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di Lawrence M.F. Sudbury

     

knotCon una estensione geografica comprendente pressoché tutta l'Europa ed un arco temporale di circa 800 anni è a dir poco complesso, nonostante la ricchezza di fonti in nostro possesso, tentare di tracciare un quadro unitario riguardo alle caratteristiche della società celtica (1).
Esiste, però, un tratto culturale che sembra fungere da minimo comun denominatore per ogni tribù e ogni periodo della loro storia: la profondissima spiritualità che permea tutti gli aspetti della vita e che, determinando praticamente ogni comportamento quotidiano, informa di sè la struttura sociale di ogni gruppo. Proprio una ricognizione sul sistema spirituale dei Celti diventa, dunque, forzatamente, la base di partenza per l'esplorazione di questo affascinante popolo.

  • RELIGIONE

Il primo concetto da tener ben presente per comprendere la religione celtica è che, per circa un terzo della loro storia (e per tutto il periodo che altrove abbiamo chiamato protostoria), i Celti sono stati nomadi impegnati in una lenta e lunghissima migrazione verso occidente. Di conseguenza, il loro sistema spirituale si è sviluppato relazionandosi a tale stile di vita e basandosi su esso. Forse soprattutto da questo deriva la formazione di una religiosità fondata sul contatto con la natura, sul suo rispetto e sul sentirsi sua parte integrante, in un abbandono quasi fatalista al suo corso naturale (2). D'altra parte, è questa una caratteristica tipica di numerose civiltà non stanziali dell'età del bronzo e non sembra affatto un caso che la religione celtica mostri moltissime affinità con altre religioni di culture indoeuropee con cui i Celti erano sicuramente venuti a contatto, in particolare con quella scita. 

Gli elementi principali su cui tutto il sistema si fonda sembrano apparentemente piuttosto semplici: la reincarnazione della vita, la rigenerazione, la resurrezione e la sacralità di alcune piante, viste come tramite con il firmamento e separazione tra uomo e dei celesti (non a caso attorno ad ogni villaggio c’erano boschi sacri, detti "drynemeton" dove avevano luogo i riti sacri).

Ovvio corollario di una tale "naturalità" religiosa (e del nomadismo che, essenzialmente, ne è causa fondante) è la mancanza di edifici di culto: spesso dolmenpensiamo che menhir, dolmen e cromlech sparsi per l'Europa siano state costruzioni celtiche, ma, in realtà, tali strutture furono di almeno 1000 anni precedenti alla penetrazione protoceltica e, semplicemente, i Celti si limitarono a utilizzare ciò che trovarono sul loro cammino, assimilando tali edificazioni liturgiche (in effetti, comunque, la loro primaria funzione religiosa rispetto a possibili altre funzioni, probabilmente di stampo scientifico-astronomico, è tuttora oggetto di studio) a una sorta di "bosco sacro" in pietra, unione tra dei e uomini (3).
Questo non ci deve far minimamente pensare di essere di fronte ad una religiosità di tipo primitivo. Le concezioni di fondo, si diceva, sono solo apparentemente elementari, ma, in radice, si fondano su speculazioni filosofiche di livello tale da dover essere semplificate per adattarsi al popolo minuto: abbiamo, così, due livelli religiosi ben distinti, uno popolare ed uno alto.

