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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando


 


  

«E mo'? Speriamo che dall'altra parte ci sia più vita», dicono due turisti dalla cadenza laziale, sotto il sole a picco di mezzogiorno. La Puglia comincia duecento metri più in là, oltre un vecchio ponte abbandonato e il cavalcavia della Statale Ionica, proveniente dalla Calabria. Sotto scorre il Bradano. Un confine al di qua del quale, nel territorio lucano di Metaponto, ci sono le vestigia del tempio greco di Hera, moglie di Zeus, protettrice delle donne, del matrimonio, dei pascoli e della fertilità: due file di belle colonne doriche, lì da 2600 anni e vigilate da nessuno, manco da un cane randagio, malgrado un edificio deserto presidi l'ingresso e ci sia una recinzione nuova di pacca, con il cancello aperto.

Superata l'italica tentazione (data la latitanza di chicchessia) di scrivere su un capitello «Sono stato qui!», con tanto di data, apprendiamo, grazie a un cartello, che per i colonizzatori greci la terra a Nord di questo tempio era già straniera. Però alla tentazione di spingersi più a Sud i greci non ressero. E superarono il Bradano, sulla costa dello Ionio, diretti verso il luogo in cui sorse l’antica Taranto. E noi, 26 secoli dopo, li seguiamo idealmente e modestamente a ruota. Il nostro viaggio lungo gli ottocento chilometri di coste pugliesi - fino a Marina di Chieuti, poco prima del Molise - prende il via da qui, dal confine più meridionale; alla faccia dell'ulteriore tentazione di iniziare sempre tutto da Nord, anche se, per ovvie ragioni, chi oggi viene in ferie nel Tacco d'Italia giunge per lo più da lassù.

Insomma una «pensata meridiana», questa scelta di partire da Sud; o, se vogliamo, una lancia spezzata a favore degli antenati greci, che da queste parti si dettero davvero un gran da fare, senza offesa per eventuali radici celtiche. L'obiettivo? Quello di fare una rapida incursione tra la natura e la gente, le scogliere e le spiagge, lungo i bordi di una regione che sta consumando - tra turismo «forestiero », rientro di emigrati e villeggiature più meno fugaci dei pugliesi delle città e dell'interno - il rito ancora molto pagano dell'estate.

Ginosa Marina

Riecco dunque i due turisti provati dal solitario impatto con Hera. Potranno trovare al di là del confine tra Basilicata e Puglia un po' più di vita? Oltre il Bradano la faticosa Ionica dà l'illusione di essere una superstrada. Illusione concessa per pochi chilometri. Quanto basta comunque per imboccare la strada diretta verso la prima Marina pugliese, quella di Ginosa, il cui centro abitato è trenta chilometri più su, verso le Murge tarantine. I due turisti, ammesso che si siano diretti in direzione delle vaste pinete che si intravvedono verso il mare, la prima testimonianza di vitalità potrebbero raccoglierla imbattendosi in un pub dal nome sfizioso e un po' ermetico: «Le Freak c'est Chic». Alla ricerca, in teoria, di fricchettoni modaioli; una specie che a Marina di Ginosa, tuttavia, più che in via d'estinzione non deve essere mai esistita. Descritto come «una deliziosa località balneare all'ombra di pinete e di dune sabbiose che si affacciano su un mare cristallino», questo paese è già il primo esempio dei generi di turismo che convivono, senza fondersi quasi mai, in Puglia.

Quali? Un'ipotesi di lavoro è questa: ci solo le località, non tante, destinate quasi solo al turismo di largo raggio (italiani centrosettentrionali e stranieri), come Otranto o Vieste; quelle, più rare, destinate ad un turismo misto, in cui giocano un ruolo anche i villeggianti locali o d'origine locale, come parrebbe Porto Cesareo; e quelle, numerose, destinate quasi esclusivamente alle vacanze di chi vive o è nato nell’area circostante. Come Marina di Ginosa, appunto. Dove - al di qua e al di là della ferrovia - si riproducono senza alcun patema, in versione smutandata e pareata, i ritmi dell' ozio domestico, a base di mangiate, panni stesi e overdose di tv. Qui nessuno è straniero, nel senso che tutti si conoscono.

A giudicare dalle targhe delle auto, Marina di Ginosa è la seconda casa di tantissimi materani, più tarantini e baresi. Con qualche debolezza per la lontana riviera adriatica nordista, se si considera che incontriamo il Bagno Cesena e l'Hotel Emiliano, l'unico a tre stelle. Fatto sta che la vocazione alla «seconda casa » e la mancanza di criteri di sviluppo hanno creato, in riva ad una mare effettivamente bellissimo, un paesone non disordinato ma tutto uguale, con rari negozi, senza un'identità precisa; e forse riconoscibile solo da parte di chi ci va da sempre, con nuovi palazzotti ancor più anonimi in perenne costruzione. Morale: un turista «a largo raggio» qui verrà difficilmente, perché non sembra una località turistica normale e, oltre tutto, gli parrebbe d'essere in casa d'altri. Eppure la Puglia riserva subito sorprese. Perché Marina di Castellaneta, appena dopo, è una copia già più evoluta della prima, dal punto di vista dell'industria turistica. Il paese ha tanti stabilimenti balneari, una parvenza di lungomare, una pretesa di cosmopolitismo.

