiaramente più povera, più urbanizzata e con meno possedimenti terrieri che in qualunque altra area europea: a parte qualche duca particolarmente ricco, i nobili lombardi, che, a differenza di quelli Franchi, tendevano a vivere in città, avevano normalmente meno del doppio delle terre della classe mercantile (ben lontano, dunque, dalla proporzione della nobiltà franca che aveva estensioni territoriali centinaia di volte maggiori rispetto alla parte più ricca dei "plebei") e ciò fece sì che, nell'VIII secolo, tale classe risultasse fortemente dipendente dal re per l'ottenimento di mezzi di sostentamento (che, di norma, derivavano dallo svolgere funzioni giuridiche nelle particolari aree loro assegnate o dal prestare servizio nell'esercito).
Anche gli uomini liberi longobardi erano, soprattutto verso l'VIII secolo, in numero nettamente maggiore rispetto a quelli nel regno dei Franchi. Per lo più, come risulta dei numerosi documenti d'archivio del tempo giunti fino a noi,  si trattava di piccoli proprietari terrieri, contadini o mezzadri e risulta che fossero proprietari di più di metà del territorio del Regno d'Italia. Altri uomini liberi erano gli "exercitales" e i "viri devoti", cioè soldati professionisti e della riserva, chiamati solo occasionalmente alle armi in casi di estrema necessità. Questa divisione più equa che altrove delle risorse economiche non deve farci comunque immaginare di trovarci di fronte ad un sistema in alcun modo vicino alla democrazia: in realtà, gli uomini liberi avevano pochissimo potere decisionale dal punto di vista politico e, anzi, sembra che in Italia la nobiltà si riservasse le funzioni governative persino più che nella Gallia franca o nella Spagna visigota [8].

Per quanto riguarda il livello di urbanizzazione, il Regno era caratterizzato dalle cosiddette "città a isola", cioè da un sistema di piccoli agglomerati (quasi dei quartieri) separati tra loro ma all'interno della cerchia muraria di origine romana (così a Pavia, Lucca, Siena, Arezzo, Milano). Dobbiamo ricordare che le città imperiali erano state quasi tutte parzialmente distrutte nelle guerre del V e VI secolo, cosicché molte aree erano in rovina e molte zone monumentali erano divenute aree di pascolo per gli animali. Le scarse porzioni urbane che rimanevano intatte normalmente contenevano la cattedrale,  qualche edificio pubblico o palazzo nobiliare e poco più ed erano le uniche parti in pietra di città in gran parte di legno e con le zone residenziali (appunto le "isole") separate tra loro da vaste aree di pascolo. Tutt'ora la struttura a cerchi concentrici e senza la linearità del classico "castrum" romano delle città di origine longobarda risente di questa tipologia di inurbamento [9].

Dal punto di vista religioso, le tracce più remote indicano che, in Scandinavia, i Longobardi aderivano al culto dei Vani dell'olimpo germanico, ma che, dopo il loro spostamento sul Baltico inglobarono nella loro religione la devoziona agli Asi, mostrando così un chiaro passaggio da una società di stampo agricolo ad una società bellicosa.
Croce longobardaDopo la migrazione in Pannonia, cominciarono i contatti con i Sarmati e da questi i Longobardi assorbirono il gusto per il simbolismo religioso. E' in questo periodo che si sviluppa l'uso caratteristico di un lungo palo sormontato da un uccello (normalmente una colomba) come insegna di guerra ma anche, in tempo di pace, come elemento connotativo di un nucleo familiare e, come tale, usato in processioni funebri o a segnare un luogo di sepoltura.

Proprio durante il periodo in Pannonia, i Longobardi entrarono per la prima volta in contatto con il Cristianesimo, sebbene il processo di conversione sia stato piuttosto lungo e, in molti casi, più formale che sostanziale. Durante il regno di Wacho, la confessione dominante sembra essere stata quella cattolica (il che è desumibile dalla alleanza con Bisanzio, impossibile in caso di culti considerati eretici) ma Alboino si convertì all'Arianismo per allearsi agli Ostrogoti in vista dell'invasione dell'Italia . In realtà, però, queste conversioni toccarono praticamente solo l'arisocrazia, dal momento che la stragrande maggioranza del popolo rimase pagano.