Per quanto riguarda la religiosità popolare, essa era costituita da una mitologia accessibile e da una serie di riti che avevano pian piano inglobato anche alcuni elementi arcaici risalenti al neolitico e provenienti da culti solari, tellurici e lunari. LugCome proprio della maggior parte dei culti indoeuropei, veniva praticato il politeismo, con un pantheon formato addirittura da 374 divinità. In effetti, molte erano copie di altre, per cui possiamo in effetti parlare di circa 60 dei veri e propri, per lo più impersonificazione di eventi naturali.  Il dio più importante di tutti era Lug (in onore del quale vennero fondate Lione e Leida), un dio-druida in grado di suonare l’arpa, lavorare il ferro, combattere da valoroso, fare magie. Da lui, in una fase di difficile determinazione, derivò il culto di una triade di suoi (presunti) discendenti Teutate, Eso e Tarani (Teutate era il più potente e si placava con sacrifici di sangue, Eso era identificato con il toro, anche egli assetato di sangue e Tarani era il dio della guerra e, per i sacrifici a lui offerti, preferiva il rogo), che ricorda molto da vicino la trinità divina germanica Wotan-Odino, Donar-Thor, Ziu-Tyr, ma che non necessariamente ha punti di origine comuni con essa (il concetto di trinità è, in effetti, molto ricorrente nelle religioni dei popoli di origine orientale). Successivamente, comunque, Lug assunse una prevalenza definitiva su tutti gli altri dei e, nel culto popolare, venne sempre più affiancato da eroi Cu Chulainlocali divinizzati (il più importante sarà l'irlandese Cu Chulainn) (4). Agli dei, nei boschi sacri, contraddistinti da recinzioni, o presso pozzi appositamente scavati e forse collegati al culto della terra, si sacrificava di tutto, dagli oggetti (presso alcuni pozzi sono state trovate anche armi e vasellame) agli esseri umani (nemici, schiavi e, in qualche caso, anche uomini liberi), sia nel tentativo di ingraziarseli, sia in quello di ottenere predizioni (la divinazione era la pratica magico-religiosa più diffusa), sia, infine, in quello di mitigare i numerosissimi "geasa" (tabù) che limitavano la vita di chiunque (5).



Ben differente era la religiosità "alta", propria delle classi intellettuali (bardi, indovini e, soprattutto, druidi e sacerdotesse druide): l'idea di fondo era che la vita, con il suo fluido, la sua forza chiamata "oiw", permeasse ogni cosa. Tutte le manifestazioni della natura, anche quelle più violente, erano vissute come un' incarnazione di tale energia assoluta che presiedeva alla creazione e alla distruzione del mondo, in un processo ciclico di nascita e morte che si rinnovava continuamente e da cui derivava il concetto della reicarnazione. Spirale del tempoDa questa concezione ciclica dei tempi e degli eventi e non dalla paura o dalla superstizione (comunque ben presente a livello popolare) nasceva l'assoluto rispetto per la natura, vista, in un'ottica che con la sua prossimità all'induismo non può che avvalorare una origine asiatica dei celti, come possibile sede di reincarnazione. In realtà, comunque, più che di ciclicità vera e propria sarebbe più consono parlare di continua evoluzione. Il divino stesso era visto come un principio in perenne evoluzione che si manifestava in quattro stadi (o mondi) diversi: dal centro (Oiw assoluto) si passava, attraverso cerchi concentrici, allo stadio della conoscenza spirituale, poi al mondo fisico, infine allo stato della materia incorporea inanimata. Più che trasmigrazione da un corpo all' altro, allora,  i celti credevano in un passaggio tra stadi di conoscenza e consapevolezza diversi, ottenibile tramite iniziazione. Il corpo del defunto entrava nel mondo dell' invisibile dove manteneva la memoria dell' esistenza terrena e grazie a questa, poteva entrare in contatto con i vivi, in particolari momenti dell' anno (Samhain); poi la memoria andava via via affievolendosi fino all' oblio definitivo, che apriva le porte o all' immortalità o di nuovo al mondo fisico. Da questo processo traeva senso la divinazione, spesso ottenuta tramite trance: il veggente, in uno stato di coscienza alterata, entrava in contatto con i morti o con gli dei, che, nel continuum spazio-temporale celtico, vivevano semplicemente in uno spazio parallelo (ctonio per i morti, empireo per gli dei, con i quali il contatto era possibile anche tramite l'osservazione degli astri) da cui era possibile vedere ciò che alla vista umana era precluso (pur essendo comunque già esistente,con una concezione del futuro simile ad una sorta di "presente prossimo") (6).
Naturalmente, per scavalcare le barriere naturali e seguire le vie dell'oiw, era necessaria una grande sapienza ed una profondissima preparazione, riservata unicamente alla classe sociale più elevata della società celtica, quella druidica.
Arriviamo così, nella nostra breve esplorazione della cultura dei "padri dell'Occidente", alla necessità di soffermarci sulla strutturazione gerarchica in cui la loro società si sviluppava.
  • SOCIETA'

Così come per l'aspetto religioso, anche per quanto riguarda l'aspetto della stratificazione sociale i Celti mostrano una strutturazione apparentemente semplice, sotto la quale, però, si nasconde una notevole complessità.

