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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando


 


Maruggio

«Ahò, come va?». «Ovvìa, non si può stare tutto il giorno al sole». «Hai visto quel pirla che a momenti mi stende col vespino?». Passeggiando in estate per Campomarino, frazione marinara di Maruggio, si può dubitare d'essere in Puglia. Stessa impressione verso sera, quando plotoni di ragazzi intasano l’incrocio tra la litoranea e le strade che portano verso il nuovo porticciolo e l'entroterra. Si dirà: chiaro che gli accenti sono diversi, sono turisti. Ma no… Troppo facile. Perché qui aleggia un'atmosfera di consolidata familiarità, sia tra le generazioni più fresche che tra quelle più stagionate. Familiarità che mal si spiega ricorrendo al regola della semplice conoscenza estiva tra gente proveniente di mezza Italia. Tanto più che alcuni ragazzi sfoggiano anche un italiano con curiosi accenti francesi o tedeschi.

Il fatto è che nei paesi e paesini sfiorati lungo la strada proveniente da Taranto predominano i pendolari o i tarantini del capoluogo muniti di seconda casa. Da Campomarino in poi s'incontra un'umanità in parte diversa, per quanto a sua volta «villeggiante ». In che senso? Dopo un rapido sondaggio, svolto carpendo discorsi o chiedendo lumi ai baristi, s'apprende quanto segue: qui in estate vengono moltissimi pugliesi nati nella zona (o famiglie in cui uno dei genitori è nato in Puglia) che, per varie ragioni ma soprattutto per lavoro, sono andati a vivere nel Nord Italia o all'estero: emigranti veri e propri o gente che scelse la carriera militare o nella pubblica amministrazione. In questo periodo tornano nelle loro case, comprate o ereditate, più o meno ampliate e rimaneggiate. Tornano con figli nati a Milano o a Zurigo, a Lione o a Roma. Figli, alcuni già diventati padri, che hanno i loro bravi accenti d'originemache qui si sentono a casa loro. E in effetti è così. Perché dei famosi turisti veri e propri anche da queste parti non c'è quasi traccia o sono una minoranza.

Così capita a Campomarino come nel paese successivo, San Pietro in Bevagna: la leggenda narra che la nave che conduceva Pietro Apostolo a Romavi fece scalo per il rifornimento di acqua, grazie ad una ricca sorgente, tanto che probabilmente Pietro avrebbe celebrato qui i primi battesimi cristiani in terra italiana. Comunque, mentre Campomarino si sente a pieno titolo frazione di Maruggio, San Pietro, ufficialmente frazione di Manduria, è guardato con occhi bramnosi anche anche da Avetrana, che è più vicina. Si mormora che sia pure questione di tasse e gabelle, Ici e condoni inclusi. Sentimenti che non s'alleviano neppure considerando che entrambe le frazioni da fine settembre a fine maggio si spopolano e tutto chiude, perché non ci abita, in maniera stanziale, quasi nessuno.

Già, i condoni…Da queste parti su un mare bellissimo, che si potrebbe godere cinque mesi all’anno, si specchiano file e controfile di palazzine, villini, villette, casette, alcune costruite in parte, alcune in perenne edificazione. Le vie spesso, soprattutto a San Pietro, sono nate così in fretta che nessuno ha fatto in tempo, o ha avuto voglia, di dare loro un nome, così magari sono contraddistinte da una sigla, scritta col pennello su un muro. Viene in mente che 19 anni fa, nel 1985, Michele Serra, allora all'«Unità», passò da queste parti per un viaggio lungo le coste italiane, da Ventimiglia a Trieste. Della zona scrisse: «Il mar Jonio, pulitissimo, fragrante di salmastro, ricchissimo di calette e ancora di sabbia fino a Leuca, è una miniera sfruttata poco ma quasi sempre male… è difficile percorrere lunghi tratti senza imbattersi in lottizzazioni, cantieri, costruzioni casuali e approssimative, insediamenti umani che hanno il classico aspetto di quel precariato cementizio che ha rovinato gran parte dei litorali italiani». Poi: «Il caos è spicciolo, diffuso, continuo; e aggravato dal senso di sciatteria che danno le case non rifinite per mancanza di denaro, per improvvise grane legali o per qualunque altro motivo». Morale: «è un mare meraviglioso che non basta, da solo, a dare ordine e senso a uno sviluppo casuale e improvvisato».
Quasi vent'anni dopo l'impressione che si ha passando da queste parti non è molto diversa, sebbene si legga che, malgrado il condonismo continui a dilagare, qualcuno abbiamo messo saggiamente la testa a posto.