Una volta in Italia, i Longobardi vennero intensivamente cristianizzati e subirono forti pressioni per muovere verso il Cattolicesimo. Con la regina bavara Teodolinda, anche la monarchia si spostò verso l'area d'influenza cattolica, tanto che nel 603 l'erede al trono Adaloaldo venne battezzato in tal senso. Durante il secolo successivo, l'Arianismo e il paganesimo rimasero ben radicati nel nord-est e nel Ducato di Benevento (ancora nel VII secolo l'aristocrazia di questa città, sebbene nominalmente cattolica, compiva  rituali sacrificali in onore dei "boschi sacri) ma verso la fine del regno di Cuniperto più o meno tutta la nazione si presentava come cattolica. Sotto Liutprando, poi, il cattolicesimo venne praticamente imposto per uniformare le popolazioni soggette al re, che aveva necessità di giustificare il titolo di "Rex Totius Italiae", sotto un credo comune [10].

gioielloPer quanto riguarda l'aspetto artistico, infine, durante il periodo nomadico, ovviamente, il maggiore sforzo andò verso quegli oggetti, in particolare armi e gioielli, che potevano essere facilmente trasportati. Purtroppo ci rimane piuttosto poco della prima produzione, che risulta comunque influenzata dall'origine germanica e dai contatti con le popolazioni dell'est.
Poco prima della discesa in Italia è possibile affermare che la principale espressione artistica dei Longobardi si concentrò su un'oreficeria che fondeva le tradizioni germaniche con le influenze tardo-romane recepite durante lo stanziamento in Pannonia. Risalgono a questo periodo molte fibule e le crocette in lamina d'oro lavorata a sbalzo, che presero il posto delle monete gioiellobratteate di ascendenza germanica, già ampiamente diffuse come amuleti. Tali crocette, secondo una tipologia di origine bizantina, erano usate come applicazioni sull'abbigliamento. Gli esemplari più antichi presentano figure di animali stilizzati ma riconoscibili, mentre in seguito furono decorate con intricati elementi vegetali, all'interno dei quali comparivano talvolta figurine zoomorfe.Rientrano nella produzione di alto livello le croci gemmate, come la Croce di Agilulfo conservata al Museo e Tesoro del Dugioielliomo di Monza (inizio del VII secolo), con pietre dure di varie dimensioni incastonate a freddo in maniera simmetrica lungo i bracci. Un altro esempio simile è la copertura dell'Evangeliario di Teodolinda, dove sulle placche d'oro sono sbalzate due croci con un motivo decorativo simile (603, secondo la tradizione). Era in uso anche una tecnica di incastonatura a caldo, dove si usavano pietre e paste vitree fuse e versate in una fitta rete di alveoli. Altri capolavori, di datazione più discussa, sono la Chioccia con i pulcini e la Corona Ferrea.

Con il passaggio dal nomadismo e dal paganesimo  alla stanzialità ed al cristianesimo, nuove forme artistiche cominciarono a svilupparsi, soprattutto nel campo dell'architettura (in particolare religiosa) e, in subordine e conseguentemente, nel campo delle arti decorative (soprattutto con affreschi).

Purtroppo, abbiamo ancora molti pochi edifici longobardi originali: gran parte sono andati perduti o sono stati ricostruiti o rimaneggiati tanto radicalmente da perdere la loro struttura originaria.
Il piccolo Oratorio di Santa Maria in Valle a Cividale del Friuli è probabilmente (visto che Cividale fu la prima città longobarda d'Italia) una delle più antiche opere architettoniche longobarde giunte integre fino ai nostri giorni, ma parti di costruzioni originali  sono rimaste anchBasilica longobardae a Pavia (San Pietro in Ciel d'Oro, cripta di Sant'Eusebio e San Giovanni Domnarum), Monza (cattedrale), Fara d'Adda (Basilica autariana) e Brescia (San Salvatore). Tutti questi edifici si trovano nel nord, in quella che viene definita "Langobardia major", ma forse persino meglio conservate sono alcune strutture del sud, cioè della "Langobardia minor", quali, ad esempio la chiesa di  Santa Sofia a Benevento, eretta dal duca Arechi II nel 760, in cui possiamo ammirare persino affreschi e capitelli originali.