Celtic kingSostanzialmente, come in quasi tutte le civiltà dell'età del bronzo, nell’antichità le tribù erano comandate da un re, mentre solo nelle regioni più aperte all’influenza del mondo classico (Elvetia, Gallia) vennero, in fase tarda, eletti magistrati scelti tra i singoli clan. Ma già qui troviamo una prima grande differenza rispetto alle culture coeve: il re era tale per investitura religiosa derivante da scelta druidica e, pur avendo un ruolo di supremazia rispetto agli altri guerrieri, un ruolo la cui base era, prima di ogni ogni altra cosa, economica, essendo determinato, nella maggior parte dei casi, dal numero di capi di bestiame posseduti (in particolare cavalli, e ancora una volta, in questo rinveniamo una chiara influenza scita e kurgan), tale supremazia diventava unicamente formale di fronte ai druidi stessi, responsabili non solo, come detto, della sua incoronazione, ma anche dell'incoronazione del "Grande Re", una sorta di "re dei re" di una certa area, che esercitava sugli altri capi tribù un dominio pressochè totale (sebbene non incontrastato) (7).

Dunque, ad ulteriore dimostrazione di una società fortemente spirituale, erano i druidi a formare la vera classe dominante, seguita, nel periodo precedente a La Tene, da quella dei guerrieri e da quella dei lavoratori, in una prefigurazione di quella che sarà la grande tripartizione sociale alto-medievale.

Cerchiamo di analizzare un po' più approfonditamente le caratteristiche di questi tre gruppi.

DruidPer quanto riguarda i druidi, su di essi è stato scritto tutto ed il contrario di tutto, dando loro connotazioni spesso per nulla rispondenti alla realtà, a partire persino dal significato del loro nome. Plinio, ad esempio, collega l'etimologia del termine alla radice greca della parola quercia. La cosa non sarebbe del tutto arbitraria, considerato che i celti dell'odierna Francia avevano intensi rapporti culturali e commerciali con i greci della vicina città greca di Massalia (l'odierna Marsiglia) e che la quercia era una delle piante più sacre per i druidi stessi, se non fosse che l'etimologia del termine è, in effetti, molto più semplice. Recenti studi, basati sulla comparazione tra lingue gaeliche e antichi idiomi indoeuropei, hanno infatti stabilito che  la forma gallica "druides" (sing. *druis), utilizzata da Cesare nel De Bello Gallico, nonchè l'irlandese "druid" risalgono a un archetipo *dru-wid-es ('sapientissimi)', contenente la medesima radice del latino "videre" (vedere), del gotico "witan", del tedesco "wissen" (sapere) e del sanscrito "veda" (8). Dunque i druidi erano i sapienti, studiosi e saggi prima che sacerdoti, capaci di vedere là dove nessun altro può indagare. Cesare ci parla estesamente di loro nella sua opera principale:  « I druidi normalmente non partecipano alle guerre né pagano tributi alla stregua degli altri. Sono esentati dal servizio militare e godono dell'immunità in ogni campo. Incitati da tanti privilegi, molti accorrono spontaneamente a farsi istruire, altri sono mandati dai genitori o dai parenti. Lì si dice che imparino un grande numero di versi, e perciò c'è chi rimane alla scuola anche per vent'anni. Non è ritenuto lecito affidare alla scrittura questi versi, mentre per tutto il resto, sia materia pubblica o privata, usano di solito l'alfabeto greco. Questa regola mi sembra sia derivata da due motivi: dal desiderio di non divulgare i loro insegnamenti, e perché gli apprendisti non trascurino la memoria fidando sull'uso delle lettere, il che capita quasi sempre ai più: col sostegno della scrittura si allenta l'applicazione nello studio e nell'esercizio mnemonico. In primo luogo essi cercano di creare questa convinzione, che le anime non periscono ma dopo la morte passano dall'uno all'altro; secondo loro è questo un grandissimo incitamento al valore, poiché elimina la paura di morire. Molto, inoltre, discutono fra loro sugli astri e sui loro movimenti, sulla grandezza dell'universo e della terra, sulla natura delle cose, sulla forza e sulla potenza degli dei immortali, e trasmettono tutte queste nozioni alla gioventù. » (9) Gli fa eco, completando la descrizione di questa potente Druidclasse intellettuale, Strabone, che scrive: « In generale presso tutti i popoli gallici tre classi godono di onori eccezionali: i Bardi, i Vati e i Druidi. I bardi sono cantori sacri e poeti, i vati ricoprono le cariche religiose e praticano le scienze della natura, i druidi si consacrano alla parte morale della filosofia. Questi ultimi sono considerati i più giusti tra gli uomini e pertanto viene a loro affidato il compito di giudicare le controversie private e pubbliche. Un tempo dovevano anche fungere da arbitrali in caso di guerra e avevano la facoltà di fermare i combattenti nell'attimo in cui costoro di accingevano ad allinearsi per la battaglia, ma, soprattutto, si demandava loro il giudizio nei processi per omicidio. Quando costoro abbondano, si ritiene che ciò preannunci abbondanza per la loro patria. Affermano - e altri sono d'accordo - che le anime e l'universo siano imperituri, ma che un giorno fuoco e acqua prevarranno su di loro.» (10). Insomma, sacerdoti (presiedevano a tutti i riti e seppellivano i morti in tumuli, secondo la tradizione dei kurgan), medici erboristi (avevano come simbolo un falcetto, come conoscitori di erbe mediche, che venivano raccolte con una certa ritualità), giudici... I Druidi erano, in pratica, i veri capi della tribù: periodicamente si riunivano in assemblee in cui il majestix (il grande re) affidava loro vari compiti Druidaanche di natura politica e diplomatica. Tra essi numerose erano le donne, che nella società celta non venivano considerate inferiori agli uomini in nessun campo (11) e che dovevano sottostare, nella fase di studio della durata di un intero ciclo lunare (cioè al ritorno della Luna nella stessa posizione apparente in cielo e con la stessa fase ogni 19 anni solari), alle stesse durissime prove dei loro colleghi maschi per raggiungere l'"onore della conoscenza" (che si otteneva studiando scienza degli astri, cosmologia, diritto, fisiologia e medicina, teologia, filosofia e morale, genealogia e storia del popolo) (12). Non per nulla si diventava druida solo dopo aver superato una prova finale che consisteva nel ritirarsi nel bosco sacro e giungere all’aldilà (attraverso prove di allucinazioni ed ipnosi): solo chi vi era stato ed aveva fatto ritorno tra i mortali poteva guidare un popolo (13). 


