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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando


 


Torre Guaceto

  

Si lascia la superstrada e ci s’inoltra verso la costa, dopo aver superato un piccola masseria che vende frutta e ortaggi ai bordi della carreggiata. Un tempo qui sbarcavano gli arabi, i saraceni, durante le loro scorribande lungo l’Adriatico. Prima ancora era un luogo prediletto dagli uomini dell’età del bronzo, messapi e micenei. Insomma, una vera chicca, da sempre. Tanto è vero che nel XVI secolo il marchese spagnolo Ferdinando De Alarcon fece costruire una torre di avvistamento per tenere d’occhio la baia. Perché questa zona era una specie di stazione di servizio, ben riparata dal vento, lungo chilometri di costa arida: vi si poteva trovare acqua fresca, indispensabile per dissetare marinai di ogni razza, religione e risma. E così la torre in questione prese il nome del luogo, Guaceto, che deriva dall' arabo "gawsit" e significa "luogo di acqua dolce".

E oggi? Oggi l’intera area, in provincia di Brindisi e nel Comune di Carovigno è una delle oasi naturalistiche più belle dei litorali italiani, affidata dallo Stato alle cure del Wwf. Con la differenza, rispetto a cinquecento anni fa, che di spagnoli non c'è più traccia (e, d’altra parte, è una delle categorie di turisti stranieri meno rappresentati in Puglia e Sud Italia, forse perché si sono tolti lo sfizio quando qui erano i padroni i casa), tanto meno di marchesi; in compenso qualche arabo c’è: vende asciugamani e parei ai bagnanti che scelgono questa zona della costa per bagnarsi e prendere il sole.

L’acqua dolce a disposizione, sotto forma di una solitaria fontana pubblica dell’Acquedotto pugliese, c’è sempre; ma la gente preferisce trascinarsi dietro enormi "frigobar" e/o fare la coda davanti al pulmino che vende panini, birre, bibite varie e patate fritte, serviti da gentile ragazze col camicie bianco sopra il costume da bagno. Infatti il novanta per cento dei bagnanti s’affolla nei paraggi di parei e panini, trascurando il resto. Un vero peccato, perché è come se la folla - accompagnata da centinaia di automobili per fortuna "confinate" in un parcheggio a pagamento - si fosse fermata a gozzovigliare sull' uscio di casa. Il fatto è che in questa splendida oasi - provare per credere - ci sono, poco lontano dai due lidi presi d’assalto, alcuni angoli di paradiso, tanto da far rimpiangere i soldi spesi per trasvolate ai Caraibi in cerca di spiagge quasi uguali ma più affollate. Certo, bisogna aver voglia di sudarsele le spiagge caraibiche di Torre Guaceto. Nel vero senso della parola. Perché per arrivarci si deve camminare almeno per tre quarti d’ora, o pedalare per una ventina di minuti, sotto il sole cocente d’agosto, a meno che non si parta al mattino presto. Un tragitto, tutto sommato breve, che non scoraggia i ruspanti turisti nordici, i villeggianti italiani ecologisti e naturisti (intesi come nudisti) e molte coppie omosessuali in cerca di privacy. Come testimoniava, urlando nel telefonino, una signora romana giunta ansimando fino ad una delle prime zone isolate: «Bello è bello. Eccome. Ma fa un cardo che se more. E poi oltre a essere tutti nudi so’ pure… gay (a dire il vero, la vivace signora ha usato un termine molto più romanesco, ndr)». In verità i gay, come sempre, non danno fastidio a nessuno. E qui è difficile che qualcuno dia fastidio. Tra un bagnante e l’altro, nelle spiagge e negli anfratti lungo la bassa costa rocciosa, ci possono anche essere trecento metri.

Insomma, bisogna avere il coraggio di farsi la camminata assolata (o una pedalata con le bici a noleggio nello stand dell’Oasi, come abbiamo fatto noi) e il paradiso è alla portata di tutti: non c’è solo il mare, diviso in tre zone potette a seconda della rilevanza naturalistica, ma anche una cosiddetta zona umida, formata da sorgive d’acqua dolce che alimentano canneti estesi fino ad Apani, graditissimi a tante specie di uccelli; poi c’è la macchia mediterranea: timo, ginepro, pino d’Aleppo, mirto e via elencando. Proprio la prova ginnica, pur se modesta, richiesta per goderne, dà un’idea delle due categorie in cui sono divisi i bagnanti: quelli pigri, la maggior parte, e quelli disposti a qualche piccolo sacrificio. Mentre pedaliamo al fianco di una famiglia di sudatissimi bergamaschi, consideriamo che i pugliesi - sarà che tutto questo ben di Dio l’hanno sempre a disposizione, anche se pochi conoscono l’esistenza della riserva di Torre Guaceto - appartengono quasi integralmente alla prima categoria. Perché? Un po’ deve essere questione di pigrizia, un po’ questione di affetti: nei confronti della propria automobile, s’intende. Pare proprio che l’osservazione antropologica del bagnante con automobile lungo le coste pugliesi confermi un affetto quasi kamasutrico tra il primo e la seconda. Altrimenti non si spiegherebbe per quale motivo il lido successivo a Torre Guaceto, procedendo verso Nord, all’altezza di Punta Penna Grossa, mostri torme di bagnanti accatastati gli uni sugli altri, con l’amata utilitaria parcheggiata a non più di quaranta centimetri dall’ombrellone, dalla suocera e dalla carrozzina del bambino.