A seguito dell'impulso dato da re e regine come Teodolinda, Liutprando e Desiderio al monachesimo, anche l'architettura monasteriale fiorì, in particolare tra il VII e il IX secolo, lasciando strutture quali Bobbio, il Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano (fondato nel VI secolo), la potente abbazia di Montecassino (fondata nel 529 e molto attiva nel periodo dell'abate longobardo Gisulfo, 797-817) e San Vincenzo al Volturno (fondato alla fine dell'VIII secolo), purtroppo oggi tutte largamente rimaneggiate, ma comunque importanti, soprattutto nella "Langobardia minor", per mostrare come proprio sotto il dominio longobardo si ebbe il passaggio (visibile, oltre che in queste zone, solo nella Francia meridionale e in Catalognia) tra "pre-romanico" e "romanico puro" [11].

Pochissimo ci è rimasto anche della pittura longobarda. Nella cripta di San Vincenzo, come accennato, si è conservato un importante ciclo di pitture del tempo dell'abate Epifanio (797-817), con uno stile legato alla coeva scuola di miniatura beneventana, con colori luminosi e ricchi di lumeggiature, dal disegno piuttosto sciolto. Altri esempi di pittura nell'area beneventana si trovano nella chiesa di San Biagio a Castellammare di Stabia, nella chiesa dei Santi Rufo e Carponio a Capua e nella Grotta di San Michele a Olevano sul Tusciano, ma i resti più importanti si trovano nella chiesa di Santa Sofia a Benevento, con notevoli resti di affreschi sulle pareti.
Tra i rari esempi di arte di epoca longobarda sopravvissuti ai secoli, alcuni collocano anche gli affreschi della Chiesa di Santa Maria Foris Portas di Castelseprio (provincia di Varese), anche se la loro datazione è molto dibattuta (ed oggi si tenda ad attribuire l'opera ad un artista bizantino, forse costantinopolitano, operante tra l'VIII e il IX secolo in Italia dopo la diaspora di pittori seguita all'iconoclastia), sebbene, dal punto di vista dei contenuti simbolici, il ciclo esprima una visione della religione perfettamente congruente con l'ultima fase del regno longobardo: eliminata, almeno nominalmente, la concezione di Cristo ariana, vi viene ribadita nelle scene dipinte la consustanzialità delle due nature, umana e divina, del Figlio di Dio [12].
 
  • UNA IMPONENTE  EREDITA' GIURIDICA
Pagina illustrata dell'Editto di RotariProbabilmente, comunque, la maggiore eredità culturale lasciataci dai Longobardi riguarda il campo del diritto.
La codificazione del diritto longobardo, di tradizione orale e tramandato solo dalla prassi giudiziaria, cominciò nel 643 con l'editto di re Rotari, redatto in latino volgare (Edictus Rothari); quel testo, ricco di termini giuridici longobardi al fine di risultare più chiaro a coloro che dovevano utilizzarlo, conservava una forte impronta  germanica Nato dalla consultazione di esperti di diritto, l'editto fu approvato dall'assemblea generale del popolo in armi  (gairethinx).


I re successivi, soprattutto Liutprando (712-744), vi apportarono delle aggiunte fino alla metà dell'VIII secolo La conversione alla fede cattolica sotto lo stesso Liutprando migliorò anche il rapporto con la popolazione romanza, il cui prestigioso Diritto romano subì un processo di sintesi con la tradizione germanica. Il diritto longobardo si trasformò quindi da diritto popolare a diritto territoriale e, applicato anche alla popolazione romanizzata, valse ai Longobardi la reputazione di eminenti giuristi. Nel 774, come sappiamo, il regno longobardo fu conquistato dai Franchi, ma questi ebbero, sul piano giuridico, un'influenza minima. Nell'XI secolo il diritto longobardo fu infine inserito fra le materie di diritto italico insegnate a Bologna e a Pavia, il che gli conferì un ruolo importante nell'evoluzione delle scienze giuridiche europee.