Coloro che, invece, erano preposti alla difesa del popolo erano i guerrieri. La loro carriera era più semplice di quella dei druidi, ma non di molto. Sostanzialmente,
si arrivava a esercitare la funzione guerriera solo dopo una lunga e articolata iniziazione che includeva tanto il rito del passaggio dalla minore alla maggiore età, che per il giovane celta avveniva a diciassette anni, quanto l'addestramento a passare da uno stato normale a uno stato superiore di coscienza, che comportava la capacità di attivare e controllare energie straordinarie al momento del combattimento. In questo modo sia sul piano sociale sia su quello operativo il guerriero diveniva l'incarnazione dell'oiw.warrior2 Il guerriero, che così assumeva in piena consapevolezza il suo ruolo sociale, morale e religioso, godeva della protezione divina, come si apprende dal patrimonio mitologico e leggendario celtico, che veniva mantenuto vivo nella memoria collettiva nelle abituali riunioni conviviali dei guerrieri (14). Il guerriero maschio era, in ogni momento della vita, espressione proprio dell'oiw, della forza. Anche per questo viveva solo insieme ad altri maschi fino al momento del matrimonio, anche dopo il quale continuava, comunque, a frequentare prevalentemente comunità maschili. L'oiw segnava  ogni gesto: dai grandi banchetti, vere e proprie agapi in cui, tra abbondanti libagioni (anche il mangiare e bere molto era espressione di forza),  non solo si rinnovavano i rituali di coesione interni al clan, ma, attraverso il canto di gesta eroiche, si otteneva il riconoscimento della propria forza (per i celti la fama era la cosa più importante) e, eventualmente, attraverso duelli, si risolvevano le contese interpersonali, alla scelta dell'acconciatura (a cui si prestava grande importanza, con chiome fluenti, spesso tenute dritte con impacchi di gesso, che erano considerate una riprova della prestanza fisica del loro proprietario).
Naturalmente, però, il luogo principe per la dimostrazione del proprio oiw era il campo di battaglia. Il guerriero celta, in battaglia, si dipingeva il volto (normalmente di blu), urlava a squarciagola e, cosa stupefacente per i popoli mediterranei che si scontrarono con gli eserciti celtici, combatteva praticamente nudo, coperto solo da un guerriero3leggero perizoma. Ognuno di questi gesti aveva un senso rituale molto forte: si urlava sì per spaventare il nemico, ma soprattutto per accrescere, quasi a livello parossistico, il "furor" omicida che la forza faceva nascere dentro di sé; ci si dipingeva il volto per attirare e convergere le forze della natura verso la propria testa, sede dell'oiw; soprattutto, si combatteva nudi per avere il massimo contatto con il nemico, con il suo sangue e con la terra, che infondeva il "calore del furore" (15). 
Ancora l'oiw era alla base di una delle pratiche considerate più "barbariche"  dei celti (che, è bene ricordarlo, non avevano il concetto di "peccato"): quella di tagliare le teste dei nemici uccisi e impalarle davanti alla propria casa come trofei. In realtà, il significato profondo era quello di interiorizzare la forza del nemico e di mostrargli rispetto, dal momento che una tale pratica stava ad indicare che il nemico ucciso, nella prossima vita, non avrebbe avuto più la testa (e la forza in esso contenuta) e, per questo, sarebbe stato un avversario meno forte che nella vita precedente (16). Un significato tutt'altro che "barbarico", dunque, per un popolo che, tra l'altro, a differenza di ogni altra "razza civile" dell'epoca, si rifiutava di praticare la tortura, ritenuta disonorevole e stupida!
Infine, sempre il concetto dell'oiw fu, in buona parte, causa dell'annientamento bellico delle popolazioni celtiche da parte dei romani. Mossi dall'oiw, i guerrieri celti
prediligevano il corpo a corpo e la carica d'impeto. Per questo con le spade colpivano, menando dei fendenti, che non si rivelavano mai colpi mortali. Polibio racconta che le loro piccole spade si piegavano dopo i primi colpi. Gli scudi, poi, ben rifiniti ed incisi, erano piccoli rispetto al corpo, sempre perché i Celti confidavano nell’impeto dell’assalto. Dunque i Celti, per via del loro furore e della scarsa tattica, erano destinati a perdere le battaglie contro un esercito organizzato, cosa che, contro Roma, puntualmente avvenne (17).