Anche Porto Cesareo, malgrado goda di un turismo che pare più composito, non si smentisce. Il «caos spicciolo» è accompagnato da quello chiassoso dei residence, alcuni ancora in costruzione, che all' architettura mediterranea preferiscono catafalchi postmoderni e colori psichedelici da far invidia a qualsiasi ipermercato. Poco prima c'è la frazione di Torre Lapillo, che - malgrado l'aria un po' abbandonata e le solite villette fin sulla spiaggia - ha un aspetto familiare e rassicurante. Giovanni, nel suo bar «Mare chiaro», sforna ottimi fritture di calamari, polpette di ricotta e chele di granchio fritte a prezzi d'altri tempi, in un atmosfera da anni Settanta. Ma non nasconde qualche brontolio: «Qui la stagione turistica vera dura poco più di un mese. Pochissimo per riuscire a fare progetti. Tranquillità garantita a parte, la gente non sa che fare. D'altra parte, se qualcuno volesse venire a villeggiare fuori da quel mese e mezzo di stagione piena, troverebbe tutti i negozi chiusi. E se ne andrebbe. Occorrerebbe programmare bene. Invece...».

Ne deduciamo che invece la pubblica amministrazione, qui come in vari comuni vicini, forse s'accontenta di quel che passa il convento del turismo da cinque settimane l'anno. Oltre tutto, a Porto Cesareo si comincia a sentir dire che «quest'anno ci sono in giro meno turisti dell' anno scorso». Gli alberghi sono pochi. Proliferano invece gli appartamenti in affitto, qualche bed e & breakfast, rari agriturismo.

Anche il residence multicolore incontrato poca prima non sarà un hotel, ci dicono, ma verrà frazionato in appartamentini. Insomma, seconde case. E un’offerta di altre seconde case in un'area con pochi servizi turistici manterrà pure bassi i prezzi degli alloggi, ma continua a ghettizzare la stagione nelle poche canoniche settimane; senza stimolare la creazione di infrastrutture, servizi, luoghi di svago in grado di «catturare» turisti italiani e stranieri a cinque stelle, quelli che portano davvero tanti soldi e consentono investimenti. Insomma, ci vorrebbe un colpo d'ala, finora esibito solo dai gabbiani che passeggiano, al mattino presto, sul pontile di Porto Cesareo.

Torre dell'Alto (Porto Selvaggio)

Dopo il paesaggio cambia. Inizia la riserva naturale di Porto Selvaggio, da Torre Uluzzo a Torre dell'Alto. Un miracolo di scogliere alte quaranta metri, mare blu notte e pinete immense. Miracolo dovuto al coraggio della gente che nel 1980 ottenne dalla Regione l'istituzione del «parco naturale attrezzato», 424 ettari, per frenare altre colate di cemento, che già incombevano. L'idea di salvare questo tripudio di bellezza ha funzionato, anche sul fronte turistico. Qui cominciamo a sentire le voci di villeggianti provenienti dal resto d'Italia e a vedere targhe straniere.

Un'antica tradizione di villeggiatura dei benestanti dell'interno offre lungo la strada più interna ville liberty ben tenute. Sul mare, Santa Caterina e Santa Maria al Bagno, appoggiate alla roccia, malgrado qualche eccesso edilizio paiono ordinate, pulite ed eleganti, ricordano la Riviera ligure tra Rapallo, Portofino e Camogli. Gallipoli ci accoglie col suo solito terribile grattacielo grigio, spaparanzato davanti al centro storico. Malgrado quell'ombra incombente, qui il turismo è internazionale. E la cittadina lo ha meritato, anche se potrebbe essere più pulita. La strada corre lungo la costa fino a Leuca, passando da una marina all'altra. Il «caos spicciolo » non demorde ma è meno sguaiato rispetto alla costa precedente il parco di Porto Selvaggio. Un enorme sedia a sdraio, alta almeno quattro metri, segnala che Marina di Pescoluse vuole essere ricordata come «le Maldive del Salento». Il mare se lo merita, il seggiolone un po' meno ma non sta proprio malissimo, lungo la strada. Semmai lascia perplessi, poco più in là, una chiesa nuova nuova, che pare la via di mezzo tra l'elmo di un gladiatore e una pagoda giapponese. Non essendo banale, anche se costruita nel continente sbagliato, deve aver richiesto molte riflessioni. Almeno, ce lo auguriamo. Si va avanti. E una curva strettissima ci catapulta verso Santa Maria di Leuca, dove la Puglia, con l'Italia, finisce, puntando verso Oriente.

    

    

©2005 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» nell'agosto 2004. Le due immagini sono tratte rispettivamente dai siti www.puglia-casa.de e www.salentonline.it.

      


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