C’è una tale folla di gente e di quattroruote che anche la più affollata delle spiagge di Torre Guaceto pare quella desolata dell’isola di Robinson Crusoe. Come se le ferie se le fossero meritate le automobili invece dei loro proprietari. Eppure poco più in là c’è lo spazio per parcheggiare con comodo…

Commossi da tanto inspiegabile affetto tra l’uomo e la macchina, proseguiamo in direzione di Bari, lungo quel dedalo di strade liquidate ovunque, sui cartelli, con l’ingiusto epiteto di «viabilità di servizio». In realtà consentono di raggiungere tutte le cale e calette, ma chi non è del posto viene tenuto accuratamente all’oscuro ed è confinato nella superstrada. Tanto da rischiare di perdersi il semplice ristorantino di Ninì a Specchiolla: si chiama Tav, che sta per «tiro a volo»; infatti qui si pratica ancora il tiro al piattello, sul mare, mentre, tra i cinque o sei tavoli, si pratica la degustazione dei prelibati piatti di pesce, preparati con la giusta lentezza da Ninì. Una goduria che induce a perdonare persino una coppia di chiassosi fidanzati milanesi, decisi a farsi confessare che quelle cozze gratinate al momento si posso ottenere anche con il loro forno a microonde.

Inizia un tratto di costa in cui sono nati parecchi complessi residenziali formati da ville e villette: i più noti sono quelli di Rosa Marina e di Monticelli. Si tratta di aree presidiate e recintate, che rendono anche difficile raggiungere il mare, se non si é nella schiera dei residenti. Ci sono barre mobili e guardiole. Sono per lo più seconde case: a Rosa Marina prevalgono i baresi del capoluogo (compreso, tra gli ospiti, il nuovo sindaco Michele Emiliano) e non c’è barese di un certo rango che non voglia far sapere di avere la sua brava villetta qui (o qualche amico in grado d’ospitarlo); a Monticelli il rango regge ma, a prima vista, i baresi "di città" sono meno. Per entrare a Rosa Marina bisogna aver l’invito di uno dei "proprietari", come ci dicono al posto di blocco. Altrimenti, nisba. Per intrufolarsi a Monticelli, dove evidentemente vige un regime più democratico, basta avere la pazienza di attendere che qualcuno entri o esca, sollevando la barra. Si riesce ad intrufolarsi persino con l’auto, anche se poi non si da dove andare.

Dopo Rosa Marina, Torre Canne: con le sue terme, la sua aria molto mediterranea, il suo faro e scarse brutture edilizie, ha un aspetto e un’atmosfera tutto sommato gradevoli e rilassanti. Nell’entroterra, intorno a Ostuni, spopolano gli agriturismo dai prezzi non sempre abbordabili, dove villeggianti stranieri (s’incrociano parecchi inglesi) e italiani settentrionali si godono una vacanza intellettuale in stile toscano, pendolando tra il mare e la Valle d’Itria. Uno degli ultimi presidi brindisini è Savelletri. Un paese normalissimo, se non fosse che qui si consuma il rito della scorpacciata di ricci: non solo nei ristoranti ma, soprattutto, ai margini di baraccotti in cui il prelibato animaletto spinoso viene servito a colpi di cinquanta esemplari a testa, con tanto di mollicoso pane pugliese, necessario per spazzolarne con cura la polpa.

L’epicentro della ricciomania è il piccolissimo borgo di Forcatella, tra gli scavi di Egnazia e Savelletri, con sistemazione molto spartana e vista sulla scogliera: ottimi ricci appena pescati, sarde al limone, volendo una spaghettata, piatti di plastica, tovaglie di carta e bidoni per buttare quel che resta del fiero pasto. I prezzi sono assai meno spartani. Ma si deve essere sparsa la voce che nell’entroterra ci sono quei turisti intellettuali inglesi e settentrionali, tentati in maniera irresistibile da proposte culinarie molto naif e pittoresche. Una tentazione irresistibile anche per i gestori dei baraccotti, che però ai ricci preferiscono, ovviamente, i turisti, adeguando i prezzi a questa preferenza. Ancora pochi chilometri ed eccoci in provincia di Bari, a Monopoli.

    

    

©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» nell'agosto 2004. 

      


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