peasantsSotto ai precedenti due gruppi sociali, si poneva il terzo, quello che, qualche secolo dopo, sarebbe stato definito dei "laboratores", formato da tutti gli uomini liberi (gli schiavi, come in ogni cultura, erano considerati delle "non persone" e molto difficilmente venivano liberati o potevano riscattarsi) che praticavano attività manuali. Pur avendo una cultura di stampo prettamente rurale (la principale attività era l'allevamento del bestiame, in particolare di mucche e pecore), i celti si distinsero notevolmente anche per capacità artigianali e mercantili (18). Commerciavano e lavoravano il sale (in celtico hal e non a caso molte città della zona del sale hanno come suffisso iniziale questo termine), furono i primi ad introdurre l’uso dei mantelli colorati e dei pantaloni (brache) entrambi ereditati dagli Sciti, risultando bravissimi nell’arte della tessitura e della tintura, furono abilissimi nella lavorazione dei minerali, in particolare del ferro (introdussero, inoltre, l’ottone e per molto tempo lavorarono la smithsonite, un particolare minerale, sostitutivo dello zinco), conoscevano bene le varie tecniche di fusione ed erano anche capaci nella cottura del vetro (bianco e colorato), nell’uso dello smalto e nella lavorazione dell’ambra (19). Tutte queste pratiche furono perfezionate nel corso del passaggio fondamentale dalla cultura hallstattiana a quella lateniana. Proprio nel periodo di La Téne si andò via via facendo strada un nuovo gruppo  sociale, la borghesia mercantile, che, se da un lato rappresentò una notevole spinta propulsiva per lo sviluppo della civiltà celtica (sviluppo poi bruscamente interrotto, con la sola eccezione delle isole britanniche, dall'inglobamento romano), dall'altro frazionò notevolmente la resistenza alla penetrazione straniera, indebolendo globalmente il tessuto sociale:  praticamente ciascuna unità economica divenne una tribù a sè craftsman2stante, con una importanza data al denaro ben superiore a quella delle epoche precedenti e al peso dato all'onore guerriero. E' in questo periodo che i Celti che vivevano in zone marittime svilupparono un’abile capacità di navigazione, ideando navi fatte di quercia e con vele di pelle ben più robuste di quelle romane (non a caso le caravelle della Lega Anseatica del 1300 verranno sviluppate proprio sul modello celtico) e sempre in questo periodo "inventarono" la formula della pensione completa, che si teneva nelle stazioni di cambio, ma, allo stesso tempo, posero le basi della propria divisione e della propria rovina con  sanguinose faide commerciali interne (20).