Editto di RotariL'editto di Rotari non aveva una struttura sistematica, ma associativa. Sul piano tematico affrontava, oltre alle questioni che riguardavano il monarca e il regno, argomenti di rilevanza civile e penale ed è fondamentale che, in quest'ultimo ambito, la faida venisse sostituita da un elenco di ammende (guidrigildi), ampliato in particolare sotto re Liutprando.
In campo giudiziario, inoltre, veniva modificato il modello dualistico prevalente nel diritto germanico, che distingueva fra giudice che presiedeva il dibattimento e assemblea giudicante: i giudici, che pure in materia di pene erano vincolati alla legge, sentenziavano sotto la propria responsabilità e questo diede un impulso enorme alle scienze legali dal momento che la necessità di una formazione giuridica si fece sentire sempre più pressantemente [13].


Nel prologo dell'Editto, in cui  si ricordano sinteticamente le vicende che hanno portato i Longobardi in Italia e si ricapitola la sequenza dei re, si riconosce che la legittimità delle leggi emanate da un re longobardo si basa sulla tradizione degli antenati e, pertanto, si ricorda ai guerrieri longobardi la legittimità del potere regio e si statuisce come sia il nocciolo delle tradizioni antiche che permette di definire in modo chiaro l'identità nazionale del Regno e quindi di fornire una linea guida che dia coesione a una società che è stratificata e plurietnica.

Il diritto romano non ha ormai più valore ufficiale, in quanto ora l'unica legge che regola i rapporti pubblici è quella longobarda. Perciò a partire dal 569 il diritto romano si trasforma gradualmente in una tradizione giuridica che rimane come consuetudine a regolare ormai solo i rapporti privati tra italici o i rapporti giuridici tra ecclesiastici e gli italici che raggiungono posti di rilievo nella società, assumono necessariamente come propria la legge longobarda.

Tuttavia, nell'estrema capacità osmotica della cultura longobarda, l'eredità giuridica del mondo romano non è totalmente obliterata: nel prologo dell'editto Rotari dice espressamente che esso contiene tradizioni antiche ma anche che è stato necessario apportare delle innovazioni e, infatti, nel corpus di leggi di origine chiaramente germanica compaiono anche una serie di norme che sono state prese in prestito dal diritto romano, in particolare per quanto riguarda la regolamentazione della proprietà privata, specie della proprietà terriera. [14]

E, con ogni probabilità, proprio questa propensione all'unione sincretica tra tradizione germanica e substrato latino la più grande acquisizione dei Longobardi ed il loro maggiore lascito alla formazione di una reale cultura italica post-imperiale.
 

 
NOTE:
(1)  http://www.mondimedievali.net/Barbar/longobardi.htm.
(2)
 N. Christie, The Lombards: The Ancient Longobards, Wiley-Blackwell 1999, pp. 184 ss.
(3)  G. Holmes, The Oxford Illustrated History of Italy, O.U.P. 2001, pp. 361-383 passim.
(4)  D.H. Fischer, Historians' Fallacies: Toward a Logic of Historical Thought, Harper Perennial 1970, pp. 46-59.

(5) A. Cronner,The Lombards'Heritage, Cambridge University Press 1998, p. 36 ss. 
(6)  L. Schmidt, Älteste Geschichte der Langobarden, Hyedr Verlag 1884, p. 76 ss.
(7)  Ivi, pp. 42 ss.
(8)  AA.VV., I Longobardi dalla Caduta dell'Impero all'Alba dell'Italia, Silvana 2007, passim.

(9)  C.A. Cummings, The Illustrated History of Italian Architecture, American Classical College Press 1984, pp. 49-53.
(10)  C. F. Black, Church, Religion and Society in Early Italy, Palgrave Macmillan 2002, pp. 28 ss.
(11)  R. Stalley, Early Medieval Architecture, Oxford University Press 1999, passim.
(12)  R. Whitter, The art of the Lombards, Routger 1996, passim.

(13)  K. Fisher Drew, E. Peters, The Lombard Laws, University of Pennsylvania Press 1973, pp. 36-58 passim.
(14)  G.P. Bognetti, L'editto di Rotari come espediente politico di una monarchia barbarica, Giuffrè 1957, passim.
 
      

       

©2009 Lawrence M.F. Sudbury

     


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