Riva dei Tessali

E, pochi chilometri oltre, la specie pare essersi evoluta ancora, come in una sorta di frenetico esperimento genetico tra meravigliosi pini d'Aleppo: ecco un varco con sbarra e guardiani, l'ingresso dell’oasi di Riva dei Tessali, con famoso campo da golf annesso; e il complesso di Nova Yardinia, polo turistico di nuovissima concezione nel Sud, che scommette sul turismo tutto l'anno e su hotel a cinque stelle lusso. Un pezzo riveduto e corretto, in meglio, di riviera romagnola, con un profilo internazionale; nato però quaggiù, in riva a un mare incomparabilmente più limpido dell’Adriatico settentrionale. Bello? Bellissimo. Ciò che colpisce, semmai, è la disparità tra aree vicine, anzi confinanti, ma pressoché impermeabili le une alle altre. Di rado i due gruppi di turisti, di lusso e di tipo «locale», s'incrociano. Un turismo a compartimenti stagni.

Fine degli esperimenti? Macché. Nella graduatoria dei «villeggianti » pugliesi, c'è anche la casta dei pendolari «mordi e fuggi». Dopo i villaggi turistici di lusso, ecco quasi subito il regno dei tarantini che dalle periferie «vanno al mare », il più vicino possibile. Ci sono angoli della costa ionica nord-occidentale che sembrano usciti da un film neorealista. Seguendo le frecce per Pino di Lenne, ci s'inoltra in un bella pineta da cui, nell'ordine, spuntano prima un agglomerato di finti trulli ancora in costruzione e poi una serie di vecchie casette in legno che paiono dacie russe: deve essere stato un tentativo di colonizzazione turistica finito male, cosicché ora solo alcuni bungalow sono utilizzati e i ruderi della piscina lasciano intendere che l'acqua ci deve essere stata in un'altra era geologica. Più avanti si apre una specie di fiordo formato dal fiume Lenne, che non solo ha creato una zona di paludi e canneti inattesa da queste parti; la furia dell'alluvione dell’altro anno ha spianato il pontile in cemento che stava alla foce creando un vasto estuario, scavalcato dalla ferrovia. Sulla spiaggia, oltre le dune presidiate da vecchie roulotte, la gente gioca a pallone, consuma panini e si dedica alla pesca. Sullo sfondo c'è già il profilo dell'area industriale.
Una ventina di minuti d’auto ancora: gru e ciminiere sono davvero vicinissime, Taranto è pochi chilometri e pare impossibile che il mare possa ispirare una nuotata. Invece qui c'è Lido Azzurro: nella pineta dietro le ultime dune un banchetto di tavoli da picnic mischiati a vecchie automobili, un proliferare di pasta al forno e griglie per arrostire il pesce, segnalano la festa della Taranto popolare. Ci lasciamo la grande città alle spalle, con il suo arsenale militare e le sue fabbriche.

Appena usciti dal capoluogo ionico, un cartello scritto a mano da un benzinaio avverte: «Per i turisti. Ultimo distributore fino a Gallipoli». Pensiamo ad una trovata pubblicitaria, dato che per arrivare a Gallipoli dovremo percorrere più di cento chilometri. Sbagliato. è un cartello serissimo. Infatti lungo la strada s'incocciano alcuni turisti forestieri che elemosinano qualche litro di carburante. Pittoresco? Naif? Mica tanto. Più che altro fa imbufalire e rende la lontana cittadina cara a D’Alema una meta tanto agognata quanto improbabile. Anche perché dopo Taranto il mare torna di proprietà dei tarantini che hanno più chance di quelli di Lido Azzurro: tra pizzerie, chioschi, seconde case più o meno rifinite, spiagge più chic e lidi più folk (tutti presi d'assalto), qualche albergo e auto ovunque; fino a lambire le onde di un mare azzurrissimo, a tratti quasi caraibico. Ma non c'è manco un simulacro di pompa di benzina, un rudere di distributore, uno spacciatore clandestino di ottani. Si procede così, senza pigiare sull'acceleratore e centellinando la preziosa super, oltre le marine di Leporano, Pulsano, Lizzano e via elencando.

Ormai l'area dei tarantini di città sta finendo. Comincia la zona delle seconde case più stanziali, almeno in questi mesi. Un tipo ci confida che nell'entroterra, verso Maruggio, un distributore c'è: «Certo - ammette compassionevole - se uno non lo sa come fa ad avventurarsi?».

Siamo rincuorati da tanta comprensione e dalla prospettiva di un pieno. Anche se il sole picchia e il caldo provoca qualche allucinazione, mentre si osserva la sequenza di varia umanità che popola cale e scogliere. Anzi no, è tutto vero: due piccole suore vestite di bianco camminano in riva al mare tenendosi per mano, con l'acqua che supera appena le caviglie. Una visione che ci riconcilia col mondo. Alle porte di Campomarino sfioriamo di nuovo l'acceleratore, più sereni. E viriamo verso l'interno. Inseguendo il miraggio di un benzinaio.

    

    

©2005 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» nell'agosto 2004. Le immagini sono tratte dai siti www.marinadiginosa.net e www.interaziendalegolf.it.

      


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