Comunque, con lo sviluppo tecnico-artigianale tra periodo halstattiano e lateniano (e in quello immediatamente successivo), anche la capacità celtica di produzione artistica raggiunse il suo punto di massimo splendore, donando all'umanità capolavori eterni.

  • ARTE

CAPANNASDunumulla base del perdurante nomadismo dei Celti, non possiamo, in realtà, parlare di una vera e propria architettura celtica: i membri delle diverse tribù abitavano prevalentemente in capanne di legno, circolari o rettangolari, riunite in piccoli villaggi (che Cesare definira "vici"), spesso (soprattutto in Gallia) nei pressi di costruzioni fortificate (dette "dunum") e solo in una fase tarda, probabilmente grazie al contatto  con gli Etruschi e con i Greci, che avevano fondato Marsiglia ed influenzavano il commercio nella Gallia meridionale, costruirono case di pietra con piccoli vani (21).

L'architettura, però, fu l'unica forma artistica non sviluppata dalla cultura celtica.

In generale, si ritiene che l'apogeo artistico dei Celti sia da collocare tra il V secolo a.C. e il II secolo a.C., ma una datazione in tal senso è quantomai incerta dal momento che la grande riproducibilità del loro repertorio simbolico (nodi, intrecci, spirali e chiavi) portò ad una massiccia estensione dell'utilizzo di tali segni per tutto l'alto medioevo, almeno fino al IX secolo d.C. Opinione comune, comunque, sebbene un piccolo gruppo di ricercatori prenda come punto di riferimento la cultura di Hallstatt, è che tale apogeo sia in stretta relazione con la civiltà di La Tène. 

Tenendo conto che tale civiltà durò per oltre 400 anni, a puro scopo tassonomico possiamo tenere ancora valida la ripartizione cronologica dei vari stili susseguitisi (in realtà spesso sovrapponendosì)  tracciata già dagli anni '40 e  che include: stile arcaico, stile di Waldalgesheim, stile plastico e  stile delle spade. 

ArcaicIl cosiddetto stile arcaico, nato probabilmente dopo il 480 a.C., è documentato da reperti rinvenuti in alcune tombe in Germania e in Francia, che mostrano una predilezione per  motivi decorativi classici e orientali, come fiori di loto, palmette e foglie d'acanto. 
WaldalgesheimLo stile di Waldalgesheim, che fiorì dopo il 350 a.C. e prese il nome da un luogo di importanti ritrovamenti nei pressi di Bonn, coincide con l'epoca dell'espansione celtica in Grecia
e in Italia. Nei reperti risalenti a quel periodo sono evidenti i progressi nel campo della gioielleria e degli accessori per i carri. Dopo il 290 a.C. gli artisti accentuarono, invece, le caratteristiche Plastictridimensionali delle loro composiziospadeni, con uno stile più plastico, che interessò anche la rappresentazione di figure umane e animali. In questo stile, sebbene si risenta ancora di suggestioni classiche, i canoni antichi vengono interpretati con maggiore libertà e originalità, con una predominanza di disegni ispirati alle piante (in particolare ad un determinato motivo a viticcio). 
Diffusosi dopo il 190 a.C., lo stile delle spade, infine, è associato alle incisioni che arricchiscono le impugnature e i foderi di alcune spade. In contrasto con le forme elaborate e figurative dello stile plastico, i nuovi motivi sono più piatti, lineari e astratti (22). 

In linea generale, probabilmente l'arte della cultura di La Tène derivò dall'incontro di tre tendenze: l'arte classica del Mediterraneo, lo stile geometrico di Hallstatt e, in misura minore, alcuni tratti orientali, forse provenienti dall'Anatolia persiana e dalle aree occupate dagli sciti.

Malgrado la sede di fioritura dell'antica arte celtica fosse l'Europa centrale, molti elementi tipici dello stile filtrarono, tuttavia, in numerose altre zone, comprese la penisola iberica e le isole britanniche. In seguito, quando l'impero romano si espanse in tutto il continente europeo, l'asse della produzione celtica si spostò: se le tradizioni dell'Europa centrale e orientale degenerarono in una sorta di classicismo provinciale, le caratteristiche più tipiche dell'arte celtica continuarono a sopravvivere ai margini occidentali dell'Europa, in quelle Isole Britaniche che divennero l'ultimo vero baluardo di una civiltà millenaria (23).





NOTE:

(1) Importanti fonti di dati, lungo tutto l'articolo, sono stati: http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Celti/Celti-indice.html e  http://www.celticworld.it.
(2) O.Davies and T.O'Loughlin,  Celtic Spirituality (Classics of Western Spirituality), Paulist Press, Londra 2002, pp. 17-21.
(3) L.Laing, J.Laing, Celtic Britain and Ireland: Art and Society, Palgrave Macmillan, Manchester 1995, pp. 83 ss.
(4) A. Macbain, Celtic Mythology and Religion, Cosimo Classics, Edimborough 2005, passim.
(5) B.Cunliffe, The Ancient Celts, Penguin, London 1999, pp. 207-218.
(6) O.Davies and T.O'Loughlin,  Celtic Spirituality cit., pp. 86-102.
(7) 
B.Cunliffe, The Ancient Celts cit., pp. 118 ss.
(8) D.Scott, Il cerchio di fuoco. Storia, mito, folklore e magia dei Celti, cit. in http://www.specchiomagico.net/magiaceltica3.htm
.
(9) Caio Giulio Cesare, De Bello Gallico, IV, 14.
(10) Strabone, Geographia, IV, 4.
(11) P. Berresford Ellis, Celtic Women: Women in Celtic Society and Literature, Eerdmans Pub Co., Londra 1995, passim.
(12) P.Berresford Ellis, A Brief History of the Druids, Carrol & Graf Publishers, New York 1994, pp. 67-74.
(13) J. Markale, The Druids: Celtic Priests of Nature,  Inner Traditions, Austin, 1999, p. 154-176.
(14) L.Laing, J.Laing, Celtic Britain and Ireland: Art and Society cit., pp. 146-182.
(15) S.Allen, Lords of Battle: The World of the Celtic Warrior, Osprey Publishing, Bristol, 2007, passim.
(16) P.Berresford Ellis, Celtic Myths and Legends, Carrol & Graf Publishers, New York 2002, pp. 31 ss.
(17) Questa particolarità costituì un serio pericolo per Annibale, nella sua calata in Italia, poiché, in battaglia, la parte celtica del proprio fronte di attacco era la prima a cedere. Il generale punico seppe utilizzare questo potenziale difetto a proprio vantaggio, inserendo i Celti al centro del proprio schieramento, dando origine alla sua famosa tattica a tenaglia, nella quale il centro cedeva e risucchiava il nemico che veniva finito dalle ali, ove era presente la cavalleria. L’unico re celtico che capì che, in battaglia, bisognava usare una strategia oltre al furore fu il gallo Vercingetorige, che, impiegando la tattica della "terra bruciata", minava a colpire gli approvvigionamenti dei Romani, ottenendo qualche successo. In particolare, aveva capito che se avesse accettato lo scontro diretto con i Romani avrebbe perso.                                         (http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Celti/Celti-indice.html).
(18) B.Cunliffe, The Ancient Celts cit., pp. 41 ss.
(19) M.Green, Celtic world, Routledge, Londra, 1995, passim.
(20) http://www.celticworld.it
.
(21) L.Laing, J.Laing, Celtic Britain and Ireland: Art and Society cit., pp. 21-41.
(22) M.R.Megaw, R.Megaw, J.V.S.Megaw, V.Megaw,  Celtic Art: From Its Beginnings to the Book of Kells,Thames & Hudson, Surrey 2001, pp. 118-169.
(23) http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Celti/Celti-indice.html.
   

  

©2008 Lawrence M.F. Sudbury

  


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